INQUISIZIONI "FRANCESCANE"?
Qual è la posta in gioco nella vicenda dei francescani dell’Immacolata? Bergoglio l'ha "congelata" ma che senso ha colpire una congregazione giovane e piena di energie, capace di attirare centinaia di provvidenziali vocazioni
di Francesco Lamendola
Poiché il buongiorno si vede dal mattino, e poiché il commissariamento dei francescani dell’immacolata è stato uno dei primi atti del pontificato di Francesco, è inevitabile domandarsi quale sia la reale posta in gioco di tutta quella penosa vicenda; vicenda della quale, peraltro, i mass-media hanno praticamente smesso di parlare, mostrando ancora una volta, qualora ce ne fosse stato bisogno, a quale infimo livello di piaggeria, servilismo e conformismo intellettuale sono giunti nel corso di un pluridecennale allenamento a schierarsi sempre e comunque dalla parte del più forte, cioè a mostrarsi degni beneficiari di quei giganteschi stipendifici che sono i giornali e le televisioni pubbliche e private.
Si faccia caso alle date.
28 febbraio 2013: abdicazione di papa Benedetto XVI.
13 marzo: elezione del nuovo pontefice, Francesco.
19 marzo: suo insediamento.
11 luglio: commissariamento della Congregazione dei Frati francescani dell’Immacolata, di padre Stefano Maria Manelli.
23-28 luglio: XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro: la Woodstock (così è stata definita, e non certo in senso elogiativo) della Chiesa cattolica.
27 novembre: sospensione di tutte le attività dei Cenacoli della Missione dell’Immacolata Mediatrice, associazione formati da laici simpatizzanti dei francescani del’Immacolata.
Nel giro di cinque mesi dalla sua elezione, dunque, papa Bergoglio ha paralizzato una fiorente congregazione religiosa, fondata nel 1970 ed ispirata alla figura e all’opera di san Massimilano Maria Kolbe (1894-1941), l’eroico frate francescano sacrificatosi ad Auschwitz al posto di un altro detenuto, un padre di famiglia che era stato condannato a morte dai nazisti; e decisa a ritornare alle fonti originarie dell’Ordine francescano, per un generale rinnovamento della vita consacrata.
Per farsi un’idea delle dimensioni della Congregazione, si pensi che essa ha oltre 50 case sparse in tutti i continenti, con più di 350 religiosi di sesso maschile; la famiglia sorella delle Suore francescane del’Immacolata vanta dei numeri quasi uguali: circa 50 case in tutto il mondo e 350 religiose; ad esse vanni aggiunte 40 suore presenti in 4 monasteri italiani, raggruppate nelle Clarisse dell’Immacolata; e infine le parecchie migliaia di fedeli laici che aderiscono alla Missione dell’Immacolata Mediatrice, approvata canonicamente nel 1991 e nel 1997.
Sono, pertanto, cifre imponenti, tanto più di questi tempi: tempi di secolarizzazione e di crollo delle vocazioni religiose, di conventi semivuoti, di seminari abbandonati e trasformati in ostelli della Caritas o adibiti ad altri usi di vario genere; perciò sorge spontanea la domanda, che senso abbia avuto colpire una congregazione giovane e piena di energie, capace di attirare centinaia di vocazioni; insomma, cosa avessero fatto di tanto grave questi frati e queste suore, e quale fosse – e sia tuttora, perché la Congregazione è “congelata”, ma non certo soppressa, con i suoi membri ai quali è fatto divieto sia di uscirne, sia di incardinarsi nelle diocesi, a disposizione dei rispettivi vescovi. Insomma, si vorrebbe comprendere la ratio di tutto questo, se ve ne è una, e quale sia effettivamente la posta in gioco di una così strana, per non dire incomprensibile, partita.
Che cosa abbiano fatto, ecco il paradosso, non è affatto chiaro. Vi è stata una campagna di delegittimazione fortissima ai danni del loro fondatore, il più che ottantenne padre Manelli: basta dare una scorsa in rete per rendesi conto della durezza e della spregiudicatezza delle accuse; ma anche, in controluce, della loro estrema fragilità implicita. Si parla addirittura di “convento degli orrori”; di patti siglati con il sangue; di maltrattamenti e, forse, di abusi sessuali; padre Manelli diventa, niente di meno, il “boia di Frigenti”; suore attempate rilasciano sospette dichiarazioni e avanzano accuse retrodatate di qualche decennio. Quel che si capisce, in mezzo a queste voci e a questi veleni, è che non ci si trova in presenza, almeno allo stato attuale, di alcun reato vero e proprio, tanto è vero che non vi sono state iniziative o provvedimenti di ordine penale; che, in tempi di corruzione dilagante in seno alla Chiesa, anche fra gli uomini nominati da Bergoglio o da suoi fiduciari (vedi il caso Vatileaks 2, con personaggi impresentabili, come monsignor Vallejo Balda e l’”esperta” Chaouqui), ai francescani non si addebita alcuna malversazione, alcun uso fraudolento di denaro; che tutto si riduce, in buona sostanza, a una disciplina “troppo rigida”, “troppo severa”, anche se poi si ammette che i frati e le suore erano lasciati liberi di scegliere se sottoporsi, o no, a tali pratiche, e senza contare che, fino a poco tempo fa, le mortificazioni corporali tra il clero e i fedeli erano considerate non solo lecite, ma lodevoli.
Colpisce, poi, l’estrema durezza dei modi in cui si è attuato il commissariamento, compreso il raffinato particolare di attribuire ai francescani stessi le spese di mantenimento del commissario inviato da Roma in sostituzione del padre fondatore. Colpisce anche il discutibile livello, per non dire altro, delle persone che papa Francesco ha incaricato di procedere contro i francescani. Il primo firmatario del decreto di commissariamento è stato il cardinale brasiliano Joao Braz de Aviz, disinvolto seguace della teologia della liberazione – la quale, giova ricordarlo, non è una tendenza teologica come un’altra, ma è stata solennemente condannata sia da Giovanni Paolo II, sia da Benedetto XVI; il secondo, il francescano José Rodriguez Carballo, nominato dal papa stesso alla carica di Segretario per gli Istituti di Vita consacrata, è stato a sua volta spazzato via da un colossale scandalo finanziario riguardante investimenti miliardari dell’Ordine francescano in società finite sotto inchiesta per traffici di armi e droga (altra scelta infelicissima di Bergoglio: il nuovo direttore finanziario dello I.O.R., l’omosessuale monsignor Battista Ricca, uomo-chiave di una vera e propria lobby gay in Vaticano).
Ad ogni modo, si percepisce che il problema non è tanto padre Manelli, quanto qualcosa che riguarda tutta la Congregazione; e, anche se nessuno lo ha detto chiaro e tondo, si capisce senza troppo fatica che il vero problema è precisamente l’attaccamento di questi frati e di queste suore a un modo di vivere lo stato sacerdotale, e di servire la Chiesa, che, nella sua semplicità, nella sua coerenza e nel suo rigore, ha qualcosa di “antico”, insomma - per dirla tutta – di preconciliare: anche se è stato proprio il Concilio Vaticano II a suggerire al fondatore e ai suoi primi seguaci l’idea di approfondire in maniera originale le fonti della spiritualità francescana. C’è una parola che ricorre continuamente nelle accuse a questi frati, mancanza di “ecclesialità”: ecco, i francescani e le suore dell’Immacolata si sarebbero macchiati del reato di lesa ecclesialità. In che senso? Evidentemente, nel senso che sarebbero andati in una direzione difforme da quella stabilita dalla Chiesa. Ma come, dove, perché? Ed ecco che salta fuori il “vulnus”: la messa in latino. Questa è l’unica cosa che si è capita chiaramente: che il papa non vuole che essi dicano la Messa in latino.
Dei vari provvedimenti presi nei loro confronti - proibizione di lasciare l’ordine o incardinarsi nelle diocesi; spogliarsi delle medagliette miracolose di Caterina Labouré (apparizioni mariane di Rue du Bac del 1830); proibizione di coricarsi indossando il saio; cancellare dal loro statuto il voto mariano di padre Kolbe; proibizione di parlare dello stesso padre Kolbe – quello che appare più esplicito e chiaro è proprio questo: il divieto di celebrare la Messa secondo il “vetus ordo”, ossia nella forma della Messa detta di san Pio V. La cosa, però, è in stridente contrasto con il motu proprio di Benedetto XVI del 2007, che conferiva piena libertà a tutti i sacerdoti di rito romano di celebrare la Messa tridentina. È questo che dà tanto fastidio a Bergoglio, dunque: la Messa in latino? In effetti, la Messa in latino è il simbolo visibile di quella parte della Chiesa cattolica che, pur non opponendosi alle decisioni del Concilio Vaticano II, le distingue, tuttavia, da certe arbitrarie estensioni e forzature della fase successiva, e mostra di non condividere del tutto, o di non condividere affatto, taluni indirizzi della Chiesa post-conciliare, specialmente in tema di ecumenismo, rapporti con il giudaismo e con la Massoneria, rapporti con la società secolare: questioni di sostanza dottrinale, insomma, e non solo di tipo liturgico.
Quanto alle medagliette miracolose della Vergine di Rue du Bac, o alla proibizione del voto mariano e della menzione di padre Kolbe, francamente si stenta a capire la ratio di tali provvedimenti; o, all’opposto, si teme di capirla anche troppo bene. Dietro la questione della Messa in latino, c’è la questione della ragion d’essere di questa Congregazione, sorta prendendo a modello la spiritualità francescana e mariana di padre Massimiliano Kolbe: se si toglie padre Kolbe, si toglie il senso dei Francescani dell’Immacolata. È padre Kolbe, dunque, il problema? Parrebbe di sì. Padre Kolbe va benissimo quando si tratta di esibire benemerenze “resistenziali” e antinaziste o, genericamente, di esaltare la “eroicità” dei sacerdoti cattolici nel XX secolo; ma, quando si va ad approfondire il suo pensiero, le cose cambiano, Proprio come per padre Dehon, la cui cerimonia di beatificazione (la cerimonia: perché il processo si era già concluso nel 2004) è stata bruscamente sospesa a tempo indeterminato. Il fatto è che sia padre Kolbe, con il giornale Il cavaliere dell’Immacolata, sia padre Dehon, con il giornale La Croix, incorsero in quello che oggi, retrospettivamente, agli occhi di certi cattolici neomodernisti e progressisti appare un orientamento antisemita, semplicemente perché entrambi misero il dito sulla piaga dell’usura e di certa spregiudicata finanza ebraica. Poco importa che, nell’Europa degli anni Trenta, e specialmente in Polonia, tali sentimenti fossero largamente condivisi dalla stragrande maggioranza della popolazione, e non solo dai cattolici; e poco importa che lo stesso padre Kolbe abbia personalmente sottratto alla persecuzione non pochi ebrei, nascondendoli nei conventi da lui fondati in onore di Maria Immacolata: la macchia resta. Almeno agli occhi di una parte della Chiesa post-conciliare: quella che piace a Bergoglio, incline ad un ecumenismo che sembra sfociare nel relativismo, ma che non tutti i cattolici condividono. Papa Francesco ama presentarsi come l’uomo del rinnovamento, della trasparenza, del pluralismo e della libertà di coscienza: ma allora, come mai, mentre i vescovi brasiliani ballavano indecorosamente sulla spiaggia di Rio de Janeiro, durante la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù, lui, come primo provvedimento importante del suo pontificato, se la prendeva con i Francescani dell’Immacolata, e proibiva loro di celebrare Messa in latino, contraddicendo un atto ufficiale del suo predecessore?
Comunque, mettendo insieme questi diversi fatti, emerge un quadro abbastanza chiaro: si è voluto colpire un indirizzo spirituale che l’attuale gerarchia della Chiesa giudica “non in linea” con il suo. Lo stesso pontefice, il 10 giugno 2015 (quasi due anni dopo il commissariamento!), ha ricevuto alcuni francescani dell’Immacolata in Vaticano e ha tenuto loro un discorso contraddittorio e confuso, ora minaccioso, ora quasi auto-giustificatorio, evocando niente meno che il Diavolo quale persecutore “reale” della Congregazione. Come dicevamo all’inizio, a questa triste vicenda fa da contraltare l’ancor più triste spettacolo di una stampa e di una informazione quasi totalmente appiattite sulle posizioni di papa Francesco, senza diritto di replica per gli “accusati”. Replica che, comunque, da loro non sarebbe venuta, dal momento che si sono sottomessi totalmente all’autorità superiore e hanno accettato in silenzio e in perfetta obbedienza l’ingiusto trattamento che stanno subendolo, condito dal linciaggio mediatico. Solo un manipolo di giornalisti e studiosi, per lo più tagliati fuori dai grandi mezzi d’informazione, si sono schierati in difesa di questi frati e di queste suore: Sandro Magister, Mario Palmaro, Roberto De Mattei, Andrea Sandri, Giovanni Turco, Alesandro Gnocchi, Maurizio Blondet. Fra l’altro, alcuni di essi stanno studiando il provvedimento di proibizione della Messa tridentina per verificarne la legittimità sotto il profilo puramente giuridico. Ma il grosso dei media tace o è connivente con l’enorme ingiustizia che quei miti religiosi stanno subendo. C’è bisogno di ricordare che alcuni dei più grandi santi, anche in tempi recenti – e valga per tutti il caso di san Pio da Pietrelcina – hanno subito una vera e propria persecuzione da parte della gerarchia ecclesiastica? Noi stessi abbiamo conosciuto un santo sacerdote che è stato trascinato fino in prigione per accuse poi dimostratesi del tutto fasulle, e osteggiato in ogni modo dai suoi superiori nella sua opera religiosa. Qui, però, sorge il sospetto che vi sia di più, e di peggio. È in corso – come diceva già Paolo VI – un processo di auto-demolizione della Chiesa. Si vuole, per caso, ridurre all’impotenza proprio coloro che a ciò si oppongono?
Qual è la posta in gioco nella vicenda dei francescani dell’Immacolata?
di
Francesco Lamendola
E' una vendetta personale di Bergoglio .
RispondiEliminaGrande Lamendola|
RispondiEliminaTutte le preghiere, le S. Messe e le penitenze di questi religiosi/e, impediscono la piena realizzazione dei suoi diabolici piani. Per forza che doveva annientarli!
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