ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 1 febbraio 2016

L’innegabile popolarità del Sommo.

                                            LE PURGHE 

Il nuovo anno ancora una volta chiama in causa l’esercizio del potere esplicato, in ambito profano e religioso, dai rispettivi detentori i quali si son fatti valere con motivazioni diverse ed altamente significative. Al plauso (non condiviso da tutti) per il rappresentante dei poteri senza volto seguono, in misura crescente, i consensi per il possessore delle Chiavi del Regno. Tra plausi e consensi, comunque, ambedue hanno guadagnato rapidamente terreno mantenendo intatto il loro prestigio avallato da un entourage funzionale e conforme ai loro intenti.
Malgrado le difficoltà tentiamo ugualmente di comprendere qualche aspetto anche marginale delle finalità e delle responsabilità di governo di Bergoglio che tra le sue facoltà ha anche quella di giudicare e condannare. Non ci sentiamo autorizzati a ridimensionare l’innegabile popolarità del Sommo. Vogliamo solo cercare di analizzare la sua vera identità esaminando il campo illimitato dei fenomeni, uno dei quali ha svuotato del suo senso abituale il giudizio di condanna adducendo una sorta di ammenda pubblica sintetizzata dal: chi sono io per giudicare. La Chiesa, di Istituzione Divina, spezza il pane della Verità e si eleva nel giudicare la colpa secondo la visione di Cristo per la salvezza dell’anima degli individui.
         Proseguendo nella lettura della vocazione ecclesiale di Bergoglio è doveroso rilevare i tratti salienti d’una personalità ossequiosa della tendenza dottrinale innovatrice. Tendenza che, dimentica del sottofondo esegetico di ispirazione gesuitica, converge sulla mentalità progressista. Ed è proprio la mentalità ad identificarsi con l’esercizio di un potere allineato all’indole liberale che si ammanta di autoritarismo fatto passare per devoto servizio. Servizio aperto al miraggio d’una Chiesa non più santa, non più cattolica, non più romana. Nel proverbiale autoritarismo di Bergoglio è possibile trovare la chiave di lettura delle ambiguità e delle deviazioni. I segni più preoccupanti risultano approfonditi dal dispotismo e dalla durezza, dalla ritorsione e dalla benevolenza, dall’arbitrio e dall’intolleranza, dalla destrezza e dalla diplomazia, dalla repulsione (per l’antico) e dall’eloquio naif. Il tutto armonizzato da una sorta di sincretismo caratteriale saturo di conseguenze deviazionistiche. L’autoritarismo, cosa ben diversa dall’autorità morale riscontrabile con l’acquiescenza della vita interiore all’esercizio delle virtù, risulta sapientemente dosato con la somministrazione di purghe (di stampo staliniano) al dissenziente qualora osi testimoniare l’ortodossia dottrinale. Quel minimo di onestà intellettuale ci porta alle vicende dell’anziano Padre Stefano Manelli, figlio spirituale di Padre Pio, fondatore della Comunità delle suore e dei frati francescani dell’Immacolata, vittima sacrificale della rivoluzione teologica con cui Bergoglio intende procedere alla definitiva liquidazione del cattolicesimo. Di quale illecito si è macchiato Padre Manelli? È stato perseguitato per il mancato allineamento alla liturgia conciliare malgrado il Motu proprio di Papa Ratzinger consentisse l’uso del messale per la celebrazione in latino. Messale che non è stato vietato nemmeno dall’autore della riforma liturgica (Paolo VI). Cestinando il Motu proprio del dirimpettaio, Bergoglio ha preteso bloccare la mano della Madre di Dio che, con l’abbondante semina e nel solco d’una posizione conservatrice, aveva ispirato la fiorente Comunità costituita da un numero smisurato di frati, di suore e di vocazioni.
       Stendiamo un velo pietoso sull’altra motivazione limitandoci all’unica considerazione di cui si fa estensore Cicerone nelle Filippiche: nervos belli pecuniam (il danaro è il nervo della guerra). In San Petronio (Bologna) nella cappella Bolognini è possibile contemplare l’affresco di Giovanni da Modena che ha ritratto, esponendo alcune scene dell’inferno, papi, cardinali e prelati condannati a pene atroci e torturati in modo singolare. La cattedrale va ricordata per le contrarietà legate alla sua costruzione e per l’incoronazione (Clemente VII- 1530) di Carlo V, sul cui impero non tramontava mai il sole. Il monarca scelse Bologna dopo i saccheggi e le stragi compiute a Roma tre anni prima dai suoi lanzichenecchi i quali avevano trasformato in stalla la Basilica di San Pietro. San Petronio, dicevamo, va ricordato anche per la singolarità di alcuni eventi succeduti agli inizi della sua costruzione (1390) con la torbida gestione dei lavori affidati al Card. Cossa, detto il pirata per i suoi trascorsi da corsaro. Baldassarre Cossa, seduttore di donne nubili, sposate e di suore, fu inviato come legato a Bologna proprio mentre era in costruzione la Chiesa. Sospese i lavori, vendette il materiale e si appropriò del denaro lasciando, dicevano argutamente i cittadini, che al posto dei muratori lavorassero i ragni. Le segrete mire del Cossa per giungere al vertice della carriera non tardarono a manifestarsi in occasione dello scisma d’occidente.
          Quel periodo penoso per la Chiesa durò quarant’anni circa (1378- 1417) con due Papi, a Roma (Gregorio XII) e ad Avignone (Benedetto XIII), a contendersi la guida della cattolicità con mezza Europa al seguito dell’uno o dell’altro. Con il concilio di Pisa (1409) furono deposti i due Papi e fu nominato Alessandro V. La validità del Concilio fu impugnata dai detronizzati. A regnare erano in tre con l’ultimo di costoro morto avvelenato per mano del Cossa il quale prese il suo posto con il nome di Giovanni XXIII. Insediatosi a Bologna, divenuta sede papale, dilapidò nuovamente il denaro da investire nella fabbrica della Chiesa elargendolo ad amici e sostenitori. Con il Concilio di Costanza (1414), convocato per porre fine allo scisma e far chiarezza anche sull’operato del Cossa, giunse per quest’ultimo la resa dei conti. Le imputazioni riguardavano le colpe di simonia, fornicazione, sodomia, avvelenamento, seduzione, ruberie e dissipazione di beni. Non sentendosi al sicuro decise di fuggire con un ronzino, travestito da stalliere. Catturato, incarcerato ed in seguito liberato fu consegnato ai commissari pontifici. Pentito chiese perdono a Papa Martino; costui gli permise di conservare la porpora cardinalizia.
            Con Martino V terminava lo scisma, la Chiesa ritrovava la sua unità mentre il centro della cattolicità diveniva una sorta di città fantasma requisita dai mandriani con pecore e capre che indisturbate brucavano presso la Basilica di San Pietro. In mille e quattrocento anni 23 furono i Papi che presero il nome di Giovanni. Dopo il Cossa (morto nel 1419) per oltre cinque secoli nessuno osò chiamarsi, da Papa, con il nome di Giovanni. Bisognerà attendere lo spirito innovativo di Roncalli perché l’arma della polemica potesse convergere sulla scelta del nome, fatta (da questi) con l’ansia bruciante di mostrarsi al mondo con il primo ed il più eclatante dei gesti. Non sempre la testimonianza dei Sommi ha rischiarato le tenebre della storia. Ancora oggi la gestione dell’economia e delle finanze seguita a contaminare il campo del sacro con parte del clero più incline a maneggiar il denaro che il Breviario. Senza il ripristino dei Diritti di Cristo la stessa attività, intrapresa dal nocchiero misericordioso, riguardante la riorganizzazione delle finanze e la bonifica degli illeciti, finirà per diventare un hobby. In mezzo a tante tenebre c’è anche un’altra realtà che amplifica lo squallore dei soprusi. All’illecito in ambito canonico è seguito quello in campo profano con l’indecorosa gara di “beneficenza” alle banche che gli osservatori più benevoli chiamano frode. Le dimensioni mastodontiche dell’operazione, legate ai “tranquilli” investimenti sponsorizzati dalle lobby bancarie, chiamano in causa un esercito di risparmiatori sedotto dagli acquisti d’impulso e dai prodotti “salvifici”. Dal terrorismo islamico si è passati a quello bancario con l’unico trionfo ipotizzabile, quello degli avvocati.
                Prendiamo commiato da quest’ultima annotazione e torniamo indietro solo di 60/70 anni quando il cristianesimo, rivestito da quella santa patina medioevale che preservava dal degrado dottrinale, era credibile – dice San Tommaso – sia per l’evidenza dei miracoli sia per i motivi equivalenti. Si guarda con un certo sospetto al digiuno ed a ciò che esso può costituire per la teologia cattolica. Si teme che anche il mondo religioso, già privo del senso della trascendenza, abbia preso definitivamente commiato dalle pratiche penitenziali, dal digiuno o da quelle forme di mortificazione (i famosi fioretti) che, con il loro sottofondo mistico, richiamavano l’essenza della spiritualità particolarmente sentita nel mese di maggio. Sul cristianesimo austero, arduo ed intransigente è calato il sipario. Predominano forme di aggiornamento, di emancipazione, di sollecitazioni allettanti, carichi di confort e mondanità che hanno prodotto lo svuotamento dei seminari e l’incremento della dissoluzione e del degrado religioso.
              Torniamo brevemente all’austerità del digiuno. A Papa San Telesforo (142), martirizzato dopo undici anni di pontificato, si attribuisce la istituzione della Quaresima e del digiuno nei quaranta giorni che precedono la Pasqua. Digiuno che per gli ecclesiastici doveva durare sette settimane. Dicevamo che la teologia, con zelo e con l’attaccamento alla tradizione, elencava le motivazioni del digiuno quaresimale creato per imitare Gesù ritiratosi nel deserto. Esso è un mezzo sicuro per ottenere grazie e favori da Dio, per neutralizzare le potenze infernali più aggressive, per riparare la giustizia divina, per placare l’ira di Dio, per espiare le colpe personali e sociali, per immedesimarsi alla Passione e morte di Cristo. I rigori e le asprezze della penitenza, tuttavia, non devono pregiudicare la propria salute. Il digiuno è una pratica raccomandata già da Ippocrate (5 secoli circa a.C.) che, oltre a condannare il disordine nella ricezione del cibo in quanto causa dei mali che intaccano il fisico, additava la dieta (contrapposta alle intemperanze) come la prima medicina per conservarsi in salute.
             È doverosa un’ultima precisazione. È impensabile che possano conservarsi in salute quanti oggi sono invece “obbligati” a digiunare a causa dell’increscioso aumento della povertà. Sottolineiamo un dato allarmante tratto in questi giorni da alcune fonti considerate attendibili che denunciano l’aumento nel 2015 dei decessi rispetto all’anno precedente. Aumento causato, sostengono gli studiosi, dall’inquinamento (il più elevato in Europa) e dalla difficoltà nel curarsi per l’impossibilità di accedere alle cure a causa della povertà. Tutti gli apprezzamenti vanno ai tutori della salute. Oggi si scopre il sistema più rapido per perderla.

«La Chiesa cattolica pensa sia meglio che cadano il sole e la luna dal cielo, che la terra neghi il raccolto e tutti i suoi milioni di abitanti muoiano di fame nella più dura afflizione per quanto riguarda i patimenti temporali, piuttosto che una sola anima, non diciamo si perda, ma commetta un solo peccato veniale, dica una sola bugia volontaria o rubi senza motivo un solo misero centesimo». (Beato John Henry Newman, 1801-1890)

di Nicola Di Carlo

http://www.presenzadivina.it/271.pdf


2 commenti:

  1. La Chiesa Cattolica " pensava " che sia meglio che cadano il sole e la luna dal cielo etc.etc. jane

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  2. rido per il bergoglio seduto col cappello nero!

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