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sabato 19 dicembre 2015

Un bergogliano puro

Appropriazione indebita, dopo il parroco indagato il vescovo. Il "censore" Mogavero ora si difende

Chissà se Papa Francesco saprà essere "misericordioso" anche con lui? 
Monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, ex sottosegretario della Conferenza Episcopale Italiana e commissario Cei per le migrazioni, esponente dell'ala più è indagato dalla Procura di Marsala con l'accusa di appropriazione indebita. Secondo gli inquirenti che lo hanno già interrogato, si sarebbe appropriato di 180mila euro della Curia, soldi che avrebbe fatto transitare sul proprio conto corrente attraverso bonifici e assegni tratti dai conti intestati alla Diocesi di Mazara. Con lui è indagato anche l'ex economo della diocesi, don Franco Caruso, cui si contestano i reati di appropriazione indebita e malversazione.
progressista dei vescovi italiani
Accuse ovviamente tutte da dimostrare anche perché va detto che il vescovo non rinnovò proprio don Caruso nell'incarico di economo generale dopo aver accertato  che la Curia, fino al 2008 con i conti in attivo, sotto la sua gestione aveva accumulato debiti per 5 milioni e mezzo di euro.
" I fatti sui quali monsignor Domenico Mogavero è stato chiamato a rispondere sono risalenti agli anni 2010-2011 e attengono ad anomalie nella gestione dell'economato della Curia rilevate e denunciate alla Procura dallo stesso vescovo lo scorso anno", spiega l'avvocato Stefano Pellegrino, legale del prelato. In pratica Mogavero sarebbe finito sotto inchiesta dopo aver lui stesso presentato un esposto alla Procura chiedendo di verificare presunte irregolarità commesse nella gestione della Diocesi. Per questo è necessario lasciar lavorare la magistratura e soprattutto evitare che si facciano processi mediatici o si anticipino sentenze di condanna tutt'altro che scontate. 
"Al primo sospetto di irregolarità gestionale del servizio economato della Diocesi, Mogavero provvide ad incaricare due consulenti fiduciari per verificare la corretta applicazione della normativa canonistica e concordataria nella gestione della Diocesi, nonché accertare la regolarità della redazione dei rendiconti e dei finanziamenti della Cei - ha spiegato l'avvocato - Poiché dalle citate relazioni si evidenziarono condotte che avrebbero potuto integrare estremi di reato, il vescovo ritenne opportuno trasmettere alla Procura della Repubblica la consulenza dei dottori Roberto Ciaccio e Gianfranco Sciamone, manifestando la propria volontà querelatoria e chiedendo, al contempo, di essere sentito dal Procuratore della Repubblica". 
Incredibilmente poi Mogavero è lo stesso prelato che Benedetto XVI inviò a Trapani per verificare la condotta dell'ex vescovo Francesco Miccichè accusato di aver dissipato le finanze della Curia in operazioni poco trasparenti. Mogavero svolse un'accurata indagine contabile e alla fine consegnò al Papa una dettagliata relazione che in pratica non lasciava scampo al collega in quanto a responsabilità dirette negli ammanchi della diocesi trapanese. 
Dicevamo di Francesco. E' innegabile che le accuse mosse a Mogavero sono tutte da dimostrare, ma va detto che Bergoglio non si è mai limitato ad attendere i pronunciamenti giudiziari prima di adottare provvedimenti nei confronti di vescovi sotto inchiesta. Anzi, il giudizio di Francesco è arrivato molto prima di quello della Giustizia perché, a detta del Papa, un pastore deve essere al di sopra di ogni sospetto. E qui in questa vicenda i sospetti non mancano. 
Ma Mogavero è anche uno dei prelati italiani più vicini al nuovo corso bergogliano, anzi sotto certi punti di vista è anche oltre, avendo manifestato pubblicamente la necessità di riammettere i divorziarti risposati all'Eucaristia e di accogliere le coppie gay nella Chiesa senza escludere la possibilità di studiare e attuare forme canoniche di riconoscimento. Un bergogliano puro, per altro in prima linea sul tema dell'accoglienza ai rifugiati. E allora ci sarà quella "misericordia" negata ad altri vescovi che si sono visti commissariati e rimossi al primo sospetto?
18 dicembre 2015, Americo Mascarucci
http://www.intelligonews.it/articoli/18-dicembre-2015/34767/appropriazione-indebita-dopo-il-parroco-indagato-il-vescovo-il-censore-mogavero-ora-si-difende

Da moralizzatore a moralizzato, la parabola di monsignor Mogavero

Il vescovo di Mazara, uno dei prelati italiani più presenti sulla scena mediatica, nonché uno degli esponenti di punta dell’episcopato progressista, e quel buco nei conti della diocesi.
di Salvo Toscano | 19 Dicembre 2015

Monsignor Mogavero
Palermo. La notizia è arrivata l’altroieri a tarda sera. Turbando gli ambienti ecclesiastici, siciliani e non. Il vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero, uno dei prelati italiani più presenti sulla scena mediatica, nonché uno degli esponenti di punta dell’episcopato progressista, è indagato dalla procura di Marsala per appropriazione indebita. A Mogavero si contesta di essersi appropriato di circa 180 mila euro, con accredito di somme sul proprio conto corrente e di assegni tratti in proprio favore dai conti correnti intestati alla diocesi di Mazara, i cui conti presenterebbero più di un punto oscuro. La chiesa siciliana si trova di nuovo a fare i conti con vicende giudiziarie che girano attorno al denaro, come quella che travolse anni fa la vicina diocesi di Trapani, all’epoca retta dal vescovo Francesco Miccichè. Ironia della sorte, allora, per far luce sulla vicenda, il Vaticano spedì a Trapani proprio monsignor Mogavero come visitatore apostolico per indagare su un buco da un milione di euro. Indagini che si chiusero con un dossier che indusse il Vaticano, regnante Benedetto XVI, a rimuovere Miccichè, che a quel punto denunciò il “collega” Mogavero per diffamazione e violazione del segreto istruttorio.

ARTICOLI CORRELATI L’assoluzione di Penati, lezione per i moralisti e i professionisti della cultura del sospetto Oltre Libera. Che cosa c’è dietro la grande disfatta dell’iconografia antimafiaDa accusatore monsignor Mogavero ora finisce tra gli accusati. O più correttamente tra gli indagati. Anche se il suo legale ha subito spiegato che le indagini “attengono ad anomalie nella gestione dell’economato della curia rilevate e denunciate alla Procura dallo stesso Vescovo lo scorso anno”. E lo stesso difensore, dopo aver ricordato come fu proprio Mogavero a sollevare i responsabili dell’economato della diocesi dopo una verifica sul loro operato, ha smentito la circostanza dei soldi che sarebbero transitati sul conto corrente del prelato, parlando di “sviste degli inquirenti”: la somma incriminata sarebbe andata a un fornitore e non al vescovo. “Attraverso l’iban tale accertamento lo avrebbe potuto fare anche un ragazzino di terza media”, ha detto a Tv2000 l’avvocato Stefano Pellegrino, sostenendo insomma che ci si trovi di fronte a un clamoroso “errore di redazione della scrittura contabile effettuata da altri”. I soldi infatti sarebbero stati regolarmente accreditati al conto corrente dell’artista che ha realizzato delle opere nella chiesa di Pantelleria. E questo secondo i legali del prelato “è risultato provato, accertato e documentato”.

Resta, però, in attesa che l’inchiesta appuri definitivamente come sono andate le cose, la scomoda posizione di indagato.

Scrivono i legali del vescovo: “Può capitare che per fare emergere tutta la verità e fare pulizia, si debba assumere, anche se temporaneamente, per esigenze di copione processuale, la veste di indagato”. Veste spesso sufficiente per il partito dei moralisti a rappresentare una sorta di lettera scarlatta. Anche se destinata, magari, a sfumare nel nulla. E non c’è moralizzatore che non rischi di finire moralizzato. Lo sperimenta a sue spese il vescovo icona del cattolicesimo progressista – note le sue prese di posizione in favore delle unioni civili degli omosessuali, il suo possibilismo sulla riforma del celibato dei sacerdoti e le sue accorate battaglie a difesa dei migranti – lo stesso che tiene una rubrica sul Fatto quotidiano, su pagine assai care al suddetto partito del moralismo moralizzatore. Quello che pretende dimissioni anche per gli avvisi di garanzia. Dimissioni che il monsignore, con trascorsi ai piani altissimi della Cei, auspicò per Silvio Berlusconi ai tempi del Rubygate e non chiese ma considerò possibili per Dino Boffo “non certo per ammissione di colpa, ma per il bene della chiesa e del giornale”, quando l’allora direttore di Avvenire si trovò al centro della nota tempesta mediatica. Quella che nell’Italia affamata di scandali può inghiottire pure i moralizzatori. Magari anche solo per un iban sbagliato.

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