ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 19 dicembre 2015

Francescani dell'Immacolata? Omessi!,.. di chi sono costoro?

FRA MAURO JOEHRI SU CAPPUCCINI ED ALTRO (MONTAGNA COMPRESA)

Ampia intervista al Ministro generale dei Cappuccini, da poco anche presidente dell’Unione Superiori generali – Tra gli argomenti la situazione dell’ordine cappuccino, la questione degli scandali finanziari nel mondo religioso, la collaborazione tra i rami francescani, gli incontri con Benedetto XVI e Francesco, l’ultimo Sinodo, l’idea di un Sinodo del popolo, gli anni passati al Santuario della Madonna del Sasso a Orselina sopra Locarno, l’amore per la montagna.
 Chi è fra Mauro Jöhri? Nato nel 1947 nell’elvetica Bivio grigionese e trilingue, dal 2006 è Ministro generale dell’Ordine cappuccino e dal 27 novembre scorso anche presidente dell’Unione Superiori Generali. Novizio dal 1964, studente di teologia al Seminario di Soletta, sacerdote dal 1972 e dottore in teologia nel 1980, ha vissuto e operato per undici anni nel Canton Ticino, presso il santuario locarnese della Madonna del Sasso, diventando poi nel 1995 provinciale dei Cappuccini elvetici.

Appassionato di montagna, sguardo schietto e sorridente, fra Mauro ci attende presso la Curia generalizia cappuccina per una nuova intervista dopo quelle rilasciateci per il mensile “Il Consulente RE” nel 2007 e nel 2010 (vedi in www.rossoporpora.org , rubrica Svizzera) e, sempre perwww.rossoporpora.org e il “Giornale del Popolo” di Lugano, nell’ottobre del 2014 (“Parlano gli svizzeri”, rubrica Interviste a personalità). Nell’intervista si parte dalla… montagna (e si conclude con la stessa); tra gli argomenti principali l’elezione a presidente dell’Unione Superiori Generali, la situazione nell’Ordine cappuccino, gli scandali finanziari nel mondo religioso con conseguente deterioramento dell’immagine nell’opinione pubblica anche cattolica, gli incontri con Benedetto XVI e papa Francesco, l’intensificarsi della collaborazione tra i rami francescani (vedi progetto di un’Università francescana a Roma), il biennio sinodale, l’idea di un Sinodo del popolo, gli anni nel Canton Ticino…

Fra Mauro, Lei è Ministro generale dei Cappuccini dal 2006, da fine novembre  anche presidente dell’Unione Superiori Generali (USG/che raccoglie circa 200 Congregazioni nel mondo)… trova ancora il tempo necessario per le arrampicate grigionesi sopra Bivio?
Anche quest’estate sono riuscito a stare qualche settimana a casa mia. E ne ho approfittato per risalire alcune montagne amate, certamente non più scalando rocce, ma in ogni caso facendo lunghe passeggiate e godendomi i bei panorami grigionesi. L’ho fatto e sono stato fiero di essere riuscito ancora a farlo.
Ma nel 2016, essendosi aggiunta la carica di presidente dell’USG?
Penso di sì, poiché l’impegno richiestomi come presidente dell’USG non mi impedirà di continuare ad essere a pieno tempo Ministro generale dei Cappuccini e anche di prendermi il giusto tempo del riposo e del recupero. Come USG ci riuniamo annualmente due volte per due giorni e mezzo, poi incontriamo ogni tanto la Congregazione vaticana per gli istituti di vita consacrata e Propaganda fide. L’USG ha un segretariato permanente che funziona. Quindi, se ho accettato di presiedere l’USG, significa che ho pensato di farcela senza sacrificare il resto del servizio e anche le pause ristoratrici necessarie.

L’ORDINE CAPPUCCINO CALA IN EUROPA, MA ‘TIENE’ NEL MONDO
Lei è Ministro generale di un Ordine che conta ancora su truppe consistenti. Anche da voi però si registra un certo calo…
Sì, un certo calo c’è, ma non così sensibile: da anni continuiamo a mantenerci sopra quota diecimila membri. In ogni caso sto constatando che il calo complessivo sta diminuendo. Non solo: da noi ormai la categoria d’età più numerosa è quella tra i 30 e i 50 anni.
Un fatto non così banale, se si pensa alle tante congregazioni maschili e femminili dall’età media dei membri tra i 70 e gli 80 anni…
Se scendiamo in qualche dettaglio geografico, si può rilevare che il nostro calo continua in Europa (salvo che in Polonia) sia per l’invecchiamento che per la carenza di vocazioni. In Italia si registra comunque un calo meno forte, dato che qualche vocazione c’è ancora. Se guardiamo al mondo, l’Ordine sta tenendo. La crescita maggiore si registra in Asia: in India, in Indonesia, mentre le Filippine si stanno riprendendo. Aumentiamo anche in Africa, siamo più o meno stabili in America latina; e si nota una certa ripresa negli Stati Uniti, dovuta penso alla presenza in parrocchie di periferia di immigrati, dai vietnamiti ai salvadoregni. Lì sono molte le persone in cerca di un’identità: sono dei cattolici e il cattolicesimo può orientare la loro vita in misura rilevante.

GLI SCANDALI FINANZIARI NELLA VITA CONSACRATA: LA STORIA DOVREBBE INSEGNARE…
In questi ultimi anni l’immagine della vita consacrata, perlomeno in Europa (in primis in Italia) si è assai deteriorata nell’opinione pubblica (cattolici compresi) per l’emergere, purtroppo ricorrente, di scandali di vario genere, anche finanziari…
E’ evidente che gli scandali non giovano mai all’immagine. Per esempio, nel caso dei Frati minori, si è suicidato il faccendiere cui alcuni economi avevano affidato più o meno 50 milioni di euro da far fruttare. La gente si chiede non come mai i frati siano stati derubati, ma come mai avessero così tanti soldi. Tuttavia, guardando agli oneri di un Ordine come quello dei Frati minori che ha 14.000 membri, impegni vari, strutture, università, uno può dire: beh, di soldi ne dovevano per forza avere tanti per gestire bene il tutto.
Il problema è che non sono stati gestiti bene…
Bisogna evitare una tentazione: quella di far soldi facilmente, prestando fede e denaro  al faccendiere che ti offre interessi elevati. Capisco che di fronte alle difficoltà di trovare i soldi per ristrutturare questo o quell’edificio, scuola, ospedale, uno possa lasciarsi allettare dalla promessa di tassi d’interesse superiori al normale. Può capitare… ma la storia dovrebbe insegnarci che operazioni del genere sono sempre andate male. Noi Cappuccini ne sappiamo qualcosa a causa del ‘caso Giuffrè’, il cosiddetto ‘banchiere di Dio’, che verso la fine degli Anni Cinquanta ci fece perdere una somma enorme promettendo interessi altissimi. Sono fatti che non dovrebbero più capitare e sono anche ben cosciente che ripulire, ricostituire l’immagine costa molto più tempo e fatica che non sporcarla.

DA BENEDETTO XVI A PAPA FRANCESCO
Da Ministro generale dei Cappuccini Lei ha già conosciuto due Papi: incominciamo da Benedetto XVI…
L’ho sempre molto apprezzato per la sua profondità di pensiero. Mi ricordo di un   incontro molto bello con lui, durante il quale gli ho tra l’altro prospettato di permettere l’accesso anche ai nostri fratelli consacrati non sacerdoti alle cariche nel nostro Ordine (una questione per noi assai importante). Benedetto XVI mi disse, da professore di teologia, che non sarebbe stato possibile, fornendo anche tutta una serie di argomenti a favore della sua tesi. Io gli chiesi allora se era possibile fare un’obiezione. Accettò di ascoltarla e dunque la esposi brevemente: osservai che la Regola di San Francesco del 1223 prevede che alle cariche possano accedere sia religiosi che laici consacrati. Benedetto XVI osservò che il problema stava proprio lì. Per la verità speravo che lui mi dicesse che quella era la soluzione, ma… non sono il Papa! Poi mi ricordo molto bene quando venne ad Assisi per un momento molto intenso di dialogo interreligioso. Infine non posso dimenticare l’atto della rinuncia al Papato… per me e per tanti altri un fulmine a ciel sereno, un momento di grande sorpresa, un atto – penso – di grande umiltà e di grande coraggio.
Passiamo a papa Francesco…
Non l’ho ancora mai incontrato a tu per tu come per Benedetto XVI, però è un religioso e questo si nota continuamente. Già è emerso nella prima grande intervista rilasciata nell’estate del 2013 a padre Spadaro, direttore de ‘La Civiltà cattolica’. Poi l’abbiamo incontrato come Consiglio dell’USG il 29 novembre del 2013: un’intera mattinata, tre ore in cui abbiamo parlato a lungo di tanti argomenti che toccano la vita religiosa. Il Papa ci spronati a essere più coraggiosi, ad andare alle frontiere, a svegliare il mondo, ad essere autentici nella nostra vocazione…. 
Spesso papa Francesco si occupa di vita religiosa nei suoi interventi: secondo alcuni non fa quasi altro che rimproverare, per altri invece in ogni caso è uno stimolo a migliorare il proprio servizio…
Stimola, stimola, ma certo i messaggi che lancia non sono comodi. Ad esempio, se scoppia uno scandalo finanziario in una Congregazione, il Papa ci avverte senza troppi riguardi: “Se non ci pensate voi a diventar poveri, ci penserà il Signore a togliervi quello che avete di troppo”. Papa Francesco certo ha rivalorizzato la vita consacrata, messa un po’ in ombra dalla nascita e dalla crescita dei nuovi movimenti laicali, quando sembrava che farsi frate o suora fosse una scelta un po’ fuori moda. Si deve dire: papa Francesco ci ha ridato considerazione, indicendo anche ad esempio il recente Anno della vita consacrata. Poi, per noi cappuccini, è particolarmente commovente che il Papa abbia voluto l’esposizione in san Pietro nella prima metà del prossimo febbraio, per l’Anno giubilare della Misericordia, delle spoglie di due nostri grandi amministratori della misericordia di Dio, ambedue santi, padre Leopoldo Mandic e padre Pio da Pietrelcina.
Un paragone tra papa Benedetto XVI e papa Francesco?
Sono diversi, hanno un retroterra diverso, una formazione diversa… non si possono fare paragoni!

UN’UNICA UNIVERSITA’ FRANCESCANA A ROMA NEL 2018?
In Europa, salvo l’eccezione polacca come già notato, la diminuzione del numero dei frati richiede forse una collaborazione più incisiva tra i vari rami francescani, per esempio in ambito educativo…
L’intenzione comune perseguita da Cappucini, Frati Minori, Minori Conventuali e Terzo Ordine francescano è di concretizzare, entro Pasqua 2018, un progetto di un’Università unica francescana a Roma - eventualmente integrando anche gli istituti storici, mettendo in rete tutte le nostre biblioteche centrali - facendone un polo che offra il massimo a livello di ricerca storica e di riflessione sull’apporto dei francescani alla Chiesa e al mondo di oggi. Noi cappuccini in questo ambito siamo un po’ i ‘parenti poveri’, ma abbiamo comunque un Istituto di spiritualità all’interno della Pontificia Università Antoniana dei Frati Minori. I Minori conventuali dal canto loro oggi hanno ilSeraphicum e stanno già cercando sinergie con l’Antonianum
E fuori Roma? 
Ad Assisi è nata un’altra iniziativa, “Francescani a capitolo”, che punta sul 2017, anno in cui ricorrono i 500 anni di una Bolla papale prevista per riunificare e che però de facto finì per sancire la divisione tra Francescani Conventuali e Frati Minori dell’Osservanza. Ora non si può celebrare una divisione interna. Sarebbe come se noi ci rallegrassimo per l’anniversario della nascita della Riforma protestante, che spaccò la Chiesa. Noi vogliamo prepararci allora per il 2017 con un percorso di riconciliazione, ricordando che nel 1216 san Francesco ottenne l’indulgenza del Perdono di Assisi… dobbiamo riconciliarci tra noi, dimenticare la storia delle angherie che ci si è fatti a vicenda. In tal senso poi nel 2017 potranno anche nascere iniziative per una più stretta collaborazione tra le famiglie francescane: è un’esigenza quella di creare esperienze inter-obbedienziali (ogni francescano obbedisce alla sua famiglia). Ne esistono per esempio già a Bruxelles per la formazione in comune di missionari, utili anche a chi viene dal resto del mondo. Ad esempio di fronte all’urgenza del problema dei rifugiati si potrebbero far interagire non solo nostre strutture, ma anche persone nostre competenti in materia, indipendentemente dalla loro ‘obbedienza’. .
Ancora sul tema: ci sono luoghi in Europa in cui itutti  principali rami francescani sono presenti e altre in cui invece non c’è ormai più nessuno. In tal senso è ipotizzabile una miglior distribuzione delle risorse umane e materiali francescane?
Sto pensando ad esempio alla situazione di Friburgo. Vi troviamo i Cordéliers , Frati minori conventuali e i Cappuccini. Noi Cappuccini fatichiamo abbastanza ormai a mantenere la casa, anche se essa è molto utile, poiché permette ai francofoni che arrivano da varie parti del mondo o anche ad esempio agli indiani destinati a un servizio pastorale nella Svizzera Romanda di frequentare la facoltà di teologia. In questi giorni ho scritto al ministro provinciale di Svizzera rilevando che non sarebbe oggi così auspicabile chiudere il nostro convento, ma sarebbe invece più interessante studiare le modalità di una collaborazione più stretta con i Cordéliers. Il discorso lo voglio portare anche a livello di Unione dei Superiori generali… è un po’ l’eredità che ci ha lasciato il mio predecessore, il gesuita padre Nicolas: bisogna intensificare la collaborazione tra le varie congregazioni religiose, in modo che in determinate diocesi non venga meno la presenza di religiosi.

IL SECONDO SINODO SULLA FAMIGLIA
Lei è stato padre sinodale in occasione del primo Sinodo sulla famiglia, quello del 2014; ma nel secondo, dell’ottobre scorso, no…
Nel secondo non lo sono stato: vi ho rinunciato, poiché sapevo che, finito il Sinodo, mi avrebbero aspettato quattro settimane intense di Consiglio plenario del nostro Ordine. Ho l’esperienza di tre Sinodi e so che partecipare al Sinodo comporta un grande dispendio di energie intellettuali e fisiche. Perciò, quando c’è stata l’elezione dei dieci religiosi scelti dall’USG, dissi che non mi sarei sentito di accettare la nomina…
Che idea si è fatta del secondo Sinodo, in attesa che sia promulgato l’atteso (con speranze o timori a seconda dei punti di vista) documento magisteriale conclusivo di papa Francesco?
Ho ascoltato la relazione dei dieci nostri padri sinodali e ne ho tratto l’impressione che, se all’inizio del recente Sinodo di ottobre, la situazione sembrava burrascosa con il rischio quasi di una spaccatura o addirittura di uno scisma, poi in realtà con lo scorrere dei giorni l’ambiente si è rasserenato. Il fatto di aver dato più spazio ai Circuli minores linguistici ha permesso certo di approfondire meglio gli argomenti. E’ vero che molti hanno evidenziato che durante i lavori è emersa qualche lacuna in materia di riflessione teologica, essendo data troppo per scontata questa o quella asserzione. Non a caso il gruppo linguistico tedesco pieno di teologi è forse quello che ha dato l’apporto teologico più approfondito, al di là delle note divergenze tra i suoi membri.  

ANCHE UN SINODO DEL POPOLO DI DIO?
A proposito di Sinodo, si è letto di una proposta emersa dall’assemblea dell’USG nel senso di prefigurare un Sinodo di popolo insieme con quello tradizionale dei vescovi. Ci può spiegare di che si tratta?
E’ un fatto nuovo e interessante che, prima del Sinodo 2014 e poi nel periodo intersinodale, il popolo cattolico sia stato consultato sull’argomento dei lavori, dando  una serie di risposte diverse a seconda della sua sensibilità, esperienza, formazione in materia. Noi certo siamo dell’idea che il Sinodo dei vescovi debba rimanere. Lì noi religiosi abbiamo una nostra presenza istituzionale in quanto sacerdoti, ma se un superiore di congregazione non è sacerdote, dal Sinodo è escluso. Sappiamo che la vita consacrata è rappresentata da noi religiosi, ma in misura molto più ampia dalle suore: perché loro non possono essere tra i membri del Sinodo? Anche i laici sono solo uditori. E allora ci si chiede: perché non pensare a una struttura sinodale in cui il popolo di Dio possa esprimere la sua opinione su certi grandi temi della vita ecclesiale, così da farsi sentire, camminando insieme con la Chiesa gerarchica?
In tal caso avremmo due Sinodi: e i religiosi dove li collocheremmo?
Se si intendono i religiosi come dono carismatico per la Chiesa, noi non facciamo parte in sé della struttura gerarchica, siamo dei battezzati che cercano di vivere con molto impegno il loro battesimo e ci sentiamo più dalla parte del popolo di Dio che della gerarchia…
La proposta precisa di un Sinodo del popolo è stata formalizzata e votata dall’assemblea dell’USG?
No, no… è un’idea che circolava e che dobbiamo prima ben approfondire. Ci vorrà il suo tempo.

GLI ANNI BELLI DELLA MADONNA DEL SASSO
Tornando in quel Ticino da Lei ha ben conosciuto, come ricorda gli anni vissuti alla Madonna del Sasso a Orselina, sopra Locarno?
E’ stato un bellissimo periodo quello degli undici anni alla Madonna del Sasso.   Insegnavo al Liceo, alla Magistrale, poi alla Facoltà di teologia di Coira, poi qualcosa anche a Lugano. Ho un bel ricordo dei locarnesi, soprattutto della gioventù, degli amici della montagna con i quali ho fatto diverse scalate… il 19 dicembre sarò a Locarno per celebrare la tradizionale messa per commemorare i due amici morti tanti anni fa sulla Bluemlisalp. E io ero con loro. Il legame con il Ticino c’è, è vivo e forte anche se non posso sempre onorarlo; è un legame che mi ha segnato… io ci tornerei domani!
Concludiamo come abbiamo iniziato: con l’amata montagna…
La montagna è la mia radice. Sono nato e cresciuto in montagna. La montagna è lo sforzo, la fatica, il cercare la via… è anche la gioia immensa del silenzio, del fermarsi, del guardare, dell’ascoltare, dello scovare la selvaggina, la vita della montagna… a me piace moltissimo scoprire dove sono i camosci. La montagna me la porto dentro. Quando uno sa dove sono le sue radici, può andare dovunque. Non posso usare l’immagine dell’ancora, perché è marina… ma io sono incordato, ho un punto fisso, una sicurezza. Non può capitarmi niente. E’ la mia radice interiore, che è poi anche quella della fede. Se penso alla fede che mi ha trasmesso soprattutto il papà, che mi ha portato con sé per la prima volta in chiesa, che mi ha insegnato le risposte della messa e quelle del catechismo, che mi condusse al santuario di Ziteil a 2400 metri sopra Savognin, il più alto d’Europa prima di portarmi in Seminario… questi sono fatti che segnano la vita!
P.S. L’intervista appare in originale su www.rossoporpora.org e, in versione cartacea leggermente ridotta, nell’inserto ‘Catholica’ del ‘Giornale del Popolo’, quotidiano cattolico della Svizzera italiana (edizione di sabato 19 dicembre 2015).
FRA MAURO JOEHRI SU CAPPUCCINI ED ALTRO (MONTAGNA COMPRESA) – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 19 dicembre 2015
http://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/549-fra-mauro-joehri-su-cappuccini-ed-altro-montagna-compresa.html

Il cardinale Poupard: “Darei l’ordinazione solo ai seminaristi che abbiano letto tutti gli atti del Vaticano II”

Cardinal_Paul_PoupardIl cardinale Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura e del Consiglio per il Dialogo Interreligioso, testimone diretto di quel grande evento che è stato il Concilio Vaticano II, lo scorso 8 dicembre, in occasione del cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II, è stato l’ospite del cantone di Friburgo per un corso di formazione pastorale.
Sull’ipotesi riguardante “la necessità” di un Vaticano III, il cardinale ha risposto: «quando domando se il mio interlocutore ha letto tutti i testi del Concilio Vaticano II di solito ricevo un rispettoso silenzio. Se ne avessi il potere, ordinerei solo quei seminaristi che dichiarino di aver letto tutti i testi del Concilio. Uno dei segretari della Commissione Teologica Internazionale mi ha detto una volta che ci sono milioni persone che sanno cosa ha scritto per il Concilio, centinaia di migliaia di persone sanno quello che abbiamo detto al Consiglio, ma solo migliaia di persone conoscono cosa dice il Concilio…”.
Il cardinale ha ricordato che Papa Giovanni XXIII non era affatto ingenuo. “Egli ha detto che gli uomini di oggi non fanno tanti progressi nella vita spirituale come in quella materiale, dove invece c’è una corsa verso il piacere facile che offre il mondo”.
Per il cardinale, uno dei frutti più significativi del Concilio è stato il Sinodo dei Vescovi creato nel 1965 da Paolo VI. Giovanni Paolo II ha considerato come uno strumento particolarmente fecondo la collegialità dei vescovi e che, per lui, i sinodi sono momenti di comunione e di verità, per condividere esperienze e difficoltà.
Matteo Orlando
http://www.lafedequotidiana.it/il-cardinale-poupard-darei-lordinazione-solo-ai-seminaristi-che-abbiano-letto-tutti-gli-atti-del-vaticano-ii/
Quegli errori sul Concilio (e sulla Chiesa nel mondo). A 10 anni dalla lezione di papa Benedetto
di Nicola Bux19-12-2015
Il Papa parla alla Curia Romana
Il 22 dicembre 2005, Benedetto XVI rivolgeva uno storico discorso alla Curia Romana, nel quale offriva le “chiavi” della storia e della fede, per la corretta interpretazione del Concilio ecumenico Vaticano II. Cosa ha prodotto? Una parte della Chiesa cattolica lo ha condiviso, mentre l'altra ha continuato a percepire quell'avvenimento come una rottura con la Chiesa precedente. Il solco si è approfondito, quasi uno scisma di fatto. 
Per questa parte della Chiesa, viene da dire che in principio era il Verbo, ora è il Concilio, con la C maiuscola e senza specificazioni, mitizzato come un super-dogma, in rottura con la sacra Tradizione e in apertura al mondo. Il contenuto dei documenti è ridotto a slogan: profezia, segni dei tempi, dialogo, comunione, senza aggiungere “gerarchica”, spirito del Concilio contro la lettera. Nel suo discorso, Benedetto XVI si chiedeva: qual è stato il risultato del Concilio? È stato recepito nel modo giusto? E in ciò, cosa è stato buono e cosa sbagliato? Cosa resta da fare? Quindi, citava san Basilio a sostegno della percezione che si sia falsata per eccesso o per difetto la retta dottrina della fede. Perché è avvenuto questo? Il Concilio non è stato interpretato in modo univoco e si è sdoppiato in modo contrastante, causando per un verso confusione – quella più visibile – e per l'altro una promettente rinascita spirituale. 
La «ermeneutica della discontinuità e della rottura» si è avvalsa della simpatia dei mass-media e di parte della teologia moderna – questo è oggi evidente –; l'«ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato» - la frase-chiave del discorso - è invece guardata con sospetto ed emarginata.  È certezza di fede che la Chiesa non cambia, cresce nel tempo, si sviluppa, rimanendo sempre lo stesso popolo in cammino. Tutti conoscono san Vincenzo di Lerins: quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditur, id est catholicum. Ma oggi si sostiene che la Chiesa cambia e deve cambiare: chi dice questo, propone un’eresia, in quanto la Chiesa è donata, scende dall'alto, è definita da Dio, per essere segno e strumento di salvezza del mondo. Gli uomini che le appartengono devono sempre convertirsi, ma essa è senza macchia né ruga, splendente di bellezza.
Dal post-Concilio, è proprio l'idea di Chiesa il perno della crisi cattolica: si tende a scinderla dal popolo di Dio, da cui pure è costituita; a sostituirla con altri enti mondani, allorché si devono affrontare i problemi della giustizia e della pace; attraverso il malinteso dialogo inter-religioso, la si vuol far diventare una Onu delle religioni, non un vessillo elevato tra le nazioni. Eppure la Chiesa è il corpo di Cristo, fondata su dodici uomini, chiamati a sé dal mondo per poi inviarli ad esso quale luce e sale, non certo per confondersi con esso: «Non abbiamo bisogno di una Chiesa che si muova col mondo», diceva Chesterton. «Abbiamo bisogno di una Chiesa che muova il mondo».
Nel discorso in oggetto, papa Benedetto, addita un paradosso: siamo arrivati a teorizzare – e praticare - la rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. In tal modo è stata fraintesa «in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo, esso viene considerato come una specie di costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituente deve servire. I padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno del resto poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso». Dunque, la discontinuità va contro la fedeltà dinamica che caratterizza la Tradizione.
Il Concilio Vaticano II, si noti, ideato e fatto da una Chiesa “pre-conciliare”, finirebbe per indurre la Chiesa odierna a non riconoscersi in continuità con quella; il Concilio costituirebbe lo spartiacque, come se la Chiesa nascesse ora. Finalmente si attua l'idea di Gioacchino da Fiore? Ne ha di sostenitori: una nuova Chiesa che propugna il primato del cosiddetto spirito del Concilio sulla lettera dei documenti, il Concilio dei media su quello dei padri. Lo dicono, forse, per superare l'imbarazzo: perché, leggendo i testi conciliari, molte delle estrosità che hanno trovato spazio nel post-Concilio, non si trovano. 
 Invece, nel discorso alla Curia, Benedetto attribuisce a Giovanni XXIII e Paolo VI, l'interpretazione del Concilio come riforma nella continuità dell'unico soggetto Chiesa perché – come afferma monsignor Agostino Marchetto nella sua storia del Concilio -, affermarono nelle allocuzioni di apertura e di chiusura, che la Chiesa: «vuole trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamento»; e che il rispetto fedele e l'approfondimento della dottrina «certa e immutabile» non deve ignorare le esigenze contemporanee, ma senza travisarne il senso e la portata. Questa operazione però, non è intellettualistica o guidata da pruriti innovatori, ma dalla comprensione della verità e dal rapporto con la fede vissuta. 
Nel discorso, papa Benedetto accenna pure all'altra questione: il rapporto tra la Chiesa e la sua fede, da una parte, e l'uomo ed il mondo di oggi - ovvero l'età moderna -, dall'altra, per il quale la discontinuità potrebbe sembrare convincente, se non fosse che l'età moderna ha cercato di eliminare Dio dall'orizzonte dell'uomo. Tuttavia, talune evoluzioni positive successive alla fase di contrapposizione tra Chiesa ed età moderna - come un tipo di Stato moderno, laico ma non neutro riguardo ai valori - avevano portato, in specie dopo la Seconda guerra mondiale, a reciproche aperture; per non parlare dell'apporto della dottrina sociale cattolica e dell'apertura delle scienze naturali a Dio. Pertanto, tre domande erano come dinanzi al Concilio e attendevano risposta: la relazione fra fede e scienze moderne, il rapporto tra Chiesa e Stato moderno, in specie quanto al comportamento verso le religioni; il problema della tolleranza religiosa, che portava a ridefinire il rapporto tra fede cristiana e religioni del mondo, e al suo interno quello tra Chiesa e fede di Israele. 
La discontinuità, comprensibile se applicata a situazioni mutevoli, non poteva assurgere a pretesa duratura, al punto da interrompere la continuità del soggetto Chiesa: «Così, ad esempio», continua Benedetto, «se la libertà di religione viene considerata come espressione dell'incapacità dell'uomo di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l'uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza. Una cosa completamente diversa è invece considerare la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall'esterno, ma deve essere fatta propria dall'uomo solo mediante il processo del convincimento». 
È un esempio di quanto non è stato o non si è voluto recepire della Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, mentre la Chiesa – sostiene Benedetto XVI - «in questa apparente discontinuità ha mantenuto e approfondito la sua intima natura e la sua vera identità». Questa, del resto, non può essere messa in contrasto con la missione di annunciare a tutti i popoli il vangelo, perché andrebbe contro la libertà della fede. Il dono della verità di Gesù Cristo è per tutti, senza distruggere identità e culture. Dunque: «La Chiesa è, tanto prima quanto dopo il concilio, la stessa Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi».
Benedetto non nasconde che “l'apertura verso il mondo” non ha trasformato tutto in pura armonia – per taluni, mettendo fine anche al sacro – sottovalutando le tensioni e le contraddizioni, come pure la fragilità dell'umana natura che costituisce la minaccia permanente per il cammino dell'uomo. Non c'è ancora tanta parte di mondo che si sottrae al Vangelo e che, invece, ha bisogno di essere raggiunto da esso? Ai nostri giorni, poi, i pericoli sono aumentati, in specie a motivo del potere della tecnica, divenuta quasi un nuovo idolo. E allora, la Chiesa si dovrebbe dissolvere nelle religioni del mondo, vecchie e nuove? Non si dovrebbe più predicare la conversione e il perdono dei peccati? Si è giunti a postulare per gli ebrei – trascurando che la gran parte di loro non è credente – una via parallela di salvezza, quasi che Cristo non sia più l'unico Salvatore. 
Si dimentica che, anche nel nostro tempo, la Chiesa resta “un segno di contraddizione” – ricorda Benedetto XVI, riandando al titolo degli esercizi spirituali predicati dal cardinale Wojtyla in Vaticano nel '76 – per tutti gli uomini indistintamente: «Non poteva essere intenzione del Concilio abolire questa contraddizione del Vangelo nei confronti dei pericoli e degli errori dell'uomo». In conclusione, papa Benedetto è convinto che «il passo fatto dal Concilio verso l'età moderna, che in modo assai impreciso è stato presentato come “apertura verso il mondo”, appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto tra fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme».
Joseph Ratzinger ha operato, da teologo e da Papa, in modo analogo al modo in cui Tommaso d'Aquino seppe mettere «la fede in una relazione positiva con la forma di ragione dominante nel suo tempo». Non a caso nella famosa lezione di Regensburg (Ratisbona), imposterà il confronto con l'islam in rapporto alla ragione, cosa che interpella anche gli ortodossi e i protestanti.  Il rinnovamento della Chiesa - semper reformanda – deve essere guidato da questa giusta interpretazione, vincendo due debolezze: l'astuzia intellettuale, che impedisce il discernimento, e la viltà del cuore, che impedisce di scegliere amici e nemici; altrimenti la Chiesa si condanna all'insignificanza, che è più grave della falsità, perché quest'ultima, provoca il pensiero, costringe a prendere posizione, mentre la prima distrugge la Chiesa nella disaffezione.
Senonché da taluni cattolici, si sostiene questa tesi: finché i valori naturali sono stati patrimonio del sentire comune della maggioranza,  l'insistenza della Chiesa su di essi poteva avere una sua ragionevolezza, ma nel momento in cui questo è venuto meno, la Chiesa corre il rischio di ritagliarsi il ruolo di colei che condanna le tendenze contro natura; pertanto, bisognerebbe cambiare paradigma: saper leggere la vita degli uomini di oggi (con le contraddizioni e le cose buone) e proporre l'unica cosa interessante: il Vangelo.  Ma la Chiesa cosa ha fatto finora? E in che modo? San Luigi Maria Grignion de Montfort ricorda che essa ha unito la carità più compassionevole e l’intransigenza dottrinale più ferma, nell’ardore di un medesimo amore, che è lo zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. La Chiesa sa di non poter fare il bene senza combattere il male, di non poter evangelizzare senza lottare contro l’eresia. 
Misericordia e dottrina – per dottrina s'intende la Rivelazione -  non possono sussistere che unendosi: separate l’una dall’altra muoiono e non lasciano più che due cadaveri: il liberalismo umanitario con la sua falsa serenità e il fanatismo con il suo falso zelo. È stato detto che la Chiesa è intransigente per principio, perché crede; è tollerante nella pratica, perché ama. Invece, i nemici della Chiesa sono tolleranti per principio, perché non credono, e intransigenti nella pratica, perché non amano.

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