ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 17 aprile 2016

Meno di zero

LESBO:"L'ISOLA DEI FAMOSI"

Che cosa è andato a fare papa Bergoglio sull’isola di Lesbo? A predicare l’accoglienza indiscriminata? la linea scelta da Bergoglio è incomprensibile: a nessuno può essere ordinato il suicidio in nome dell’umanitarismo 
di Francesco Lamendola  



La nostra patria è l’Europa; la nostra civiltà, è la sua civiltà, che ci è stata madre per 1.500 anni; la nostra cultura e la nostra religione sono cristiane e cattoliche: e ciò dovrebbe pensare, e sentire, ogni cittadino europeo, indipendentemente dalle sue personali convinzioni: anche se ortodosso o protestante; ance se ateo. Ortodossi e protestanti si sono separati dalla Chiesa di Roma, amalgama e sintesi di tutti i nostri valori morali e intellettuali, gli uni mediante uno scisma, gli altri con un atto di apostasia: ma resta il fatto che essi si sono separati da ciò che, prima, era anche per loro la Verità: e dalla Verità non ci si separa mai nel più profondo dell’essere, e sempre si aspira a tornarvi, perché l’essere ha perennemente nostalgia di casa.
 Gli atei, poi, sono diventati tali attraverso la civiltà europea e cristiana: perché l’ateismo, come fenomeno di massa, è un fenomeno esclusivamente europeo e cristiano: in nessun altro continente, in nessun’altra religione (se non oggi, e solo in parte, ma appunto per influsso del nostro esempio), vi è mai stato, in precedenza, un qualcosa di simile. Gli Ebrei, con la Torah; i popoli islamici, con il Corano; i popoli del subcontinente indiano, con l’induismo; i Tibetani, i Mongoli, con il buddismo;  i Giapponesi, con lo scintoismo; perfino i popolo “primitivi”, con le loro credenze animiste: nessuno ha mai conosciuto l’ateismo di massa, e assai raramente anche l’ateismo individuale. Ergo, un ateo intelligente e intellettualmente onesto dovrebbe comunque riconoscere il suo debito verso la civiltà dell’Europa e la religione cristiana; invece di detestarle, dovrebbe rendere loro omaggio: se egli ha potuto staccarsi dalla tradizione, ripudiare ciò che gli era stato insegnato (o che era stato insegnato ai suoi genitori), se ha potuto giungere all’aperta negazione o al rifiuto di Dio, e dichiararlo a gran voce, ciò è stato possibile grazie alla civiltà europea e alla religione cristiana. Sappiamo benissimo cosa accadrebbe, ad esempio, a un ex islamico che giungesse all’ateismo e lo volesse proclamare ad alta voce; lo sappiamo, anche se preferiamo non pensarci, e fare finta di nulla. Lo sanno anche gli atei di casa nostra, quelli pieni di livore e di rancore contro la propria civiltà e la propria religione; ma non sono abbastanza onesti e non hanno abbastanza fegato da ammettere la sostanziale differenza: da riconoscere che, se possono permettersi il lusso di sputare e defecare nella culla ove sono stati allevati, è solo perché la loro madre è stata così generosa, da lasciarli liberi di scegliere, rispettando, pur con sofferenza, le loro decisioni.
Questo, dunque, è il nostro orizzonte spirituale; questo è il clima nel quale siamo cresciuti. Senza l’Europa e senza il cristianesimo – ma le due cose sono state una sola per circa mille anni – noi non saremmo nulla; ciascuno di noi, oggi, sarebbe meno di zero. Saremmo un gregge di pecoroni, una massa amorfa e indistinta, pronta a seguire qualsiasi pastore, o a farsi sbranare dai lupi. Se pensiamo così come pensiamo; se sentiamo così come sentiamo; se amiamo così come amiamo; se preghiamo, o rifiutiamo la preghiera, così come facciamo; se siamo quello che siamo, e se possiamo perfino prenderci lo sfizio di disprezzare, insultare e maltrattare nostra madre, cioè la nostra civiltà e la nostra religione, è perché siamo cresciuti in esse. E così come sono penosi, nonché ridicoli, quegli atei che praticano la cerimonia dello “sbattezzo”, così sono penosi, e ridicoli, quegli Europei che abiurano, intimamente o esplicitamente, la loro civiltà, la respingono, la maledicono, e vorrebbero farsi qualcosa d’altro, qualcosa di diverso da ciò che sono. Perché una cosa del genere in nessun’altra parte del mondo sarebbe consentita: nessun’altra civiltà e nessun’altra religione sono abbastanza grandi e mature da accettare che i loro figli si comportino in un tal modo verso di esse, e da subire in silenzio la loro rabbia e la loro rivolta.
Ebbene: sia la civiltà europea, sia la religione cristiana, e specificamente la cattolica, sono oggi minacciate in una misura tale, che non si verificava da un millennio: e ciò da una migrazione di popoli, spacciata per emergenza umanitaria, manipolata da occulti poteri finanziari, e sostenuta dagli sceicchi del petrolio, il cui scopo è colonizzare, islamizzare e sottomettere l’Europa e far sparire per sempre la religione cristiana cattolica. Nemmeno quando i Turchi battevano alle porte di Vienna, nel 1529 e nel 1683, la minaccia fu altrettanto insidiosa: perché allora si trattava della conquista di un esercito, la quale, se vittoriosa, avrebbe lasciato sussistere una certa libertà religiosa, e sia pure pagandola a caro prezzo, così come già avveniva nelle province balcaniche cadute sotto il tallone ottomano; mentre oggi si tratta di una colonizzazione capillare, di una sostituzione di popolazioni, di una mutazione etnica, attuata in parte nel presente, con i cosiddetti migranti, e, in parte ancor maggiore, nel futuro prossimo, attraverso il loro tasso di natalità. Questione di due o tre generazioni, e l’Europa cristiana sarà sommersa, ridotta in minoranza, forse perseguitata, forse tollerata, ma a dure condizioni, come accade ai Copti in Egitto o ai cristiani dell’Iraq e della Siria, sempre esposti a rappresaglie e massacri e costretti, in misura crescente a fuggire o a convertirsi, per non soccombere fisicamente; e la civiltà europea, come la conosciamo e come l’abbiamo sempre conosciuta, coi suoi valori, con la sua identità, col suo stile di vita, sarà scomparsa per sempre. Chi vivrà, vedrà come reagiranno allora i nostri intellettuali progressisti, radicali e massoni, che teorizzano la bellezza del matrimonio omosessuale e l’assoluta parità fra uomo e donna, quando gli omosessuali verranno condannati a morte e alle donne, costrette a indossare il velo, sarà proibito persino di guidare l’automobile. Ma, a quel punto, non ci sarà più nulla da fare.
Quella che sta sommergendo l’Europa, oggi, è un’invasione: su questo non devono esserci dubbi. Nessun buonismo, nessun umanitarismo d’accatto, devono fare velo alla nostra intelligenza, al nostro più elementare buon senso. Anche un bambino capirebbe che dei “disperati”, i quali non hanno nulla, e che “fuggono da guerra e fame”, come ogni giorno ci ripetono, tutti i santi giorni, i nostri media di regime, non potrebbero mai e poi mai disporre di 2.000 dollari, o più, per pagarsi la traversata sulle carrette del mare; che, se davvero disponessero di tali somme, cercherebbero di giungere in Europa in altro modo, su un normale aereo di linea, spendendo dieci volte meno e non rischiando nulla; che, se il loro scopo reale fosse scappare da guerre e fame, ma volendo conservare i loro usi e la loro religione, si fermerebbero assai prima, nei Paesi arabi vicini alle loro frontiere, per esempio nei ricchissimi Paesi del Golfo, che nuotano sui petrodollari; che, se gli sceicchi di quei Paesi, e il re dell’Arabia Saudita, volessero davvero aiutarli, invece di comperare banche, moschee e supermercati in Europa, farebbero allestire dei campi profughi e proverebbero a integrare quei poveretti, nello spirito di accoglienza della loro religioneinvece di dirottarli verso le terre degli “infedeli”; che, se i cosiddetti profughi venissero davvero in Europa semplicemente per lavorare e sottrarsi ai pericoli, non formerebbero dei mondi chiusi, dei ghetti anti-europei, dove i terroristi suicidi trovano la generale comprensione e solidarietà, né si comporterebbero come una quinta colonna in un Paese nemico, ma manifesterebbero riconoscenza per coloro che li hanno accolti ed estremo rispetto per i loro usi, le loro tradizioni, il loro credo religioso.
Già il fatto che oltre il novanta per cento dei “migranti” siano di fede islamica dovrebbe far spuntare qualche domandina nella testa dei nostri uomini politici e dei nostri sedicenti intellettuali; e il fatto, poi, ben noto a chiunque, che il loro tasso d’incremento demografico è due o tre volte superiore al nostro, dovrebbe suggerire qualche conto anche al più sprovveduto in scienze statistiche, anche al più refrattario al calcolo matematico. Non occorre avere la mente di Einstein per capire che cosa stia succedendo e che cosa succederà fra trenta o cinquant’anni. In tale contesto, la linea scelta, e testardamente portata avanti, dal pontificato di Bergoglio, è semplicemente incomprensibile. In nome di un buonismo cieco, irresponsabile, autodistruttivo, suicida, egli predica l’accoglienza indiscriminata, ripete che bisogna gettare ponti e non alzare muri, ordina, addirittura, il dovere della solidarietà e dell’accoglienza: un comandamento che Dio stesso non ha mai dato, almeno in questa forma; perché, dicendo “ama il prossimo tuo come te stesso”, evidentemente si raccomanda di amare anche se stessi, anche i propri figli, anche il mondo in cui si vive e cui si è legati; mentre l’accoglienza indiscriminata di folle strabocchevoli d’immigrati islamici equivale alla fine della nostra civiltà e della nostra religione. Nella sua famosa intervista a Eugenio Scalfari del 2013, papa Bergoglio aveva detto, fra l’altro, una cosa gravissima: che Dio non è cattolico. Come si deve intendere questa affermazione? Forse nel senso che non ha alcuna importanza se il cattolicesimo sopravvivrà, basta che sopravviva la religione di Bergoglio? E qual è la religione di Bergoglio, se non è quella cattolica romana? È la religione dei diritti dell’uomo? È la religione del buonismo a senso unico? È la religione dell’indifferentismo religioso (ci si perdoni il bisticcio), del relativismo, dell’Umanesimo camuffato da religione? È, insomma, la religione della massoneria, che è anche, guarda caso, la religione dei poteri finanziari che controllano il mondo?
Che cosa è andato a fare, dunque, papa Bergoglio, sull’isola di Lesbo, in questo aprile del 2016, quando l’Unione europea (che non è, sia chiaro, l’Europa; ma che, quanto meno, comprende i popoli dell’Europa e, quindi, la loro civiltà), e sia pure assai tardivamente, ha incominciato a rendersi conto della tremenda minaccia e ha iniziato, timidamente, a procedere con i rimpatri della gran massa dei cosiddetti “migranti economici”, ossia di quelli – e sono la stragrande maggioranza – che, perfino dal punto di vista dei nostri buonisti di professione, non hanno alcun diritto di essere accolti in Europa, così come invece pretendono? Che cosa è andato a fare, parlando a quelle persone nel modo in cui ha parlato loro; denunciando l’egoismo dell’Europa, incoraggiandoli a riprovare, a ritentare, a non scoraggiarsi, lasciando intendere che, presto o tardi, anche l’ultimo muro cadrà, ed essi potranno ritornare in massa, senza più nessuno che li fermi, anzi, accolti a braccia aperte, desiderati, invocati, festeggiati, applauditi come una grazia del Cielo? Che cosa si propone di fare per mezzo di quelle immagini, che hanno fatto il giro del mondo, come lui ben sapeva, nelle quali si vedono i “profughi” che piangono, invocano, mostrano i bambini, protendono i loro stracci, gridano la loro angoscia e la loro disperazione, rimproverano l’universo mondo per la sua bieca e crudele indifferenza? Oppure quando ha fatto il gesto simbolico di prenderne una dozzina con sé, e di portarseli in Italia, come a dire che posto ce ne sarebbe, eccome, e che non si deve credere alle bugie dei governi, degli amministratori pubblici e dei sindaci, una gran massa di egoisti senza cuore, che dicono di “no” agli immigrati pur avendo spazio a sufficienza, pur avendo gli edifici, le strutture, la possibilità di accoglierli, inserirli, sfamarli, trovar loro un lavoro (un lavoro, di questi tempi!) Che tipo di messaggio ha voluto mandare, sia ai “migranti”, sia ai popoli d’Europa, e in primo luogo agli Italiani?
Un tempo, l’ideale di cristiano era Marco d’Aviano, il frate predicatore che ha percorso l’Europa in lungo e in largo per organizzare la resistenza e la controffensiva contro il Turco, allorché Vienna era stretta d’assedio e le ore della capitale asburgica parevano contate. Se Vienna fosse caduta, forse noi oggi saremmo già islamici, o islamizzati. Marco d’Aviano non era un guerrafondaio, non era un duro di cuore, non era un razzista, o un fanatico, o un integralista: era un uomo che amava l’Europa e che amava la Chiesa. Sostenuto da questo duplice, immenso amore, egli ha incarnato lo spirito migliore del nostro vecchio continente, lo ha trascinato alla riscossa, ha rianimato i dubbiosi, ha rinvigorito i pusillanimi, ha sferzato gl’ignavi, ha benedetto, ebbene sì, gli eserciti, dopo aver celebrato la messa sulla collina del Kahlenberg: quelle magnifiche truppe, quei dragoni e quei corazzieri e tutti quei soldati che, guidati dall’abile strategia di Sobieski, re di Polonia, hanno rovesciato gli accampamenti turchi e allontanato definitivamente la minaccia dal cuore del nostro continente. Perché una civiltà, quando si vede direttamente minacciata, ha il diritto, e anche il dovere, di difendersi: proprio come si riconosce un tale diritto al privato cittadino, allorché degli estranei sfondano la porta e pretendono d’irrompere in casa sua, o d’installarvisi da padroni, dettandogli le loro regole. Tutto questo sembra poco cristiano? No: questo è il normale diritto alla sopravvivenza, che esiste in natura e che esiste in tutte le legislazioni del mondo civile. A nessuno può essere ordinato il suicidio, in nome dell’umanitarismo. Questa non sarebbe una pratica di amore, ma una cosa assai diversa: una pratica anti-umana, un mostruoso rovesciamento del più elementare senso di giustizia e del più naturale istinto di conservazione.
Il cristianesimo è una religione fatta per l’uomo, non contro l’uomo. Non gli chiede di suicidarsi, ma di convertirsi. Non gli chiede di annientarsi, ma di amare. E, per amare gli altri, bisogna amare anche se stessi: senza narcisismo, senza egoismo; ma anche senza complessi di colpa o d’inferiorità.
  
Che cosa è andato a fare papa Bergoglio sull’isola di Lesbo?

di Francesco Lamendola

Lesbo, isola dei famosi: "i calcoli della mente valgono più del cuore"


Dopo il ticket pagato ieri nell'Ufficio del Potere Mondiale, succursale di Lesbo, un arguto e riflessivo un giovane ha saggiamente e cristianamente osservato:
" Ho visto.
Ho pianto.
I cristiani, ben riconoscibili perché baciavano la mano al vescovo di Roma, hanno chiesto con tutta la loro forza quello di cui avevano bisogno.
Hanno ringraziato, tra le lacrime, si sono inginocchiati davanti a Pietro, gli hanno baciato i piedi , motivo in più per  rimettere le scarpe rosse che gli ricordano il sangue dei Martiri ( per farlo ci vuole però il visto dell'Ufficio Regia/Immagine del Papa e del duplice timbro del Garante delle Religioni Universali N.d.R.) hanno lodato il nome di Gesù. 
Ma non c'era il Pietro di Lidda, né quello di Roma. 
Semplicemente uno stucchevole e imbronciato Bergoglio.
Che ha  dato il ben servito,preferendo ai cristiani i musulmani (con tutto il rispetto per tali creature).
Ma prima di essere Vescovo di Roma, Bergoglio è un ostinato gesuita. 
E per i gesuiti i calcoli della mente valgono più del cuore."
***
Chissà se occorre ricordare  che  aver portato personalmente tre famiglie di musulmani in Italia  è un messaggio devastante: uno schiaffo in piena faccia  ai cristiani che ogni giorno rischiano la vita (non a chiacchiere) nei paesi islamici.
Effettivamente i cristiani d`Oriente, le famiglie cristiane presenti in quei campi che già subiscono l`aggressività della comunità musulmana ( gesti che sono taciuti dai media) non avranno nessuno per difenderle e accoglierle.
Ma per gli spietati esecutori degli ordini del Potere - gli stessi che si macchiano di complicità diretta o indiretta, complici della criminale migrazione voluta e gestita dai potenti della terra sulla pelle dei poveracci : " i calcoli della mente valgono più del cuore".

 
I cristiani dunque siano sacrificati sull'altare sudicio del mondo,  perchè hanno e avranno sempre l'ardire di ricordare, come i sette santi fratelli Maccabei, che solo Dio è il Signore e che il Papa è soltanto ed unicamente il "servo dei servi di Dio" e non il dio-in-terra!

 Preghiamo per la Chiesa e per il Papa !
http://traditiocatholica.blogspot.it/2016/04/lesbo-lisola-dei-famosi-i-calcoli-della.html

Tutto quello che non sapete sull’esibizione in mondovisione a Lesbo di Bergoglio – di Antonio Socci


Martiri cristianiI migranti morti nel Mediterraneo dal 2000 ad oggi, secondo calcoli approssimativi, sono stati circa 27 mila. E’ un’orribile tragedia e va fermata. Ma da qui a definirla – come ha fatto ieri papa Bergoglio a Lesbo – “la catastrofe umanitaria più grande dopo la Seconda guerra mondiale” ce ne corre.
Debole in teologia l’attuale vescovo di Roma appare debolissimo in storia contemporanea. Basta ricordare una tragedia che Bergoglio dovrebbe conoscere bene: la dittatura militare argentina dal 1976 al 1983 ha fatto circa 40 mila vittime.

TRAGEDIE IGNORATE
Parlando di catastrofi umanitarie dal 1945 ad oggi (ma morti ammazzati, mentre così non è per i migranti), va ricordato il genocidio del Sudan dove, nel 1983, fu imposta la sharia anche a cristiani e animisti: alla fine del 2000, su 30 milioni di abitanti, si contavano quasi 2 milioni di vittime, 4,5 milioni di sfollati, 500 mila profughi all’estero e centinaia di donne e bambini ridotti in schiavitù.
C’è poi l’orrendo genocidio del Ruanda che, nel 1994, fece quasi 1 milioni di vittime su circa 5 milioni di abitanti.
Infine c’è il capitolo comunista su cui Bergoglio glissa sempre. A parte l’Urss (che dal 1917 – secondo le stime minimali – fece 20 milioni di vittime) c’è la Corea del Nord (inferno comunista tuttora funzionante): dal 1950 circa 3 milioni di vittime.
E la Cambogia: dal 1975 al 1979 i Khmer rossi hanno fatto 2 milioni di vittime su 6 milioni di abitanti.
Accanto ad altri macelli comunisti dal 1945 in avanti (Africa, Vietnam, Afghanistan, Europa dell’est, Cuba), che hanno fatto anch’essi qualche milione di vittime, c’è il caso più tragico: la Cina.
Dal 1949, quando il comunismo di Mao ha preso il potere, ha fatto più di 70 milioni di vittime. A cui vanno aggiunti gli aborti forzati imposti dal 1979 per la legge sul figlio unico: 300 milioni di “nascite in meno” in 21 anni.

BERGOGLIO AMICO DEI TIRANNI
A questo regime comunista – tuttora imperante – Bergoglio tre mesi fa ha lanciato un amorevole messaggio (sotto forma di intervista) che – come scrive Sandro Magister – brilla “per il suo totale silenzio sulle questioni religiose e di libertà” e “per le sue parole sfrenatamente assolutrici di passato, presente e futuro della Cina, esortata a farsi ‘misericordiosa verso se stessa’ e ad ‘accettare il proprio cammino per quel che è stato’, come ‘acqua che scorre’ e tutto purifica, anche quei milioni di vittime che il papa mai nomina, neppure velatamente”.
Avendo taciuto così pure sulle migliaia di persone tuttora nei lager (compresi vescovi e sacerdoti) come può oggi Bergoglio fare la morale agli altri sui migranti?
Peraltro – a proposito di aborto – i predecessori di Bergoglio ritenevano una “catastrofe umanitaria” anche l’aborto libero (non forzato come in Cina) introdotto dalle legislazioni dei paesi democratici dagli anni Settanta (sull’esempio dei paesi totalitari).
I dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità dicono infatti che ogni anno, in tutto il pianeta, si fanno circa 50 milioni di aborti (la Seconda guerra mondiale in sei anni fece 50 milioni di vittime).
In 40 anni dunque siamo ben sopra al miliardo di aborti. Ma questa tragedia non è in cima ai pensieri di Bergoglio come l’emigrazione.
Per la quale ama fare esibizioni di bontà “politically correct” (e in favore di telecamera) come quella di Lesbo e (prima) di Lampedusa.

LA VERITA’ SULL’EMIGRAZIONE
Naturalmente il problema c’è e va risolto. I trattati internazionali stabiliscono che i profughi (che scappano da guerre e persecuzioni) devono essere accolti ed è quello che l’Europa fa.
Ma i profughi sono una minoranza e – come hanno ripetuto molte volte i patriarchi delle chiese martiri orientali – desiderano anzitutto tornare nelle loro case.
Sogno impossibile se non si spazza via totalmente l’Isis. Ma come fare? Bergoglio, che si è sempre rifiutato di chiamare per nome – cioè “stato islamico” – l’autore di quei crimini, è contro interventi di polizia internazionale. Altre soluzioni?
Il Papa potrebbe chiedere all’Arabia Saudita di farsi carico dei profughi provenienti da Siria e Iraq: è un paese con tantissimo territorio libero, uno Stato con immense ricchezze derivanti dal petrolio ed è anche il centro propulsore dell’Islam, quindi sarebbe tenuto a soccorrere i musulmani.
Oltretutto l’Arabia è vicinissima a quelle aree, quindi i profughi potrebbero trovare asilo lì, evitando migrazioni terribili e pericolose.
Lo stesso discorso si potrebbe fare all’Iran che è l’altro paese confinante, anch’esso super-islamico (sia pure sciita).
Ma sia Arabia Saudita che Iran in quella regione sono tra i fomentatori dei conflitti e non tra gli operatori di pace. Perché il Papa non lancia messaggi morali a quei due regimi?
Ci sono poi – accanto ai profughi – i migranti economici. In questo caso il primo diritto da proclamare – come fecero Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – è il “diritto di non emigrare”, cioè di non doversi sradicare.
Pure i vescovi africani, l’anno scorso, hanno lanciato un appello alle giovani generazioni scolarizzate perché restino nei propri paesi aiutandone lo sviluppo (oggi l’Africa è un continente in crescita che ha prospettive economiche molto buone).

IL DISASTRO BERGOGLIANO
Il fenomeno dell’emigrazione sconvolge sia paesi di partenza, sia quelli di arrivo che non sono in grado di sopportare una simile invasione.
Oltretutto il traffico di esseri umani è spesso gestito da organizzazioni criminali che si arricchiscono sulla pelle dei migranti e talora portano quei poveretti alla morte.
Perché dunque il Papa non invita anzitutto a scongiurare il fenomeno migratorio invece di pretendere l’abbattimento delle frontiere d’Europa? Non si rischia così di alimentarlo?
Secondo certi osservatori, per esempio, il suo tour buonista a Lampedusa nel 2013 probabilmente contribuì a illudere migliaia di persone inducendoli a intraprendere viaggi terribili e a volte mortali.
Il Papa dimostra altrettanta superficialità riguardo all’impatto sull’Europa della marea migratoria. Sottovaluta l’evidenza storica di una difficilissima integrazione (vedi il caso del Belgio). E non considera che certi Paesi come l’Italia hanno già fatto il massimo.
Del resto la nostra opinione pubblica – che avverte la crisi economica (l’Italia ha il record europeo della povertà) – trova sconcertanti certi episodi di cronaca che mostrano un eccesso di pretese da parte dei migranti che ospitiamo.
Il problema è soprattutto l’enormità dell’ “invasione”.
In una recente intervista Bergoglio è arrivato a dire: “si può parlare oggi di invasione araba” dell’Europa, “è un fatto sociale”. Ma – ha minimizzato – “quante invasioni l’Europa ha conosciuto nel corso della sua storia! Ha sempre saputo sorpassarsi, andare avanti per trovarsi poi come ingrandita dallo scambio di culture”.
Colpisce la spensierata superficialità di queste parole. Ancora una volta papa Bergoglio mostra di essere a digiuno di storia.
Se parliamo delle invasioni barbariche sono state per l’Europa una vera devastazione: fu spazzato via il millenario Impero romano e il continente sprofondò nel caos, regredendo a uno stato pressoché selvatico.
Ci vollero secoli – e la vigorosa Chiesa dei monaci (non certo quella di Bergoglio) – per risollevarsi e dar forma al luminoso Medioevo.
Se poi parliamo – come Bergoglio – di “invasione araba” va detto che nella storia d’Europa proprio le invasioni musulmane (arabe e turche) sono state il più tragico dei flagelli.
Perché a Oriente hanno spazzato via la grande civiltà bizantina e per tre volte hanno tentato l’occupazione militare dell’Europa (miracolosamente scongiurata anche grazie a veri papi davvero illuminati).
I saraceni hanno poi sottoposto per secoli l’Italia a scorribande sanguinarie. Bergoglio continua a voler ignorare la natura dell’Islam e sottovalutarne il pericolo.
Si dedica con tanta passione ai migranti musulmani, che non ha tempo di ricordarsi dei molti cristiani perseguitati (come Asia Bibi), schiavizzati e uccisi sotto regimi islamici e comunisti.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 17 aprile 2016
(nella foto: i 21 giovani operai cristiani sgozzati dai guerriglieri musulmani in Libia nel febbraio 2015: il video qui)

Sito: “Lo Straniero
Twitter: @Antonio Socci1
Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale

Visita a Lesbo. Fra catechismo e vessilli ideologici



di Alfredo Incollingo

Papa Francesco nelle prime ore del suo viaggio sull'isola di Lesbo ha ricordato la catastrofe umanitaria che stiamo vivendo in questi ultimi mesi. Popolazioni intere sono eradicate dal loro territorio, martoriato dal fanatismo dell'Isis. Centinaia di migliaia di cristiani sono costretti alla fuga per scampare alle persecuzioni loro inflitte dagli uomini del Califfato. Purtroppo moltissimi martiri sono già stati uccisi in odio alla loro fede.

“Noi andiamo ad incontrare la catastrofe umanitaria più grande dopo la Seconda Guerra Mondiale. Andiamo da tante gente che soffre, che non sa dove andare, che è dovuta fuggire.”  Le parole del Santo Padre svelano la drammaticità degli eventi e palesano l'urgenza di porre fine alla tragedia. Come agire? Partendo naturalmente da un concetto che per un cristiano (cattolico) è basilare quanto banale: “persona”.
"I profughi non sono numeri, sono persone: sono volti, nomi, storie, e come tali vanno trattati"
Il Santo Padre ha ricordato che, anche nelle avversità, l'essere umano è sempre “persona”, ovvero qualcosa di più di un numero o di un concetto astratto: è “essere”, è sostanza simile al Padre. Ha dignità e onore e come tale va difeso.

Le contingenze materiali e un pensiero malato, che fa del profugo un “vessillo” ideologico, troppe volte occultano questa “definizione” basilare.
Questo errore si palesa purtroppo anche all'interno della stessa Chiesa Cattolica.Prelati e laici troppo spesso danno prova del loro fanatismo, del loro “essere del mondo”, accontentando “formae mentis” anticristiane.
Accade che vescovi e cardinali strizzino l'occhio ai paladini del multiculturalismo contemporaneo. “Volemose bene” è il loro imperativo. L'importante è che c'è “l'ammore”, qualche gesto di filantropia e “spettacolini” di solidarietà. Poi ammassiamo migranti senza pensare al loro futuro. Ecco quindi i segni di questo “pensiero malato”: ghettizzazione, razzismo...
Il politologo Giovanni Sartori lo ricorda: far convivere culture diverse, senza porsi il problema di come suscitare un reciproco riconoscimento, porta solo a conflitti.
E' lo spettacolo desolante cui assistiamo quotidianamente. “Traslocare” migliaia di persone in un territorio senza badare alla loro sopravvivenza e alle relazioni con gli “indigeni” porta con sé solo tensioni, se non razzismo.
Una “società aperta”, pluralista è una società che non è multiculturalista. Questo termine purtroppo oggi ha perso il suo originale significato e non lo possiamo non considerare come negatività. La parola chiave è “riconoscimento”. L'ospite e il “padrone di casa” devono riconoscere reciprocamente le proprie diversità e “smussarsi” a vicenda. Questa è vera integrazione. Senza fermarsi ad un politologo laico e piuttosto dubbio su alcune posizioni della Chiesa Cattolica (è forse colpa del divieto di utilizzo del preservativo se l'Africa vede aumentare il proprio numero di abitanti? Proprio no!) ci rivolgiamo al Catechismo.

“2240: Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio paese di origine. I pubblici poteri avranno cura che venga rispettato il diritto naturale, che pone l'ospite sotto la protezione di coloro che lo accolgono.
Le autorità politiche, in vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinare l'esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche, in particolare al rispetto dei doveri dei migranti nei confronti del paese che li accoglie. L'immigrato è tenuto a rispettare con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo ospita, ad obbedire alle sue leggi, a contribuire ai suoi oneri.”

Questa è la prassi pragmatica di una Chiesa che bada amorevolmente al profugo e alla Patria che lo ospita. Se questa non è in grado di “sfamare” il suo ospite, come può garantire una perfetta integrazione? Oggi invece, sarà che il mondo moderno è impazzito (“Pazzo non è chi ha perso la ragione, ma chi ha perso tutto fuorché la ragione” G.K. Chesterton), pur di assecondare i propri “dogmi” si nega costantemente la realtà dei fatti.
Ci aspettiamo dalla visita a Lesbo di Papa Francesco non i soliti discorsi multiculturalisti e migrazionisti, ma un atteggiamento coscienzioso dei media e dei governi per agire. Si spera che la presenza del Santo Padre a Lesbo sia l'evento che possa ripensare le normali relazioni internazionali e spingere ad una azione comunitaria per fermare il dramma dei profughi.
http://www.campariedemaistre.com/2016/04/visita-lesbo-fra-catechismo-e-vessilli.html

Il dialogo di Francesco con i giornalisti sul volo di ritorno a Roma: i profughi e la comunione ai divorziati risposati

Papa aereo«Prima di tutto voglio ringraziarvi per questa giornata di lavoro, per me è stato troppo forte, troppo forte…». Si commuove Papa Francesco prima dell’intervista sull’aereo che da Lesbo lo riporta a Roma. «Non c’è alcuna speculazione politica perché gli accordi tra la Grecia e la Turchia io non li conoscevo bene, li ho visti sui giornali. Il mio viaggio è stato umanitario». E a proposito dell’aver preso con sé sull’aereo tre famiglie di profughi musulmani siriani, Francesco ha detto: «è stata un’ispirazione di una settimana fa, che mi è venuta da un mio collaboratore, e io ho accettato subito perché ho visto che era lo Spirito che parlava.
Tutte le cose sono in regola: i documenti, lo Stato vaticano, italiano e greco hanno dato il visto. Sono accordi presi dal Vaticano con la collaborazione della comunità di Sant’Egidio, sono ospiti del Vaticano e si aggiungono alle due famiglie già ospitate dalle parrocchie vaticane».

Lei parla molto di accoglienza ma troppo poco di integrazione. Vedendo quello che sta accadendo in Europa, parecchie città con quartieri ghetto, immigrati musulmani che fanno più fatica a integrarsi con valori occidentali, non sarebbe forse più utile privilegiare immigrati cristiani? Perché ha preso con sé tre famiglie musulmane?
«Non ho fatto una scelta tra cristiani e musulmani, queste tre famiglie avevano le carte in regola e si poteva fare. C’erano due famiglie cristiane che non avevano i documenti in regola… Non è un privilegio, tutti sono figli di Dio. Sull’integrazione lei ha detto una parola che nella nostra cultura attuale sembra essere stata dimenticata dopo la guerra: oggi esistono i ghetti! E alcuni dei terroristi che hanno compiuto attentati sono figli e nipoti di persone nate nel Paese, in Europa. Che cosa è successo? Non c’è stata una politica di integrazione, e questo per me è fondamentale, a tal punto che sei lei vede nell’esortazione post-sinodale sulla famiglia c’è una parte sull’integrazione per le famiglie in difficoltà. L’Europa deve riprendere questa capacità di integrare, sono arrivate tante persone nomadi e hanno arricchito la sua cultura. C’è bisogno di integrazione».

Si parla di controlli e rinforzi ai confini europei. È la fine di Schengen e del sogno europeo?  
«Non lo so, ma io capisco i popoli che hanno una certa paura. Lo capisco. Dobbiamo avere una grande responsabilità nell’accoglienza e uno degli aspetti è proprio come si integra questa gente. Ho sempre detto che fare muri non è una soluzione, abbiamo visto il secolo scorso la caduta di uno… Non si risolve niente. Dobbiamo fare ponti, ma i ponti si fanno intelligentemente, col dialogo, l’integrazione. Io capisco un certo timore, ma chiudere le frontiere non risolve niente, perché quella chiusura alla lunga fa male al proprio popolo e l’Europa deve urgentemente fare politiche di accoglienza, integrazione, crescita, lavoro e riforma dell’economia. Tutte queste cose sono i “ponti” che ci porteranno a non fare muri».

Il Papa a questo punto ha preso un fascio di disegni che gli sono stati regalati dai bambini del campo profughi: «Dopo quello che ho visto, che voi avete visto, in quel campo rifugiati, c’era da piangere. Ho portato dei disegni per farveli vedere. Che cosa vogliono i bambini? Pace. È vero che nel campo hanno corsi di educazione, ma che cosa hanno visto quei bambini… Ecco un disegno dove si vede un bambino che annega. Questo lo hanno nel cuore, oggi davvero c’era da piangere. Hanno in memoria questo. Uno ha disegnato il sole che piange. Ma se il sole è capace di piangere anche a noi una lacrima ci farà bene».

Perché lei non fa differenza tra chi fugge la guerra e chi fugge la fame? L’Europa può accogliere tutta la miseria del mondo?
«Oggi nel mio discorso ho detto che alcuni fuggono dalle guerre e altri dalla fame. Tutti e due sono effetto di sfruttamento. Sfruttamento della terra: mi diceva un capo di governo dell’Africa che la prima decisione del suo governo era la riforestazione, perché la terra era diventata morta dallo sfruttamento delle foreste. Si devono fare opere buone sia per chi fugge la guerra sia per chi fugge la fame. Io inviterei i trafficanti di armi – in Siria per esempio, chi dà le armi a diversi gruppi – a passare una giornata in quel campo profughi. Credo che per loro sarebbe salutare».

Lei ha detto questa mattina che era un viaggio triste, commovente. Però qualcosa è cambiato perché ci sono dodici persone a bordo, un piccolo gesto di fronte a chi volta la testa dall’altra parte...
«Faccio un plagio e rispondo con una frase non mia. Avevano domandato a Madre Teresa di Calcutta: perché tanto sforzo e tanto lavoro solo per accompagnare le persone a morire? E lei: è una goccia d’acqua nel mare, ma dopo questa goccia il mare non sarà lo stesso. È un piccolo gesto ma uno di quei piccoli gesti che dobbiamo fare tutti noi uomini e donne per tendere la mano a chi ha bisogno».

Siamo venuti in un paese di immigrazione ma anche di politica economica di austerità: Lei ha un pensiero economico di austerità?
«La parola austerità ha diversi significati: economicamente significa un capitolo di un programma, politicamente un’altra cosa, spiritualmente un’altra cosa. Quando io parlo di austerità mi riferisco al confronto con lo spreco. Ho sentito dire alla FAO che con il cibo sprecato si potrebbe risolvere la fame nel mondo e noi a casa nostra quanti sprechi facciamo senza volerlo! È questa cultura dello scarto e dello spreco. Austerità la dico in senso cristiano».

Questa mattina ha incontrato il candidato alla nomination democratica Bernie Sanders. Ha voluto entrare nella politica americana?  
«Questa mattina mentre uscivo c’era lì il senatore Sanders che era venuto al convegno sulla “Centesimus annus”. Lui sapeva che io uscivo a quell’ora e ha avuto la gentilezza di venirmi a salutare, lui insieme alla moglie e un’altra coppia che era alloggiata a Santa Marta come tutti i membri del convegno. Quando sono sceso l’ho salutato, una stretta di mano, niente di più. Questa si chiama educazione, non immischiarsi in politica. Se qualcuno pensa che dare un saluto sia immischiarsi in politica, gli raccomando di trovarsi uno psichiatra».

Vorrei fare una domanda sull’esortazione «Amoris laetitia»: come lei ben sa ci sono state molte discussioni su uno dei punti: alcuni sostengono che niente è cambiato per l’accesso ai sacramenti ai divorziati risposati, altri sostengono che molto è cambiato e ci sono tante nuove aperture. Ci sono nuove possibilità concrete o no?  
«Io posso dire sì. Ma sarebbe una risposta troppo piccola. Vi raccomando di leggere la presentazione del documento che ha fatto il cardinale Schönborn, che è un grande teologo e ha lavorato alla Congregazione per la dottrina della fede».

Perché ha messo in una nota e non nel testo il riferimento all’accesso ai sacramenti?  
«Senta, uno degli ultimi Papi, parlando del Concilio, ha detto che c’erano due concili, quello Vaticano II, in San Pietro, e quello dei media. Quando ho convocato il primo Sinodo, la grande preoccupazione della maggioranza dei media era: potranno fare la comunione i divorziati risposati? Siccome io non sono santo, questo mi ha dato un po’ di fastidio e un po’ di tristezza. Perché quei media non si accorgono che quello non è il problema importante. La famiglia è in crisi, i giovani non vogliono sposarsi, c’è un calo di natalità in Europa che è da piangere, la mancanza di lavoro, i bambini che crescono da soli… Questi sono i grandi problemi. Non ricordo quella nota, ma se è in nota è perché è una citazione dell’Evangelii gaudium».

Andrea Tornielli


Fonte: Vatican Insider

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