LO SPIRITO E IL MONDO
I cristiani dei nostri giorni hanno strane pretese che non vi sia alcuna ragione di contrasto tra loro, la loro religione e il mondo. A forza di parlare di apertura verso il mondo si sono dimenticati delle parole di Gesù Cristo di Francesco Lamendola
I cristiani dei nostri giorni hanno incominciato a coltivare una strana pretesa, e tale pretesa si è fatta sempre più forte e insistente, sempre più radicata ed univoca: che non vi sia, in ultima analisi, alcuna ragione di contrasto profondo tra loro e il mondo, tra la loro religione e ciò in cui crede il mondo. A forza di parlare di apertura verso il mondo, di pluralismo culturale, di dialogo interreligioso, di ponti da gettare e barriere da far cadere, si direbbe che si siano dimenticati delle precise parole di Gesù Cristo, secondo le quali non si possono servire contemporaneamente due padroni: Dio e Satana. E siccome Gesù, su questo punto, è stato di una chiarezza addirittura inesorabile, e ha detto che i suoi seguaci saranno rifiutati, maledetti e perseguitati a morte, così come è accaduto a Lui, ecco che molti cristiani dei nostri tempi hanno incominciato ad elaborare una teologia tutta loro, tutta umana e pragmatica, infiorata di belle espressioni e spacciata per quella autentica, mentre ne è, di fatto, l’esatto rovesciamento: che si può piacere al mondo e anche a Dio, anzi, che si deve piacere ad entrambi, perché il “mondo”, dopo tutto, non è qualcosa di malvagio, ma è parte della bellezza e della verità della creazione.
Ora, su tale questione, è necessario fare chiarezza una volta per tutte, semplicemente tornando a leggere il Vangelo e senza alcun bisogno di dir cose nuove, anche perché chi volesse dir cose nuove tradirebbe il Vangelo, la cui verità è eterna e definitiva, e nessun uomo potrebbe presumere di aggiungervi anche solo una virgola, senza tradirlo. Eppure, specialmente durante e dopo il Concilio Vaticano II, abbiamo assistito esattamene a questo spettacolo; abbiamo sentito esprimere, sempre più spesso, e senza imbarazzo alcuno, esattamente questa pretesa: di dir cose nuove rispetto al Vangelo, d’interpretarlo in maniera più esatta, andando verso il mondo e traducendo la sua Verità in maniera tale che sia usufruibile al mondo. Ora, il chiarimento è questo: che il “mondo”, inteso come l’insieme delle realtà create da Dio, certamente non è malvagio in se stesso, ma, altrettanto certamente, almeno per un cristiano, è stato ferito dal Peccato originale e dalle sue conseguenze, anzi, ha subito una triplice ferita. La prima è consistita nella disobbedienza e nella mancanza di timor di Dio, da parte di Adamo ed Eva, i quali vollero mangiare proprio dell’unico albero il cui frutto era stato loro proibito. La seconda è consistita nella rottura del rapporto di solidarietà e amore fra le creature, attuatasi con l’omicidio di Abele da parte di suo fratello Caino. La terza ferita è stata provocata dalla pretese umana di fare senza Dio e, addirittura, sfidando Dio, cioè di utilizzare l’intelligenza come un’arma per sostituirsi al Creatore: ed è il peccato della torre di Babele, che prosegue ancor oggi (come gli altri, del resto) sotto la forma di una scienza e di una tecnica diaboliche, incuranti di ogni legge umana e divina e protese unicamente a manipolare le forze naturali, per il cieco vantaggio dell’uomo. E dunque, è chiaro che il “mondo” non è intrinsecamente buono; non da quando la volontà umana ne ha fatto il luogo dello scontro con Dio, del rifiuto di Dio e della pretesa, tutta umana, di sostituire i propri disegni a quelli del suo Creatore.
Il Nuovo Testamento, e specialmente il Vangelo di Giovanni – un libro dalle profondità abissali, che non finisce mai di sorprendere chi lo legge, e sia pure per la centesima volta, per la straordinaria potenza del suo messaggio, in cui si intravede più che mai una Verità di origine sovrumana – adopera la parola “mondo” in senso decisamente ed esclusivamente negativo. Il “mondo”, per Giovanni, è sotto il dominio di Satana (cfr. 16, 11), anche se Satana stesso è già stato giudicata e, pertanto, il tempo che gli rimane è assai limitato; concetto che verrà ulteriormente sviluppato nel libro dell’Apocalisse, che la Tradizione attribuisce al medesimo autore (o, se si vuole, al medesimo gruppo di autori) del quarto Vangelo. Ma non si tratta, a ben guardare, di una accezione del tutto diversa da quella corrente: Giovanni, infatti, non afferma che il mondo è il regno di Satana, ma che è sotto il dominio di Satana; il mondo, dunque, non è espressione del Male, né rappresenta il Male. Il mondo è il mondo, ossia il mondo degli uomini; ma, poiché gli uomini, seguendo le logiche perverse che hanno guidato Adamo, Caino e i costruttori della torre di Babele, hanno disprezzato l’amore di Dio, ne deriva che il mondo, fatalmente, nel suo insieme, rappresenta l’antitesi al piano provvidenziale di Dio; è il suo esatto contrario, come avrebbe ulteriormente spiegato Sant’Agostino nella Città di Dio. O si appartiene alla Città di Dio, dove regna l’amore dell’uomo per il suo Creatore e dove si osserva le legge insegnata da Cristo, oppure si appartiene alla Città degli uomini, che è il “mondo” nel senso giovanneo della parola: l’insieme dei falsi valori che giustificano e reggono tutto l’edificio di menzogne e ingiustizie eretto dall’umano egoismo per resistere all’amore di Dio, che è, nel medesimo tempo, invito all’oblio di sé.
Ne consegue che lo scontro fra le due città è inevitabile, poiché discende da una caratteristica essenziale di ciascuna di esse: o l’amore di sé da parte dell’uomo, o l’amore di Dio e l’oblio di se stesso. Sbaglierebbe, però, e di molto, chi pensasse che uno scontro siffatto avviene solo all’esterno: il primo luogo della perenne battaglia è all’interno dell’anima umana, si svolge nelle profondità della coscienza. La città di Dio è innanzitutto nell’anima umana che si apre alla parola di Cristo e si sforza di metterla in pratica; mentre la Città degli uomini è nell’anima che si chiude a quella Verità, pur avendola conosciuta, e che la rifiuta, pur avendo ascoltato le parole del Signore. Si ricordi la parabola evangelica dei vignaioli omicidi: il padrone della vigna, nel suo grande amore e nella sua ineffabile pazienza, ha mandato, uno dopo l’altro, i suoi servi più fedeli, per richiamare i vignaioli al loro dovere; e, alla fine, ha mandato loro il suo stesso figlio; ma quelli non li hanno voluti ascoltare, anzi, li hanno uccisi, pensando, così, di diventare i padroni della vigna, per sempre.
Dice Gesù ai suoi discepoli durante l’Ultima Cena (Giovanni, 15, 9-27 e 16, 1-15):
Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi: rimanete nel mio amore! Se metterete in pratica i miei comandamenti, sarete radiato nel mio amore; allo stesso modo io ho messo in pratica i comandamenti del Padre mio e sono radicato nel mio amore.
Vi ho detto questo, perché la mia gioia sia anche vostra, e la vostra gioia sia perfetta.
Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate quello che io vi comando. Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa che cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici, perché vi ho fatto sapere tutto quello che ho udito dal Padre mio.
Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho destinati a portare molto frutto – un frutto duraturo. Allora il padre vi darà tutto quello che chiederete nel nome mio. Questo io vi comando: amatevi gli uni gli altri.
Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se voi apparteneste al mondo, il mondo vi amerebbe come suoi. Invece voi non appartenete al mondo, perché io vi ho scelti e vi ho strappati al potere del mondo. Perciò il mondo vi odia. Ricordate quello che vi ho detto: un servo non è superiore al suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno messo in pratica la mia parola, metteranno in pratica anche la vostra. Vi tratteranno così per causa mia, perché non conoscono il Padre che mi ha mandato. Se io non fossi venuto in mezzo a loro a insegnare, non avrebbero colpa. Ora invece non hanno nessuna scusa per il loro peccato. Chi odia me, odia anche il Padre mio. Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro ha fatto, non avrebbero colpa. Invece le hanno vedute, eppure hanno odiato me e il Padre mio. Così si realizza quello che sta scritto nella loro legge MI HANNO ODIATO SENZA MOTIVO.
Quando verrà il consolatore che io vi manderò da parte del Padre mio – lo Spirito della verità che proviene dal Padre - egli vi sarà il mio testimone, e anche voi lo sarete, perché siete stati con me dal principio.
Vi ho detto questo perché ciò che vi capiterà non turbi la vostra fede. Sarete espulsi dalle sinagoghe; anzi verrà un momento in cui vi uccideranno pensando di fare cosa gradita a Dio. Faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io ve l’ho detto perché, quando verrà il momento dei persecutori, vi ricordiate che io ve ne avevo parlato. Non ne ho parlato fin al principio perché ero con voi.
Adesso io ritorno al Padre che mi ha mandato fra gli uomini, e nessuno di voi mi chiede dove vado. Però siete tristi perché vi ho detto queste cose. Ma io vi assicuro che per voi è meglio, se io me ne vado. Perché se non me ne vado, non verrà da voi lo Spirito che vi difende. Invece, se me ne vado ve lo manderò. Egli verrà e mostrerà di fronte al mondo cosa significa peccato, giustizia e giudizio. Il peccato del mondo è questo: che non hanno creduto in me. La giustizia sta dalla mia parte, perché torno al Padre e non mi vedrete più. Il giudizio consiste in questo: che Satana, il dominatore di questo mondo, è già stato giudicato.
Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora sarebbe troppo per voi; quando però verrà lui, lo Spirito della verità vi guiderà verso tutta la verità. Non vi dirà cose sue, ma quelle che avrà udito, e vi parlerà delle cose che verranno. Nelle sue parole sim manifesterà la mia gloria, perché riprenderà quello che io ho insegnato, e ve lo farà capire meglio. Tutto quello che ha il Padre, è mio. Per questo ho detto: lo Spirito riprenderà quello che io ho insegnato, e ve lo farà capire meglio.
In questo bellissimo, struggente brano di prosa, nel quale sembra di udire, ancor viva e presente, la voce di Gesù Cristo che parla ai suoi discepoli, ai nostri giorni, proprio come duemila anni fa, nel cenacolo di Gerusalemme, risuona un giudizio severo: il mondo è già stato giudicato, allorché ha scelto di non ascoltare le parole del Figlio, che vengono direttamente dal Padre; proprio come è già stato giudicato il suo occulto, potente padrone, Satana. Nessun compromesso è possibile: o si è amici di Dio (non vi ho chiamato servi), oppure si serve il Diavolo. Chi pensa di poter servire due padroni, sia il mondo che il Padre, o è impazzito, o, peggio, sta perpetrando il più perfido, il più vile dei tradimenti: sta cercando di confondere il gregge, sta cercando d’introdurre l’astuzia del Diavolo in mezzo alle pecore, per farle perire, contraffacendo la voce del pastore.
Si rileggano i versetti 8 e 9 del capitolo 16: Egli verrà e mostrerà di fronte al mondo cosa significa peccato, giustizia e giudizio. Il peccato del mondo è questo: che non hanno creduto in me. Sono parole chiarissime: eppure certi teologi e certi cattivi pastori le hanno stravolte, le hanno deturpate, insinuando che, in omaggio alle logiche del mondo, non bisogna proclamare la Verità, ma, tutt’al più, sussurrare, a bassa voce, una delle tante verità che piacciono al mondo, che sono compatibili con le logiche del mondo; e questa mistificazione del Vangelo, essi l’hanno qualificata con l’espressione pomposa di “dialogo interreligioso”, relativizzando, in pratica, sia la Verità, sia i valori che ne discendono. Ed ecco che, attraverso la breccia del relativismo, ogni sorta di peccati e turpitudini si affacciano e diventano possibili, logici, persino accettabili: perché non si tratta più della Verità divina, ma di una verità tutta umana, adulterata e spacciata per il Vangelo.
Il loro linguaggio li tradisce. Essi non parlano quasi più di quelle cose che Gesù ha posto al centro del suo discorso d’addio, durante l’Ultima Cena, subito prima d’istituire il sacramento dell’Eucarestia; quasi non fanno più menzione di quelle tre parole chiave: peccato, giustizia e giudizio. Non parlano più del peccato: come se il peccato non esistesse, come se si potesse parlare, al massimo, di “errori”, concetto esclusivamente umano, appartenente ad un’etica puramente umana. Invece il peccato esiste, eccome: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te, dice il figlio prodigo, pentendosi e supplicando di essere perdonato; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio! Non parlano più neanche della giustizia: parlano solo della misericordia, che è, certamente, un volto di Dio, anche il volto “principale”, se così vogliamo dire; ma il fatto è che misericordia e giustizia, in Dio, formano un binomio inscindibile, e che il peccato offende la giustizia ed esige una riparazione. Infine, non parlano quasi più del giudizio: non parlano, del resto, neppure dei Novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso. Perché non ne parlano più? Dicono che non bisogna adoperare un linguaggio troppo severo; che non bisogna fare i profeti di sventura; che il cristianesimo è gioia, e che la Chiesa deve smetterla di perseguire una “pedagogia della paura”, basata sulla minaccia del castigo. Eppure Gesù in persona ha parlato in modo inequivocabile: chi rifiuta il Vangelo, rifiuta il Padre; e chi rifiuta il Padre è già stato giudicato. Non esistono scusanti per il mondo, il quale, dopo ave udito la parola di Dio, per bocca di Gesù, ha rifiutato di ascoltarla e di metterla in pratica. Oppure quei signori pensano di parlare a nome di Dio, meglio di Dio stesso? Hanno forse dimenticato che non c’è servo superiore al padrone? A nome di chi parlano, costoro?
Lo Spirito e il mondo
di Francesco Lamendola
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