CHI RIFIUTA LA BENEDIZIONE
Chi rifiuta la benedizione si attira la maledizione: questa è la legge. Non esistono scelte né comportamenti che siano moralmente neutri, indifferenti ma tutti hanno una valenza ben precisa nel complesso della vita morale
di Francesco Lamendola
La legge fondamentale della vita morale è che chi rifiuta la benedizione, si attira la maledizione; ovvero che non esistono scelte, né comportamenti, che siano moralmente neutri, indifferenti, ma tutti hanno una valenza ben precisa nel complesso della vita morale, e tutti producono effetti che ritornano a colui che li ha innescati, sia che fosse pienamente consapevole di ciò che faceva, sia che non lo fosse; perché l’ignoranza non costituisce una scusante e non attenua le conseguenze di ciò che è stato fatto.
Ora, la vita morale di un individuo non è fatta solo da ciò che egli compie, ma anche da ciò che egli rifiuta; non solo da ciò che fa, ma anche da ciò che riceve, o, più esattamente, dal modo in cui riceve, o non accetta di ricevere. Compiere un’azione, buona o cattiva, significa scegliere, in maniera attiva, il proprio destino; ma c’è anche un altro modo di sceglierlo: cioè decidere come porsi nei confronti delle azioni che altri rivolgono a noi, oppure delle situazioni che ci vengono date, anche senza che noi le abbiamo volute o cercate in modo esplicito. La vita, infatti, sa quel che noi realmente vogliamo ed è come se ci facesse incontrare precisamente quelle cose che più temiamo o che più desideriamo, per metterci nelle condizioni di imparare qualche cosa: ossia di non avere più vane paure , né brame disordinate.
Nessun uomo è una monade senza porte e senza finestre; siamo anzi dei balconi spalancati e aperti su ogni lato, esposti ad ogni minimo alito di vento; anche se alcuni di noi sono più ricettivi, più sensibili, più suggestionabili (non nel senso comune del termine, ma in quello di “capaci di ricevere delle suggestioni”, ossia degli stimoli di qualsiasi genere, positivo o negativo che sia). Di conseguenza, gli stimoli che riceviamo dall’esterno, le situazioni che ci vengono incontro, e che noi possiamo accettare o rifiutare, o alle quali possiamo decidere se aderire o se tentare di sfuggirle, agiscono su di noi come delle correnti d’aria e mettono in moto dei meccanismi di risposta, che possono essere di segno positivo o negativo, ma che, in ogni caso, provocano dei cambiamenti nello stato del nostro essere, contribuendo a formare il clima spirituale che ci avvolge e che, a sua volta, favorisce una determinata direzione nel nostro orientamento esistenziale.
Nel suo romanzo Nos actes nous suivent, del 1927, lo scrittore Paul Bourget sostiene che i nostri atti ci seguono, fedeli e ineliminabili, come un’ombra che ci accompagna e che determina il nostro destino; ma forse sarebbe più giusto dire non che i nostri atti ci seguono, bensì che ci precedono, nel senso che ad ognuno di essi corrisponde un effetto che si farà sentire nel nostro futuro, vicino o lontano, in qualche modo predisponendo il domani verso il quale siamo incamminati, e che ci verrà incontro a tempo debito. Gli effetti delle nostre scelte e delle nostre azioni, infatti, generano delle conseguenze che predispongono il futuro che ci attende. Noi pensiamo che il futuro sia qualcosa di impensabile e d’inconcepibile, qualcosa che mai giungeremo a immaginare o a prevedere, e sul quale non abbiamo il benché minimo potere; ma questa concezione è molto imprecisa e approssimativa, e non rende affatto l’idea di quel che il futuro è, ossia una realtà che noi stessi veniamo preparando, con le nostre scelte ed azioni presenti. Del resto, l’idea che la nostra ombra ci “segua”, e che, simbolicamente, ci seguano anche i nostri atti, deriva da una immagine semplificata della realtà, e precisamente dall’idea che il sole sia davanti a noi; ma se il sole fosse dietro di noi, ecco che la nostra ombra si proietterebbe davanti a noi; se il sole fosse a perpendicolo su di noi, la nostra ombra cadrebbe esattamente ai nostri piedi.
La parte finale della parabola del banchetto nuziale (capitolo 22 di Matteo, 11-14) sarebbe incomprensibile se non si tenesse presente che non solo i convitati indegni, quelli che disprezzarono l’invito del re e giunsero ad uccidere i suoi servi, ma anche colui che si era intrufolato nella sala del banchetto senza indossare l’abito da festa, vennero giudicati molto severamente: Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti.
Il re che fa chiamare gli invitati al convito nuziale di suo figlio, è Dio, che chiama a banchetto il popolo d’Israele, ma questo disprezza l’invito e, dopo aver ignorato più volte l’invito, giunge a levare la mano omicida contro gli inviati del re; la decisione di far invitare al suo posto tutti quelli che si trovano per via, buoni e cattivi, precisa Matteo, simboleggia il fatto che il Vangelo, rifiutato dai Giudei, verrà indirizzato ai Gentili. Essere invitati al banchetto di Dio, cioè essere invitati a ricevere la Sua grazia, non equivale, però, automaticamente, a ricevere il premio: c’è una cosa che gli invitati devono fare di loro iniziativa: indossare l’abito nuziale, vale a dire, rispettare la volontà del re e uniformarsi alla Sua legge. Se così non fosse, gli uomini non avrebbero alcun merito nella propria salvezza: non sarebbero soggetti attivi, non sarebbero persone, ma semplici burattini, salvati per forza. Il re vuol vedere se gli invitati sono degni; e lo fa scremando i buoni dai cattivi, e assegnando ai secondi la meritata punizione. Si mettano dunque l’anima in pace, quei teologi buonisti e relativisti, i quali non parlano mai del bene e del male, del peccato e della grazia, della conversione e della redenzione, ma presentano l’invito di Dio come una festa alla quale seguirà, immancabilmente, il premio per tutti, senza sacrificio, senza sforzo, senza la croce: perché un Vangelo senza la croce non è più il Vangelo di Gesù, ma un’altra cosa. Sapranno loro che cosa: si assumano dunque la responsabilità della propria apostasia, oppure abbiano l’onestà e la decenza di rinnegare il Vangelo e di fondare, al suo posto, qualcos’altro, una nuova religione, un nuovo sistema di etica, una nuova filosofia. Lo dicano apertamente: allora ciascuno farà la propria parte e seguirà la strada che si è scelto.
Tornando alla parabola del convito nuziale: gli uomini hanno ricevuto, con la ragione naturale, anche la legge morale naturale; e, con essa, potrebbero già vedere chi è Dio e quale sia il significato della vita umana: amare, adorare e ringraziare il loro Creatore (cfr.Romani, 1, 19-22); ma, poiché essa si è mostrata insufficiente davanti alla loro malizia e alla loro durezza di cuore, Dio ha voluto mandar loro una serie di messaggeri straordinari, i profeti dapprima, indi il Suo stesso Figlio, latori del Suo invito e della Sua legge, ossia della Rivelazione soprannaturale, pensando, come il padrone della vigna: almeno di mio figlio avranno rispetto (cfr. Luca, 20, 13). Invece i vignaioli hanno preferito uccidere il Figlio, pensando, così, di diventare i padroni assoluti della vigna, cioè di sostituirsi nel mondo ai diritti di Dio, creatore di tutte le cose, al quale soltanto deve andare l’amore e il timore degli uomini. Così, tutti sono stati invitati, ma non tutti saranno eletti; tutti hanno avuto la loro possibilità, ma non tutti la sanno vedere e la sanno afferrare. E adesso torniamo al discorso da cui eravamo partiti, sulla benedizione e la maledizione presenti nella vita umana, quale legge morale universale.
La benedizione è saper vedere la Grazia divina, saperla accogliere, saperla porre a fondamento della propria esistenza. La Grazia è il dono soprannaturale che viene offerto agli uomini, ciascuno secondo le sue particolari circostanze, per entrare a far parte della vita divina, cioè per oltrepassare la condizione di uomini e donne auto-centrati, limitati, egoisti, pieni di brame e di timori, duri di cuore, e acquisire la nuova condizione di amici e figli di Dio, rinascendo come ad una nuova vita, ad un più alto piano di esistenza. Accogliendo la Grazia, si muore all’uomo vecchio e si rinasce all’uomo nuovo, spirituale e non più carnale, proiettato verso il vero Bene e capace di riconoscere e disprezzare i piccoli e falsi beni che ingannevolmente l’uomo vecchio desidera, e per i quali sarebbe capace di perdere la propria anima. L’uomo vecchio ragiona secondo la carne, l’uomo nuovo secondo lo spirito; l’uomo vecchio si gloria del successo, del potere, del denaro, è superbo, gonfio d’orgoglio, si vanta nella buona fortuna e si dispera nella cattiva; l’uomo nuovo è mite e umile di cuore, non cerca più nulla per sé, se non Dio, e sa che solo cercando, amando e servendo Dio, troverà la vita serena in questo mondo, cioè la vera letizia di chi è stato affrancato da inutili paure e da vani desideri, e la pienezza della vita soprannaturale, nell’altro.
La Grazia è un mistero. Per riceverla, bisogna chiederla, bisogna almeno desiderarla, come il cieco che desidera il bene della vista, ma sa che egli non può darselo da solo; perciò essa si offre a coloro che sono degni e pronti a riceverla, non a quanti sono lontanissimi dalla necessaria umiltà, e inseguono più che mai le passioni del mondo, cioè le passioni carnali. Le passioni carnali sono la superbia, l’ira, la lussuria, la frode, l’invidia, la maldicenza, l’inganno, la menzogna, l’orgoglio, la vanità, la calunnia, la ribellione ai genitori, il tradimento degli amici, la slealtà verso il prossimo: chi è dominato da esse, non possiede quel minimo di trasparenza morale per essere degno di ricevere la Grazia; e, quand’anche la ricevesse, non se ne accorgerebbe neppure, ma seguiterebbe ad avvoltolarsi nel fango, a pascersi di fango e a desiderare sempre altro fango. Non è sufficiente poter disporre di un tesoro, infatti, per essere ricchi; la prima cosa necessaria è la consapevolezza di disporre del tesoro. Se si possiede un gioiello preziosissimo, ma se ne ignora il valore; se si crede che sia un falso, che sia una pietra qualunque; se non si riconosce il gioiello come tale, oppure non si sa di averlo, essendo mescolato in mezzo a mille altre cose di nessun valore, ma che sono credute importanti, è come esserne del tutto privi. Ebbene: la stessa cosa vale per la Grazia. La Grazia è la benedizione per colui che la riceve; ma, se colui che la riceve non la vede neppure, costui rimane perfettamente escluso dai suoi benefici.
Oltre alla Grazia soprannaturale, la vita ci fa incontrare anche il bene umano, che è un fattore naturale, ma che è anch’esso prezioso, se non altro perché può rappresentare, per noi, il preludio della consapevolezza e del risveglio spirituale, e, pertanto, aprire lo spirito alla ricerca di un bene più alto: quello che viene da Dio, e a confronto del quale tutti i beni di origine umana, anche i più preziosi, impallidiscono e svaniscono. Anche per ricevere il bene naturale è necessario possedere la necessaria consapevolezza; anche in questo caso, per poter ricevere il bene, è necessario anzitutto vederlo. Facciamo un esempio concreto: quello dell’amicizia. Per riconoscere questo grande bene, così dolce e prezioso nella vita umana, bisogna avere già fatto un certo percorso di tipo spirituale: bisogna, come minimo, saper riconoscere e distinguere, nella vita dell’anima, la moneta buona dalla moneta falsa. Chi si circonda di falsi amici, e cerca la loro compagnia per ragioni volgari e ingannevoli – la bellezza, la ricchezza, l’interesse – non arriverà mai a comprendere il significato autentico dell’amicizia, e rimarrà privato del bene che essa è suscettibile di recare nella sua vita, come un fresco vento di primavera che disperde l’aria stagnante e afosa. Ora, rifiutare il bene, rifiutare l’amicizia sincera di un vero amico, è esattamente la stessa cosa che disprezzare la perla preziosa, e seguitare ad adornarsi di monili volgari, di pietre false. L’ignoranza di ciò che è realmente prezioso porta con sé la giusta punizione: restare privi di ciò che ha valore e inseguire testardamente e pateticamente ciò che non ne ha.
Ed ecco spiegato l’apparente mistero della benedizione e della maledizione. La benedizione, nella vita di un essere umano, è il bene che gli si presenta nelle più varie circostanze, e che, per così dire, bussa alla porta di casa sua. Colui che non apre la porta, o che, addirittura, esce e prende a male parole il portatore di bene, arrivando magari fino al punto di percuoterlo e ucciderlo, è colui che trasforma, con le sue stesse mani, la benedizione in maledizione. Come ha fatto l’invitato indegno al banchetto nuziale: senza alcun merito era stato invitato, ma non è stato all’altezza del favore e dell’onore che gli venivano fatti; vi è entrato come un ladro, con animo chiuso e diffidente, e ne è stato scacciato con vergogna e con dolore. Di fatto, siamo noi stessi che ci scacciamo con pena e con vergogna, ogni qualvolta ci comportiamo così: ignoriamo il bene che ci viene incontro, che ci viene offerto gratuitamente, e seguitiamo a desiderare il male, a essere schiavi delle nostre passioni disordinate – passioni, appunto, da schiavi. Non è solo un modo di dire: chi preferisce vestire i panni sudici dell’uomo vecchio e disdegna la veste candida dell’uomo nuovo, è simile a uno schiavo che preferisce seguitare a voltolarsi nel fango, quando gli sono offerti un bagno purificatore e una veste immacolata. La maledizione è questa, sul piano morale. Sul piano pratico, lo vediamo tutti i giorni che cosa sia: infelicità, depressione, angoscia, disperazione, pianto e stridor di denti…
Chi rifiuta la benedizione, si attira la maledizione: questa è la legge
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