ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 10 luglio 2016

A tu per tu con gli angeli

DANIELE NELLA FOSSA DEI LEONI


    Deus meus misit angelum suum et conclusit ora leonum. La nostra vita è fatta anche di numerosi miracoli quotidiani l’aiuto divino arriva, immancabilmente; ma non è detto che si manifesti così come vorremmo
                                                                               di Francesco Lamendola  

La nostra vita è fatta anche di numerosi miracoli quotidiani, sebbene noi non ce ne accorgiamo.
È paradossale; eppure, non ce ne accorgiamo per due buone ragioni: la prima, perché non sono miracoli spettacolari, come noi pensiamo che debbano esserlo; la seconda, perché il nostro orizzonte mentale e culturale è talmente impregnato d’immanentismo, che non li riconosceremmo neppure se andassimo a sbatterci contro, tanto è vero che nella nostra mente formuliamo mille altre possibili spiegazioni, tranne quella soprannaturale. Fino a tal punto è penetrata in noi la mentalità moderna, subalterna allo scientismo: non crediamo più ai nostri occhi, quando ciò contrasta con i nostri pregiudizi; crediamo piuttosto a quei pregiudizi. Abbiamo già deciso in anticipo che cosa sia possibile e che cosa non lo sia: ci crediamo tanto intelligenti e razionali, ma il fatto è che non viviamo a contatto con la realtà, bensì avvolti in un denso strato di condizionamenti ideologici.

Quella macchina, che ci ha tagliato improvvisamente la strada, sbucando da una via laterale: come abbiamo fatto ad evitarla? Certo, abbiamo sterzato d’istinto, ma vedevamo benissimo, e sapevamo perfettamente, che non c’era abbastanza spazio per scongiurare lo scontro: eppure così è stato, e il pericolo è rimasto dietro le nostre spalle. Qualcosa ci ha protetti; qualcosa che non è spiegabile, e su cui non abbiamo sprecato molto tempo a riflettere. Ci è bastato tirare un sospiro di sollievo e pensare che eravamo stati molto, molto fortunati. Pur di solito così esigenti in fatto di razionalità, in quel caso ci siamo accontentati di una “spiegazione” tanto meschina. Sarebbe più esatto dire che non era affatto una spiegazione, ma una assenza di spiegazioni; pure, non ci siamo presi la briga di approfondire la cosa, semplicemente grati… alla nostra buona stella.
E quella volta, sulla montagna, mentre eravamo in preda alle vertigini: una bella fortuna che quello straniero, col suo passo fermo e le sue robuste braccia, col suo occhio sicuro nel giudicare i punti giusti dove poggiare i piedi, ci prendesse per il gomito e ci sostenesse nel tratto più difficile della salita. Senza di lui, non ce l’avremmo fatta; e, quasi certamente, non saremmo riusciti neppure a tornare a valle. L’abisso si spalancava sotto di noi, tanto proseguendo che tentando di ridiscendere; ne eravamo come ipnotizzati. Non ci era mai accaduto prima, ma quel giorno accadde. Una lieta circostanza, che proprio quel mattino lo sconosciuto, esperto rocciatore, avesse incrociato la sua strada con la nostra. Certo, passata la crisi e recuperate le forze, poi siamo ridiscesi senza troppa difficoltà: sta di fatto che un aiuto insperato era giunto proprio nel momento del bisogno.
Nel primo caso, quello dell’incidente mancato, non c’era nessun altro, fra noi e il pericolo; nel secondo, si è fatta avanti una presenza amica. Eppure, in entrambi c’è un elemento misterioso: qualcosa o qualcuno è venuto in nostro soccorso, nel momento del pericolo. Ciò fa pensare che vi siano dei protettori sconosciuti, ora invisibili, ora visibili: mossi, forse, dalle preghiere di qualcuno che ci vuole bene, o, magari, dalle preghiere di qualcuno che non ci conosce affatto, e che mai conosceremo, ma che è solito pregare per tutti coloro che versano in pericolo, fisicamente e moralmente. Vi sono codeste anime generose; ve ne sono più di quante possiamo immaginare, giudicando in base al materialismo imperante. Ed è possibile che proprio esse facciamo da parafulmine, anche nei confronti di coloro che non credono, che non pregano mai. Le loro preghiere salgono a Dio, che, per aiutarci, si serve di mezzi misteriosi; fra questi, vi è anche l’intervento degli angeli. Quegli angeli custodi ai quali, da bambini, ci era stato insegnato di rivolgerci con fiducia; ma che poi, crescendo, avevamo del tutto scordati, o relegati nel regno delle favole.
La Bibbia è piena di simili episodi, così come ne è pieno il racconto evangelico della vita di Gesù, dal principio alla fine. Non era apparso un angelo a Maria, per annunciarle la sua divina missione? E un angelo non aveva detto ai tre Magi di non tornare dal re Erode, dopo l’adorazione del Bambino Gesù? E non era apparso un angelo a Giuseppe, per avvertirlo di fuggire in Egitto, mentre Erode si accingeva a perpetrare la strage degli innocenti? Degli angeli, poi, erano scesi a servire Gesù, ormai adulto, nel deserto, dopo il suo ritiro di preghiera e il suo lungo digiuno, durante il quale aveva affrontato e vinto le tentazioni di Satana. Così come un angelo era venuto a confortarlo nella sua ora più triste, di notte, nell’Orto degli Ulivi, nell’imminenza della Passione, quando perfino i discepoli più fedeli non avevano saputo vegliare e pregare accanto a lui. E saranno ancora degli angeli a dare il primo annunzio della Resurrezione di Cristo, presso il sepolcro vuoto.
Anche negli altri scritti del Nuovo Testamento vi sono gli angeli: ad esempio, nella miracolosa liberazione di Pietro, fatto arrestare e incarcerare dal Sinedrio di Gerusalemme, narrata negli Atti degli Apostoli. Tuttavia, l’azione di soccorso da parte di Dio non si manifesta sempre per mezzo di questi messi straordinari (angelo ha la stessa radice di vangelo, e significa inviato, messaggero); può manifestarsi anche per mezzo di un intervento inspiegabile in termini razionali. O forse è più giusto dire che gli angeli non sempre si lasciano vedere dagli esseri umani, bensì, non di rado, intervengono efficacemente, restando però invisibili o non facendosi riconoscere.
Di fatto, succede che gli uomini si trovino a tu per tu con gli angeli, ma possano anche non rendersene conto. Sia Abramo, sia Lot, non riconoscono gli angeli venuti a visitarli; Abramo fa preparare un pasto per loro alle querce di Mamre, poi si accompagna per un pezzo di strada addirittura col Signore, ma si direbbe che non l’abbia riconosciuto subito. Quanto a Tobia, figlio di Tobit, compie addirittura un lungo viaggio da Ninive a Ecbatana in compagnia dell’angelo Raffaele, ma non lo riconosce affatto; solo al momento di accomiatarsi, in presenza del vecchio padre, l’angelo si fa riconoscere. Eppure, per tutto il tempo, ha vegliato premurosamente su Tobia; fra l’altro, lo ha salvato dal demone Asmodeo (che insidiava la sua giovane sposa, Sara, alla quale aveva già ucciso i sette mariti precedenti), facendolo fuggire in Egitto e incatenandolo nel deserto.
Un altro episodio famoso è narrato nel Libro di Daniele (6, 14-24):
“Ebbene, maestà, quel Daniele, deportato dalla regione di Giuda, non ha rispettato né te néi l tuo decreto: tre volte al giorno egli prega il suo Dio.”
Appena il re sentì queste parole ne fu profondamente addolorato e decise di risparmiare Daniele. Fino al tramonto egli cercò ogni mezzo per salvarlo. Ma i nemici di Daniele ritornarono dal re per dirgli: “Maestà, tu sai bene che secondo la legge dei Medi e dei Persiani un decreto o una decisione formata dal re è irrevocabile”. Allora, per ordine del re, Daniele fu preso e gettato nella fossa dei leoni. Il re gli disse: “Solo il tuo Dio che tu servi con tanto amore può salvarti!”.
Fu presa una pietra e messa sull’apertura della fossa. Il re vi applicò il suo sigillo personale e quello dei suoi alti funzionari perché nessuno potesse cambiare la sorte di Daniele. Il re rientrò poi nel suo palazzo per trascorrere la notte. Respinse ogni cibo e, benché non riuscisse a dormire, rifiutò qualunque diversivo [o: qualunque concubina].
Il mattino dopo, appena fece giorno, il re si alzò in piedi e andò in fretta alla fossa dei leoni. Si avvicinò e chiamò Daniele con voice triste:“Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio che servi con amore ti ha liberato dagli artigli dei leoni?”.
Daniele gli rispose: “Lunga vita a te, maestà! Sì, il mio Dio ha mandato il suo angelo a chiudere le fauci dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun male. Infatti, agli occhi del mio Dio sono innocente e anche nei tuoi riguardi non ho commesso alcuna colpa, maestà!”.
Pieno di gioia, il re diede ordine di tirare fuori Daniele dalla fossa. Appena fuori, si poté notare che egli non aveva nessuna ferita, perché aveva auto fiducia nel suo Dio.
Un episodio abbastanza simile è ricordato, nello stesso libro (3, 19-27; 46-51; 91-95) a proposito dei tre giovani che avevano rifiutato di adorare gli dei caldei e la statua d’oro di Nabucodonosor:
Nabucodonosor s’infuriò violentemente con Sadrach, Mesach e Abdenego e ordinò di aumentare il fuoco della fornace sette volte più del solito. Comandò poi ad alcuni soldati tra i più forti del suo esercito di legare Sadrach, Mesach e Abdenego e di gettarli nella fornace ardente. E subito, così com’erano vestiti, i mantelli, i calzari, le tuniche e i turbanti furono gettati nella fornace ardente. Secondo l’ordine severo del re, la fornace era stata accesa al massimo. Perciò, non appena i soldati andarono per gettare nel fuoco Sadrach, Mesach e Abdenego, essi stessi morirono bruciati dalle fiamme. Sadrach, Mesach e Abdenego caddero, tutti e tre, legati, nella fornace ardente. Ma essi passeggiavano in mezzo alle fiamme, lodando Dio e benedicendo il Signore.  E Azaria, in piedi, in mezzo al fuoco, fece questa preghiera: “Benedetto sii tu, o Signore, Dio dei padri nostri, degno di ogni lode: glorioso è il tuo nome in eterno. Poiché tu sei giusto in tutte le cose che hai fatto, tutte le tue opere sono verità, tutte le tue vie son rette, tutti i tuoi giudizi sono secondo giustizia”.[…]
I servi del re, che li avevano gettati dentro la fornace,  continuavano ad alimentare il fuoco aggiungendo bitume, pece, stoppa e legna secca. La fiamma si levava alta sopra la fornace fino a quarantanove cubiti, e spandendosi fuori bruciò quei Caldei che trovò lì vicino. Ma un Angelo del Signore discese nella fornace con Azaria e i suoi compagni, spinse fuori la fiamma del fuoco acceso, e fece spirare nel centro della fornace come un venticello fresco e rugiadoso. Il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, né recò alcuna molestia. Allora i tre, all’unisono, si misero a cantare glorificando e benedicendo Dio nella fornace. […]
Allora il re Nabucodonosor balzò in piedi meravigliato e domandò ai suoi ministri: “Non abbiamo gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?”. Essi risposero: “Certo, maestà”. Il re continuò:  “Eppure io vedo quattro uomini, sciolti, camminare in mezzo al fuoco. Non sono bruciati e il quarto poi somiglia a un essere divino”. Nabucodonosor si avvicinò alla bocca della fornace ardente e gridò:  “Sadrach, Mesach e Abdenego, servi di Dio Altissimo, uscite fuori!”.
E subito essi uscirono dalla fornace. I satrapi, i prefetti, i governatori e i ministri del re si radunarono per vederli: i loro corpi non avevano alcun segno del fuoco, neppure i capelli erano stati bruciati, né i loro vestiti danneggiati, e non avevano nessun odore di bruciato.
Il re gridò: “Lode al Dio di Sadrach, Mesach e Abdenego! Egli ha mandato il suo angelo a salvare i suoi servi che, confidando in lui, hanno trasgredito i miei ordini. Hanno preferito mettere in pericolo la loro vita piuttosto che servire e adorare altri dei”.
Nel primo caso, un angelo del Signore ha chiuso la bocca dei leoni, per evitare che facessero del male a Daniele; ma si può intendere l’espressione in senso figurato: infatti, i leoni avrebbero potuto uccidere il prigioniero, pur senza sbranarlo con i denti. Una forza soprannaturale li ha ammansiti e non solo ha tolto loro la fame (che pure avevano; tanto è vero che, subito dopo, si sono slanciati a divorare gli accusatori di Daniele, fatti gettare nella fossa dal re Dario), ma li ha anche resi docili, come se avessero percepito che quell’uomo non era una preda destinata a loro. Nel secondo caso, il fuoco della fornace, così tremendo da bruciare quelli che stavano all’esterno, ha risparmiato i tre giovani che erano stati gettati in essa: e questa volta l’angelo (che non va confuso con Azaria, che è un altro nome di Sadrach, uno dei tre) si è fatto vedere, non a loro soltanto, ma anche a coloro che stavano fuori, ed è stato lui a deviare la fiamma e ad introdurre nella fornace un venticello fresco e dolcissimo. In entrambi i casi, la sorte dei giusti pareva segnata: umanamente parlando, non c’era scampo dai leoni per Daniele, né per i tre giovani, dal fuoco; e in entrambi i casi una forza potente e misteriosa li ha salvati, premiando la loro fede in Dio.
Forse, ciascuno di noi è stato salvato, nel corso della vita, e non solo sul piano fisico, ma anche su quello morale; solo che non ce ne siamo accorti. Vale la pena, peraltro, di meditare la preghiera di Azaria: Tu sei giusto in tutte le cose che hai fatto, tutte le tue opere sono verità, tutte le tue vie son rette, tutti i tuoi giudizi sono secondo giustizia. L’aiuto divino arriva, immancabilmente; ma non è detto che si manifesti così come vorremmo. Noi non sappiamo quel che è veramente il bene, perché la nostra prospettiva è umana, cioè limitata; Dio solo vede le cose in tutta la loro pienezza. Perciò, nella sofferenza o nel pericolo, bisognerebbe sempre pregare con le parole di Gesù (Luca, 22, 42): Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia, non sia fatta la mia, ma la tua volontà…
Deus meus misit angelum suum et conclusit ora leonum
di
Francesco Lamendola

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