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mercoledì 6 luglio 2016

Un messaggio di pace, perché non sia troppo tardi


Il Papa: un messaggio di pace per la Siria




Un videomessaggio per chiedere il dono della pace per la Siria. Consegnato all’assemblea della Caritas internationalis che si è fatta promotrice di un’iniziativa in tal senso. Che conferma la sollecitudine di papa Francesco per quel conflitto per il quale, già nel settembre del 2013, ebbe a indire una giornata di preghiera e digiuno che tanti frutti ha recato.

Con questo messaggio papa Francesco ha voluto dare un messaggio di conforto e di speranza a un popolo, quello siriano, sul quale si è abbattuta la catastrofe della guerra. Una guerra che non accenna a finire ed è «oramai entrata nel suo quinto anno».

Ecco, Francesco non si rassegna a questo implacabile stallo, ché tale è la situazione in cui versano i negoziati di pace, che consegna un intero popolo a un destino oscuro. E invia un messaggio che suona di conforto e speranza. Anzitutto per il popolo siriano, «costretto a sopravvivere sotto le bombe o a trovare vie di fuga verso altri paesi o zone della Siria meno dilaniate dalla guerra: lasciare le loro case, tutto».
Ma anche, nello specifico, alle comunità cristiane del Paese, «a cui va tutto il mio sostegno a causa delle discriminazioni che devono sopportare».

Un messaggio di pace che è anche denuncia alta e forte: «Mentre il popolo soffre, incredibili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi ai combattenti». Una denuncia non nuova da parte di Francesco, che è solito ripetere l’esecrazione della Chiesa per i costruttori di guerra che lucrano sul sangue altrui.

E insieme al giudizio, un dettaglio niente affatto scontato: «Alcuni dei paesi fornitori di queste armi, sono anche fra quelli che parlano di pace».

E anche se il messaggio del Papa (come ovvio) non accusa nessuno in particolare né di nessuno dei protagonisti del conflitto prende le parti, il pensiero va subito ai tanti leader di Paesi arabi e occidentali che mentre parlano di pace forniscono armi letali e sofisticate (più o meno sottobanco) ai tanti gruppi jihadisti che operano i Siria, difficilmente distinguibili dai gruppi terroristi, Isis compreso.

«Come si può credere a chi con la mano destra ti accarezza e con la sinistra ti colpisce?», si chiede papa Francesco con drammatico disincanto per le tante, troppe, ambiguità che caratterizzano questo confuso conflitto, nel quale anche le informazioni attraversano la lente deformante della propaganda.

Ma non si rassegna Francesco, e chiede ai fedeli «di pregare per la pace in Siria e per il suo popolo» con «veglie di preghiera», con «iniziative di sensibilizzazione nei gruppi, nelle parrocchie e nelle comunità, per diffondere un messaggio di pace […] di unità e di speranza».

Una preghiera alla quale Francesco suggerisce di affiancare «opere di pace», insieme all’invito a chiedere ai protagonisti dei negoziati di procedere «sul serio» sulla via intrapresa, di rispettare gli accordi e di permettere «l’accesso agli aiuti umanitari» laddove oggi è negato.

La pace è possibile. Questo il senso ultimo di un messaggio che, come un faro acceso nella notte, lacera il buio  nel quale è sprofondata la Siria. In attesa che sorga il sole a dissipare le tenebre. Fuor di metafora, come tutte le preghiere, anche quella del Papa, nella sua inermità, è tutta affidata al cuore e all’onnipotenza di Dio.


Quel Dio di misericordia, che, come da citazione di Francesco, fa dire a Geremia: «Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto al vostro riguardo – dice il Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza».
http://piccolenote.ilgiornale.it/29213/papa-un-messaggio-pace-la-siria

LA STRAGE ISLAMISTA DI DACCA E LA LEZIONE PONTIFICIA DI RATISBONA CAPITA SINORA SOLO A METÀ

La strage islamista di Dacca e la lezione pontificia di Ratisbona capita sinora solo a metà

In Bangladesh e in Italia c'è ancora sgomento e incredulità per la strage compiuta a Dhaka lo scorso primo luglio all'Holey Artisan Café, nel quartiere esclusivo di Gulshan, dove sono stati uccisi (e prima ancora torturati) nove italiani (10 se si pensa che la signora Simona Monti era incinta), sette giapponesi, una statunitense, un'indiana e quattro bangladeshi.
Lo sgomento viene dal fatto che tutt'a un tratto l'islam bengalese, tanto amichevole e dialogico, come l'abbiamo sempre conosciuto, ha mostrato un volto crudele, cinico e fondamentalista.
L'incredulità sorge dalla scoperta che almeno tre degli assalitori erano giovani sui 22 anni di buona famiglia, educati nei college internazionali, che escono fuori dal quadro solito del musulmano oppresso dalla miseria e dalla povertà, indottrinato dalle madrassah integraliste. A quanto pare – secondo le sobrie indicazioni della polizia di Dhaka – solo uno degli assalitori, Khairul Islam, risponde a questo identikit. Gli altri - Rohan Imtiaz, figlio di un politico dell'Awami League, il partito (laico) al potere; Nibras Islam e Andaleeb Ahmed, con studi in un'università australiana a Kuala Lumpur; Meer Saameh Mubasheer e Raiyan Minhaj, studenti nelle migliori scuole della capitale – fanno parte del gruppo di "giovani fuori controllo", come sono stati definiti dai poliziotti prima del blitz. Diversi di loro, dopo anni di agi, divertimenti, selfies, amori – come dimostrano i loro profili su Facebook e Twitter – sono fuggiti dalle famiglie e scomparsi.
Secondo un generale della sicurezza in pensione, Sakhawat Hossain, vi sono almeno 150 (e forse 200) giovani bangladeshi scomparsi e si pensa che siano andati in Siria o Iraq a combattere al fianco di Daesh.
Se dallo sgomento e dall'incredulità si passa all'azione, la prima questione da affrontare è il legame fra islam moderato e islam fondamentalista. La premier del Bangladesh Sheikh Hasina, denunciando il massacro – compiuto in uno dei maggiori giorni di festa del Ramadan, l'ultimo venerdì del mese di digiuno – ha subito detto: "Questo non è islam". E lo ha fatto perché all'opposizione ha un partito che si ispira proprio all'islam integralista: criticare quel tipo di islam rischia di produrre più adesioni ai suoi nemici politici.
La stessa cosa avviene da noi in Italia e in Europa, dove vi è silenzio da parte musulmana su questa strage e dove – per altre stragi – le associazioni musulmane si lavano subito le mani dicendo anche loro: "Questo non è islam". Eppure questi giovani "fuori controllo", prima di uccidere, hanno chiesto di recitare versetti del Corano, proprio nello stile di Daesh (lo Stato islamico). C'è un'interpretazione dell'islam che porta alla violenza e i giovani, desiderosi di soluzioni sommarie e impazienti, ne sono affascinati e stregati; vi sono imam e predicatori che istillano disprezzo verso le altre religioni, verso l'occidente, verso gli eretici (sciiti o ahmadi) e che per purificare la terra d'islam sono disposti a distruggere tutti, anche se stessi. Non è tempo che nel mondo islamico si denunci questa interpretazione violenta del Corano? Che si condannino e denuncino quegli imam che spingono al disprezzo e all'odio per le altre religioni? Che inizi o si riprenda una rilettura della fede musulmana a paragone con la modernità, i diritti dell'uomo, della donna?
Fra i miei amici di Facebook ho trovato un "esame di coscienza" di un musulmano che accusa di "ipocrisia" la posizione di tanti correligionari che appoggiano la sharia e nello stesso tempo dicono che "Daesh non ci rappresenta". "O noi raggiungiamo e facciamo alleanza con Daesh, e cessiamo la commedia, oppure riformiamo la nostra visione dell'islam e la spolveriamo di tutte le vecchiezze, cioè la sharia e la giurisprudenza inventata dagli ulema (i dottori coranici)". E un altro commento afferma: "Gli imam, la cui gran parte non ha alcuna cultura generale, non hanno mai avuto la cura di insegnare la tolleranza ai fedeli". E citando poi "i teorici dell'islamismo", che usano libri e canali televisivi, li accusa di "insegnare l'odio, il disprezzo e il rifiuto dell'altro". Speriamo davvero che questa lucidità si diffonda fra i nostri amici musulmani e che anche i nostri governi siano guardinghi nel loro liberalismo che lascia predicare chiunque e permette che Paesi fondamentalisti finanzino questo tipo di imam, condannato sopra.
Il cercare di venire a capo del binomio islam-violenza riporta alla mente la magistrale lezione di papa Benedetto XVI a Regensburg, quando suggeriva al mondo musulmano che la violenza non è degna di Dio, che è ragione. In questi giorni molti commentatori ufficiali e non ufficiali hanno citato quel discorso anche se forse capito solo a metà. Molti infatti citano papa Ratzinger solo per quella pagina in cui si fa riferimento all'islam (con la dotta citazione di Manuele II il Paleologo), ma si dimenticano delle altre (almeno 12) dedicate all'occidente e al suo disprezzo per la religione come "irrazionale".
In effetti, se c'è bisogno di un esame di coscienza nel mondo islamico, vi è anche necessità di un simile esame di coscienza nel mondo occidentale. Che giovani bangladeshi ben educati e esposti alla modernità globalizzata decidano di sacrificarsi per l'islam mette infatti in crisi il nostro modello che vede nelle capacità, nel successo, nel benessere il suo ideale, senza alcun riferimento a Dio. I giovani "fuori controllo" di Dhaka sono molto simili a quei giovani che hanno colpito a Parigi, Bruxelles, Londra, .... E sono simili a quei ragazzi occidentali che dopo un'adolescenza nella bambagia, decidono di andare a combattere in Siria o in Iraq a fianco di Daesh. Una francese musulmana, studiosa di questo fenomeno, Dunia Bouzard, raccontando il sottofondo familiare dei giovani fuggitivi, mostra con chiarezza, forse anche senza volerlo, come queste famiglie fossero secolarizzate, senza alcun riferimento religioso esplicito e convincente. Così, quando la domanda di senso nella loro vita diventa urgente, essi cadono preda del primo predicatore on-line, non avendo alcun criterio per distinguere il vero e il falso dal discorso religioso, non avendo mai avuto l'occasione di incontrare testimoni di fede.
Non stiamo parlando delle povere vittime di Dhaka. Anzi, alcuni di loro erano noti per la loro fede e per la loro carità. Parliamo di un occidente nella società e negli Stati che disprezza la religione, che la reputa "irrazionale" e per questo non degna dell'uomo, da emarginare, privatizzare e magari soffocare perché non faccia danni alla società che funzionerebbe tanto meglio senza di essa. Secondo alcuni studiosi, il fondamentalismo violento di alcune religioni è il pendant, l'altra faccia della medaglia di un occidente senza Dio, che irride la religione.
Se vogliamo rileggere in modo completo il discorso di Regensburg, è importante che i musulmani si separino dalla violenza, ma anche che l'occidente ritorni a un'idea di ragione che abbracci anche la dimensione religiosa. Senza di ciò – come ha avvertito Benedetto XVI – anche l'occidente (proprio come l'islam fondamentalista) non riuscirà a capire le altre culture e provocherà la violenza, che ci sembrerà sempre più irrazionale. E invece non lo è.

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