ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 24 gennaio 2016

Il doppio avvitamento logico

Antisemitismo e Antisionismo: una volta per tutte

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Antisemitismo o antisionismo? Il 17 gennaio scorso c’è stata la visita di Papa Francesco alla sinagoga di Roma. È stata la terza volta di un papa cattolico nel luogo di culto ebraico. Pur essendo un incontro pensato e preparato ai fini di un redditizio dialogo interreligioso, non si è persa l’occasione, data la visibilità mondiale fornita dall’evento, di provare a farne un uso politico.

Nello specifico se ne è fatta carico Ruth Dureghello, la presidente della Comunità Ebraica Romana, una dei tre relatori che hanno parlato al cospetto di Bergoglio. Nel suo discorso la donna si è prodotta in quello che può essere considerato ormai un classico del repertorio della classe dirigente ebraica: il doppio avvitamento logico.

Funziona così:

  1. nel primo avvitamento si accostano le azioni di resistenza violenta dei palestinesi a quelle del terrorismo islamico in generale (quindici anni fa l’assimilazione fu con Al Qaeda, oggi con l’Isis);

  2. nel secondo si accosta “antisionismo” ad “antisemitismo”, dicendo che si tratta della stessa cosa, così da aver gioco facile nell’accusare di razzismo chiunque critichi qualche aspetto di Israele.

E allora, ha spiegato la Dureghello: «Molti si chiedono se il terrorismo islamico colpirà mai Roma. Signori, Roma è già stata colpita. Un solo nome: Stefano Gaj Taché, due anni, 9 ottobre 1982, ucciso da un commando di terroristi palestinesi». E ancora: «Tutti noi dobbiamo dire al terrorismo di fermarsi. Non solo al terrorismo di Madrid, di Londra, di Bruxelles e di Parigi, ma anche a quello che colpisce ormai tutti i giorni Israele. Il terrorismo non ha mai giustificazione». Infine: «Riaffermo con forza che l’antisionismo è la forma più moderna di antisemitismo».

Quelli in campo sono concetti abbastanza lineari e i distinguo di cui stiamo per trattare, per la maggior parte delle persone, sono assodati. Tuttavia, vista l’interessata superficialità di certa intellighenzia ebraica, ci tocca star qui a ribadirli.

  1. Gli atti violenti dei militanti dell’Isis sono mirati a un’applicazione radicale dei precetti del Corano e all’instaurazione di un Califfato con cui sottomettere il mondo intero; gli atti violenti dei palestinesi sono mirati a un rigetto dell’occupazione militare israeliana e alla fine della colonizzazione illegale del suolo dello Stato di Palestina. Nei territori palestinesi al momento l’Isis non esiste. Quelle persone vogliono solo ciò che l’Onu ha sancito che spettasse loro. Ecco che le azioni violente dello Stato Islamico non hanno giustificazione alcuna perché puntano alla sottomissione, quelle dei palestinesi possono averlo perché puntano alla liberazione. Ci si può trovare ad esempio la stessa giustificazione che avevano gli atti terroristici dei nostri partigiani, i quali festeggiamo ogni 25 aprile. Nonché quelli dell’Organizzazione Combattente Ebraica attiva nel ghetto di Varsavia, alla cui memoria è dedicata tutta una sezione dello Yad Vashem (Museo dell’Olocausto di Gerusalemme, ndr).

  2. “Semita” è una parola che, pur connotando in origine un ceppo linguistico (anche gli arabi sono semiti), ha finito per indicare persone di fede e di stirpe ebraica. Essere “antisemiti” allora, per chiunque sano di mente, non può avere senso. Perché vuol dire essere contro qualcuno, non per una sua colpa, ma solo per il fatto di essere nato in una certa maniera. “Sionista” invece è un termine che indica un progetto politico. Il Sionismo, teorizzato a fine ‘800 da Theodor Herzl, mirava all’istituzione di uno Stato ebraico. Interpretando in maniera radicale quest’idea (come fanno i partiti adesso al governo), i sionisti di oggi vorrebbero che lo Stato d’Israele avesse una conclamata connotazione razziale, e che i territori amministrati legittimamente dai palestinesi diventassero anch’essi Israele. Gli “antisionisti” sono quelli che si oppongono a queste idee, e non si capisce dove sia lo scandalo nel farlo. Si può essere tranquillamente ebrei senza essere sionisti, e ce ne sono tanti, come si può essere cattolici ed essere contro le crociate. Non c’è contraddizione perché si tratta di due ambiti diversi.

Fin qui ho provato a spiegarlo a parole mie, tuttavia capisco che possano non bastare o risultare poco autorevoli. Si potrebbe provare allora con quelle di qualche giornalista ebreo, Amira Hass, Gideon Levy o, per restare in Italia, Gad Lerner: «Quando i coloni che occupano illegalmente terre palestinesi vengono esaltati come gli eredi legittimi dei pionieri dei kibbutz del secolo scorso […] allora è l’intera destra israeliana, ormai saldamente egemone nel paese, che deve guardarsi allo specchio».

Oppure potrebbero aiutare le parole di un altro ebro italiano, Moni Ovadia, attore, scrittore, intellettuale: «La critica da parte di un ebreo della diaspora alla politica di governi israeliani può essere considerata tradimento, antisemitismo od odio verso se stessi solo se collocata nel quadro di un’identificazione nazionalista di ebreo, israeliano, popolo ebraico, popolo d’Israele, Stato d’Israele, suo governo e “terra promessa”. Ma se qualcuno osa fare notare, da posizioni critiche, tale pericolosa identificazione, ecco arrivare addosso all’incauto le accuse infamanti di antisemita o antisionista, che, per molti “amici di Israele” – anche persone d’indiscutibile livello culturale –, sono la stessa cosa».

Se ancora non è chiaro, bisogna ricorrere alle parole di Primo Levi. Scrittore, ebreo, scampato ai campi di sterminio, negli anni ’80 disse: «Quello che non perdono ai nazisti è di averci fatto diventare come loro».

Se non ci si fida di scrittori e giornalisti, si dovrebbe ascoltare gli storici: Ilan Pappé, ebreo: «L’antisionismo non ha nulla che vedere con l’antisemitismo, ma con l’anticolonialismo. […] E se gli intellettuali non vogliono utilizzare i termini giusti per descrivere la realtà, non possiamo stupirci che non lo facciano i media e neppure i politici».

Se ancora non è sufficiente, ci tocca scomodare i giganti. Da un lato, Nelson Mandela, per il quale «sappiamo troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza quella dei palestinesi» e «la Palestina è la questione morale del nostro tempo»; dall’altro, Albert Einstein e Hannah Arendt, scienziato e filosofa, entrambi ebrei.

Nel 1948, in occasione di un viaggio negli USA di Begin, il fondatore della formazione politica sionista “Partito della Libertà”, sottoscrissero una lettera in cui si leggeva: «Fra i fenomeni più preoccupanti dei nostri tempi emerge quello relativo alla fondazione, nel nuovo Stato di Israele, del Partito della Libertà (Tnuat Haherut), un partito politico che nella organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti Nazista e Fascista. […] L’odierna visita di Menachem Begin, capo del partito, negli USA è stata fatta con il calcolo di dare l’impressione che l’America sostenga il partito nelle prossime elezioni israeliane, e per cementare i legami politici con elementi sionisti conservativi americani».

Così dovrebbe essere chiaro.


Antisemitismo e Antisionismo: una volta per tutte

http://www.odysseo.it/antisemitismo-e-antisionismo-una-volta-per-tutte/
Il Papa in Sinagoga - di Andrea Cavalleri
Medici Alberto | 23-01-2016 
 
PAROLE, PAROLE, PAROLE…(il Papa in sinagoga)  (Andrea Cavalleri)

Personalmente sono sempre più stanco di constatare che la comunicazione mediatica viaggia sui binari di slogan che spesso vogliono dire il contrario di quanto significano: per intendere bianco dico nero, e il pubblico acriticamente ripete nero intendendo bianco.
Un esempio clamoroso proviene dall’esternazione di Ruth Dureghello, Presidente della Comunità ebraica di Roma, durante la visita di Papa Francesco.
Riprendendo una precedente frase di Bergoglio (“attaccare gli ebrei è antisemitismo, ma anche un attacco deliberato a Israele è antisemitismo”)
la Dureghello ha esteso il concetto fino all’estremo limite: “riaffermo con forza che l’antisionismo è la forma più moderna di antisemitismo”.
Ora se con pazienza si riesce a districarsi dalle confusioni e dalle ambiguità di queste frasi, il grido della Dureghello appare come l’auto accusa più spietata che la comunità ebraica potesse fare a se stessa. Proviamo a decifrare il testo e a commentarlo.
Innanzitutto si parla di “attaccare” (gli ebrei o Israele), cosa si intende per attaccare, attacco armato o più semplicemente critica intellettuale? Dalle reazioni costantemente esagitate delle comunità ebraiche risulta chiaro che qualunque appunto, discussione o commento negativo alla cultura ebraica o allo Stato di Israele sono bollati come “antisemiti”. In queste frasi dunque emerge la pretesa, prepotente e inaudita per qualunque altra nazione, di poter esercitare una censura totale sulle opinioni altrui. Anzi Israele rivendica il diritto a essere servito riverito e amato (come il “grande fratello” orwelliano) a prescindere dalle proprie azioni: le opinioni sono legittime solo se esprimono adorazione per il popolo eletto, che arriva a farsi idolo di se stesso; non so perché ma mi risuona sinistramente una frase di san Paolo dalla seconda lettera ai Tessalonicesi a riguardo del’ “uomo di iniquità”: colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio (2Tess 2,4).
Punto centrale della questione è però il termine antisemitismo.
Alla lettera, il termine designa una discriminazione e avversione su base razziale biologica perpetrata ai danni dei popoli semiti. E’ evidente che l’uso minaccioso e terrificante di questo termine si richiama al programma razzista ed eugenetico del terzo Reich, che negli ultimi settant’anni è stato sufficientemente biasimato così da non dover spendere a riguardo altre parole.
La comunità ebraica usa però questa parola in modo del tutto improprio, falso e aggressivo. Esaminiamone i diversi aspetti.
FALSITA’.
  • La grande maggioranza degli ebrei NON sono semiti, sono alti, biondi o rossi di capelli con occhi azzurri e verdi, insomma sono di pura razza ariana. Il motivo dipende dalla conversione all’ebraismo del re Bulan di Khazaria, che impose tale religione a tutte le popolazioni dei suoi domini (caucasici) verso la metà dell’ottavo secolo. Pertanto la grande maggioranza degli ebrei di oggi non discendono da Abramo e, in un certo senso, non sono neppure ebrei. Quindi il termine antisemita non può significare antiebraico, semmai designa in modo proprio l’atteggiamento anti palestinese.
Il più grande esperto dell’argomento è il professore di storia (ex-ebreo e israeliano) Shlomo Sand dell’università di Tel Aviv. Dopo aver pubblicato nel 2009 “L’invenzione del popolo ebraico” è uscito in libreria nel 2013 con un altro titolo molto forte: “Come e quando ho smesso di essere ebreo” [1], un testo che contiene molteplici argomenti che polverizzano l’equazione della Dureghello e che riassetta correttamente il nodo focale della discussione, spostandolo dal fasullo piano razziale a quelli della religione e della cultura.
  • Ovviamente è falso che chi critica Israele o l’ebraismo lo faccia per motivi razziali, il termine, attribuito a giornalisti, scrittori e intellettuali, risulta dunque del tutto menzognero.
  • La falsità più grave consiste però nell’attribuire agli altri dei difetti squisitamente ebraici. Perché essi parlano sempre di antisemitismo e non di razzismo? Perché, secondo l’uso distorto del termine, antisemita è un atteggiamento ingiustamente discriminatorio rivolto solo contro gli ebrei, mentre razzismo è termine che comprende tutte le ingiustizie razziali, magari anche quelle commesse dagli ebrei. Ma gli ebrei possono essere razzisti?
Secondo l’insegnamento di Ovadia Yussif, già rabbino capo di Israele, i gentili sarebbero stati creati da Dio solo per servire gli ebrei e, in un discorso trasmesso anche dalla radio israeliana (nel 2009, non nel medioevo!), aggiunge che non vi è ragione di ucciderli o perseguitarli, dato che essendo una proprietà ebraica, l’ebreo danneggerebbe i suoi stessi possessi. Insomma i non ebrei sarebbero animali parlanti di proprietà degli ebrei, da trattare giusto con quel riguardo che non produca una perdita economica.
Sarà mai razzismo questo? E, al di là delle parole, per caso Israele adotta qualche politica razzista?
Non c’è lo spazio qui per una disamina, riporto solo alcune frasi: “Parlare di pace resta un miracolo, se Israele continua ad occupare i territori arabi” dato che Israele antepone a tutto la difesa dei suoi ristretti e sciovinisti interessi”. Così Nelson Mandela, uno che di razzismo se ne intende.
Ancora più chiare le cose se ascoltate dai diretti interessati. Queste le parole: “Devono morire e le loro case devono essere demolite in modo che non possano portare alla luce altri terroristi. Loro sono tutti nostri nemici e il loro sangue deve essere versato sulle nostre mani. Ciò vale anche per le madri dei terroristi morti”.  A pronunciarle è stata Ayelet Shaked , parlamentare israeliana, i “loro” a cui si riferiscono sarebbero i palestinesi.
Come premio di questi buoni propositi il premier Netanyahu l’ha voluta come ministro della giustizia nel suo ultimo governo.
  • Ultima -falsa- implicazione che il termine “antisemita” reca con sé, è che qualunque avversione (e secondo la Dureghello qualunque critica) possa essere esternata nei confronti dell’ebraismo e di Israele, questa nasca da un odio irrazionale. Risponde l’intellettuale Bernarde Lazare col suo libro del 1884 “L’antisemitismo e le sue cause” in cui espone un semplicissimo ragionamento: dato che l’ebraismo ha suscitato avversione presso qualunque popolo e in qualunque epoca storica, le cause di questa avversione non possono essere esterne, accomunando così culture e popoli irriducibilmente diversi, ma devono ricercarsi all’interno dello stesso Israele.
AGGRESSIVITA
  • Chiamare antisemita chiunque non sia d’accordo con loro è un insulto spropositato tramite cui i sionisti accusano di razzismo, odio e irrazionalità chiunque osi muovere loro una minima critica. Nei punti precedenti ho avuto cura di citare quasi solo autori ebraici, dato che qualunque altra fonte sarebbe stata giudicata…antisemita!
  • Tramite queste accuse i sionisti compiono autentiche estorsioni di denaro a destra e a manca. Anche qui i migliori documentatori sono due autori ebraici: il professore universitario americano Norman Finkelstein, col suo testo fondamentale “L’industria dell’olocausto” e Yoav Shamir, regista di Tel Aviv col suo fil documentario “Defamation” [2], dedicato espressamente alla forzatura dell’antisemitismo.
Dopo queste lunghe premesse, possiamo finalmente tornare alla frase della leader della comunità ebraica romana. Essa, stigmatizzando ogni critica all’ebraismo, allo Stato di Israele e al movimento sionista, li dichiara equivalenti. Ogni ebreo deve essere israeliano (e infatti sono automaticamente dotati di passaporto di quel Paese) e anche sionista, cioè lavorare per gli interessi di Israele.
Allora chiediamo alla Dureghello: “Cosa ci stai a fare in Italia?”. La sua equazione rivela che ogni comunità ebraica sarà sempre un enclave che non si integra e non lavorerà mai per gli interessi degli italiani, ma solo per quelli israeliani.
Ci chiediamo cosa succederebbe a parti invertite, cioè se una comunità italiana risiedesse in Israele, con doppio passaporto, dichiarando di lavorare solo per gli interessi italiani: ho come il sospetto che verrebbe subito etichettata come… antisemita! Del resto qualcosa ne sanno i frati che custodiscono i luoghi santi,che vengono presi a pugni e a sputi in faccia dai fondamentalisti ebraici e a cui, gli stessi fondamentalisti ebraici, imbrattano i muri, vanno a pisciare sulle pareti delle chiese…
Ma in prospettiva storica la dichiarazione della Dureghello assume una valenza molto più forte, giustificando pienamente la politica degli Stati cristiani dal medioevo fino alla rivoluzione francese: allora gli ebrei erano considerati ospiti privi di cittadinanza e di tutti quei diritti che dalla cittadinanza discendono, come di poter lavorare per lo Stato e avere una rappresentanza politica. La tanto (ingiustamente) biasimata espulsione degli ebrei, dalla Spagna di Isabella la “cattolicissima”, risponde perfettamente alla logica che gli ebrei non volessero mai essere spagnoli, ma solo israeliani e sionisti: eccoli accontentati!
Infine una nota religiosa, che ci si aspetterebbe dovesse essere il tema centrale di un incontro tra il Papa e gli ebrei e che invece è rimasto tristemente in secondo piano.
La Dureghello ha parlato di storia, di politica, di guerra e potere, ma non ha parlato di Dio. Allora pongo l’ultima domanda: visto che Dio non è così importante, ma è Israele ad essere significativo, importante ed eccezionale, rispetto al resto del mondo; ma da dove gli deriva questa eccezionalità?
Siamo il popolo eletto” è la frase sempre sulla bocca degli ebrei (che al 90% sono atei), ma eletto da chi? Dai toni del suo discorso forse riesco a intuire cosa ne pensa la Dureghello: gli ebrei per caso sarebbero il popolo eletto… da se stesso?
-oOo-
[1] Lettura stimolante e istruttiva che servirebbe a calmare le furie dei fondamentalisti ebrei e anche quelle degli integralisti pro Israele, cristiani o laicisti che siano.
[2] Il filmato sottotitolato in italiano si può vedere qui: 
http://www.stampalibera.com/?a=31231

SI PUO' MORIRE MACELLATI PER STRADA A 13 E 15 ANNI? I CRIMINI D'ISRAELE CONTRO I BAMBINI

SI PUO' MORIRE MACELLATI PER STRADA A 13 E 15 ANNI? I CRIMINI D'ISRAELE CONTRO I BAMBINI



di Paola di Lullo
No, non è accettabile. Non si può morire a 13 o a 15 anni. Noi, figli della cosiddetta società civile, riusciamo con grande fatica e dolore, a sopportare la morte, per incidente o per malattia, dei nostri figli adolescenti.
I ragazzini palestinesi muoiono in strada, crivellati di colpi, abbandonati alle loro sofferenze. Soli. Nessuno tiene loro la mano. Nessuno può avvicinarsi a soccorrerli. Un ufficiale israeliano decide che non è sufficiente aver "neutralizzato" chi riteneva una minaccia per la propria vita. La vendetta si compie con la morte per dissanguamento, per terra. Senza un volto familiare che li accompagni nel trapasso. L'ultimo volto che vedono è quello del loro carnefice.

E non muoiono in guerra, durante un bombardamento. Nemmeno a Gaza, dove non è mai stata guerra, ma massacro. Da condannare ugualmente, con forza, perché i bambini sono sempre le prime e più innocenti vittime di ogni guerra. Nei Territori Occupati non c'è guerra, c'è occupazione militare. Questi figli muoiono perché, a volte, decidono di reagire ad una vita di umiliazioni e sopraffazioni e, da soli, si avventurano con le loro armi giocattolo a sfidare l'esercito israeliano. Armi giocattolo, sì. Perché cos'altro può essere un coltello, assai spesso inesistente, tra l'altro, di fronte all'armamentario di cui son dotati tutti i militari israeliani? Cosa può essere un ordigno esplosivo, confezionato chissà come, nelle mani di un quindicenne?
Sabato è stata uccisa Ruqayya Eid Abu Eid, 13 anni, di Yatta, a sud di Al Khalil. Avrebbe cercato di accoltellare una guardia di sicurezza israeliana nell'insediamento illegale di Anatot. Ma nessun israeliano risulta ferito. Invece, la famiglia di Ruqayya ha perso una figlia con tutta la vita dinanzi a se. 

Intorno all'1,00 della stessa notte, è morto Mohammed Nabil Halabieh, 15 anni. Avrebbe tentato di lanciare un ordigno esplosivo in un accampamento israeliano ad Abu Dis, ad est di Gerusalemme. Secondo fonti israeliane, l'ordigno gli sarebbe esploso tra le mani. Secondo fonti palestinesi, il ragazzino sarebbe stato crivellato di colpi. Impedito l'accesso all'equipaggio della Mezzaluna Rossa Palestinese, cui è stato riconsegnato il corpo, a morte avvenuta, solo all'alba della mattina di domenica. Mohammed sarebbe stato sparato alla testa, all'addome, alle mani, ad una gamba. O forse no. Forse davvero l'ordigno gli è esploso tra le mani, ed i suoi resti erano coperti di bruciature e ferite esplosione. Ciò non ridimensiona la tragicità dell'accaduto. Cosa spinge un ragazzino di 15 anni a compiere un gesto così estremo, pericoloso per la sua stessa vita? Anche in questo caso, nessun israeliano risulta ferito.
Chissà cosa sognavano Ruqayya e Mohammed. Cosa avrebbero fatto da grandi? C'erano un ragazzino o una ragazzina a far battere i loro giovanissimi cuori? Cosa amavano fare? Com'era la loro vita? Quanti fratelli o sorelle avevano? I loro amici? I loro desideri? Cosa li faceva ridere, nonostante tutto? E le umiliazioni quotidiane? Quanto hanno pesato sulle loro scelte?
Certo, se colpevoli, avrebbero dovuto essere arrestati, processati, condannati. Ma tutto ciò avrebbe presupposto che fossero stati lasciati in vita.
Non è il tempo delle polemiche, però, questo. È il tempo del dolore. La Palestina ha perso altri due fiori, altri due angeli sono in cielo. 

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