DANIELE NELLA FOSSA DEI LEONI
Deus meus misit angelum suum et conclusit ora leonum. La nostra vita è fatta anche di numerosi miracoli quotidiani l’aiuto divino arriva, immancabilmente; ma non è detto che si manifesti così come vorremmo
di Francesco Lamendola
La nostra vita è fatta anche di numerosi miracoli quotidiani, sebbene noi non ce ne accorgiamo.
È
paradossale; eppure, non ce ne accorgiamo per due buone ragioni: la
prima, perché non sono miracoli spettacolari, come noi pensiamo che
debbano esserlo; la seconda, perché il nostro orizzonte mentale e
culturale è talmente impregnato d’immanentismo, che non li
riconosceremmo neppure se andassimo a sbatterci contro, tanto è vero che
nella nostra mente formuliamo mille altre possibili spiegazioni, tranne
quella soprannaturale. Fino a tal punto è penetrata in noi la mentalità
moderna, subalterna allo scientismo: non crediamo più ai nostri occhi,
quando ciò contrasta con i nostri pregiudizi; crediamo piuttosto a quei
pregiudizi. Abbiamo già deciso in anticipo che cosa sia possibile e che
cosa non lo sia: ci crediamo tanto intelligenti e razionali, ma il fatto
è che non viviamo a contatto con la realtà, bensì avvolti in un denso
strato di condizionamenti ideologici.
Quella
macchina, che ci ha tagliato improvvisamente la strada, sbucando da una
via laterale: come abbiamo fatto ad evitarla? Certo, abbiamo sterzato
d’istinto, ma vedevamo benissimo, e sapevamo perfettamente, che
non c’era abbastanza spazio per scongiurare lo scontro: eppure così è
stato, e il pericolo è rimasto dietro le nostre spalle. Qualcosa ci ha
protetti; qualcosa che non è spiegabile, e su cui non abbiamo sprecato
molto tempo a riflettere. Ci è bastato tirare un sospiro di sollievo e
pensare che eravamo stati molto, molto fortunati. Pur di solito così
esigenti in fatto di razionalità, in quel caso ci siamo accontentati di
una “spiegazione” tanto meschina. Sarebbe più esatto dire che non era
affatto una spiegazione, ma una assenza di spiegazioni; pure, non ci
siamo presi la briga di approfondire la cosa, semplicemente grati… alla
nostra buona stella.
E
quella volta, sulla montagna, mentre eravamo in preda alle vertigini:
una bella fortuna che quello straniero, col suo passo fermo e le sue
robuste braccia, col suo occhio sicuro nel giudicare i punti giusti dove
poggiare i piedi, ci prendesse per il gomito e ci sostenesse nel tratto
più difficile della salita. Senza di lui, non ce l’avremmo fatta; e,
quasi certamente, non saremmo riusciti neppure a tornare a valle.
L’abisso si spalancava sotto di noi, tanto proseguendo che tentando di
ridiscendere; ne eravamo come ipnotizzati. Non ci era mai accaduto
prima, ma quel giorno accadde. Una lieta circostanza, che proprio quel
mattino lo sconosciuto, esperto rocciatore, avesse incrociato la sua
strada con la nostra. Certo, passata la crisi e recuperate le forze, poi
siamo ridiscesi senza troppa difficoltà: sta di fatto che un aiuto
insperato era giunto proprio nel momento del bisogno.
Nel
primo caso, quello dell’incidente mancato, non c’era nessun altro, fra
noi e il pericolo; nel secondo, si è fatta avanti una presenza amica.
Eppure, in entrambi c’è un elemento misterioso: qualcosa o qualcuno
è venuto in nostro soccorso, nel momento del pericolo. Ciò fa pensare
che vi siano dei protettori sconosciuti, ora invisibili, ora visibili:
mossi, forse, dalle preghiere di qualcuno che ci vuole bene, o, magari,
dalle preghiere di qualcuno che non ci conosce affatto, e che mai
conosceremo, ma che è solito pregare per tutti coloro che versano in
pericolo, fisicamente e moralmente. Vi sono codeste anime generose; ve
ne sono più di quante possiamo immaginare, giudicando in base al
materialismo imperante. Ed è possibile che proprio esse facciamo da
parafulmine, anche nei confronti di coloro che non credono, che non
pregano mai. Le loro preghiere salgono a Dio, che, per aiutarci, si
serve di mezzi misteriosi; fra questi, vi è anche l’intervento degli
angeli. Quegli angeli custodi ai quali, da bambini, ci era stato
insegnato di rivolgerci con fiducia; ma che poi, crescendo, avevamo del
tutto scordati, o relegati nel regno delle favole.
La Bibbia
è piena di simili episodi, così come ne è pieno il racconto evangelico
della vita di Gesù, dal principio alla fine. Non era apparso un angelo a
Maria, per annunciarle la sua divina missione? E un angelo non aveva
detto ai tre Magi di non tornare dal re Erode, dopo l’adorazione del
Bambino Gesù? E non era apparso un angelo a Giuseppe, per avvertirlo di
fuggire in Egitto, mentre Erode si accingeva a perpetrare la strage
degli innocenti? Degli angeli, poi, erano scesi a servire Gesù, ormai
adulto, nel deserto, dopo il suo ritiro di preghiera e il suo lungo
digiuno, durante il quale aveva affrontato e vinto le tentazioni di
Satana. Così come un angelo era venuto a confortarlo nella sua ora più
triste, di notte, nell’Orto degli Ulivi, nell’imminenza della Passione,
quando perfino i discepoli più fedeli non avevano saputo vegliare e
pregare accanto a lui. E saranno ancora degli angeli a dare il primo
annunzio della Resurrezione di Cristo, presso il sepolcro vuoto.
Anche
negli altri scritti del Nuovo Testamento vi sono gli angeli: ad
esempio, nella miracolosa liberazione di Pietro, fatto arrestare e
incarcerare dal Sinedrio di Gerusalemme, narrata negli Atti degli Apostoli. Tuttavia, l’azione di soccorso da parte di Dio non si manifesta sempre per mezzo di questi messi straordinari (angelo ha la stessa radice di vangelo,
e significa inviato, messaggero); può manifestarsi anche per mezzo di
un intervento inspiegabile in termini razionali. O forse è più giusto
dire che gli angeli non sempre si lasciano vedere dagli esseri umani,
bensì, non di rado, intervengono efficacemente, restando però invisibili
o non facendosi riconoscere.
Di
fatto, succede che gli uomini si trovino a tu per tu con gli angeli, ma
possano anche non rendersene conto. Sia Abramo, sia Lot, non
riconoscono gli angeli venuti a visitarli; Abramo fa preparare un pasto
per loro alle querce di Mamre, poi si accompagna per un pezzo di strada
addirittura col Signore, ma si direbbe che non l’abbia riconosciuto
subito. Quanto a Tobia, figlio di Tobit, compie addirittura un lungo
viaggio da Ninive a Ecbatana in compagnia dell’angelo Raffaele, ma non
lo riconosce affatto; solo al momento di accomiatarsi, in presenza del
vecchio padre, l’angelo si fa riconoscere. Eppure, per tutto il tempo,
ha vegliato premurosamente su Tobia; fra l’altro, lo ha salvato dal
demone Asmodeo (che insidiava la sua giovane sposa, Sara, alla quale
aveva già ucciso i sette mariti precedenti), facendolo fuggire in Egitto
e incatenandolo nel deserto.
Un altro episodio famoso è narrato nel Libro di Daniele (6, 14-24):
“Ebbene,
maestà, quel Daniele, deportato dalla regione di Giuda, non ha
rispettato né te néi l tuo decreto: tre volte al giorno egli prega il
suo Dio.”
Appena
il re sentì queste parole ne fu profondamente addolorato e decise di
risparmiare Daniele. Fino al tramonto egli cercò ogni mezzo per
salvarlo. Ma i nemici di Daniele ritornarono dal re per dirgli: “Maestà,
tu sai bene che secondo la legge dei Medi e dei Persiani un decreto o
una decisione formata dal re è irrevocabile”. Allora, per ordine del re,
Daniele fu preso e gettato nella fossa dei leoni. Il re gli disse:
“Solo il tuo Dio che tu servi con tanto amore può salvarti!”.
Fu
presa una pietra e messa sull’apertura della fossa. Il re vi applicò il
suo sigillo personale e quello dei suoi alti funzionari perché nessuno
potesse cambiare la sorte di Daniele. Il re rientrò poi nel suo palazzo
per trascorrere la notte. Respinse ogni cibo e, benché non riuscisse a
dormire, rifiutò qualunque diversivo [o: qualunque concubina].
Il
mattino dopo, appena fece giorno, il re si alzò in piedi e andò in
fretta alla fossa dei leoni. Si avvicinò e chiamò Daniele con voice
triste:“Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio che servi con amore
ti ha liberato dagli artigli dei leoni?”.
Daniele
gli rispose: “Lunga vita a te, maestà! Sì, il mio Dio ha mandato il suo
angelo a chiudere le fauci dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun
male. Infatti, agli occhi del mio Dio sono innocente e anche nei tuoi
riguardi non ho commesso alcuna colpa, maestà!”.
Pieno
di gioia, il re diede ordine di tirare fuori Daniele dalla fossa.
Appena fuori, si poté notare che egli non aveva nessuna ferita, perché
aveva auto fiducia nel suo Dio.
Un
episodio abbastanza simile è ricordato, nello stesso libro (3, 19-27;
46-51; 91-95) a proposito dei tre giovani che avevano rifiutato di
adorare gli dei caldei e la statua d’oro di Nabucodonosor:
Nabucodonosor
s’infuriò violentemente con Sadrach, Mesach e Abdenego e ordinò di
aumentare il fuoco della fornace sette volte più del solito. Comandò poi
ad alcuni soldati tra i più forti del suo esercito di legare Sadrach,
Mesach e Abdenego e di gettarli nella fornace ardente. E subito, così
com’erano vestiti, i mantelli, i calzari, le tuniche e i turbanti furono
gettati nella fornace ardente. Secondo l’ordine severo del re, la
fornace era stata accesa al massimo. Perciò, non appena i soldati
andarono per gettare nel fuoco Sadrach, Mesach e Abdenego, essi stessi
morirono bruciati dalle fiamme. Sadrach, Mesach e Abdenego caddero,
tutti e tre, legati, nella fornace ardente. Ma essi passeggiavano in
mezzo alle fiamme, lodando Dio e benedicendo il Signore. E Azaria, in
piedi, in mezzo al fuoco, fece questa preghiera: “Benedetto sii tu, o
Signore, Dio dei padri nostri, degno di ogni lode: glorioso è il tuo
nome in eterno. Poiché tu sei giusto in tutte le cose che hai fatto,
tutte le tue opere sono verità, tutte le tue vie son rette, tutti i tuoi
giudizi sono secondo giustizia”.[…]
I
servi del re, che li avevano gettati dentro la fornace, continuavano
ad alimentare il fuoco aggiungendo bitume, pece, stoppa e legna secca.
La fiamma si levava alta sopra la fornace fino a quarantanove cubiti, e
spandendosi fuori bruciò quei Caldei che trovò lì vicino. Ma un Angelo
del Signore discese nella fornace con Azaria e i suoi compagni, spinse
fuori la fiamma del fuoco acceso, e fece spirare nel centro della
fornace come un venticello fresco e rugiadoso. Il fuoco non li toccò
affatto, non fece loro alcun male, né recò alcuna molestia. Allora i
tre, all’unisono, si misero a cantare glorificando e benedicendo Dio
nella fornace. […]
Allora
il re Nabucodonosor balzò in piedi meravigliato e domandò ai suoi
ministri: “Non abbiamo gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?”.
Essi risposero: “Certo, maestà”. Il re continuò: “Eppure io vedo
quattro uomini, sciolti, camminare in mezzo al fuoco. Non sono bruciati e
il quarto poi somiglia a un essere divino”. Nabucodonosor si avvicinò
alla bocca della fornace ardente e gridò: “Sadrach, Mesach e Abdenego,
servi di Dio Altissimo, uscite fuori!”.
E
subito essi uscirono dalla fornace. I satrapi, i prefetti, i
governatori e i ministri del re si radunarono per vederli: i loro corpi
non avevano alcun segno del fuoco, neppure i capelli erano stati
bruciati, né i loro vestiti danneggiati, e non avevano nessun odore di
bruciato.
Il
re gridò: “Lode al Dio di Sadrach, Mesach e Abdenego! Egli ha mandato
il suo angelo a salvare i suoi servi che, confidando in lui, hanno
trasgredito i miei ordini. Hanno preferito mettere in pericolo la loro
vita piuttosto che servire e adorare altri dei”.
Nel primo caso, un angelo del Signore ha chiuso la bocca
dei leoni, per evitare che facessero del male a Daniele; ma si può
intendere l’espressione in senso figurato: infatti, i leoni avrebbero
potuto uccidere il prigioniero, pur senza sbranarlo con i denti. Una
forza soprannaturale li ha ammansiti e non solo ha tolto loro la fame
(che pure avevano; tanto è vero che, subito dopo, si sono slanciati a
divorare gli accusatori di Daniele, fatti gettare nella fossa dal re
Dario), ma li ha anche resi docili, come se avessero percepito che
quell’uomo non era una preda destinata a loro. Nel secondo
caso, il fuoco della fornace, così tremendo da bruciare quelli che
stavano all’esterno, ha risparmiato i tre giovani che erano stati
gettati in essa: e questa volta l’angelo (che non va confuso con Azaria,
che è un altro nome di Sadrach, uno dei tre) si è fatto vedere, non a
loro soltanto, ma anche a coloro che stavano fuori, ed è stato lui a
deviare la fiamma e ad introdurre nella fornace un venticello fresco e
dolcissimo. In entrambi i casi, la sorte dei giusti pareva segnata:
umanamente parlando, non c’era scampo dai leoni per Daniele, né per i
tre giovani, dal fuoco; e in entrambi i casi una forza potente e
misteriosa li ha salvati, premiando la loro fede in Dio.
Forse,
ciascuno di noi è stato salvato, nel corso della vita, e non solo sul
piano fisico, ma anche su quello morale; solo che non ce ne siamo
accorti. Vale la pena, peraltro, di meditare la preghiera di Azaria: Tu
sei giusto in tutte le cose che hai fatto, tutte le tue opere sono
verità, tutte le tue vie son rette, tutti i tuoi giudizi sono secondo
giustizia. L’aiuto divino arriva, immancabilmente; ma non è detto
che si manifesti così come vorremmo. Noi non sappiamo quel che è
veramente il bene, perché la nostra prospettiva è umana, cioè limitata;
Dio solo vede le cose in tutta la loro pienezza. Perciò, nella
sofferenza o nel pericolo, bisognerebbe sempre pregare con le parole di
Gesù (Luca, 22, 42): Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia, non sia fatta la mia, ma la tua volontà…
Deus meus misit angelum suum et conclusit ora leonum
di
Francesco Lamendola
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