ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 19 ottobre 2016

Vento di follia

LA MESSA DEI PRETI "MODERNISTI"

La Santa Messa è un gioco? Per favore cari preti modernisti non bestemmiate. Da dove il delirio è partito? ll vento di follia che si è abbattuto sulla Chiesa cattolica e sul mondo dei credenti a partire dal Concilio Vaticano II 
di Francesco Lamendola  



Quando si legge e si sente di tutta una degenerazione sempre più accentuata, sempre più delirante, nella liturgia della Santa Messa – ridotta a spettacolo di burattini; ridotta a preambolo della Messa-party o dell’Aperimessa; ridotta e degradata a livello di istrionismo, buffoneria, avanspettacolo, con vescovi che se ne vanno per la chiesa in bicicletta, canzoni gridate a squarciagola e accompagnate da chitarre e batteria, preti che nell’omelia si scagliano contro i dogmi e il culto dei santi o della Madonna, che fanno politica, che puntano il dito contro il papa o contro il proprio vescovo, che deridono la pietà popolare, che banalizzano e ironizzano sui pellegrinaggi, sul digiuno, sulle pratiche di devozione, mentre incitano alla contestazione di tutto e tutti, descrivono la storia della Chiesa cattolica come una galleria degli orrori e si atteggiano a coraggiosi paladini del libero pensiero e della dignità umana, calpestata da una teologia vessatoria e inumana, puramente negativa e repressiva: quando si vede e si sente tutto ciò, non si può fare a meno di domandarsi da dove la confusione abbia avuto inizio, da dove il delirio sia partito, come e quando la febbre dell’autodistruzione si sia accesa nelle vene di questi pazzi scatenati, di questi pastori degenerati, di questi operai nella vigna del Signore che hanno preso a comportarsi come se ne fossero i padroni, liberi di abbandonarsi a qualunque licenza, a qualunque originalità e stramberia, a qualunque stravolgimento, anche blasfemo, della sacra Tradizione.

Ebbene: la risposta crediamo si trovi nel vento di follia che si è abbattuto sulla Chiesa cattolica e sul mondo dei credenti a partire dal Concilio Vaticano II, generatore, a sua volta, di sempre più smodate e scomposte aspettative, di sempre più febbrili e convulse velleità di “rinnovamento”, che erano, in effetti, un completo ripudio di secoli e secoli di sacra Tradizione, in nome di una “apertura” al mondo e di un “dialogo” col mondo, che, in realtà, miravano ad un completo allineamento della Chiesa e del cattolicesimo sulle posizioni della civiltà moderna: scientista, edonista, relativista. Basta prendere in mano un libro di teologia, o anche un manuale di religione ad uso scolastico, per rendersene conto; basta sfogliare le riviste cattoliche di quegli anni: vi si troveranno, trasposti sul piano specifico (ma neanche poi tanto) della discussione religiosa, le stesse idee, le stesse follie, gi stessi miraggi, abbagli e forzature, che caratterizzavano, allora, la cultura profana, specialmente nell’ambito della storia, della politica, dell’economia, della sociologia, della psicologia, della filosofia: l’attesa spasmodica di una palingenesi universale, per favorire la quale era necessario spingersi sempre più avanti, bruciarsi tutti i ponti alle spalle, liquidare d’un colpo secoli e secoli di storia, tradizione e identità, e gettarsi a capofitto nel nuovo, nel futuro, certi e persuasi che il Mondo Nuovo fossi ormai lì, dietro l’angolo, a portata di mano, e che i giovani specialmente fossero in diritto di prenderlo e di goderselo, tutto e subito, senza ulteriori, noiose attese, senza dover mettere ulteriormente alla prova la loro pazienza, senza la fatica e il fastidio di lavorare lungamente e pazientemente per costruire, a poco a poco, dei risultati durevoli.
Crediamo sia pressoché superfluo ricordare di quale colore politico fosse l’ideologia profana che, allora, accendeva nei cuori così intense speranze; così come, crediamo, dovrebbe essere quasi altrettanto inutile specificare di che segno, di quale coloritura fossero le analoghe spinte che si verificavano, allora, nei seminari, negli oratori, nelle canoniche, nei palazzi vescovili: erano i tempi di don Lorenzo Milani, il grande e “incompreso” contestatore di Barbiana, dei preti operai, dei teologi della liberazione, degli apostoli di un ecumenismo e di un dialogo interreligioso a senso unico, consistenti nella auto-mortificazione del cattolicesimo e nella esaltazione iperbolica delle altre tradizioni religiose, a cominciare da quella giudaica, presentata come “primogenita” rispetto alla Chiesa di Roma, e omettendo, per pudore o per delicatezza, il piccolo, irrilevante dettaglio che i nostri “fratelli maggiori” erano anche quelli che avevano rifiutato il Vangelo, perseguitato a morte i primi apostoli, dopo aver messo in croce Gesù Cristo (ma questo, era divenuto impossibile dirlo: si sarebbe passati immediatamente per antisemiti e neonazisti), e che continuavano a considerarlo, anche a duemila anni di distanza, un falso profeta, un impostore, un maledetto, che aveva abiurato la religione mosaica per fondare una setta delirante e ripudiata da Dio, del quale essi soli avevano – e hanno – la giusta e legittima chiave di lettura.
Fra le tante lepidezze, follie e strampalate interpretazioni, spacciate per geniali innovazioni liturgiche e pastorali, ci siamo imbattuti nell’affermazione che la Santa Messa è, sotto un certo punto di vista, un gioco. Precisamente, abbiamo scoperto che, in quegli anni – gli anni ruggenti della “contestazione”, e anche quelli un po’ più avanti, allorché le barricate, materiali o metaforiche, non c’erano ormai più, ma i bollenti spiriti dei cattolici progressisti e neomodernisti non s’erano affatto calmati – vi erano dei sacerdoti e dei liturgisti i quali pensavano che la Santa Messa (ma l’aggettivo ce lo mettiamo noi, si vede che siamo all’antica, ce lo mette rare volte l’interessato) è – nell’ordine - una festa; un’assemblea; un memoriale; un gioco; un trattato di alleanza; un sacrificio; un banchetto. Dunque, la Messa come sacrificio scivola al penultimo posto; al primo posto troviamo il concetto di festa della Messa, e al terzo, quello di gioco della Messa. Si badi: non si dice che la Santa Messa è come un gioco; no: si dice proprio, testualmente, che essa è un gioco, e si specifica: come i giochi dei bambini. Queste mirabolanti affermazioni si trovano nel libro di un parroco e liturgista tedesco molto apprezzato negli anni ruggenti del post-concilio, cioè i Settanta e gli Ottanta, quando l’importante pareva che fosse sbalordire il pubblico con sparate sempre più progressiste, sempre più audaci, e sempre più teologicamente ambigue, spericolate, se non proprio eretiche; parlare male dei preti e dei vescovi “tradizionalisti”, rei di opporsi alla modernizzazione della Chiesa, dopo tanti secoli di oscurità e superstizione; promuovere o condannare il papa stesso, a secondo che la sua figura e la sua opera venissero percepite come favorevoli al cambiamento e al “rinnovamento”, cioè alla auto-demolizione della Chiesa stessa, oppure come contrari, e quindi essi risultassero insopportabilmente conservatori e odiosamente reazionari, perciò meritevoli di ogni malignità, insinuazione e discredito.
Stiamo parlando di Theodor Schnitzler, nato a Düsseldorf il 1° aprile 1910 e morto a Meerbusch il 29 agosto 1982, che svolse un ruolo non secondario nei lavori della Commissione liturgica del 1946 per conto della Conferenza episcopale tedesca, e che può considerarsi, perciò, come un precursore e quasi un profeta della riforma liturgica poi condotta sotto gli auspici del Concilio Vaticano II, alla quale, peraltro, avrebbe poi collaborato direttamente. Egli personalmente non si considerava né un “tradizionalista”, né un “modernista”, anzi, stigmatizzava entrambe le posizioni, definendole, tutt’e due (chissà perché), “conservatrici”, e ritenne di seguire una via mediana fra tradizione e modernità. Di fatto, questa era la (prudente) posizione tenuta dalla maggioranza dei membri più in vista della gerarchia ecclesiastica, ed è servita a contrabbandare un’idea doppiamente truffaldina: che i “tradizionalisti” non siano dei veri cattolici, mentre sono, per definizione, i cattolici di ieri, di oggi, di domani e di sempre; e che i “modernisti” siano solo un gruppo di cattolici che si sono spinti più avanti, forse un po’ troppo, ma pur sempre nei limiti dell’ortodossia: mentre il modernismo, come è noto, è stato definito da san Pio X “il collettore di tutte le eresie” e solennemente scomunicato, con l’enciclica Pascendi dominci gregis, dell’8 settembre 1907.
Sia come sia, la notorietà di Schnitzler oltrepassò i confini della Germania e alcuni suoi libri vennero tradotti, sotto la spinta delle tendenze progressiste, anche nel nostro Paese; la solita editrice cattoprogressista, Città Nuova, si affrettò a pubblicare il suo libro Il significato della Messa. Storia e valori spirituali, da cui riportiamo la pagina cui facevamo riferimento all’inizio, a proposito della Santa Messa considerata come un gioco (da: T. Schnitzler, Op. cit.; titolo originale: Was die Messe bedeutet. Hilfen zur Mitfeier, Verlag Herder, Freiburg im Breisgau, 1976; Roma, Città Nuova Editrice, 1986, pp. 25-27):

LA MESSA È UN GIOCO.
La Messa non è uno spettacolo: lo si può leggere nelle pagine precedenti. È dunque una contraddizione: non è spettacolo, però è gioco?
La santa Messa non è teatro, non è rappresentazione scenica, alla quale siedono, quantunque interessati, spettatori muti e passivi. Tanto più muti e silenziosi sono, tanto meglio assistono. Eppure, la Messa è un gioco.
Perché è un gioco? L’antica definizione dice: gioco è fluire disinteressato dell’essere. Disinteressato significa: non c’è nessuno scopo da raggiungere, nessuna mèta come nel lavoro, nessuna intenzione che debba essere portata a compimento. Gioco è essere e vita, volontà e fatica che fluiscono libre. Il gioco può essere molto più intenso del lavoro, molto più personale di tante altre azioni. Basta ascoltare e osservare di nascosto i giochi dei bambini. De essi emerge la personalità del fanciullo. Con ciò si delinea anche il confine fra gioco e “gioco”. Un campionato mondiale alla fin fine non è un gioco, perché lo dominano lo scopo e l’intenzione. Gli antichi giochi olimpici erano una volta vissuti con infantile spensieratezza di fronte agli dèi, oggi invece sono tutt’altro.
In questi senso la Messa è un gioco. Giocano i bambini di Dio di fronte a Lui. Liberamente, senza scopi o mète proprie del lavoro “giochiamo e cantiamo davanti al Signore!”. Questo gioco vuole, se proprio vuole qualcosa, dare gioia, niente altro che gioia. Vuol “far piacere” a Dio e agli uomini. Ma ancora più importante è la gioia che nasce dal gioco stesso, Per questo, esso non è chiassoso, predeterminato e organizzato, non fa sfoggio di sé, ma è invece infinitamente silenzioso, raccolto, spirituale.
Quello che ascoltiamo e vediamo delle forme esteriori, delle parole e delle azioni, si comprende solo se ci diciamo tutto ciò è una festa, un gioco. Come si svolge questo famoso gioco di bambini?  Due fazioni o due partners stanno uno di fronte all’altro. Il primo gruppo canta il verso della canzone, l’altro gruppo intona il proprio. Poi entrambi intonano la parte finale della strofa in comune: di qua, di là, insieme! È l’arte della fuga: il primo tema, l’altro tema, il confluire di entrambi. Tradotto nella filosofia hegeliana: è: tesi, antitesi, sintesi. […]
La triplicità dell’essere dà anche la sua struttura al santo gioco della Messa. Che cosa succede? Da parte nostra il riconoscimento della colpa, dall’altro il rifulgere del perdono e dello splendore nel rifulgere del Kyrie e del Gloria; l’orazione dà la sintesi, riunendo colpa e misericordia. Ancora: da Dio proviene il profeta dell’Antica Alleanza ad annunciare la parola di Dio, da parte nostra risponde il salmo; da Dio proviene l’apostolo della Nuova Alleanza a parlare da parte del Signore da parte nostra replica il secondo canto responsoriale. Da Dio arriva sino a noi la Buona Novella, il Vangelo e l’Omelia. Con la professione di fede e la preghiera dei fedeli, risulta evidente che diveniamo una cosa sola con Dio mediante la fede (cfr. Ef 3, 17)…
Ancora una volta riprende il qui e il là, il sopra e il sottodi questo gioco sacro, in movimento di respiro sempre più vasti. Incediamo verso Dio con le offerte, Dio viene a noi in Cristo con la Consacrazione. Andiamo alla sua mensa con la preghiera e i canti dal Padre Nostro in poi, Dio viene a noi con la santa Comunione e in essa raggiungiamo la più perfetta “sintesi” che possa esistere fra Dio e l’uomo…

Potremmo andare avanti con la citazione, ma sarebbe inutile, oltre che penoso: crediamo che basti. È un guazzabuglio inverosimile di trovate che vorrebbero essere spiritose e intelligenti, ma che sono, invece, di una banalità incosciente e quasi blasfema, che fa rabbrividire. La Santa Messa è un gioco? È un’azione giocosa e “disinteressata” che non mira a nulla, che non vuol nulla? Ma quando mai? Al contrario: è la più seria delle azioni possibili; la più determinata, la più “interessata”, nel senso di diretta a uno scopo. È un rinnovarsi del sacrificio di Cristo, secondo il modello dell’Ultima Cena: altro che gioco da bambini! Non per gioco Gesù ha istituito l’Eucarestia; e non per gioco ha offerto se stesso, sulla croce, in remissione dei peccati dell’umanità. Don Schnitzler doveva essere impazzito. Il fatto che sia stato un “esperto” della riforma liturgica al Vaticano II, dice già tutto…

 
La Santa Messa è un gioco? Per favore, cari preti modernisti, non bestemmiate…

diFrancesco Lamendola

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