ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 23 dicembre 2015

Quando il Figlio dell’Uomo tornerà sulla terra, troverà..?



La Germania è messa peggio – La Chiesa


Toccati, così, “per assaggi” i grandi quotidiani tedeschi, per dare una panoramica anche minima di come va l’informazione a nord delle Alpi,dovrei trattare le “nicchie” informative, queste sì, a tratti innovative e profonde. Non sarebbe e non è una novità per quello che era considerato – o si considerava -il popolo “più colto della Terra”, capace di crescere e coltivare élites intellettuali straordinarie, ma, il più delle volte incapaci di tradurre “politicamente” (nel senso aristotelico) le proprie intuizioni, lasciando alle masse il ruolo di materiale informe che il Potere plasma come vuole.
L’impoliticità, di cui parla Thomas Mann nelle sueBetrachtungen, ha anche un suo preciso versante informativo. Sarà per una terza, eventuale e complessa puntata.
Ora c’è una domanda che esige una risposta: che ruolo gioca la Chiesa tedesca nell’educare o meno alla verità? Perché la Chiesa tedesca, pur materialmente così potente, è in una ritirata che sa di fuga e sbandamento? Perché non riesce più a esprimere una sua critica alla dittatura del Politicamente Corretto?

Mons. Rudolf Voderholzer, vescovo di Ratisbona, è parso come un marziano quando, settimana scorsa, ha criticato i suoi colleghi della Conferenza Episcopale Tedesca per un documento in cui si afferma che la teoria gender è «basilarmente compatibile con la fede cattolica», sottolineando che il vescovo ha il dovere «di agire come un guardiano (…) per richiamare l’attenzione agli errori». Questo è, peraltro, anche il compito dell’informazione! Ovviamente è stato subito sommerso dai “confratelli nell’episcopato” da un coro di critiche, tra le quali non poteva mancare l’accusa di essere un “conservatore”. La Chiesa tedesca cerca di interrogarsi sulle ragioni della propria crisi, ma, ai suoi vertici, lo fa con le categorie, per nulla bibliche, di “conservatore” e “progressista” (che hanno ormai sostituito quelle di “vero” e di “falso”).
Per esemplificare questo concetto, cito allora un intervento del luglio di quest’anno, apparso sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, la Bibbia del pensiero liberalconservatore in Germania e, dunque, del giornalismo mainstreaming, foraggiato dagli US, come ha ricordato in un suo saggio clamoroso UdoUlfkotte (che della FAZ è stato a lungo collaboratore, e non solo per due pezzi). L’autore è il solito, ineffabile, Daniel Deckers, quello che ce l’aveva col conservatore Joseph Ratzinger e che, invece, va d’amore e d’accordo con il card. Kasper.
Secondo Deckers, che è uno che ragiona quasi esclusivamente nella polarità conservatore-progressista, l’emorragia di fedeli è dovuta agli scandali: risposta quasi scontata, non fosse che tra gli “scandali” il Vaticanista della FAZ ci mette anche il “perdono”, da parte di Benedetto XVI, della scomunica comminata alla Fraternità San Pio X (sic!) e la presenza delle Madonne nelle chiese cattoliche.

Non è uno scherzo. I media tedeschi, FAZ in testa, hanno condotto a partire dalla primavera del 2014 una pesante polemica contro mons. Tebartz Van Elst, accusato, non senza fondamento di una gestione assai allegra delle finanze della sua diocesi (Limburg-Frankfurt a.M.). Ora, anche senza entrare nei dettagli di uno scontro che aveva come scopo evidente quello di de-ratzingeriare la Conferenza Episcopale Tedesca, va notato che, proprio sulla FAZ e in buona evidenza, Deckers, in lungo articolo del 23 giugno 2013, con cui apriva le ostilità contro l’improvvido vescovo, tra le sue colpe inseriva quello di aver buttato via i quattrini dei fedeli per acquistare delle Madonne. Gli ha risposto (qui il link ad ambedue gli articoli:http://www.pi-news.net/2014/07/martin-mosebach-ueber-den-faz-schmierer-daniel-deckers-und-bischof-tebartz/) Martin Mosebach, scrittore e romanziere di valore e molto apprezzato in patria (anche oltre le “nicchie”), ricordando che sì, il vescovo Tebartz Van Elst aveva acquistato una statua della Vergine, ma una sola, e perché, per quanto ciò possa sembrare incredibile, nella sua cattedrale non ce n’erano.
Mosebach è un convertito e, per di più, un convertito attraverso l’antica liturgia, scoperta durante un suo breve soggiorno in un monastero francese. Per lui è piuttosto ovvio che in una chiesa cattolica debba esserci un’immagine della Santa Vergine; per Deckers e per il pensiero neocattolico che egli rappresenta, evidentemente no. Maria è ecumenicamente imbarazzante … Mosebach con questo riferimento assai preciso ha toccato il vero punto della crisi della Chiesa tedesca, ma, se vogliamo, più estesamente della crisi ecclesiale attuale: la mancanza di fede.
Quando il Figlio dell’Uomo tornerà sulla terra, troverà ancora la fede? Questo versetto evangelico, che proprio nella Novena di Natale ritorna nella liturgia delle Lodi, ci riporta al punto nodale. Deckers in un altro suo intervento sulla FAZ non manca di notare che il problema dei Kirchenaustritte (l’uscita ufficiale dalla Chiesa) tocca le chiese evangeliche ancor più di quella cattolica, ma non ne tira la conseguenza più ovvia: le chiese evangeliche (come quella riformata in Svizzera) hanno da tempo concesso tutto: donne pastore e vescove, matrimoni gay, divorzi facili, pillola etc. etc., ma non hanno fermato l’emorragia di fedeli. In Germania, e in maniera analoga anche nei cantoni svizzero-tedeschi e in Austria, le tasse ecclesiastiche non sono, come in Italia, un parte delle imposte che comunque andrebbero pagate a questo o a quel destinatario, ma una vera e propria tassa che le chiese riscuotono per mezzo dello Stato, che fa semplicemente da intermediario. Dato che queste tasse sono proporzionali al reddito (progressive), in molti casi esse sono alquanto sostanziose. Il contribuente che voglia evitarle, deve recarsi presso un’autorità pubblica e certificare la propria uscita dalla Chiesa, interrompendo, in tal modo, l’obbligo del versamento. Il meccanismo fu introdotto dal concordato con il Terzo Reich e, già allora, fortemente incentivato dal Regime. Sino a una quindicina di anni fa il numero dei Kirchenaustritteera alquanto contenuto, ma ormai si tratta di una vera e propria emorragia che sta mettendo in crisi le finanze della Conferenza Episcopale Tedesca (che, in Germania, è il secondo datore di lavoro dopo lo Stato). Gli interventi liberal di parte dell’episcopato tedesco (Marx e Zollitsch tra gli altri) mira a presentare una chiesa più aperta, meno intransigente e meno romana, nella speranza – vana – di invertire la rotta. Lo slogan è: meno Chiesa dei dogmi e più Chiesa della pastorale. Per questo, del resto, Bergoglio è così popolare. In realtà, in gioco non c’è affatto la “pastorale” (termine che ormai serve a coprire di tutto e di più), ma le casse. Ed è questo il vero scandalo … Bergoglio ai certi vescovi tedeschi va bene quando parla di Africa e America Latina e a condizione che eviti di parlare della Germania. Lo scandalo intorno a Tebartz Van Elst(che, peraltro, si è dimesso spontaneamente) a quasi due anni di distanza appare alquanto ipocrita, in un paese in cui persino i campanari e i sacristi sono stipendiati e dove stuoli di “Pastoralreferentinnen” (signore e signorine che fanno le assistenti pastorali, quali reggenti delle parrocchie prive di preti) svolgono il loro lavoro, spesso di demolizione della fides tradita, dietro compensi da impiegati di banca. Non per nulla, quando dall’Africa si sono levate voci di dissenso all’ultimo sinodo dei vescovi, sulla famiglia, l’ineffabile card. Marx ha spiegato che gli africani sono dei miserabili, dei poveracci e, dunque, hanno ancora tanto bisogno di una fede ingenua.
È difficile trovare in Europa una chiesa tanto istituzionalizzata e burocratizzata come quella tedesca, dove non si muove foglia senza che sia stata convocata una commissione o emanata una direttiva. Questa Chiesa “dei documenti” insegue il sistema, non è certo in grado di contestarlo o di preparare una qualche forma di resistenza.
Forse anche per questo, tra le “nicchie” più significative e più creative, anche a livello informativo, ci sono proprio i cultori della Messa Antica, a cui il Motu Proprio di papa Benedetto XVI ha aperto possibilità prima sconosciute, pur tra ostacoli e divieti frapposti dai fautori della Chiesa liberal. Tra i pochi seminari tedeschi dove ci sia ancora qualche candidato al sacerdozio, non a caso, c’è quello gestito dalla Fraternità di San Pietro, presso il Lago di Costanza. E siccome lo Spirito soffia dove vuole e non dove decidono le commissioni centrali della Conferenza Episcopale Tedesca, sembra che sia ancora l’antica liturgia a stupire e convertire. Riporto dalla pagina personale di HedwigBeverfoerde, nipote del card. Von Galen, il Leone di Münster, e combattiva esponente del movimento Pro-Life e Pro-Famiglia (in Germania le hanno appioppato l’onorificenza di Miss Omofobia), la notizia recentissima di un’ultima, sorprendente conversione, quella del giornalista berlinese Andreas Kobs, rimasto folgorato dal mistero dell’antica liturgia nella chiesa di San Filippo Neri a Berlino, uno dei pochi luoghi dove regolarmente si celebra con il rito tridentino (http://www.euangel.de/ausgabe-3-2015/liturgie-zwischen-tradition-und-experiment/faszination-von-tradition-und-experiment-i/). Era successa la stessa cosa a Paul Claudel, il grande poeta francese, convertitosi assistendo, per caso, a un frammento di liturgia nella cattedrale di Nôtre Dame. Lex orandi, lex  credendi.
Perché esiste la Chiesa, se non per condurre al Mistero? Perché, se il sale perdesse il suo sapore, a che cosa servirebbe … come recita un’alta parola, durissima, se ben intesa di Nostro Signore. Ma qui siamo ben oltre gli “scandali” tedeschi, ed è qualcosa che riguarda tutti noi. Chi potrebbe convertirsi davanti agli applausi e ai palloncini che volano intorno all’altare mentre una folla di adulti bambini (non nel senso evangelico), batte le mani cantando “Le mani alzate verso Te … “ o “Sei grande Dio, sei grande come il mondo mio …”, cioè sei piccolissimo?
Di Giuseppe Reguzzoni
     
http://www.maurizioblondet.it/la-germania-e-messa-peggio-la-chiesa/
russi ortodossi

Quando il Santo e il sacro uniscono Italia e Russia

Abbiamo assistito alla celebrazione ortodossa di San Nicola, nel cuore della Basilica dedicata al Santo di Myra, costruita quasi mille anni fa a Bari vecchia. E proprio nel giorno del solstizio d’inverno, a pochi metri dalla frenesia pre-natalizia, questa stanza fredda, umida, scavata nella terra, illuminata in parte con lampade ad olio, riesce a far sentire il sacro. Qui, cattolici ed ortodossi pregano vicini. Al di sopra, la cattedra dell’altare, occupata per secoli dai vescovi, è concessa momentaneamente alle massime autorità della Chiesa ortodossa di Mosca.
  
L’odore d’incenso si mescola al profumo delle rose che adornano l’altare di San Nicola. Il sacerdote, l’ortodosso Metropolita Mefodiy,  dà le spalle ai fedeli, rivolge l’attenzione solo all’altare che custodisce le spoglie del Santo. Avvolto dal tipico abito dorato, recita la liturgia in russo. Il crocifisso di legno gli dondola sul petto. Decine di devoti, presenti nella cripta, seguono la liturgia. Poi uniscono il pollice e l’indice nel segno della croce, s’inginocchiano sulla pietra fredda, chiudono gli occhi e pregano. Tra loro uomini, bambini. Tante sono le donne, quasi tutte dell’Est Europa. Indossano il tipico foulard che scende morbido fino alle spalle, lasciando trasparire i capelli biondissimi. Gli occhi non riescono a nascondere l’emozione di trovarsi lì, davanti al Santo più venerato dalla chiesa ortodossa.
Siamo nella cripta di San Nicola, nel cuore della Basilica dedicata al Santo di Myra, costruita quasi mille anni fa a Bari vecchia. E proprio nel giorno del solstizio d’inverno, a pochi metri dalla frenesia pre-natalizia, questa stanza fredda, umida, scavata nella terra, illuminata in parte con lampade ad olio, riesce a far sentire il sacro. Qui, cattolici ed ortodossi pregano vicini. Al di sopra, la cattedra dell’altare, occupata per secoli dai vescovi, è concessa momentaneamente alle massime autorità della Chiesa ortodossa di Mosca.
 E’ il secondo giorno della festa di San Nicola che il calendario giuliano, quello ortodosso, fa slittare tredici giorni dopo rispetto a quella prevista dal calendario gregoriano, seguito dai cattolici. Infatti la Chiesa di Roma celebra il Vescovo di Myra il 6 dicembre, giorno della sua morte, secondo la tradizione. Data non rispettata dalla Chiesa Ortodossa, che prevede che San Nicola venga celebrato il 18 e 19 dicembre.
E proprio in questi due giorni Bari, che ospita dal 1087 le spoglie del Santo, è stata letteralmente invasa da circa 2500 pellegrini ortodossi. La maggior parte di loro viene dalla Russa, ma ci sono anche tanti moldavi e ucraini. Tutti che pregano insieme sulla tomba del protettore dei marinai. E non c’è accordo di Minsk che tenga. Tra di loro anche tanti baresi che salutano Nicola, da secoli celebrità  della città.
I tanti pellegrini che popolano in questi giorni il capoluogo pugliese sono arrivati con voli charter pagati da “Benefattori russi”, ma anche con pullman da gran parte d’Italia. Ed è sorprendente che arrivi fino alle sponde dell’Adriatico la volontà di Mosca di recuperare un rapporto diretto non solo con la Chiesa Ortodossa, ma con la sacralità in generale. Lo stesso Vladimir Putin starebbe cercando dal 2013 di avvicinare sempre più ortodossi e cattolici, e lo ha dimostrato anche durante l’incontro con Papa Bergoglio lo scorso giugno.
Ma il vincolo che lega Bari ai russi ortodossi è antico, quasi secolare. Infatti nel 1911 la Società Imperiale Ortodossa di Palestina commissionò ad Aleksej Viktorovic Ščusev, architetto esponente del classicismo socialista, la costruzione di un’altra chiesa dedicata a San Nicola; quella Ortodossa, in un quartiere residenziale di Bari distante chilometri dalla Basilica. La prima pietra fu posta due anni dopo, nel 1913. Da quel momento il capoluogo pugliese divenne meta preferita di pellegrinaggi non solo di russi ma soprattutto di greci ortodossi. La Chiesa Ortodossa di San Nicola è stata di proprietà del Comune di Bari fino al 2007, quando la visita di Vladimir Putin servì ad avviare le trattative per il trasferimento alla Russia. Infatti nel 2012 il Comune ha ceduto formalmente l’immobile a Mark Golovkov, direttore delle Istituzioni estere del Patriarcato di Mosca.

DI  - 22 DICEMBRE 2015


2 – Russia: la grande cultura


Gli artisti, i martiri.
La cultura russa, ha prodotto , dall’Ottocento in poi, un universo, meglio sarebbe dire un pluriverso, ricchissimo, che anche nel secolo della Rivoluzione, e nei settant’anni dell’oppressione sovietica, ha regalato al mondo uomini e donne, artisti o semplici esseri umani dotati di energia spirituale, coraggio indomabile, tenuta morale, fede. Di questo popolo contadino , della sua capacità di resistere al male, di elaborare la sofferenza è simbolo un’antica espressione idiomatica: nicevò, niente, non fa niente . A denti stretti, nel gelo e nella sopraffazione, ma l’anima popolare regge: nicevò, tiriamo avanti , “non fa niente”.
Di questa dolente umanità ferita, e di quegli straordinari artisti, Alexsandr Solzhenitsyn è stato simbolo e cantore: grande scrittore, uomo fierissimo, profondo pensatore, critico del comunismo e dell’Occidente di cui ha sferzato i vizi e descritto il declino negli anni di esilio trascorsi negli Stati Uniti. Nato nel 1918, l’anno tragico dei massacri rivoluzionari, simboleggiati dall’assassinio di casa Ipatev , in cui venne sterminata l’intera casata dello zar Romanov, studiò matematica e partecipò, da convinto comunista, alla guerra come ufficiale volontario e fu decorato al valore.
Condivide con altri grandi della Russia il singolare destino di una formazione scientifica che sboccia in arte: Pavel Florensky, sacerdote ortodosso, filosofo , scrittore e martire , era un insigne fisico e matematico, Vladimir Zamyatin, lo scrittore che inventò , prima di Orwell ed Huxley il racconto distopico – l’utopia negativa – era ingegnere, ed il suo romanzo “Noi” fu ispirato tanto dal totalitarismo comunista quanto dalla sua esperienza in un cantiere navale inglese caratterizzato dalle infernali condizioni di vita e lavoro degli operai . Il grande musicista romantico Alexsandr  Borodin, autore dell’opera Il Principe Igor , racconto della lotta dei principi cristiani della prima Rus’ di Kiev nel XII secolo contro i tartari , sul testo della prima grande opera della letteratura russo – antica, Il canto della schiera di Igor, di professione era chimico , autore di scoperte e testi specialistici , autodidatta nella composizionecui dedicava il raro tempo libero.
Solzhenitsyn ,critico con Stalin in una lettera privata, riconvertito all’ortodossia in cui lo aveva educato la madre, fu deportato in Siberia per circa dieci anni, poi esiliato in Asia Centrale, dove iniziò la sua grande stagione letteraria con il romanzo “Una giornata di Ivan Denisovich “, descrizione cruda e brutale di classica sobrietà, che per nitore espressivo è stato paragonato alle dostoevskiane “Memorie di una casa morta”, in cui viene rappresentata per la prima volta una giornata qualsiasi in un campo di lavoro staliniano dove è rinchiuso un uomo semplice, Ivan.
La stessa forza narrativa si ritrova negli scritti successivi. Nella “Casa di Matrjona” protagonista è un’anziana contadina, presso la quale va a vivere un ex deportato, alter ego dell’autore, una povera donna , simbolo del popolo russo, che mitemente subisce ripetute ingiustizie, e muore poverissima ed abbandonata. Nel racconto “Alla stazione di Krecetovka” , Solzhenitsyn scolpisce la parabola morale di un “uomo sovietico” nel quale il germe della sospettosità s’è tanto radicato da indurlo a commettere una mostruosa ingiustizia. Degli anni sessanta è anche il drammatico racconto “Padiglione Cancro “,ispirato alla sua personale vicenda di malato inspiegabilmente guarito, ricoverato in un infernale ospedale di dannati della vita, forse il vertice poetico dello scrittore.
Ma l’opera della vita di Solzhenitsyn , quella gli è costata la proscrizione e l’esilio, e che si è trasformata in un terribile documento insieme di arte e di sofferenza è certamenteArcipelago Gulag, monumentale descrizione della condizione dei deportati nei campi di prigionia e di lavoro sovietici in Siberia. Saggio di indagine letteraria, così si autodefinisce il libro, impressiona sin dalle prime pagine per l’elenco dei 227 internati – gli “zekh” , che hanno collaborato al testo con le loro testimonianze fatte uscire dalla Siberia con i più svariati mezzi , e per lo sconcertante episodio citato in introduzione, il ritrovamento , sotto il ghiaccio eterno siberiano, da parte dei prigionieri, di alcuni pesci preistorici, dei tritoni, voracemente divorati , addirittura “volentieri”, dai poveri zekh. Gulag, acronimo russo della Direzione Principale dei Campi di Lavoro Collettivi , è diventata parola d’uso comune in tutte le lingue, antonomasia dei sistemi concentrazionari del secolo ventesimo.
Il magistero spirituale di Solzhenitzyn, così intensamente russo e così integralmente spirituale, trascende la letteratura ed anche la politica. La sua gigantesca personalità , il suo risoluto vivere senza menzogna lo hanno portato a criticare con asprezza anche il sistema occidentale liberale, in numerosi interventi pubblici tra i quali spiccano i discorsi tenuti nelle Università americane di Harvard , Stanford e del Vermont.
Il giorno del suo ultimo arresto, nel 1974, diffuse un nobile comunicato in cui affermava “Non c’è scappatoia: dalla parte della verità o dalla parte della menzogna : dalla parte dell’indipendenza spirituale o dalla parte della servitù dell’anima. (…)E chi non avrà avuto neppure il coraggio di difendere la propria anima dica semplicemente : sono una bestia da soma e un codardo, mi basta stare al caldo a pancia piena”. Parlava così di fronte ad un immenso meccanismo di oppressione, sanno gli europei occidentali pronunciare frasi simili di fronte alla dittatura della tecnica, della finanza, del materialismo, del “politicamente corretto” , del mercato misura di tutte le cose?
Solzhenitzyn citava , al termine di quel memorabile documento, i versi di AlexsandrPushkin: “A che servono alle mandrie i doni della libertà? /Il loro retaggio, di generazione in generazione/ sono il giogo con i bubboli e la frusta”.
Forse viene davvero dall’Est la luce per le mandrie- o le greggi – europee che leccano avide la mano del padrone che consente loro di consumare, produrre, correre al centro commerciale, sballare, drogarsi, sposarsi con esseri dello stesso sesso, affittare l’utero, adottare bambini perché anche essere genitori (genitore uno o due, non importa) è un “diritto”, donare sperma a pagamento , indebitarsi per la vita, pagare con carta di credito, essere sotto costante controllo panottico attraverso telecamere, telefoni, cards, facebook, morire a richiesta in quanto malati o depressi ( è l’ultima frontiera che viene dal Belgio: eutanasia per “sofferenza psichica”. Dall’Olanda abbiamo invece la possibilità di sopprimere i bambini sotto i 12 anni se è d’accordo il medico) . Mandrie, cui si addicono i bubboli, quei ridicoli sonagli sferici che si applicano al collare di certi animali domestici e ai finimenti delle bestie da tiro.
E religiosa è la grandezza artistica dei suoi massimi romanzieri, Leone Tolstoj e l’immenso FedorDostojevsky.
Tolstoj esprime, nella potenza della sua narrazione, lo struggente desiderio di fratellanza, così vivo nel popolo russo, ed una singolare visione cristiana che possiamo paragonare al Discorso della Montagna di Gesù nel Vangelo di Matteo, quello delle beatitudini; da lui ha tratto ispirazione un uomo come Gandhi. Ha descritto in Guerra e Pace, il dramma della guerra , la tragedia di un mondo in frantumi, e le vicende di famiglie animate da opposti principi , attraversate da destini diversi. Celebre è l’incipit dell’imponente romanzo: “Tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” .

Dostojevsky
Se Tolstoj è un’ indiscutibile scintilla di spiritualità e senso morale, addirittura accecante è la luce prodotta dall’arte di FedorDostojevsky. Oppositore dello zarismo in giovinezza, graziato quando era già davanti al plotone d’esecuzione, romanziere eccelso quanto profondo pensatore , portatore di un cristianesimo integrale , innamorato della figura di Gesù, è stato forse il primo ad antivedere la dittatura dei “totalitarismi razionali “, ed a proclamare, per bocca dei suoi protagonisti, il diritto dell’uomo alla libertà, all’irrazionalità, ed in ultima istanza, dell’ineguaglianza nei confronti del mondo omologato; “Due più due fa quattro, ed è già l’inizio della morte” dice Ivan Karamazov, uno dei fratelli del suo massimo capolavoro.
E nei “Demoni” disegna la nuova figura del nichilista, colui che non crede più a nulla, portatore del male morale assoluto, il febbrile Kirillov ed il rivoluzionario Stravrogin, assassini dello studente Ivanov, ma anche teorici del loro stesso suicidio. KIrillov è colui che proclama: “Se Dio non esiste, io sono Dio ! “ .
Nichilismo ,la diagnosi severa del male oscuro del nostro tempo. Un termine che nasce nella Russia nell’Ottocento, usato per primo da un altro grande romanziere, Ivan Turgenev in “Padri e figli” . Nichilismo,allora, di un immenso territorio fermo e burocratizzato, violento e povero, ma capace di amore, sacrificio, abnegazione al limite della santità.
Anche il termine “populismo”, che designa oggi una posizione politica favorevole alla gente comune ed ostile alle oligarchie, vocabolo utilizzato come accusa e disprezzo nel linguaggio mistificatorio corrente è di ascendenza russa. I populisti –narodniki – erano, nel diciannovesimo secolo, i sostenitori dell’emancipazione dei contadini russi e di un socialismo comunitario rurale. Tra di loro, uomini come Bakunin, Kropotkin, che sono passati alla storia come padri dell’anarchismo e del socialismo rivoluzionario (Herzen).
Ritorniamo a Dostojevsky: egli è stato anche il primo a capire che l’uomo, un certo uomo nichilista e sciolto da ogni vincolo, sarebbe diventato il sostituto del Dio perduto, come Raskolnikov, il protagonista di Delitto e castigo, che decide di uccidere un’usuraia, non per giustizia o moralità, ma semplicemente come atto insindacabile, gesto di superiorità , decisione , possesso sulla vita altrui. Simile è l’attitudine di Ivan Karamazov, che istiga all’omicidio del padre il servo e fratellastro Smerdjakov, delitto di cui verrà poi accusato ingiustamente il fratello Dimitri .
Per entrambi, il colpevole Raskolnikov e l’innocente Dimitri che prende su di sé le colpe familiari esiste un’unica salvezza, l’espiazione del male, il castigo. A ciascuno di loro l’artista assegna un deuteragonista: per Dimitri è il fratello Aliosha, simbolo del bene e della fede , per Raskolnikov è Sonia, la ragazza povera , prostituta per bisogno, ma di elevati sentimenti, che lo libera dalle sue ossessioni intellettualistiche e gli sarà vicina nel percorso di sofferenza e redenzione. Ma Sonia rappresenta anche un atto di accusa antiilluministica contro ogni velleità di razionalizzazione storica, come il principe Mishkyn, “L’idiota” , l’uomo puro che la vera o presunta malattia psichica mette al riparo dalla malvagità e che attraversa la vita, con i suoi mille intrighi e drammi quasi senza accorgersene , stupito e disarmato contro il male, sino alla dirompente intuizione che la bellezza salverà il mondo.
Una piccola, ulteriore riflessione è quella del particolare rapporto tra corpo ed anima, bello e giusto nell’anima russa , che proprio Dostoevsky tratteggia nell’episodio della morte dello staretzZosima , il monaco santo direttore spirituale di Aliosha Karamazov.
Il cadavere del venerato uomo di chiesa è visitato da tutto il popolo, ma lo sconcerto e l’incertezza si impadroniscono della folla : lo staretz puzza, e questo non coincide con l’idea fisica della santità, che per la gente semplice è incontaminazione, profumo, eccezione alle leggi materiali. Il povero Zosima , il cui corpo emana l’odore della decomposizione, era davvero unostaretz, un santo ed una guida, oppure era un peccatore ? Un dubbio molto russo….
La particolare idea della libertà di Dostojevsky è forse uno dei massimi lasciti della cultura slava all’Europa Occidentale: libertà non come facoltà di scegliere tra bene e male, ma come metafisica, “andare oltre”, accettazione , che diventano il filo che congiunge la trama degli oppositori del materialismo e del positivismo . C’è molto del suo genio nella reazione di filosofi e scrittori , uomini come un Nikolaj Berdiaev contro la fede laica del marxismo , in nome della libertà negata, invocata , pensata nel racconto del Grande Inquisitore . Il morente Ivan Karamazov, in una grandiosa visione metà onirica e metà mistica, immagina il ritorno inutile di Gesù sulla terra, accusato dall’inquisitore di aver predicato la libertà e caricato l’uomo di un peso che non sa sopportare, riconsegnando quella stessa libertà alle chiese, alle ideologie, oggi diremmo alle agenzie di consenso, in cambio della sicurezza, della rassicurazione, del benessere materiale. Credo basterebbe questo gigantesco, febbrile racconto per dare a Dostojevsky un posto nella letteratura mondiale e nella storia del pensiero.
Berdjaev afferma che quel grande genio russo ed universale che per primo ha saputo comprendere laprofondità spirituale dell’uomo e prevedere il fatale disastro del mondo è il valore immenso col quale il popolo russo giustifica la sua esistenza nel mondo. Se Dio non esiste, tutto è lecito, conclude Ivan Karamazov, e fa, senza saperlo, il più grande elogio della trascendenza : senza una sanzione esterna, fuori da una tavola di principi forti, non c’è etica, non c’è limite, non c’è bene . Dio, il male, la colpa (cioè la morale) sono proprio la tematica fondamentale del nostro autore , i personaggi di Dostoevskij sono anime, spiriti. Anche nei suoi peccatori più immondi e sensuali il loro io carnale consiste non tanto nel corpo e nei loro nervi, quanto nell’essenza spirituale .
Raskòlnikov, uccidendo a colpi di accetta la disgustosa usuraia, vuole chiarire a sé stesso se è un Napoleone o un pidocchio, se appartiene alla categoria della massa, degli uomini comuni, o agli uomini non comuni, destinati a grandi imprese, per i quali non valgono le leggi ordinarie. Per questo può dire: “Non ho ucciso una persona, io; ho ucciso un principio!”
Quel principio è l’affermazione della superiorità delle leggi morali, e della superiorità di Dio che quelle leggi oggettive ha posto nel cuore dell’uomo : ai personaggi di Dostoevskij che vogliono affermare la loro illimitata libertà è chiaro il concetto che per fare ciò debbono sbarazzarsi di Dio, affermare la propria divinità, e divenire come Kirillov”uomo-dio” (se si scarta Dio è l’uomo ad essere assolutizzato).

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