ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 12 aprile 2016

La verità è relativa?

Spadaro: Amoris Laetitia, la dottrina è radicalmente pastorale

Pubblichiamo l'intervista rilasciata da Padre Antonio Spadaro, Direttore de La Civiltà Cattolica e noto confidente e ispiratore di Papa Francesco, a Radio Vaticana, il 9 aprile 2016.
É evidente che questa intervista è una prima risposta alle critiche mosse copiose all'Esortazione Apostolica del Papa, alla cui redazione, si dice, abbia partecipato lo stesso Spadaro.

Da parte nostra continueremo a pubblicare quanto possiamo su questa Esortazione, compresi alcuni interventi favorevoli, come il presente, perché si possa comprendere lo spirito che anima quella parte degli uomini di Chiesa che oggi ne sono alla testa e che sono convinti di dover condurre la Chiesa di Cristo in braccio agli uomini e alle loro pretese esclusivamente umane e materiali.Sappiamo che “non prevalebunt”, ma intanto il Signore permette che questo avvenga e ci sembra di capire che con questo Egli voglia mettere alla prova i suoi veri fedeli, soprattutto permettendo che la spinta alla demolizione venga direttamente da chi sta oggi seduto sul Soglio di Pietro.
Se così fosse, come crediamo che sia, la prova è tremenda, perché pone i cattolici fedeli di fronte al dovere di difendere Nostro Signore e di rifiutare lor signori, ad ogni costo.

Con l'aiuto di Dio, cercheremo di non venir meno a questo nostro dovere.


I neretti sono della redazione di Radio Vaticana





Papa Francesco a colloquio con Padre Spadaro

Nell'ultimo numero della rivista La Civiltà Cattolica, il direttore, il padre gesuita Antonio Spadaro, illustra il significato e la struttura dell'Esortazione apostolica Amoris Laetitia di Papa Francesco, pubblicata ieri come frutto di due Sinodi sulla famiglia. Il documento è descritto come aderente all'esperienza quotidiana e capace di superare visoni astratte della famiglia. Ascoltiamo padre Spadaro al microfono di Fabio Colagrande:

R.- In fondo questa è un’esortazione che può leggere chiunque, non è riservata agli addetti ai lavori. Quindi direi che il respiro è assolutamente ampio e intriso di esperienza. Soprattutto è importante l’insistenza del Papa sull’evitare ogni forma d’inutile astrazione idealistica di cui spesso è stato intriso il linguaggio teologico. Amoris Leatitia intende ribadire con forza non l’ideale astratto della famiglia ma la sua realtà ricca e complessa. C’è un approccio assolutamente positivo nei confronti della realtà, accogliente, cordiale.

D. - Possiamo dire dunque un documento che afferma come teologicamente non esistano verità astratte ..

R. - Il Papa afferma che c’è una dottrina cristiana il cui significato deve essere radicalmente pastorale. Questo in fondo mi sembra il cuore, il motore dell’Esortazione Apostolica, cioè la dottrina è radicalmente pastorale, serve – come dice il Diritto Canonico – per la “salus animarum”, cioè la salvezza delle anime, delle persone. Se non c’è questo la dottrina diventa un insieme di pietre inutili.

D. - Sembra abbastanza chiaro che una delle parole chiave di questo documento sia discernimento. Ma quale significato assume nel cuore dell’Amoris Laetitia?

R. - Il discernimento significa - nella prospettiva ignaziana - soprattutto cercare e trovare Dio nella propria vita. Quindi è chiaro che c’è un riferimento forte alla dottrina evangelica che però poi si incarna nella mia vita concreta, quindi nella mia libertà, nella mia coscienza, nei miei limiti. Quindi il Papa concentra la sua attenzione su questo dialogo profondo tra l’uomo e Dio e su come la verità evangelica possa prendere forma all’interno di una vita umana.

D. – Questo non significa che c’è una verità ma poi nella pratica si possono fare degli strappi alla regola?

R. - Una volta il Papa disse, scandalizzando un po’, che la verità è relativa. Che cosa voleva dire? Non che la verità non sia assoluta, ma che è relativa alle persone, cioè se non c’è l’essere umano, la verità evangelica rimane sola, isolata, inutile. Quindi il discernimento consiste nel comprendere come la verità evangelica si incarna concretamente nella mia esistenza, nella mia persona.

D. - Circa la situazione delle famiglie ferite, quelle situazioni cosiddette “irregolari”, come dice Papa Francesco, il documento sottolinea  l’importanza di non porre limiti all’integrazione …

R. - Il Papa ha sempre insistito sulla necessità di integrare anche coloro che non sono in grado di vivere nella pienezza della vita cristiana. E la Chiesa madre, la Chiesa misericordiosa, è esattamente questo: una Chiesa che accoglie i suoi figli. Ciò significa che una norma canonica non può essere applicata sempre, comunque, in tutti i casi, in qualunque situazione, proprio perché esiste la coscienza. Quindi a volte ci si trova ad avere una situazione di peccato oggettivo – diremmo - dove però non c’è una colpevolezza soggettiva. Allora, un giudizio oggettivo su una situazione soggettiva non implica un giudizio sulla colpevolezza della persona coinvolta. Questo è un passaggio molto importante perché mette in risalto la coscienza e perché appunto non pone più un limite all’integrazione, neanche a quella sacramentale.

D. - In questo testo il Papa ripete un’affermazione centrale dell’Evangelii  Gaudium: “Il tempo è superiore allo spazio”. Nell’ambito della pastorale famigliare, cosa significa?

R. - La vita famigliare è un processo di maturazione che richiede tempo e che si dispiega nel tempo. È molto bella l’immagine di questo processo che avviene nella libertà. Il Papa parla spesso di maturazione, parla di crescita, di coltivazione dell’autentica autonomia. Quindi la Chiesa non deve essere, come ogni buona madre, troppo ossessiva nei confronti dei suoi figli, come se dovesse essere spazialmente presente sempre e dovunque accanto al figlio. L’importante è che ci sia un’intenzionalità e una vicinanza di cuore, che ci sia una sintonia che poi valorizzi la crescita e la libertà delle persone.

D. - L’attenzione dell’opinione pubblica, della stampa, era particolarmente mirata a vedere cosa avrebbe detto il Papa sulla questione della possibilità dell’accesso ai Sacramenti per i divorziati e risposati. Quale risposta dà questo documento?

R. - Probabilmente la domanda se i divorziati e risposati possono accedere ai Sacramenti o meno non ha più senso, perché fa riferimento all’idea di una norma generale applicabile a tutti i casi, quindi positiva o negativa. Il Papa smonta questa logica e afferma l’importanza del discernimento davanti a situazioni che sono molto differenti. Allora, innanzitutto, afferma con grande chiarezza che siamo chiamati a formare le coscienze non a pretendere di sostituirle. Quindi, dà grande valore alla coscienza che poi si deve confrontare con i pastori. È nel confronto con questi ultimi che si comprende qual è la situazione effettiva che le persone stanno vivendo, qual è il grado di responsabilità e si può capire quindi se questo accesso è possibile o meno.

D. - Il testo chiude il percorso sinodale sulla famiglia, ma apre qualcos’altro?

R. - Io non sarei così sicuro che questo testo chiuda qualcosa. Io ritengo che i testi di Papa Francesco non chiudano mai nulla. Semmai è una tappa molto importante a livello magisteriale, di alto profilo, all’interno del percorso sinodale che è stato aperto pochi mesi dopo l’elezione di Papa Francesco ma che certamente continuerà con l’approfondimento.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1466_Intervista_Spadaro_su_esortazione.html
Burke: Amoris Laetitia va accolta con rispetto. Ma non è magistero, lo dice papa FrancescoLa recente Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris Laetitia non va letta come una rivoluzione nella Chiesa, né come un radicale allontanamento dall’insegnamento e dalla prassi della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. Papa Francesco ha chiarito fin dall’inizio che l’Esortazione Apostolica Post-sinodale non è un atto di Magistero, ma una riflessione del Santo Padre sul Sinodo.
Amoris Laetitia
I media laici ed anche alcuni media cattolici stanno dipingendo la recente Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris Laetitia “Sull’amore nella famiglia” come una rivoluzione nella Chiesa, come un radicale allontanamento dall’insegnamento e dalla prassi della Chiesa, sul matrimonio e la famiglia, così come trasmesso fino ad ora. Una lettura del documento di questo tipo è sorgente di preoccupazione e di confusione per i fedeli, ed anche potenzialmente di possibile scandalo non solo per i fedeli, ma anche per tutte le persone di buona volontà che guardano a Cristo e alla Chiesa per insegnare e rispecchiare nella vita la verità sul matrimonio ed i suoi frutti, la vita della famiglia, cellula primaria della vita della Chiesa e di ogni società.

E’ anche un cattivo servizio alla natura del documento, quale frutto del Sinodo dei Vescovi, un incontro di Vescovi che rappresenta la Chiesa universale “per prestare aiuto con i loro consigli al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo” (can. 342). In altre parole, sarebbe in contraddizione con il lavoro del Sinodo generare confusione su ciò che la Chiesa insegna, tutela e promuove con la sua disciplina. L’unica chiave per la corretta interpretazione di Amoris Laetitia è l’insegnamento costante della Chiesa e della sua disciplina che protegge e promuove questo insegnamento. Papa Francesco ha chiarito fin dall’inizio che l’Esortazione Apostolica Post-sinodale non è un atto di Magistero (cf. n. 3). 
La tipologia stessa del documento conferma la stessa cosa. È scritto come una riflessione del Santo Padre sul lavoro delle ultime due sessioni del Sinodo dei vescovi. Per esempio, nel capitolo ottavo, che ad alcuni piace interpretare come il progetto di una nuova disciplina con implicazioni ovvie per la dottrina della Chiesa, Papa Francesco, citando l’Esortazione Apostolica post-sinodale, Evangelii Gaudium, afferma:
«Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”» (n. 308).
In altre parole, il Santo Padre sta proponendo ciò che lui personalmente ritiene essere la volontà di Cristo per la sua Chiesa, ma egli non intende imporre il suo punto di vista né condannare coloro che insistono su quella che lui chiama “una pastorale più rigida”. La natura personale cioè non magisteriale del documento emerge anche dal fatto che le citazioni riportate provengono principalmente dal documento finale della sessione 2015 del Sinodo dei Vescovi, nonché dai discorsi e dalle omelie di Papa Francesco stesso. Non si ha un impegno costante di collegare il testo in generale o tali citazioni al Magistero, ai Padri della Chiesa e agli altri autori provati.
Oltretutto, come evidenziato sopra, un documento che è il frutto del Sinodo dei Vescovi deve essere sempre letto alla luce dello scopo del Sinodo stesso, ossia la tutela e la promozione di ciò che la Chiesa ha sempre pensato e praticato conformemente al suo insegnamento. In altre parole, un’Esortazione Apostolica post-sinodale, per la sua propria natura, non propone una nuova dottrina e una nuova disciplina, ma applica la dottrina e la disciplina costanti alle situazioni del mondo contemporaneo.
Allora come deve essere recepito questo documento? Prima di tutto, deve essere accolto con quel profondo rispetto dovuto al Romano Pontefice in quanto Vicario di Cristo, che è, secondo le parole del Concilio Ecumenico Vaticano II, “perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli” (Lumen Gentium, n. 23). 
Alcuni commentatori confondono questo rispetto con un presunto obbligo di credere “per fede divina e cattolica” (can. 750, § 1) tutto ciò che è contenuto nel documento. Ma la Chiesa cattolica, mentre insiste sul rispetto dovuto all’Ufficio pietrino, in quanto istituito da Nostro Signore stesso, non ha mai sostenuto che ogni affermazione del Successore di San Pietro debba essere ricevuta come parte del suo Magistero infallibile.
La Chiesa storicamente è stata sensibile a quelle tendenze erronee che interpretavano ogni parola del Papa come vincolante per la coscienza, il che è certamente assurdo. Secondo l’insegnamento tradizionale, il Papa ha due “corpi”, uno in quanto membro individuale dei fedeli e perciò soggetto a mortalità e l’altro in qualità di Vicario di Cristo sulla Terra, e questo, secondo la promessa di Nostro Signore, perdurerà fino al suo ritorno nella gloria. Il primo corpo è il suo corpo mortale; il secondo è l’istituzione divina dell’Ufficio di San Pietro e dei suoi successori. I riti liturgici e gli abiti che rivestono il Papa sottolineano tale distinzione, cosicché una riflessione personale del Papa, mentre è ricevuta con il rispetto dovuto alla sua persona, non viene confusa con la fede vincolante dovuta all’esercizio del Magistero. Nell’esercizio del Magistero, il Romano Pontefice quale Vicario di Cristo agisce in una ininterrotta comunione con i suoi predecessori a partire da San Pietro.
Ricordo la disputa che accompagnò la pubblicazione delle conversazioni tra il beato Paolo VI e Jean Guitton nel 1967. La preoccupazione risiedeva nel pericolo che i fedeli avrebbero confuso le riflessioni personali del Papa con l’insegnamento ufficiale della Chiesa. Se da un lato il Romano Pontefice ha delle riflessioni personali che possono essere interessanti e stimolanti, la Chiesa deve essere sempre vigile nel segnalare che la pubblicazione di tali riflessioni è un atto personale e non un esercizio del Magistero papale. Diversamente, quanti non comprendono la distinzione o non la vogliono comprendere, presenteranno tali riflessioni ed anche aneddoti del Papa come dichiarazioni di un cambiamento nell’insegnamento della Chiesa, causando grande confusione nei fedeli. Una tale confusione è dannosa per i fedeli e indebolisce la testimonianza della Chiesa quale Corpo di Cristo nel mondo.
Con la pubblicazione di Amoris Laetitia, l’obiettivo dei pastori e di coloro che insegnano la fede è di presentarla nel contesto dell’insegnamento della disciplina della Chiesa, così che sia a servizio dell’edificazione del Corpo di Cristo nella sua prima cellula vitale, cioè il matrimonio e la famiglia. In altre parole, l’Esortazione Apostolica post-sinodale può essere correttamente interpretata, in quanto documento non magisteriale, solamente usando la chiave del Magistero, come spiegato nel Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 85-87).
La dottrina ufficiale della Chiesa infatti fornisce l’insostituibile chiave interpretativa dell’Esortazione Apostolica, di modo che possa veramente servire al bene di tutti fedeli, unendoli ancor più strettamente a Cristo, che è l’unica nostra salvezza. Non ci può essere opposizione o contraddizione tra la dottrina della Chiesa e la sua prassi pastorale, dal momento che come ci ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica, la dottrina è naturalmente pastorale: 
“La missione del Magistero è legata al carattere definitivo dell'Alleanza che Dio in Cristo ha stretto con il suo Popolo; deve salvaguardarlo dalle deviazioni e dai cedimenti, e garantirgli la possibilità oggettiva di professare senza errore l'autentica fede. Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinché il Popolo di Dio rimanga nella verità che libera. Per compiere questo servizio, Cristo ha dotato i pastori del carisma d'infallibilità in materia di fede e di costumi. L'esercizio di questo carisma può avere parecchie modalità” (n. 890).
Si può vedere la natura pastorale della dottrina, in maniera eloquente, nell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. Cristo stesso mostra la profonda natura pastorale della verità della fede nel suo insegnamento sul santo Matrimonio nel Vangelo (cf. Mt 19, 3-12), nel quale insegna nuovamente il piano di Dio sul matrimonio “fin dal principio”. Durante gli ultimi due anni, nei quali la Chiesa è stata coinvolta in una intensa discussione sul matrimonio la famiglia, ho richiamato spesso un episodio della mia infanzia. Sono cresciuto in una fattoria familiare nelle campagne del Wisconsin; ero il più giovane di sei figli di buoni genitori cattolici. La Messa domenicale delle 10 presso la nostra parrocchia nelle vicinanze del paese era chiaramente il cuore della nostra vita di fede; a un certo punto, mi sono accorto di una coppia, amici dei miei genitori provenienti dalla fattoria vicina, che era sempre presente alla Santa Messa, ma non riceveva mai la Santa Comunione. Quando chiesi a mio padre perché non ricevessero mai la Santa Comunione, egli mi spiegò che l’uomo era sposato con un’altra donna e perciò non poteva ricevere i Sacramenti.
Ricordo chiaramente che mio padre mi spiegò la prassi della Chiesa, nella fedeltà al suo insegnamento, in un modo sereno. La disciplina ovviamente aveva un significato per lui e aveva un significato per me; infatti la sua spiegazione fu per me la prima occasione di riflettere sulla natura del matrimonio come legame indissolubile tra il marito la moglie. Nello stesso tempo devo dire che il parroco trattava la coppia coinvolta con il più grande rispetto, anche se loro prendevano parte alla vita parrocchiale nella modalità appropriata allo stato irregolare della loro unione. Da parte mia, ho sempre avuto l’impressione che, sebbene debba essere stato veramente difficile non poter ricevere i Sacramenti, loro erano tranquilli nel vivere secondo la verità della loro situazione matrimoniale.
Dopo oltre quarant’anni di vita e ministero sacerdotale, per ventuno dei quali ho svolto il ministero episcopale, ho conosciuto molte altre coppie in situazioni irregolari, per le quali io o gli altri miei confratelli sacerdoti abbiamo avuto una cura pastorale. Sebbene la loro sofferenza fosse evidente ad ogni anima compassionevole, ho visto sempre più chiaramente negli anni che il primo segno di rispetto e amore nei loro confronti era dir loro la verità con amore. In quel modo, l’insegnamento della Chiesa non è qualcosa che li affligge ancora di più, ma in verità li libera per amare Dio e il loro prossimo.
Potrebbe essere di aiuto illustrare con un esempio la necessità di interpretare il testo di Amoris Laetitia alla luce del Magistero. Nel documento ci sono frequenti riferimenti all’ “ideale” del matrimonio. Una tale descrizione del matrimonio può essere fuorviante. Può condurre il lettore a pensare al matrimonio come ad un’idea eterna, alla quale gli uomini e le donne debbano più o meno conformarsi nelle circostanze mutevoli. Ma il matrimonio cristiano non è un’idea; è un sacramento che conferisce la grazia a un uomo e una donna per vivere in un fedele, permanente e fecondo amore reciproco. Ogni coppia cristiana validamente sposata, dal momento del consenso, riceve la grazia di vivere l’amore che si sono promesso reciprocamente. Siccome tutti soffriamo degli effetti del peccato originale e poiché il mondo in cui viviamo si fa fautore di una visione completamente differente del matrimonio, gli sposi sono tentati di tradire la realtà obiettiva del loro amore. Ma Cristo dà sempre loro la grazia di rimanere fedeli a quell’amore fino alla morte. La sola cosa che li può limitare nella loro risposta fedele è venir meno nel corrispondere alla grazia data loro nel sacramento del Santo Matrimonio. In altre parole, la loro difficoltà non è con una qualche idea che gli ha imposto la Chiesa. La loro lotta è con quelle forze che li conducono a tradire la realtà della vita di Cristo in loro. Negli anni e particolarmente durante gli ultimi due anni, ho incontrato molti uomini e donne che per svariate ragioni, si sono separate o hanno divorziato dai loro coniugi, ma che stanno vivendo nella fedeltà alla verità del loro matrimonio e stanno continuando a pregare ogni giorno per l’eterna salvezza dello sposo, anche se lui o lei li ha abbandonati. Nelle nostre conversazioni, essi riconoscono la sofferenza in cui sono coinvolti, ma soprattutto la profonda pace che provano nel rimanere fedeli al proprio matrimonio.
Alcuni ritengono che una tale reazione alla separazione o al divorzio sia un eroismo al quale la media dei fedeli non può giungere, ma in verità noi siamo tutti chiamati a vivere eroicamente, in qualunque stato di vita. Papa San Giovanni Paolo II, a conclusione del Grande Giubileo del 2000, riferendosi alle parole di Nostro Signore che concludono il Discorso della Montagna – “Siate perfetti come il Padre vostro” (Mt 5, 48) - ci ha insegnato la natura eroica della vita quotidiana in Cristo con queste parole:
“Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni « geni » della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. Ringrazio il Signore che mi ha concesso di beatificare e canonizzare, in questi anni, tanti cristiani, e tra loro molti laici che si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita. È ora di riproporre a tutti con convinzione questa « misura alta » della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione” (Novo Millennio Ineunte, no. 31).
Incontrando uomini e donne che, malgrado una rottura della vita matrimoniale, rimangono fedeli alla grazia del sacramento del Matrimonio, io sono stato testimone della vita eroica che la grazia rende a noi possibile ogni giorno.
Sant’Agostino di Ippona, in una predica per la festa di San Lorenzo, Diacono e Martire, nel 417, utilizza una bellissima immagine per incoraggiarci nella nostra cooperazione con la grazia che Nostro Signore ha ottenuto per noi con la sua Passione e Morte. Egli ci garantisce che nel giardino del Signore non ci sono solo le rose dei martiri, ma anche i gigli delle vergini, le edere degli sposi e le viole delle vedove. Egli perciò conclude che nessuno dovrebbe disperare riguardo alla propria vocazione perché “Cristo è morto per tutti” (Sermone 304). La ricezione di Amoris Laetitia, nella fedeltà al Magistero, possa confermare gli sposi nella grazia del sacramento del Santo Matrimonio, così che essi possano essere segno dell’amore fedele e duraturo di Dio per noi “fin dal principio”, un amore che ha raggiunto la sua piena manifestazione dell’Incarnazione redentiva del Figlio di Dio. Che il Magistero, quale chiave della sua comprensione, faccia sì che “il Popolo di Dio rimanga nella verità che libera” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 890). 

di Raymond Leo Burke* 12-04-2016
* Cardinale, Patrono del Sovrano Ordine militare di Malta
Traduzione in italiano di Luisella Scrosati

Il preside dell'Istituto Giovanni Paolo II: "L'esortazione è un documento positivo, non c'è alcun cambiamento"

Nota di mons. Livio Melina: "In nessuna parte Papa Francesco dice che i divorziati risposati possono accedere all’Eucaristia senza il requisito di vivere come fratello e sorella”
di Redazione | 11 Aprile 2016 
L'esortazione post sinodale Amoris laetitia è stata presentata venerdì scorso
Pubblichiamo un commento di mons. Livio Melina, preside dell'Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, all'esortazione apostolica post sinodale Amoris laetitia, presentata venerdì scorso. 


L’Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia accoglie con rispetto, gratitudine e filiale disponibilità l’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, con la quale Papa Francesco ha completato il cammino sinodale iniziato ormai due anni or sono. Abbiamo accompagnato questo percorso con la preoccupazione di non far mancare il nostro contributo, con apertura di mente e di cuore, con chiarezza e con parresìa, certi della fecondità dell’ispirazione che nasce da san Giovanni Paolo II, “il Papa della Famiglia” e che è maturata in questi ormai 34 anni di impegno nella ricerca e nella didattica, vissuti sempre a stretto contatto con l’esperienza concreta della pastorale familiare.

Desidero comunicare subito alcune riflessioni, che derivano da una prima lettura del documento. Ci saranno tempo occasioni per approfondire con l’attenzione che merita questo insegnamento di Papa Francesco, che si caratterizza soprattutto per il suo grande anelito pastorale di annunciare la Buona Novella della Famiglia nella prospettiva della misericordia, cercando di incontrare le famiglie nella concretezza dei loro problemi e delle loro fragilità, aprendo per tutti cammini di conversione e di crescita nell’amore.

ARTICOLI CORRELATI “Amoris laetitia è una rivoluzione pastorale, non dottrinale”, ci dice il teologo wojtyliano Esortazione post sinodale, la rivoluzione non c'è stata Gli eufemismi non veritativi di FrancescoNel dibattito ecclesiale e nell’opinione pubblica c’è stato grande interesse riguardo ad una questione concreta, che non è certamente quella più importante da un punto di vista pastorale: l’eventuale ammissione all’Eucaristia dei divorziati in nuova unione civile. Infatti, come lo stesso Papa Francesco ha fatto notare, non era questo il problema centrale del Sinodo; basti pensare alle grande sfide della Chiesa riguardo alla famiglia nell’odierno contesto: il fatto che i giovani si sposano sempre meno; la perdita di ruolo sociale del matrimonio; le nuove ideologie che minacciano la famiglia; e soprattutto e prima di tutto il grande compito di portare Cristo a tutte le famiglie in una nuova evangelizzazione... Eppure si è voluto concentrare l’attenzione su quel punto specifico, considerandolo il test di verifica dell’auspicato eventuale cambiamento della posizione della Chiesa (una “rivoluzione” si è detto), magari, come si sosteneva, solo a livello pastorale e non dottrinale.

Un cammino di accompagnamento e di integrazione per le persone lontane

E’ dunque legittima la domanda: il testo appena pubblicato rappresenta davvero un cambiamento nella disciplina tradizionale della Chiesa, permettendo finalmente ai divorziati “risposati” di ricevere la comunione, almeno in certi casi? Dopo aver letto il capitolo ottavo, in cui si esamina la questione, c’è una sola possibile conclusione: l’esortazione apostolica Amoris Laetitia non cambia la disciplina della Chiesa, che poggia su ragioni dottrinali, come indicato da Familiaris Consortio 84 e confermato da Sacramentum Caritatis 29. Infatti, il corpo del testo del capitolo ottavo neppure menziona l’Eucaristia. In nessuna parte della nuova esortazione post-sinodale Papa Francesco dice che i divorziati “risposati” possono accedere all’Eucaristia senza il requisito di “vivere come fratello e sorella” e pertanto questa esigenza di Familiaris Consortio 84 e di Sacramentum Caritatis 29 resta di piena validità come punto di riferimento per il discernimento. Questa chiarezza è il minimo che si dovrebbe chiedere per legittimare il cambiamento di una disciplina radicata nella tradizione e nella dottrina della Chiesa, stabilita fermamente dal Magistero della Chiesa (cfr. Mt 5, 37). È con chiarezza cristallina che San Giovanni Paolo II in Familiaris Consortio e Benedetto XVI in Sacramentum Caritatis si sono infatti espressi.

È evidente, allora, che Papa Francesco, il quale ha insistito sull’importanza del principio di sinodalità nella Chiesa, non ha voluto andare al di là delle decisioni sinodali. Pertanto, va detto con chiarezza che anche dopo Amoris Laetitia ammettere alla comunione i divorziati “risposati”, al di fuori delle situazioni previste da Familiaris Consortio 84 e da Sacramentum Caritatis 29, va contro la disciplina della Chiesa e insegnare che è possibile ammettere alla comunione i divorziati “risposati”, al di là di questi criteri va contro il Magistero della Chiesa.

Ciò che il documento di Papa Francesco propone, invece, è un cammino d’integrazione, che permetta a questi battezzati di avvicinarsi gradualmente al modo di vita del Vangelo. Infatti le norme oggettive non riguardano la colpevolezza soggettiva, della quale può essere giudice solo Dio che scruta i cuori, ma mostrano le esigenze e la meta a cui tende ogni evangelizzazione: una vita piena conforme al Vangelo, che la Chiesa è chiamata ad offrire a tutti, senza eccezioni né casistiche. Essa infatti è possibile, perché è ciò che chiede il Vangelo (n.102).

Quale è, dunque, la novità di questo capitolo ottavo? Non è la novità di un cambiamento di dottrina, ma dell’approccio pastorale misericordioso di Francesco, del suo desiderio di portare il Vangelo a coloro che sono lontani, seguendo così una logica d’integrazione progressiva. È per questo che il documento segnala che ci possono essere circostanze in cui le persone, che vivono obiettivamente in una situazione di peccato, magari non sono soggettivamente colpevoli a motivo dell’ignoranza, della paura, di affetti disordinati e di altre ragioni, che sempre la tradizione morale ha riconosciuto e che il Catechismo della Chiesa Cattolica menziona al n. 1735. Quest’affermazione è importante: significa che non dobbiamo giudicare o condannare queste persone, ma essere misericordiosi e pazienti con loro, così come lo è il Padre verso ciascuno di noi, e cercare per ognuno la strada di conversione dal peccato e di crescita nella carità. Certo l’affermazione di Amoris Laetitia dell’impossibilità di definire la mortalità del peccato personale a prescindere dalla verifica della responsabilità del soggetto, che può essere attenuata o mancare (n. 301), non toglie la necessità di dire che nondimeno è uno stato oggettivo di peccato (come si fa al n. 305).

Una nuova prospettiva pastorale per la Chiesa

Ma, una volta escluse le interpretazioni casuistiche e tendenziose, cosa dunque il Santo Padre vuole dirci davvero con questo testo? Ecco la risposta semplice e decisiva: vuole annunciare in modo nuovo il Vangelo della Famiglia e vuole invitare tutti, in qualsiasi situazione si trovino, ad un cammino: “Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare!” (n. 325). Lui stesso aveva suggerito questa chiave di interpretazione fondamentale, quando, intervistato al ritorno dalla Terra Santa, nel maggio 2014, aveva detto che la domanda fondamentale che lo aveva ispirato nel promuovere il cammino sinodale non era una questione casuistica, ma l’urgenza di annunciare “ciò che Cristo porta alla famiglia”. E nel documento Egli parte dalla costatazione che purtroppo nelle nostre società occidentali anche tra tanti battezzati il matrimonio non è più percepito come buona novella. Questo è il vero problema pastorale, di cui l’esortazione apostolica si fa carico, con coraggio. Il Papa vuole aprire un nuovo cammino alla proclamazione della buona novella del matrimonio e della famiglia per la vita della Chiesa.

Per capire in che senso, va osservato che in questo documento il Papa mette al centro della sua mediazione l’inno della carità di 1 Cor 13 (cap. IV), nel quale l’apostolo S. Paolo parla della carità come una via migliore. In questo modo il Papa mostra che per lui l’amore è una via sempre nuova, da percorrere nella piena fedeltà al disegno di Dio sull’amore umano. Questo disegno di Dio sull’amore umano include naturalmente le dimensioni fondamentali, che la grande teologia del corpo di San Giovanni Paolo II, ripresa dal documento (cfr. nn. 150ss), aveva richiamato e che vengono illustrate e richiamate da papa Francesco: la differenza sessuale, l’unità indissolubile e fedele e l’apertura alla vita nella fecondità.

Nel percorrere questa via dell’amore mettiamo in risalto qualche elemento decisivo, di grande valore per il rinnovamento della pastorale:

1.    La centralità del tema educativo come vocazione all’amore (cap. VII). Frequentemente nel documento si parla di “cammino”, di “storia”, di “narrazione”. Sono termini che dicono l’importanza della dimensione della libertà nel tempo: la Chiesa non solo esce e si accosta alle persone, le accoglie così come sono, ma si fa compagna del loro cammino, raggiungendole là dove sono e aiutandole ad arrivare alla meta possibile. Di fronte all’analfabetismo affettivo e alla fragilità della libertà di fronte a scelte impegnative di tutta persona, e irrevocabili, “per sempre”, la risposta non può essere che un rinnovato impegno formativo della famiglia, della Chiesa, dei gruppi sociali.

2.    La chiarezza dell’insegnamento sull’amore coniugale e la fecondità, a partire dall’enciclica Humanae Vitae. Si apre così il compito di riprendere l’enciclica di Paolo VI (di cui nel 2018 celebreremo il 50° anniversario) come proposta della Chiesa per evangelizzare l’intimità sessuale. È una luce molto necessaria in una cultura che, a partire dalla rivoluzione sessuale, ha dimenticato il linguaggio del corpo e della sessualità (n. 222). Questo magistero davvero profetico è pienamente confermato anche nella prospettiva di una ecologia integralmente umana.

3.    Il riconoscimento della centralità pastorale della famiglia nella Chiesa: la famiglia non è prima di tutto un problema pastorale tra gli altri da risolvere, ma piuttosto un soggetto vivo e presente, cioè la principale risorsa per l’evangelizzazione, anche in vista di una Chiesa più familiare, una Chiesa che abbia il profilo di una “famiglia di Dio”. Va cioè attivata una circolarità e una sinergia virtuosa tra Chiesa e famiglia. Così come la famiglia è una “piccola chiesa domestica”, allo stesso modo la grande Chiesa deve avere i tratti ed essere vissuta come “la famiglia di Dio” (nn. 86-87).

4.    Il carattere sacramentale della vita cristiana: il cristianesimo si basa su un evento storico che ci raggiunge nella carne e trasforma la carne dell’uomo. Non sono i piani pastorali elaborati a tavolino ciò che ci può salvare e ancor meno quelli che cercano di adattare la morale cristiana alla mentalità di un mondo occidentale, in crisi di senso. Perciò occorre superare qualsiasi impostazione puramente emotivista dell’amore oppure banalmente contrattualista e ricuperare il senso del matrimonio come “cardine” vocazionale della vita cristiana, per chi vi è chiamato.

Uscendo da una logica casuistica, va quindi colto il grande orizzonte positivo che il documento apre per la missione della Chiesa verso le famiglie, mettendo al centro la questione educativa come questione pastorale decisiva. Qui il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II si sente chiamato in causa in modo molto particolare, per la missione ricevuta e per l’esperienza maturata a livello teologico e pastorale.


Francesco e Antonio, una coppia in ottima Compagnia

Il papa ha in padre Antonio Spadaro, gesuita come lui, il suo interprete autorizzato. Ecco come "La Civiltà Cattolica" ridice con parole più chiare ciò che nella "Amoris lætitia" è scritto in forma allusiva

di Sandro Magister



ROMA, 12 aprile 2016 – È stato facile profeta il gesuita Antonio Spadaro (al centro della foto, con accanto il generale della Compagnia di Gesù) quando lo scorso novembre sentenziò papale papale che "circa l’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati il sinodo ordinario ne ha effettivamente posto le basi, aprendo una porta che invece nel sinodo precedente era rimasta chiusa". E questo nonostante nella "Relatio finalis" del sinodo non comparissero nemmeno una volta le parole "comunione" e "accesso ai sacramenti":

> Francesco tace, ma un altro gesuita parla per lui

Nel presentare oggi l'esortazione postsinodale "Amoris lætitia" sull'ultimo numero de "La Civiltà Cattolica" – tempestivamente diffuso in contemporanea con la pubblicazione del documento papale – padre Spadaro non mostra alcuna esitazione nel dichiarare adempiuta quella profezia.

Francesco – scrive sicuro – ha tolto infatti tutti i "limiti" del passato, anche nella "disciplina sacramentale", per le coppie "cosiddette irregolari": un "cosiddette" che non è di Spadaro ma del papa, e che a giudizio dello storico della Chiesa Alberto Melloni "vale tutta l'esortazione" perché da solo assolve tali coppie e ne fa "i destinatari dell'eucaristia".

E ciò nonostante anche questa volta nelle 264 pagine e nei 325 paragrafi dell'esortazione papale non vi sia una sola parola chiara a favore della comunione ai divorziati risposati, ma soltanto vi si trovino un paio di allusioni in due minuscole note a piè di pagina, la numero 351 e la numero 336, quest'ultima però puntualmente definita da Melloni "cruciale".

Padre Spadaro non è un gesuita qualsiasi. È il direttore de "La Civiltà Cattolica", cioè di quella che storicamente è sempre stata "la rivista del papa" e oggi lo è più che mai, "per l'interesse che papa Francesco manifesta intorno ad alcuni interventi della rivista che accompagnano il suo magistero", come ha attestato lo scorso marzo un testimone di sicura attendibilità, padre GianPaolo Salvini, penultimo suo direttore:

> "La Civiltà Cattolica" ha un direttore super: il papa

Per Jorge Mario Bergoglio padre Spadaro è tutto. Consigliere, interprete, confidente, scrivano. Non si contano i libri, gli articoli, i tweet che scrive incessantemente su di lui. Per non dire dei testi pontifici che rivelano l'impronta della sua mano.

Ha fatto parte della cerchia che ha lavorato alla stesura della "Amoris lætitia" a più stretto contatto col papa.

E regola vuole che la presentazione che Spadaro ne ha fatto su "La Civiltà Cattolica" sia stata data in visione a Francesco prima che fosse messa alle stampe. Una ragione in più per assumere questa esegesi del documento come autorizzata da lui, e quindi rivelatrice dei suoi reali intenti.

Qui di seguito sono riprodotti alcuni passaggi delle 12 pagine, su 24 dell'intero articolo, che padre Spadaro dedica alla questione delle coppie "cosiddette irregolari" e del loro accesso alla comunione eucaristica.

Colpisce l'artificio col quale si annettono anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI al medesimo "cammino di guarigione" che oggi Francesco porta fino alla comunione eucaristica per i divorziati risposati, senza più i precedenti impedimenti.

Ma l'articolo è tutto da leggere, nel sito de "La Civiltà Cattolica":

> "Amoris lætitia". Struttura e significato dell'Esortazione post-sinodale di Papa Francesco

Mentre questo è il link al testo integrale dell'esortazione:

> "Amoris lætitia"
__________   

"Senza porre limiti all’integrazione, come appariva in passato..."

di Antonio Spadaro S.I.

L’Esortazione riprende dal documento sinodale la strada del discernimento dei singoli casi senza porre limiti all’integrazione, come appariva in passato. Dichiara inoltre che non si può negare che in alcune circostanze "l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate" ("Amoris lætitia" 302; cfr. Catechismo della Chiesa cattolica 1735) a causa di diversi condizionamenti. […]

Quindi, conclude il Pontefice, se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete, "è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi . È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi" (AL 300). […]

Dunque, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi, "nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave" (AL 300, nota 336). "A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa" (AL 305).

E – si precisa – questo aiuto "in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, "ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore". E ugualmente si segnala "che l’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli" (AL 305, nota 351).

DA GIOVANNI PAOLO II A FRANCESCO

Se torniamo indietro alla "Familiaris consortio", possiamo verificare che le condizioni poste 35 anni fa da essa erano già una concretizzazione più aperta e più attenta, rispetto al tempo precedente, al vissuto delle persone.

Sui divorziati risposati civilmente, l’Esortazione apostolica di san Giovanni Paolo II (1981) affermava: "Esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita" (FC 84).

Sull’accesso ai sacramenti, Giovanni Paolo II ribadisce la norma precedente, e tuttavia afferma che i divorziati risposati civilmente e che vivono la loro vita coniugale insieme, allevando insieme i figli e condividendo la quotidianità, possono fare la comunione.

Ma pone una "condizione" (che è a un altro livello rispetto alla norma): quella di assumere "l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi" (ivi).

Pertanto, in "Familiaris consortio" la norma di fatto non vale sempre e in tutti i casi. Nella situazione descritta si tratta già di una "epieikeia" circa l’applicazione della legge a un caso concreto, perché, se la continenza elimina il peccato di adulterio, non sopprime tuttavia la contraddizione tra la rottura coniugale con formazione di nuova coppia – che vive comunque legami di carattere affettivo e di convivenza – e l’Eucaristia.

Riguardo ai rapporti sessuali, la formulazione di san Giovanni Paolo II richiedeva di "assumere l’ impegno di vivere in piena continenza". Nella "Sacramentum caritatis" Benedetto XVI aveva ripreso questo concetto, ma con una formulazione differente: "La Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella" (SC 29). L’"incoraggiamento all’impegno" implica un cammino e focalizza meglio e in maniera più adeguata l’accento posto sulla dimensione personale della coscienza.

Papa Francesco va avanti su questa linea quando parla di un "discernimento dinamico", che "deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno" (AL 303). Non si può trasformare una situazione irregolare in una regolare, ma esistono anche cammini di guarigione, di approfondimento, cammini in cui la legge è vissuta passo dopo passo. […]

NON UNA "CHIESA DI PURI", MA DI GIUSTI E PECCATORI

"A partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti – scrive il Pontefice –, possiamo aggiungere che la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra proposta sul matrimonio" (AL 303). Questo è un punto apicale dell’Esortazione apostolica, in quanto attribuisce alla coscienza – "il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità" (GS 16; AL 222) – un posto fondamentale e insostituibile nella valutazione dell’agire morale. […]

La coscienza "può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo" (AL 303).

Questo passaggio dell’Esortazione apre la porta a una pastorale positiva, accogliente, e pienamente "cattolica", che rende possibile un approfondimento graduale delle esigenze del Vangelo (cfr. AL 38).

In altri termini, qui non si dice affatto di assumere la propria debolezza come criterio per stabilire che cosa sia bene e che cosa sia male (questa sarebbe la cosiddetta "gradualità della legge"). Tuttavia si afferma una "legge della gradualità", cioè una progressività nel conoscere, nel desiderare e nel fare il bene: "Tendere alla pienezza della vita cristiana non significa fare ciò che astrattamente è più perfetto, ma ciò che concretamente è possibile". […]

Con l’umiltà del suo realismo l’Esortazione "Amoris lætitia" si pone dentro la grande tradizione della Chiesa, riallacciandosi di fatto a una vecchia tradizione romana di misericordia ecclesiale verso i peccatori.

La Chiesa di Roma, che fin dal II secolo aveva inaugurato la pratica della penitenza per i peccati commessi dopo il battesimo, nel III secolo fu lì lì per provocare uno scisma da parte della Chiesa dell’Africa del Nord, guidata da san Cipriano, perché questa non accettava la riconciliazione con i "lapsi", cioè gli apostati durante le persecuzioni, che erano di fatto molto più numerosi dei martiri.

Di fronte alla rigidità dei donatisti nel IV e V secolo, come più tardi di fronte a quella dei giansenisti, la Chiesa di Roma ha sempre rifiutato una "Chiesa di puri" a vantaggio del "reticulum mixtum", cioè della "rete composita" di giusti e di peccatori, di cui parla sant’Agostino in "Psalmus contra partem Donati".

La pastorale del "tutto o niente" sembra più sicura ai teologi "tuzioristi", ma porta inevitabilmente a una "Chiesa di puri". Valorizzando prima di tutto la perfezione formale come un fine in sé, si rischia disgraziatamente di coprire di fatto molti comportamenti ipocriti e farisaici.
__________
Nella giostra dei commenti
La forma studiatamente vaga, polivalente, di tanti passaggi della "Amoris lætitia" trova conferma nell'incredibile diversificazione dei commenti che sta ricevendo.

Basti qui citarne tre fra loro opposti, tra i mille che l'esortazione postsinodale ha suscitato.

Da un lato ecco un entusiasta Alberto Melloni – lo storico della Chiesa che è anche l'attuale numero uno della progressista "scuola di Bologna" – che saluta nell'esortazione l'atto "epocale" che ha definitivamente liberato il matrimonio dalla "gabbia giuridico-filosofica" del Concilio di Trento con la sua "dottrina fredda e senza vita":

> Francesco e la riforma dell'amore

Sul lato opposto c'è ad esempio Juan José Pérez-Soba, docente del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia presso la Pontificia Università del Laterano, secondo il quale invece, come già nella "Relatio finalis" del sinodo, nemmeno nella "Amoris lætitia" c'è l'ammissione esplicita dei divorziati risposati alla comunione, contrariamente a tutte le aspettative:

> "Amoris lætitia" non è un cambiamento di dottrina, ma l'invito a un cammino nuovo

Nel mezzo c'è Robert Royal, fondatore e presidente del Faith & Reason Insitute di Washington, che plaude all'esortazione per la sua "vigorosa difesa dell'insegnamento della Chiesa su contraccezione, aborto, omosessualità, tecnologie riproduttive, educazione dei figli", ma insieme critica il suo capitolo 8 che "in forma oscillante e ambivalente è come se si stacchi dal costante insegnamento della Chiesa fin dai suoi inizi, sulla comunione ai divorziati risposati":

> "Amoris lætitia": A Tale of Two Documents


Ma queste sono parole. Passando ai fatti, va preso atto di quanto scrive Melloni:

"Francesco dice a quei preti che hanno comunicato i divorziati risposati sapendo cosa facevano che non hanno agito contro la norma, ma secondo il vangelo".

In varie regioni della cattolicità, infatti, la comunione ai divorziati risposati viene già data da tempo senza problemi. E ora questa prassi trova nella "Amoris lætitia" l'approvazione che aspettava da parte della massima autorità della Chiesa:

> The New Catholic Truce

Molto più inquieta sarà invece la posizione di quelli, tra i fedeli e i pastori, che hanno fin qui seguito la via tracciata dal magistero della Chiesa.

A proposito di costoro, ecco una breve nota comparsa l'8 aprile nel blog Settimo Cielo:

*

MISERICORDIA PER TUTTI, TRANNE CHE PER I FIGLI OBBEDIENTI


Il capitolo ottavo dell'esortazione "Amoris lætitia", su divorziati risposati e dintorni, è quello che più stupisce.

È un'inondazione di misericordia. Ma è anche un trionfo della casuistica, pur così esecrata a parole. Con la sensazione, alla fine della lettura, che ogni peccato è scusato, tante sono le sue attenuanti, e quindi svanisce, lasciando spazio a praterie di grazia anche nel quadro di "irregolarità" oggettivamente gravi. L'accesso all'eucaristia va da sé, neppure è necessario che il papa lo proclami dai tetti. Bastano un paio di allusive note a piè di pagina.

E quelli che fin qui hanno obbedito alla Chiesa e si sono riconosciuti nella sapienza del suo magistero? Quei divorziati risposati che con tanta buona volontà e umiltà, per anni o per decenni, hanno pregato, frequentato la messa, educato cristianamente i figli, fatto opere di carità, pur in una seconda unione diversa dalla sacramentale, senza fare la comunione? E quelli che hanno accettato di vivere col nuovo coniuge "come fratello e sorella", non più in contraddizione col precedente matrimonio indissolubile, e hanno così potuto accedere all'eucaristia? Che ne è di tutti questi, dopo il "liberi tutti" che tanti hanno letto nella "Amoris lætitia"?

C'è nell'esortazione una nota a piè di pagina – un'altra, non le due citatissime che fanno balenare la comunione per i divorziati risposati – che riserva a quelli che hanno compiuto la scelta di convivere "come fratello e sorella" non una parola di conforto ma uno schiaffo.

Gli si dice infatti che facendo così possono far danno alla loro nuova famiglia, poiché "se mancano alcune espressioni di intimità, 'non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli'". Il sottinteso è che fanno meglio gli altri a condurre una vita piena da coniugi anche in seconde nozze civili, magari facendo anche la comunione.

Leggere per credere. È la nota numero 329, che impropriamente cita a sostegno del suo rimprovero nientemeno che la costituzione conciliare "Gaudium et spes", al n. 51.

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351273

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