ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 17 febbraio 2016

Chi cadrà dalle parallele?

Il Patriarca Cirillo col sombrero
Papa Francesco col sombrero

La protesta dei cattolici ucraini: "Il papa appoggia 

l'aggressione russa"


L'arcivescovo di Kiev dà voce all'amarezza dei suoi fedeli, per l'abbraccio tra Francesco e il patriarca di Mosca e le "mezze verità" del documento che hanno sottoscritto all'Avana


di Sandro Magister

ROMA, 17 febbraio 2016 – Nell'ultimo conclave in cui una potenza cattolica esercitò il suo diritto di veto, poco più di un secolo fa, il cardinale partito in testa fu messo fuori gioco perché filofrancese, a vantaggio di un candidato filoaustriaco, che fu eletto papa con il nome di Pio X.

Oggi l'accusa che cade su papa Francesco è di essere filorusso. E ne sarebbe ennesima prova la dichiarazione comune da lui sottoscritta con il patriarca Kirill di Mosca e di tutte le Russie, il 12 febbraio all'aeroporto dell'Avana:

> "Per volontà di Dio Padre…"

In effetti era ampiamente previsto che sia le modalità dell'incontro tra i due, sia il documento da loro firmato avrebbero provocato vivaci reazioni su più fronti, di natura principalmente politiche:

> Sull'abbraccio tra Francesco e Kirill c'è l'ombra di Putin

E così è stato. Con epicentro delle reazioni l'Ucraina e in particolare i suoi cinque milioni di greco-cattolici.

Ha detto il loro arcivescovo maggiore, Sviatoslav Shevchuk (nella foto):

"Molti hanno preso contatto con me e mi hanno detto che si sentono traditi dal Vaticano, delusi dalla natura di mezza verità di questo documento, che vedono come un appoggio indiretto della Sede Apostolica all'aggressione russa contro l'Ucraina".

L'arcivescovo di Kiev ha dato ragione di questi sentimenti dei suoi fedeli in un'ampia intervista pubblicata domenica 14 febbraio in ucraino e in inglese sul sito ufficiale della Chiesa greco-cattolica:

> "Two Parallel Worlds"

E non si è trovato solo, Shevchuk, nel criticare severamente la linea filorussa della Santa Sede e del papa. Perché gli ha dato esplicito sostegno anche il nunzio apostolico in Ucraina, l'arcivescovo Claudio Gugerotti:

> Il nunzio in Ucraina sul documento di Francesco e Kirill: "Da dimenticare"

Ecco qui di seguito, tradotta integralmente, la presa di posizione del capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, atteso in Vaticano per un confronto diretto con papa Francesco, dopo il ritorno di questi da Cuba e dal Messico.

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“Due mondi paralleli"

Intervista con Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk



L'incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill si è concluso con la firma di una dichiarazione congiunta, che ha suscitato reazioni contrastanti da parte dei cittadini e degli esponenti della Chiesa di Ucraina.

Sua Beatitudine Sviatoslav [Shevchuk], capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, ha condiviso con noi le sue impressioni sull'incontro in generale e sul documento in particolare.

D. – Beatitudine, la preghiamo di condividere con noi le sue impressioni sull'incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill. Che cosa può dire della dichiarazione comune che hanno firmato?

R. – Sulla base della nostra esperienza, maturata in molti anni, possiamo dire che quando il Vaticano e Mosca organizzano incontri o firmano testi congiunti, è difficile aspettarsi qualcosa di buono. In primo luogo vorrei dire qualcosa sull'incontro del Santo Padre con il patriarca Kirill, e poi commentare il testo della dichiarazione.

Si nota subito, soprattutto dai loro commenti dopo l'incontro, che le due parti si ponevano su due piani completamente diversi e perseguivano obiettivi diversi.

Sua Santità papa Francesco ha vissuto questo incontro soprattutto come un evento spirituale. Ha aperto il suo intervento osservando che noi, cattolici e ortodossi, condividiamo uno solo battesimo. Nell'incontro ha cercato la presenza dello Spirito Santo e ha ricevuto il suo sostegno. Ha sottolineato che l'unità delle Chiese può essere raggiunta quando camminiamo insieme sulla stessa strada.

Dal patriarca di Mosca si è intuito subito che non c'entravano lo Spirito, o la teologia, o le questioni religiose attuali. Niente preghiera comune, l'accento posto su espressioni solenni riguardanti "il destino del mondo", e l'aeroporto come un ambiente neutrale, cioè non ecclesiale. L'impressione era che stavano in due mondi paralleli. Queste due realtà parallele si sono incrociate nel corso di questo incontro? Non lo so, ma secondo le regole della matematica, due linee parallele non si intersecano.

Mi sono trovato a provare ammirazione autentica, rispetto, e un certo timore reverenziale per l'umiltà di papa Francesco, un vero "servo sofferente di Dio", che cerca una cosa sola: dare testimonianza al Vangelo di Cristo davanti all'umanità di oggi, essere nel mondo ma rimanere di Cristo, avere il coraggio di essere "non di questo mondo."

Così, vorrei invitare tutti a non precipitarsi a giudicarlo, a non fermarsi al livello di coloro che si aspettano solo effetti politici da questo incontro e vogliono a tutti i costi piegare un umile papa ai loro piani umani. Se non entriamo nella realtà spirituale del Santo Padre e non discerniamo assieme a lui l'azione dello Spirito Santo, resteremo in prigionia del principe di questo mondo e dei suoi seguaci. E così, per noi, questo diventerà un incontro che è capitato, ma non si è verificato davvero.

A proposito del testo della dichiarazione firmata congiuntamente, in generale è positivo. Solleva questioni che preoccupano sia i cattolici che gli ortodossi, e apre nuove prospettive per una cooperazione. Incoraggio tutti a cercare questi elementi positivi. Tuttavia, i punti che riguardano in generale l'Ucraina, e in particolare la Chiesa greco-cattolica ucraina, sollevano più domande che risposte.

È stato reso noto ufficialmente che questo documento è frutto dello sforzo congiunto del metropolita Hilarion (Alfeyev) dal lato ortodosso e del cardinale Koch con il pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani dal lato cattolico. Per un documento che era inteso come non teologico, ma essenzialmente socio-politico, è difficile immaginare una squadra più debole di quella che ha redatto questo testo.

Il citato pontificio consiglio è competente in campo teologico dei rapporti con le varie Chiese e comunità cristiane, ma non è esperto in materia di politica internazionale, in particolare in materie così delicate come l'aggressione della Russia in Ucraina. E così l'impronta voluta per il documento è andata al di là delle loro capacità.

Ciò è stato sfruttato dal dipartimento degli affari esteri della Chiesa ortodossa russa, che è in primo luogo lo strumento della diplomazia e della politica esterna del patriarcato di Mosca.

Vorrei far notare che, come capo di questa nostra Chiesa, io sono un membro ufficiale del pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, nominato già da papa Benedetto. Tuttavia, nessuno mi ha chiamato a esprimere i miei pensieri e quindi, in sostanza, come era già accaduto in passato, hanno parlato di noi senza di noi, senza darci una voce.

Forse il nunzio apostolico potrà aiutarmi a capire i "punti oscuri" in questo testo e a spiegarmi la posizione del Vaticano nei punti in cui, a nostro avviso, non è chiaramente formulata.

D. – Tuttavia, il paragrafo 25 della dichiarazione parla con rispetto dei greco-cattolici, e la Chiesa greco-cattolica ucraina è sostanzialmente riconosciuta come soggetto di relazioni interecclesiali tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse.

R. – Sì, lei ha ragione. Sembra che essi non contestino più il nostro diritto ad esistere. Ma in realtà, per esistere e agire non siamo obbligati a chiedere il permesso a nessuno.

Qui la novità enfatizzata è che la dichiarazione di Balamand del 1993, che il metropolita Alfeyev ha utilizzato finora per negare il nostro diritto ad esistere, viene ora utilizzata per affermarlo. Facendo leva sul rifiuto dell'"uniatismo" come metodo di unione tra le Chiese, Mosca ha sempre chiesto al Vaticano un divieto virtuale della nostra esistenza e la limitazione delle nostre attività. Inoltre, questo requisito era sempre stato posto come condizione, nella forma di un ultimatum, per la possibilità di un incontro tra il papa e il patriarca.

In passato, siamo stati accusati di "espansione sul territorio canonico del patriarcato di Mosca", mentre ora il nostro diritto di cura dei nostri fedeli, ovunque si trovino nel bisogno, è riconosciuto. Suppongo che questo valga anche per la Federazione russa, dove oggi non abbiamo alcuna possibilità di esistenza libera e legale, o sul territorio annesso della Crimea, dove veniamo "ri-registrati” in conformità con la legislazione russa e siamo di fatto annientati.

Questo cambiamento di accento è sicuramente positivo, anche se in sostanza nulla di nuovo è stato detto. Il riconoscimento che "ortodossi e greco-cattolici hanno bisogno di riconciliazione e di forme reciprocamente accettabili di convivenza" è incoraggiante. Abbiamo parlato di questo per lungo tempo, e sia il cardinale Myroslav Ivan Lubachivsky che Sua Beatitudine Lubomyr [Husar] hanno fatto spesso appello ai nostri fratelli ortodossi con simili parole, ma non arrivava nessuna risposta. Spero che saremo in grado di migliorare i rapporti bilaterali con la Chiesa ortodossa ucraina, muovendo in questa direzione senza interferenze da parte di Mosca.

D. – Quale commento farebbe lei a questa affermazione: "Invitiamo tutte le parti del conflitto alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione per costruire la pace. Invitiamo le nostre Chiese in Ucraina a lavorare per pervenire all’armonia sociale, ad astenersi dal partecipare allo scontro e a non sostenere un ulteriore sviluppo del conflitto”?

R. – In generale, vorrei dire che il paragrafo 26 della dichiarazione è il più discutibile. Si ha l'impressione che il patriarcato di Mosca rifiuti ostinatamente di ammettere che svolge una parte del conflitto, cioè che sostiene apertamente l'aggressione della Russia contro l'Ucraina e per di più benedice le azioni militari della Russia in Siria come una "guerra santa", oppure stia facendo appello prima di tutto alla propria coscienza, invitando se stesso alla stessa prudenza, solidarietà sociale e costruzione attiva della pace.

Non lo so! La stessa parola "conflitto" qui è oscura e sembra suggerire al lettore che abbiamo un "conflitto civile" piuttosto che un'aggressione esterna da uno Stato confinante. Oggi, è ampiamente riconosciuto che se dei soldati non fossero inviati dalla Russia sul suolo ucraino e non fossero fornite armi pesanti, e se la Chiesa ortodossa russa, invece di benedire l'idea del "Russkiy Mir", del "mondo russo", sostenesse l’Ucraina nello sforzo di consolidare il controllo dei propri confini, non ci sarebbe né alcuna annessione della Crimea né alcuna guerra. È proprio questo tipo di solidarietà sociale con il popolo ucraino e una costruzione attiva della pace che ci aspettiamo dai firmatari del presente documento.

Vorrei esprimere alcune riflessioni sulla frase che incoraggia le Chiese in Ucraina "a lavorare per pervenire all’armonia sociale, ad astenersi dal partecipare allo scontro e a non sostenere un ulteriore sviluppo del conflitto". Le Chiese e le organizzazioni religiose in Ucraina non hanno mai sostenuto la guerra, e hanno operato costantemente per la pace sociale e l'armonia. Basterebbe prestare un po' di attenzione agli argomenti presenti negli appelli del consiglio pan-ucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose di questi ultimi due anni.

Invece, l'appello a non partecipare alle proteste e a non sostenere lo sviluppo del conflitto per varie ragioni mi ricorda fortemente le accuse del metropolita Hilarion, che ha attaccato le posizioni degli "ucraini scismatici e uniati", in pratica accusando noi di essere la causa della guerra nell’Ucraina orientale, e allo stesso tempo giudicando la nostra posizione civica, che si basa sulla dottrina sociale della Chiesa cattolica, come sostegno a una sola delle "parti partecipanti al conflitto."

A questo proposito, tengo a precisare quanto segue. La Chiesa greco-cattolica ucraina non ha mai sostenuto né promosso la guerra. Tuttavia, abbiamo sempre sostenuto e sosterremo il popolo dell'Ucraina!

Non siamo mai stati dalla parte dell'aggressore; siamo rimasti invece con la nostra gente quando era in piazza Maidan e quando era uccisa dai fautori del "Russkiy Mir".

I nostri preti non hanno mai preso le armi, al contrario di quanto è successo dall'altra parte. I nostri cappellani, come costruttori di pace, soffrono il freddo gelido assieme ai nostri soldati al fronte e con le loro stesse mani trasportano i feriti dal campo di battaglia, asciugano le lacrime delle madri che piangono per i loro figli morti.

Ci prendiamo cura dei feriti e di coloro che hanno sofferto a causa dei combattimenti, a prescindere dalla loro origine nazionale e dalle loro credenze religiose o politiche.

Oggi più che mai, le circostanze sono tali che la nostra nazione non ha altra protezione e rifugio, tranne che dalla sua Chiesa. È proprio la coscienza pastorale che ci chiama ad essere la voce del popolo, per risvegliare la coscienza della comunità cristiana globale, anche quando questa voce non è capita o è ignorata dai leader religiosi delle Chiese d'oggi.

D. – Beatitudine, il fatto che il Santo Padre abbia firmato un documento così oscuro e ambiguo non minerà il rispetto che i fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina hanno per lui, dato che l'unità con il successore di Pietro è parte integrante dell’identità di questa Chiesa?

R. – Indubitabilmente questo testo ha causato profonda delusione tra i molti fedeli della nostra Chiesa e tra i cittadini coscienziosi dell'Ucraina. Oggi, molti hanno preso contatto con me su questo e mi hanno detto che si sentono traditi dal Vaticano, delusi dalla natura di mezza verità di questo documento, che vedono come un appoggio indiretto della Sede Apostolica all'aggressione russa contro l'Ucraina.

Posso certamente comprendere questi sentimenti. Tuttavia, incoraggio i nostri fedeli a non drammatizzare questa dichiarazione e a non esagerare la sua importanza per la vita della Chiesa. Abbiamo sperimentato ben di più di simili dichiarazione, e sopravviveremo pure a questa.

Dobbiamo ricordare che la nostra unità e piena comunione con il Santo Padre, il successore di Pietro, non è il risultato di un accordo politico o di un compromesso diplomatico, o della chiarezza del testo di una dichiarazione comune. Questa unità e comunione con il Pietro di oggi è una questione di fede. È a lui, a papa Francesco, e a ciascuno di noi oggi, che Cristo dice nel Vangelo di Luca: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli".

È per questa unità con la Sede Apostolica che nel ventesimo secolo i martiri e confessori della fede della nostra Chiesa hanno dato la loro vita, sigillandola con il loro sangue. Mentre commemoriamo il settantesimo anniversario dello pseudo-sinodo di Leopoli, cerchiamo di trarre da loro la forza di questa testimonianza, del loro sacrificio che, ai nostri giorni, a volte sembra essere un ostacolo, una pietra che i costruttori delle relazioni internazionali spesso rigettano. Eppure, è proprio questa pietra di Cristo della fede di Pietro che il Signore farà la pietra angolare del futuro di tutti i cristiani. E sarà “una meraviglia ai nostri occhi".

Domenica 14 febbraio 2016

(Intervista raccolta in lingua ucraina da padre Ihor Yatsiv)

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351233

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