ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 12 settembre 2016

Stupiti non solo noi?

Nel capitolo quattordicesimo delle “Ultime conversazioni” di Benedetto XVI un passo sorprendente riguarda l’estromissione nel 2012 del presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi. Del passo riferisce anche Andrea Tornielli, che smentisce così un altro Andrea Tornielli dell’ottobre 2013. Ma il problema fondamentale resta: che cosa è successo veramente nello strano caso attorno alla cacciata di Gotti Tedeschi?
  Non abbiamo ancora finito di leggere le “Ultime conversazioni” di Benedetto XVI Droemer Verlag, Műnchen), a colloquio con il suo biografo Peter Seewald (traduzione italiana di Chicca Galli). Però qualche capitolo già l’abbiamo scorso con attenzione: come il quattordicesimo, dal titolo intrigante “Omissioni e problemi”. E in tal capitolo, a pagina 209 dell’edizione italiana, si ritrova un passo di certo non irrilevante su quanto accaduto allo IOR nel 2012-2013. Citiamo Benedetto XVI: “Per me lo IOR è stato fin dall’inizio un grosso punto di domanda, e ho tentato di riformarlo. Non sono operazioni che si portano a termine rapidamente perché è necessario impratichirsi. E’ stato importante (NdR: il grassetto è nostro) aver allontanato la precedente dirigenza (NdR: Ettore Gotti Tedeschi). Bisognava rinnovare i vertici e mi è sembrato giusto, per molte ragioni, non mettere più un italiano alla guida della banca. Posso dire che la scelta del barone Freyberg si è rivelata un’ottima soluzione.  
Tale passo ha lasciato stupiti non solo noi. Perché ricordavamo una versione molto diversa dei fatti.

LO SQUILLO DEL TROMBETTIER MAGGIORE
Poteva non far udire in materia il suo acuto squillo il Trombettier Maggiore della (premiata) Fanfara Turiferaria di Santa Marta? Difatti venerdì 9 settembre in ‘Vatican Insider (il ‘contenitore religioso’ de ‘La Stampa) e nella stessa edizione cartacea del quotidiano torinese, appariva un articolo di Andrea Tornielli dal titolo palesemente compiaciuto: “Ratzinger: fu mia l’idea di cambiare i vertici dello IOR nel 2012”. 
L’articolo del Trombettier Maggiore si segnala alla pubblica attenzione per almeno due motivi.
Il primo, stilistico-caratteriale. Un terzo delle sessanta righe (e la metà del sottotitolo) servono all’autore per deprecare i critici di papa Francesco, “pseudo-veggenti”, “sedicenti ratzingeriani”, di cui si evidenziano le caratteristiche ‘patologiche e parossistiche”, gli “eccessi di odio più patologici che scismatici”, la “cattiveria verbale”.  E’ un vero travaso di bile (dettato da nervosismo per la realtà confusa della Chiesa ai tempi di papa Bergoglio?) e, in ogni caso, un sublime esempio di comportamento da tenere nell’Anno della Misericordia. Di più: par di capire che Tornielli vorrebbe, motu proprio, aggiungere alle sette opere di misericordia corporali tradizionali e all’ultima sulla “cura della casa comune” introdotta recentemente dal papa argentino anche una nona opera. Quale? La fustigazione dei critici affinché il dolore li purifichi, rendendoli consapevoli del male fatto. 
Il secondo, in materia di IOR. Scrive Tornielli, a proposito della defenestrazione del presidente Ettore Gotti Tedeschi (votata dal consiglio di sovrintendenza il 24 maggio 2012, ma confermata dalla competente Commissione  cardinalizia di vigilanza dello IORsolo all’inizio del 2013, dopo la sostituzione di un membro): “Una certa vulgata ha fatto passare l’idea che la clamorosa destituzione del presidente Ettore Gotti Tedeschi (nominato nel 2009, e dunque in pieno pontificato ratzingeriano), avvenuta con modalità a dir poco discutibili, sia stata frutto di un complotto ordito dal  cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Una decisione che Benedetto XVI avrebbe subito, incapace di reagire. Ma a pagina 209 del libro intervista, il Papa emerito risponde senza tentennamenti a Seewald, rivendicando la scelta….”

“UNA CERTA VULGATA”
“Una certa vulgata ha fatto passare l’idea” (NdR: da notare quel palese, odierno distanziarsi dalla ‘vulgata’) ? Eppure che cosa scriveva un certo Andrea Tornielli (pura omonimia?) su ‘Vatican Insider’ (ma queste coincidenze sono maravigliose!) il 22 ottobre 2013, sotto il titolo perentorio: “Benedetto fu molto sorpreso della cacciata di Gotti Tedeschi”, riprendendo passi di un’intervista rilasciata da mons. Georg Gänswein a ‘Il Messaggero’ ?
Papa Ratzinger (Ndr: questo l’incipitera evidentemente (NdR: il grassetto è nostro) all’oscuro della clamorosa cacciata del presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi, avvenuta con modalità e circostanze del tutto inedite nella storia della Santa Sede e accompagnata dal tentativo di delegittimare personalmente e professionalmente la sua persona (…) Lo attesta monsignor Georg Gänswein.”
Sempre nell’articolo a firma Andrea Tornielli (pura omonimia?) si riportava in particolare un’osservazione molto dettagliata e precisa di Gänswein: “Benedetto XVI, che aveva chiamato Gotti allo IOR per portare avanti la politica della trasparenza, restò sorpreso, molto sorpreso per l’atto di sfiducia al professore. Il Papa lo stimava e gli voleva bene, ma per il rispetto delle competenze di chi aveva responsabilità, scelse di non intervenire in quel momentoSuccessivamente alla sfiducia il Papa, per motivi di opportunità, anche se non ha mai ricevuto Gotti, ha mantenuto i contatti con lui in modo adatto e discreto”. Chiosava Andrea Tornielli (pura omonimia?): “Secondo alcune indiscrezioni, poco prima della rinuncia di Benedetto XVI, era stata decisa una forma di ‘riabilitazione’ del banchiere licenziato, che poi non si è verificata”.
Qual caso maraviglioso di omonimia….chissà se i due Andrea Tornielli si conoscono! Lasciamoli però a specchiarsi l’uno nell’altro e torniamo alla vicenda vaticana assai curiosa.
Le due versioni dello strano caso della cacciata di Ettore Gotti Tedeschi dalla presidenza dello IOR, quella ‘tradizionale’ – corroborata anche dall’intervista citata di mons. Gänswein – e quella contenuta nelle “Ultime conversazioni” non appaiono  facilmente conciliabili. Perciò… ognuno, se lo desidera, si faccia le sue (ardue, non certo comode) riflessioni su quanto è ipotizzabile possa essere avvenuto. 

LO STRANO CASO ATTORNO ALLA CACCIATA DI ETTORE  GOTTI TEDESCHI – di GIUSEPPE RUSCONI - www.rossoporpora.org – 12 settembre 2016


Cosa è successo davvero allo Ior fra Ratzinger, Bertone e Gotti Tedeschi?



Nell'ultimo libro di Ratzinger, c'è una ricostruzione sulla vicenda legata al defenestramento di Gotti Tedeschi dalla presidenza dello Ior che diverge da precedenti ricostruzioni. Ecco fatti, parole e approfondimenti

Quel pasticciaccio brutto dello Ior. Escono le memorie di Benedetto XVI (il volume Ultime conversazioni scritto con Peter Seewald) e si apprende dalla viva voce del Papa emerito che fu sua l’idea di cambiare i vertici dello Ior, l’Istituto per le Opere di Religione, nel lontano 2012. Defenestrando, il 24 maggio di quell’anno, l’allora presidente Ettore Gotti Tedeschi. Una versione che scagiona l’allora Segretario di Stato Tarcisio Bertone, indicato in passato di essere stato lui l’autore dell’affondamento dell’economista piacentino.

LA RICOSTRUZIONE DI TORNIELLI

La sintesi delle ultime vicende è offerta da un pezzo di Andrea Tornielli pubblicato su Vatican Insider. Il vaticanista de La Stampa spiega, libro di Seewald alla mano: “Un esempio finora sfuggito ai recensori del libro riguarda l’Istituto per le Opere di Religione. Una certa vulgata ha fatto passare l’idea che la clamorosa destituzione del presidente Ettore Gotti Tedeschi (nominato nel 2009, e dunque in pieno pontificato ratzingeriano), avvenuta con modalità a dir poco discutibili, sia stata frutto di un complotto ordito dal cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Una decisione che Benedetto XVI avrebbe subito, incapace di reagire. Ma a pagina 209 del libro intervista, il Papa emerito risponde senza tentennamenti a Seewald, rivendicando la scelta: «Per me lo Ior è stato fin dall’inizio un grosso punto di domanda, e ho tentato di riformarlo. Non sono operazioni che si portano a termine rapidamente perché è necessario impratichirsi. È stato importante aver allontanato la precedente dirigenza. Bisognava rinnovare i vertici e mi è sembrato giusto, per molte ragioni, non mettere più un italiano alla guida della banca. Posso dire che la scelta del barone Freyberg si è rivelata un’ottima soluzione». «È stata una sua idea?», chiede il giornalista. «Sì» risponde Ratzinger”.

LE ULTIME CONFESSIONI DI RATZINGER SULLO IOR

Dunque – secondo le “ultime confessioni” di Ratzinger  – Papa Benedetto XVI ha deciso di sua volontà di cacciare Gotti Tedeschi, per procedere poi alla nomina di Ernst von Freyberg, avvenuta poco prima che le sue clamorose dimissioni divenissero effettive il 28 febbraio 2013. Si tratta di una nomina del 15 febbraio 2013 (le dimissioni sono dell’11 febbraio), ma – come si sa – il Papa è nella pienezza dei suoi poteri fino all’ultimo istante di vita o, nel caso di Ratzinger, fino alle ore 19, 59 minuti primi e 59 secondi del 28 febbraio 2013, visto che le dimissioni entrarono in vigore alle ore 20.00. Si può certo discutere sull’opportunità di una scelta, avvenuta dopo una vacanza di 9 mesi, che di fatto ha in un certo senso legato le mani al successore Francesco. Ma anche qui si può rispondere che il nuovo Papa, in quanto titolare della potestà piena, suprema, assoluta e contro le cui decisioni nessuno può fare ricorso, ha potuto cambiare l’assetto dell’Istituto. E lo ha fatto, infatti, quando il 9 luglio 2014 ha provveduto alla nomina di Jean Baptiste de Franssu, attuale presidente dell’Istituto.

COSA DISSE PADRE GEORG

Ma l’ultima confessione di Ratzinger sulla questione è differente dalle precedenti. Il 22 ottobre 2013 ecco la testimonianza di monsignor Georg Gänswein, Prefetto della Casa pontificia e segretario di Papa Ratzinger, che in un’intervista con Il Messaggero dice: “Ricordo bene quel 24 maggio. Quel giorno vi fu anche l’arresto del nostro aiutante di camera Paolo Gabriele. Contrariamente a quello che si pensa, non vi è nessun nesso tra i due eventi, semmai solo una coincidenza sfortunata, persino diabolica. Benedetto XVI che aveva chiamato Gotti allo Ior per portare avanti la politica della trasparenza restò sorpreso, molto sorpreso per l’atto di sfiducia al professore”. E ancora: “Il Papa lo stimava e gli voleva bene, ma per il rispetto delle competenze di chi aveva responsabilità scelse di non intervenire in quel momento. Successivamente alla sfiducia il Papa, per motivi di opportunità anche se non ha mai ricevuto Gotti ha mantenuto i contatti con lui in modo adatto e discreto.” Ma non è tutto. A quanto pare, Ratzinger era talmente addolorato che, successivamente, nel dicembre del 2012, chiese al Segretario di Stato, Bertone (a capo anche del consiglio cardinalizio di vigilanza dello Ior) di riabilitare in qualche modo il professore, di studiare un modo adeguato per riparare Gotti del male ricevuto.

LA VERSIONE DI GOTTI

Non solo; Gotti Tedeschi, nel 2015, ha raccontato la sua versione dei fatti al Catholic Herald, giornale cattolico inglese. Una lunga e dettagliata ricostruzione, diretta all’attuale ministro delle finanze vaticane cardinale George Pell. Ecco come parla della sua cacciata: “Vorrei ora chiarire, sempre per utilità del Cardinale Pell, la relazione tra la Banca Vaticana e il cosiddetto scandalo Vatileaks, in cui il cameriere del Papa, come è stato sentenziato, fece uscire documenti sensibili dalle mura vaticane. I giornali italiani pubblicarono un documento interno della Banca Vaticana (sulla relazione tra AIF e IOR) (…). Al fine di minare la mia credibilità, accusarono me di essere il “corvo” e di aver fatto uscire i documenti. Ciò era ovviamente falso, e così richiesi una immediata indagine. Non accadde nulla. Successivamente si dimostrò che i documenti erano stati fatti uscire dal cameriere del Papa”.

LA RICOSTRUZIONE DELL’ECONOMISTA

Qui Gotti parla evidentemente del primo scandalo Vatileaks, che coinvolse il maggiordomo Paolo Gabriele alias “Paoletto”. Ma poi parla più in profondità della sua defenestrazione: “Vennero poi date nove ingannevoli ragioni per la mia successiva rimozione. Tra queste, fui accusato di non aver compiuto il mio dovere, di non aver tenuto informato il Consiglio dello IOR, e di avere tenuto una cattiva relazione con il management. Una delle ragioni si riferiva anche alla fuoriuscita dei documenti, nonostante fosse poi stato dimostrato che la responsabilità era di qualcun altro. Il Cardinale Pell ha probabilmente bisogno di essere informato anche di quella che ritengo essere una ragione che potrebbe in parte spiegare la decisione del Consiglio dello IOR di sfiduciarmi”.

LO IOR, PELL E IO. PARLA GOTTI TEDESCHI

Vediamo i fatti secondo Gotti: “Nell’Aprile del 2012 la Commissione Cardinalizia riconfermò la mia nomina, ma il 24 Maggio il Consiglio mi cacciò. Non mi è mai stata data la possibilità di spiegarlo, ma credo che la ragione di tale gesto fu la mia decisione (anticipata a chi di dovere) di presentare al Consiglio una proposta che avrebbe completamente cambiato il governo della Banca. Questo cambiamento era assolutamente necessario visti gli eventi precedenti”. E chiude: “Comunque, il Cardinale Pell potrebbe non sapere che la Commissione Cardinalizia non ratificò il voto di sfiducia verso di me del Consiglio dello IOR. Alcuni Cardinali infatti mi sostenevano nei miei sforzi e nella mia professionalità e si rifiutarono di approvare una tale decisione. Forse non sa nemmeno che non mi fu mai concesso di rispondere in persona alle nove ragioni di sfiducia, nonostante molteplici richieste da parte mia e nonostante una nota scritta da me a riguardo e che non fu mai considerata”.

LA VERSIONE DI PADRE GEORG

Ma Gotti ricorda anche l’intervista di monsignor Georg al Messaggero: “Vorrei incoraggiare Sua Eminenza a leggere l’intervista del segretario del Papa, l’arcivescovo Georg Gänswein rilasciata a “Il Messaggero” nell’ottobre 2013, in cui dice che Benedetto XVI fu “molto sorpreso” del voto di sfiducia e che mi teneva in “grande stima”. Dovrebbe anche sapere ciò che il Segretario di Stato mi disse personalmente da parte di Benedetto XVI il 7 Febbraio 2013: il Papa aveva deciso di riabilitare immediatamente la mia figura – una decisione che non fu mai messa in atto dopo le dimissioni di Benedetto XVI”. 

CONCLUSIONE E INDISCREZIONE

E conclude: “Vorrei anche che Sua Eminenza sapesse quanto mi manca Papa Benedetto…”. Forse adesso gli mancherà un po’ di meno. Chissà. E ai collaboratori più vicini, l’economista piacentino avrebbe confidato: “Potrei smentire le ultime confessioni con testimonianze e documenti”. A Formiche.net Gotti Tedeschi, seppure interpellato, non ha voluto dire alcunché.



 http://formiche.net/2016/09/11/ior-ratzinger-gotti-tedeschi/

Ecco perché, secondo me, Benedetto XVI dice la verità

Secondo Maurizio, infatti, in ciò che dice il papa emerito c’è qualcosa che non torna. Tre i punti problematici: là dove Ratzinger sostiene di aver rinunciato al soglio in base a una scelta libera, là dove ha parole di considerazione e stima per Francesco e la sua linea di governo, e soprattutto là dove afferma che l’allontanamento di Ettore Gotti Tedeschi dallo Ior, nel 2012, fu da lui condiviso e non avvenne a sua insaputa.
Niente di vero, dice Blondet. In realtà, sostiene, Ratzinger rinunciò al pontificato perché sottoposto a pressioni che riguardavano la conduzione economica della Santa Sede. Inoltre le parole di apprezzamento per la linea Bergoglio non appartengono al bagaglio teologico e culturale di Benedetto. Infine, proprio la risposta data da Benedetto all’intervistatore Peter Seewald sullo Ior contiene la prova che il papa emerito sta mentendo.
A sostegno della sua tesi sul caso Gotti Tedeschi, Blondet cita un passo dell’intervista che monsignor Georg Gaenswein, segretario di Benedetto, concesse al quotidiano Il Messaggero il 22 ottobre 2013, nella quale, sostiene Maurizio, Gaenswein rivelò che il papa fu tenuto all’oscuro della cacciata di Gotti Tedeschi, la quale non fu dunque frutto di una sua scelta.
Ma perché nel libro-intervista Ultime conversazioni il papa emerito sarebbe stato costretto a mentire?
Secondo Blondet, la spiegazione sta nelle pressioni che il papa emerito avrebbe ricevuto dall’entourage di Francesco dopo le clamorose dichiarazioni fatte da monsignor Gaenswein nel maggio scorso, circa il pontificato «collegiale  e sinodale, quasi un ministero in comune», al quale ci troveremmo di fronte con la presenza in Vaticano di un papa regnante e di uno emerito. Pressioni forti, lascia intendere Blondet, tali da spingere Benedetto a una sorta di atto di riparazione.
Come sappiamo, la tesi di Gaenswein –  noi ce ne siamo occupati qui:   http://www.aldomariavalli.it/2016/07/07/ratzinger-schmitt-e-lo-stato-di-eccezione/  – ha fatto in effetti sensazione ed è stata anche contestata da chi osserva che non ci possono essere due papi e che Ratzinger, anziché dichiararsi papa emerito, avrebbe dovuto spogliarsi della veste bianca e tornare a essere semplice cardinale.
Ora mi chiedo (e me lo chiedono anche tanti lettori): il mio amico Blondet ha qualche ragione quando sostiene che il papa non dice la verità?
Secondo me, no. Secondo me, nel bel libro Ultime conversazioni, Benedetto non sta mentendo, ma sta dicendo la verità, sia per quanto riguarda la sua rinuncia, sia quando giudica positivamente la personalità e il pontificato di Francesco, sia quando parla della brusca rimozione di Gotti Tedeschi dallo Ior.
Andiamo con ordine. Circa la rinuncia, nell’intervista a Seewald Benedetto XVI ribadisce che la sua scelta fu assolutamente libera, che non subì pressioni né ricatti, che ogni altra elucubrazione è assurda e che, se avesse deciso di rinunciare in un momento di crisi o sotto qualche pressione, la sua sarebbe stata una fuga, cioè qualcosa di assolutamente inaccettabile.
Secondo Blondet, che tuttavia non può portare prove a sostegno della sua tesi, in realtà le pressioni ci furono. Benedetto decise di andarsene «perché le potenze mondialiste avevano tagliato fuori la banca vaticana da SWIFT, il sistema di transazioni finanziarie globali:  ciò che rendeva il Vaticano uno stato-canaglia come l’Iran, e non gli consentiva alcun pagamento se non in contanti». E infatti, dice Blondet, non  «appena  le telecamere ripresero l’elicottero con cui Benedetto XVI si ritirava a Castelgandolfo,   il Vaticano fu ricollegato a SWIFT» e  i bancomat  della Santa Sede ripresero a funzionare.
Bene, la sola idea che Ratzinger, il teologo Ratzinger, l’uomo che ha speso tutta la vita al servizio della Chiesa, abbia deciso, con una scelta di portata storica, di rinunciare al soglio per una questione di banche e di bancomat, mi sembra francamente inverosimile. Non voglio dire che l’economia, anche all’interno delle sacre mura, non abbia giocato e non giochi tuttora un ruolo importante (la storia, soprattutto attraverso le vicissitudini dello Ior, è lì a dimostrare il contrario), ma un papa, e soprattutto un papa come Ratzinger, non prende l’epocale decisione di ritirarsi solo perché il sistema bancario mondiale taglia fuori momentaneamente il Vaticano. Ratzinger, come ha sempre detto, ha rinunciato perché ha avvertito di non avere più le forze per governare adeguatamente. Da cardinale, responsabile della Congregazione per la dottrina della fede, visse in presa diretta la fase finale del pontificato di Giovanni Paolo II, con il papa gravemente malato e del tutto impossibilitato a esercitare le funzioni di governo, e non volle che si potesse ripresentare una situazione simile, con tutte le conseguenze che comporta.
Quanto al giudizio di Benedetto sulla linea Bergoglio, sono certo che Ratzinger la pensa esattamente così. Quando dice di vedere nell’elezione del papa sudamericano, così diverso da lui per provenienza e carattere, la dimostrazione che la Chiesa è viva e dinamica, e quando afferma di apprezzare l’apertura e la disponibilità di Francesco verso le persone, è del tutto sincero. Non dobbiamo dimenticare in quale situazione, sotto molti aspetti drammatica, si trovava la Chiesa alla fine del pontificato di Ratzinger, con il papa e il Vaticano sottoposti a un fuoco di fila di attacchi (secondo me del tutto ingiusti, come ho scritto nel libro La verità del papa, pubblicato da Lindau). Fu allora che Benedetto raggiunse la consapevolezza di doversi fare da parte, per consentire un nuovo inizio. E fu allora che si convinse di un fatto: nella società della comunicazione e dell’immagine (che la cosa ci piaccia o meno), la Chiesa ha bisogno di un papa capace, diciamo così, di stare sulla scena. Lui sotto questo profilo si sentì sempre profondamente inadeguato («forse – confessa a un certo punto – io non sono stato abbastanza in mezzo agli altri, effettivamente»), per cui ora è sincero quando si dichiara felice perché la Chiesa ha un papa che si mostra tanto vicino alla gente.
A un certo punto, con la solita schiettezza, Benedetto non rinuncia a mettere in guardia Francesco (quando dice che se un papa riceve troppi applausi c’è qualcosa che non funziona), ma ciò non toglie che veda davvero in Bergoglio il pontefice giusto per questa fase storica della Chiesa.
Infine lo Ior. Secondo Blondet, qui c’è la prova delle prove: Ratzinger sta mentendo. Circa l’allontanamento di Gotti Tedeschi, nel libro-intervista il papa emerito dichiara infatti: «Bisognava rinnovare i vertici e mi è sembrato giusto, per molte ragioni, non mettere più un italiano alla guida della banca. Posso dire che la scelta del barone Freyberg si è rivelata un’ottima soluzione». Stando a Blondet, la prova decisiva che Ratzinger non dice la verità sta nella dichiarazione fatta da Gaenswein al Messaggero, quando il monsignore raccontò: «Benedetto XVI, che aveva chiamato Gotti allo Ior per portare avanti la politica della trasparenza, restò sorpreso, molto sorpreso per l’atto di sfiducia al professore».
Ebbene, Gaenswein disse veramente quelle parole, ma la sua risposta va letta tutta. Aggiunse infatti: «Il Papa lo stimava e gli voleva bene [sta parlando di Gotti Tedeschi], ma per rispetto delle competenze di chi aveva responsabilità scelse di non intervenire in quel momento. Successivamente alla sfiducia, il Papa, per motivi di opportunità, anche se non ha mai ricevuto Gotti Tedeschi, ha mantenuto i contatti con lui in modo adatto e discreto». Dunque sì, Benedetto fu sorpreso, e anche dispiaciuto, per la dura decisione delboard dello Ior contro Gotti Tedeschi, ma, per rispettare la libertà e la competenza di quell’organismo, scelse di non intervenire, e in quel modo di fatto avallò la decisione di licenziare il banchiere piacentino. E a questo proposito posso aggiungere che chi conosce bene Ratzinger sa che un simile comportamento gli si addice perfettamente.
In conclusione, a mio giudizio nel libro Ultime conversazioni c’è un Benedetto autentico, non falso o edulcorato. Un Benedetto che parla, come ha sempre fatto, per amore della verità e della Chiesa, e non perché costretto.
Aggiungo che io non condivido la scelta di diventare «papa emerito», perché, non essendoci una consacrazione a papa, il ruolo viene meno nel momento in cui termina il suo esercizio. Non sono neanche d’accordo con l’idea che ci possa essere un pontificato «collegiale», «sinodale» o «allargato», perché Gesù  ha scelto Pietro e solo Pietro. Quindi, pur con tutto l’amore e il rispetto, non riesco a seguire Benedetto quando dice che,  se il papa si dimette, «mantiene la responsabilità che ha assunto in un senso interiore, ma non nella funzione». No, se il papa si dimette, si dimette e basta, torna cardinale e non mantiene nulla.
Tuttavia queste mie osservazioni non mi impediscono di dire, lo ripeto, che in Ultime conversazioni c’è un Ratzinger autentico e umanissimo. E che chi vuol bene davvero a Benedetto XVI non deve strumentalizzarlo.
Aldo Maria Valli

1 commento:

  1. Jade

    Qualcosa non torna? Certamente, in quanto si gira sempre intorno al punto centrale:
    gli intrecci tra la Massoneria, l'Opus Dei, il Cav. di Malta, quelli di Colombo, delle vere e proprie lobbies con la croce rovesciata. Tra i Cav. Malta, come quelli di Colombo, entrambi in stretto rapporto con i servizi segreti, non è mai corso buon sangue, inoltre pesano sullo IOR, oltre i suoi decorsi precedenti sotto Wojtyla con le implicazioni con il Banco Ambrosiano, le disinvolte operazioni dell'americano Marcinkus, golfista, donnaiolo (un eccezione)e a tempo perso Vescovo, il blocco degli Stati Uniti che fa perno su tre personaggi potenti, tra cui Carl Anderson, Cav. Supremo dei Cavalieri di Colombo, consigliere dello IOR, Mons. P. Brian Wells e l'avv. Jeffrey Lena. Pare che tutti e tre non abbiano digerito il tentativo di Gotti Tedeschi, di riformare lo IOR e quindi di ripulirlo dalle sue torbide ma lucrative operazioni, come d'altronde quello di Freyberg,
    accusato di aver esagerato con le pulizie. Ma ci sono anche altri 'personaggi' coinvolti, lo 'status quo' non deve essere toccato, troppi soldi che fanno gola,
    Bergoglio ha risolto il problema mettendoci un tizio che sarebbe meglio buttare su una discarica. Il Vaticano è uno Stato, che da troppo si poggia sulla religione cristiana cattolica e la usa come maschera, dove degli usurpatori hanno preso il potere nella vera Chiesa di Cristo. Buon viaggio all'inferno che vi aspetta TUTTI TREPIDANTE.

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