ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 14 aprile 2016

“Prostitutiones”

LIBERTA' RELIGIOSA O TEOCRASIA?






 
Continua diabolicamente inquietante la pretesa magisteriale modernista di predicare nella confusione delle fedi la più assoluta libertà religiosa, libertà di traghettare problematiche verità umane - quelle che nei nostri Libri Sacri Iddio chiamava “prostitutiones” - sul vascello di un “Caròn demonio” ossessionato dalla retorica dell’ecumenica tolleranza e finta misericordia?

Cruciale e irrisolto persiste oggi il dubbio suscitato nell’animo del cristiano dall’anticattolica equiparazione di tutte le “altre” religioni alla propria, quale risposta spacciata dai modernisti per buona e misericordiosa, ma di fatto falsa, al variegato bisogno di sacro ch’è insito nella natura umana.

A forza di predicare tolleranza e valore intrinseco di ogni credo non si corre forse il rischio di estromettere Cristo dal centro dell’universo e considerare il cristianesimo una religione come tante altre, nelle quali si è espressa sin dai primordi in modi diversi, ma tutti da intendersi come pseudo portatori di qualche verità, la ricerca di Dio da parte dell’uomo?
E’ un rischio di equivoca semplificazione modernistica che merita una riflessione e qualche puntualizzazione.

Il richiamo religioso non cristiano che sgorga dalla natura dell’uomo, pur lodevole e rispettabile anelito universale di tutte le religioni del mondo verso il Creatore, opera in un ordine naturale qualitativamente diverso e inferiore al richiamo religioso soprannaturale del cristianesimo, dominio della Grazia, la vita divina che viene partecipata al credente in modo incipiente ma reale, elemento ontologico, non solo morale, proprio ed esclusivo della religione cristiana.

Il tema della libertà religiosa assume una rilevanza centrale nel moderno e affossato dibattito sul dialogo interreligioso, specie per quanto attiene al posto preminente riservato, in certi documenti magisteriali, dalla Chiesa cattolica agli altri due monoteismi, riconoscendo gli ebrei e i musulmani come “figli di Abramo”.

Va chiarito che non è la discendenza anagrafica da Abramo, che fa eredi delle promesse a lui fatte, ma l’imitazione della sua fede. Se ebrei e musulmani fossero intimi figli spirituali e non solo di sangue e morali di Abramo subito riconoscerebbero il Cristo della nostra fede, che invece crocifiggono come malfattore e rinnegano come falsario.
C’è somiglianza al padre Abramo in chi come lui si dispone a vedere nelle Scritture il Cristo futuro, a esultare e rallegrarsi per la sua venuta. Solo chi fa realmente le opere di Abramo imitandolo nella fede può dirsi intimamente e spiritualmente figlio di Abramo e non solo suo discendente di carne, che non esita a sbarazzarsi del Cristo rivelatore della verità di Dio.

La religione cattolica è fondata su una Rivelazione soprannaturale, cioè sulla Grazia, che è la vita divina di Cristo, elemento nuovo, ontologico non solo morale, che fa della nostra professione di fede l’unica vera e autentica, al contrario delle altre credenze che da questo carattere divino non sono sfiorate.
Proprio il mistero di questo carattere reale, soprannaturale e divino, che s’iscrive nel reale naturale del nostro animo per via sacramentale e incipiente nel Battesimo, rafforza e rende unica la nostra dottrina, a cui dobbiamo fedeltà assoluta senza cedimenti.

Il sofisma modernista, secondo cui “tutte le religioni posseggono un po’ di verità ed esprimono la ricerca di Dio da parte dell’uomo” in modo vario, fruttuoso e - comunque sia - portatore di ricchezza, si scontra manifestamente con la millenaria dottrina soprannaturale della Grazia e perciò toglie consistenza edificatoria al terreno comune su cui si presume di fondare un dialogo interreligioso che conservi il proprio e l'ineludibile dell’identità cristiana


di U. T.

http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1471_U-T_Liberta-religiosa_o_teocrasia.html


Quando il prete diventa sociologo si dimentica di Dio







Infiltrata dalla corrente oggi prevalente in Occidente, e che tende a creare una sorta di «società liquida», dove tutto sembra, appunto, liquefarsi in tutto, anche la Chiesa pare volere dissolvere i contorni netti della fede in una sorta di brodo indeterminato e rimescolato dal «secondo me» di certi sacerdoti.
Non ostacolati, anzi istigati, dai teologi che sappiamo. Ebbene: della fede, i sacramenti sono l'espressione, il frutto, il dono più alto e prezioso.

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Alla base di tutto quanto succede nella Catholica ormai da decenni, c'è quanto l'autore denunciava anche nei libri precedenti: quella «svolta antropocentrica che ha portato nella Chiesa molta presenza dell'uomo, ma poca presenza di Dio». La sociologia invece della teologia, il Mondo che oscura il Cielo, l'orizzontale senza il verticale, la profanità che scaccia la sacralità. La sintesi cattolica - quella sorta di legge dell'et-et, di unione degli opposti che regge l'intero edificio della fede - è stata troppo spesso abbandonata per un'unilateralità inammissibile.

Quanto ai sacramenti in particolare, da laico sarei tentato di lanciare una sorta di monito ai sacerdoti. Attenti! - mi verrebbe da dire - non sappiamo che farcene (ne abbiamo già troppi) di sociologi, sindacalisti, politologi, psicologi, ecologi, sessuologi e, in genere, di tuttologi! Attenti, perché non c'è bisogno di preti, frati, monaci che esercitino i mestieri che dicevo, per giunta spesso da improbabili orecchianti. Non si dimentichi mai che quella che soltanto il consacrato può esercitare, quella dove non ha e non può avere «concorrenza» è la funzione di tramite, di legame, tra l'uomo e Dio. 

Nell'amministrazione, appunto, dei sacramenti. È il «santificare» il munus che - per ridurci all'essenziale - ne giustifica l'esistenza e la presenza. Ottimo, se ben condotto, l'impegno clericale nel sociale, nella cultura, in ogni campo dell'attività umana. Ottimo ma non indispensabile: anche noi laici quegli impegni sappiamo esercitarli e li esercitiamo, assai spesso, ben meglio. Da professionisti e non da dilettanti. Ma solo un uomo cui sono state imposte le mani scandendo sul suo capo le parole alte e terribili «tu es sacerdos in Aeternum», solo un uomo così può assicurarci il perdono di quel Cristo di cui è tramite; e può trasformare, nella fede, il vino e il pane nel sangue e nella carne del Redentore. Lui solo. Nessun altro al mondo.

Le folle si accalcano, per un istinto profondo, attorno all'altare e al confessionale di padre Pio, spintonando per essere il più vicini possibile alla sua eucaristia e per poter avere il privilegio di affidare a lui i peccati che Gesù giudicherà. Ma non si conoscono folle, se non di studenti iscritti a quel corso, attorno alla cattedra del chierico teologo che spiega che è puerile credere alla realtà anche «materiale» dell'Eucaristia. E che è una sceneggiata, indegna del cristiano adulto, pensare che il perdono dei peccati passi attraverso uno strumento, un uomo come noi. Già, ma al contempo, invisibilmente, diverso. Diverso perché consacrato.

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post scriptum Proprio il giorno dopo avere concluso la mia riflessione qui sopra, ho ricevuto l'ultimo libro di Hans Küng, Morire felici?. Il teologo svizzero (che si offende se qualcuno non lo definisce «cristiano», anzi «cattolico») è tra i promotori e attivisti di Exit, la più nota e attiva organizzazione in Europa per la «morte assistita», cioè l'aiuto fattivo per l'eutanasia. Con macabra ipocrisia, chi chiede di farla finita è trattato come in un confortevole albergo e, al momento da lui desiderato, è fatto accomodare sulla poltrona di un salotto silenzioso e deserto. Un'infermiera pone sul tavolino un bicchiere con una bevanda dal sapore gradevole ma spaventosamente tossica e se ne va, chiudendo la porta. Porta che sarà riaperta poco dopo per constatare la morte e portare via il cadavere. Ipocrisia macabra, dicevo. Exit si limita a mettere a disposizione un luogo tranquillo e a posare sul mobile un veleno mortale: che può farci se quel signore, o quella signora, decidono di bere la mistura? Sono liberi, perbacco, nessuno li obbliga!

Il «cattolico» Küng è prete e non ha mai chiesto di abbandonare il sacerdozio, anche se nessuno lo ha mai visto con un clergyman o, peggio, con paramenti ecclesiastici, ed egli stesso si stupirebbe molto se qualcuno lo chiamasse «don Hans». Già nel capitolo introduttivo di questo suo pamphlet, che intende dimostrarci quanto il suicidio e l'eutanasia siano «biblici», anzi «evangelici», non manca, come sempre, di scagliarsi contro quella Catholica che lo ha ordinato, che gli ha dato il potere di amministrare i sacramenti. Scrive, dicendo di desiderare il vero bene dell'uomo, cosa che non fanno i disumani monsignori romani: «Vorrei una Chiesa che aiutasse l'uomo a morire, anziché limitarsi a dargli l'estrema unzione. Si tratta di aiutare a morire bene una persona che vuole dire addio alla vita».

Impegno sociale sino agli estremi, dunque: una struttura creata e gestita dalla Chiesa che accolga gli aspiranti suicidi e li aiuti a raggiungere il loro fine, rapidamente e senza dolore. È questa la carità? Questo il dovere della comunità cristiana? È forse caritatevole limitarsi a quel sacramento, a quell'estrema unzione (o unzione degli infermi, come oggi si dice) che si limita ad accompagnare alla morte, biascicando antiche parole e procedendo ad anacronistiche unzioni, non occupandosi però delle sofferenze fisiche del morituro? Lui, Küng, non ha dato e non dà il buon esempio, pilastro illustre com'è di Exit, di quella agenzia «sociale» che accoglie, con premura cristiana, chi altrimenti sarebbe costretto a gettarsi nel fiume o dalla finestra o a farsi stritolare dal treno.

È con amarezza che ho qui spiacevole conferma alla domanda che, sopra, mi ponevo: dimentichi come sono del loro ruolo di insondabile valore, di un ruolo che nessun altro al mondo può esercitare, che ce ne facciamo di preti così? Chi, accanto al suo letto di morte, vorrebbe un professore di teologia nella prestigiosa università di Tübingen e non lo scambierebbe volentieri col più oscuro e magari indotto dei preti, ancora consapevole, però, del valore tanto misterioso quanto efficace, nel senso vero, del sacramento?

ilgiornale.it

http://associazionemadonnaumiltapistoia.blogspot.it/2016/04/quando-il-prete-diventa-sociologo-si.html

2 commenti:

  1. E mentre noi cattolici facciamo interminabili riunioni, interminabili discorsi,interminabili ipotesi , interminbili piagnistei; scriviamo articoli su articoli, libri su libri;tavole rotonde, quadrate, circolari e che più ne ha più ne metta ; la nostra chiesa sta naufragando ingurgitata dal gorgo della più melensa e cerchiobottista ingavia clericale. Ma come si può far finta e anzi tenendo bordone e scusando il tradimento palese di colui che dovrebbe essere il primo difensore della " Purezza della Fede" ,facendo distinzioni tra magistero, pastorale,chiacchere tra amici e via dicendo ? Ma che tradimento totale è questo !!!!!???? C'è qualche cardinale o vescovo che ha un po' di santo coraggio divino ? Oppure tutti nascosti a capo chino a lavorare nel proprio orticello ? jane

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  2. Concordo.
    Raffinatissime analisi teologiche, esegetiche e magisteriali non riescono a dare con chiarezza dell'IMPOSTORE, DEDITO ALL'IMPOSTURA PIU' DISINIBITA, all'autore di tanti discorsi a filastrocca, sempre uguali: sia per la fascinazione delle folle (unitamente a baci a sprecare a bambini e disabili) sia per la dura condanna dei resistenti al regime, quello instaurato all'emporio Santa Marta (vi si vende misericordia taroccata).

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