ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 22 gennaio 2017

Horribile dictu?

UN EPISCOPATO CHE RESISTE

    Giacomo Biffi e Carlo Caffarra, un episcopato che resiste fieramente alla neochiesa modernista. Bisogna avere il coraggio di dire, almeno adesso, che l’arcivescovo Biffi aveva ragione, che aveva colto nel segno 
di Francesco Lamendola






Qualcuno ricorda ancora che nel 2000, diciassette anni fa, l’arcivescovo di Bologna, monsignor Giacomo Biffi, fine teologo oltre che pastore di anime, prese pubblicamente posizione  contro l’accoglienza indiscriminata di immigrati stranieri, quasi tutti di religione islamica, sostenendo che l’Italia e l’Europa avevano il diritto di vagliarli e di accettare quelli suscettibili d’integrazione, e, dunque, di dare la precedenza a quelli di religione cristiana e cattolica, ad esempio i filippini o i latino-americani, a preferenza degli islamici, i quali sono ben decisi a non integrarsi?
Il 30 settembre del 2000 egli disse testualmente che i governi dei Paesi europei avrebbe dovuto privilegiare l'ingresso degli immigrati cattolici mentre quelli musulmani nella stragrande maggioranza vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra umanità, individuale e associata. Difficile immaginare un discorso più politicamente scorretto, più impopolare, più controcorrente. Per dare un’idea dell’aria che tirava, già allora (e le cose, in questi ultimi anni, non hanno fatto che peggiorare ulteriormente, con il concretizzarsi della minaccia del terrorismo islamico fin nel cuore delle nostre città e delle nostre chiese), c’era chi, fra gli islamici, chiedeva la distruzione o la “copertura” dell’affresco medievale della cattedrale bolognese di San Petronio, nel quale, secondo l’immagine presente nella Divina Commedia, Maometto è raffigurato all’inferno, nudo e tormentato dai diavoli.
E non solo lo chiedeva, ma sporgeva anche una regolare denuncia contro il cardinale Biffi, depositata presso il Foro bolognese (finita, peraltro, in un nulla di fatto) da quell’Adel Smith che allora, e per qualche tempo, è stato visto imperversare sulle reti televisive italiane in una serie di penose partecipazioni ad altrettante tavole rotonde sul tema della tolleranza religiosa, lui che non esitava ad offendere platealmente i sentimenti dei cattolici, definendo il Crocifisso “un cadaverino appeso alla parete”.
Del resto, Giacomo Biffi non era uomo che avesse paura di dire quel che pensava; e, circa il futuro della Chiesa cattolica, vedeva piuttosto nero, ma sapeva cogliere i segni dei tempi più e meglio di tanti altri pretesi “profeti” delle magnifiche sorti e progressive, come David Maria Turoldo (che, pure, la cultura politically correct ha subito definito, trionfalisticamente, la “coscienza inquieta della Chiesa”), o come l’attuale pontefice, il gesuita Francesco. In quello stesso anno, il 2000, Biffi, nel corso di una conferenza, ricordò la profezia del pensatore russo Vladimir Sergeevic Solov’ev a proposito del’Anticristo, che sarà un filantropo, un vegetariano, un pacifista ed uno strenuo fautore dell’ecumenismo, e che riuscirà a sedurre molti, proprio fra i cristiani, appunto per queste caratteristiche esteriori di mitezza e di universalismo, dietro le quali si cela, però, il disegno ben preciso di svuotare dall’interno il senso del Vangelo e di preparare l’apostasia e l’autodistruzione della Chiesa di Cristo.
Se c’è qualcuno che si ricorda, in questo Paese dalla memoria corta, anzi, cortissima, le dichiarazioni di Giacomo Biffi sul tema degli immigrati islamici, allora ricorderà anche il coro immediato di ribellione, di scandalo, d’indignazione che suscitarono le sue parole; e, come al solito, i più indignati e i più scandalizzati non erano fuori della Chiesa, non erano i laicisti e gli ex marxisti, ma venivano dall’interno del mondo cattolico e della Chiesa stessa: ed erano gl’immancabili, immarcescibili cattolici sinistrorsi e progressisti, buonisti e modernisti, per i quali l’esortazione di monsignor Biffi era più o meno qualcosa di simile ad una bestemmia pronunciata nel bel mezzo del Sinedrio.
Ebbene: bisogna avere il coraggio di dire, almeno adesso, che l’arcivescovo Biffi aveva ragione, che aveva colto nel segno, che aveva visto giusto, più e meglio di tanti altri, di tante anime belle, aperte e dialoganti, di tanti teologi e pastori esagitati e posseduti dal non ben precisato “spirito del Concilio”, per i quali anche solo immaginare di porre delle condizioni, di stabilire delle regole di accoglimento che favoriscano, horribile dictu, i cristiani, e che penalizzino, o limitino, l’ingresso degli immigrati di fede islamica, era qualche cosa di sconcio, d’inimmaginabile, e, soprattutto, di radicalmente incompatibile con il vangelo: con il “loro” vangelo modernista e progressista, ben s’intende, non certo con il Vangelo di Gesù Cristo, il quale ultimo, alla donna cananea che chiedeva insistentemente il suo aiuto per la propria figlia, tormentata da un demonio, rispose (Matteo, 15, 24 e 26): Non sono stato inviato  che alle pecore perdute della casa d’Israele; e ancora: Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini (anche se poi non le negò il suo soccorso).
Ha scritto il giornalista Magdi Cristiano Allam nel suo libro-confessione Grazie Gesù.La mia conversione dall’islam al cattolicesimo (Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2008, pp. 32-33 , 35):

Un fascino particolare ho recentemente nutrito [sic] per il cardinale emerito di Bologna Giacomo Biffi, che criticai nel 2000 per aver avuto il coraggio di suggerire che, nella scelta degli immigrato, l’Italia dovesse prediligere quelli di religione cristiana e con i valori compatibili, considerando incompatibile la fede islamica e quanti, tra i musulmani, si proponevano di islamizzare la società italiana. All’epoca almeno suo piano dell’esposizione mediatica, il cardinale Biffi era valorosamente solo e si accollò sulle sue spalle la bufera di condanne e di minacce quale razzista, islamofobo e apologeta sello scontro di religioni. Quanto era stati profetico! […]
Ho avuto modo di incontrare una volta il successore del cardinale Biffi, Carlo Caffarra, invitato nella sua residenza sulle colline bolognesi ad un’udienza concessa l’11 luglio 2005 ad un gruppo di amici di Comunione e Liberazione, a cui lo stesso cardinale aderisce. L’incontro era riservato a coloro che avevano dato il loro contributo al primo anno di una serie di manifestazioni dal titolo “Bologna rifà scuola”. L’8 novembre 2004 avevo partecipato nell’aula magna Santa Lucia gremita di 800 persone, al primo dei “dialoghi” legati a questa iniziativa, dal titolo: “Futuro prossimo. Il valore della persona, fondamento di civiltà”. Erano presenti anche lo psicanalista Claudio Risé, Giorgio Vittadini ed Elena Ugolini, che è l’animatrice dell’iniziativa. È una vera benedizione e un segno della Provvidenza che proprio nella metropoli che  stata la roccaforte del potere comunista e si è rivelata la più malata di laicismo e di relativismo etico,i principali responsabili del degrado dei valori e dell’insieme della società, si siano succeduti arcivescovi con solide posizioni contro la cresciuta della penetrazione islamica. In un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” il 14 dicembre 2006, il cardinale Caffarra ha detto sena mezzi termini: “L’unico dialogo inter-religioso praticabile è quello con l’ebraismo. Con l’islam, invece, possiamo incontrarci soltanto sul terreno della ragionevolezza e dell’educazione. Dobbiamo difendere l’identità dell’Occidente”. Caffarra non ha risparmiato critiche all’approccio con cui fino ad allora veniva percepito e praticato il dialogo interreligioso, che aveva il suo momento culminante ad Assisi nei megaraduni di esponenti religiosi di decine di fedi diverse: “Poterebbero generare confusione nei fedeli Con l’islam possiamo incontrarci negli ambiti del vivere umano, sul tema della ragionevolezza, della concezione della vita, dell’educazione. Ma il rapporto che io cristiano ho con Israele non è equiparabile al rapporto che io cristiano ho con altre religioni”.

Giacomo Biffi ha ricoperto il ruolo di arcivescovo metropolita di Bologna dal 19 aprile 1984 al 16 dicembre 2003 (sarebbe poi deceduto l’11 luglio 2015; era nato a Milano il 13 giugno 1928); sulla sua cattedra gli è succeduto Carlo Caffarra (nato a Samboseto di Busseto, in provincia di Parma, il 1° giugno 1938), dal 16 dicembre 2003 al 27 ottobre 2015: uno che non nascondeva le sue simpatie per la Messa tridentina. A costoro, papa Francesco ha voluto come successore un ex “prete di strada”: Matteo Maria Zuppi, che la Comunità di Sant’Egidio, dalla quale proviene, ha salutato così: Uomo di Bergoglio, con una grande sensibilità per il sociale: è una celta di discontinuità. Evviva: se non altro, questi cattolici buonisti e rancorosi sono estremamente sinceri.
Caffarra, che aveva ricevuto l’ordinazione episcopale proprio dalle mani di Giacomo Biffi, si è mostrato un suo degno successore nella cattedrale di San Pietro a Bologna. Di idee chiare e coerenti, di nobile e alto sentire, ha subito anche lui la gogna mediatica da parte dei mass media progressisti e politicamente corretti, per una serie di episodi, come quando, nel 2009, aveva sconsigliato alla parrocchia di san Bartolomeo della Beverara di ospitare un coro di musica classica formato da omosessuali dichiarati; ed è caratteristico il fatto che, nel far ciò, egli non abbia semplicemente manifestato una sua posizione personale, ma si sia richiamato a dei precisi documenti del Magistero ecclesiastico, in particolare un testo dell’allora cardinale Ratzinger sulla pastorale delle persone omosessuali. Ma il vero motivo dell’antipatia nei suoi confronti, da parte di tutti i progressisti e buonisti, e specialmente di quelli che militano all’interno della Chiesa cattolica, nella quale hanno fondato la loro neochiesa progressista e modernista, risiede nelle sue note posizioni in tema di dialogo-interreligioso.
Caffarra è sempre stato critico nei confronti delle manifestazioni interreligiose di Assisi, nelle quali vede una fonte di pericolose confusioni presso i cattolici, e una anticamera di quella cultura del relativismo tante volte denunciata da Benedetto XVI come uno dei più gravi pericoli per la Chiesa e per il cattolicesimo. Inoltre, ha sempre avuto la franchezza, come Biffi, di dire chiaro e tondo di non credere nel “dialogo” con le altre religioni, e specialmente con l’islam,  per il semplice fatto che non esiste un terreno comune per “dialogare” sui temi della religione, ma solo, casomai, su quelli della civile e pacifica convivenza; mentre fa un’eccezione per il giudaismo, in quanto religione-madre, dalla quale il cristianesimo è nato, di: per costoro, dubitare dello “spirito di Assisi” e negare che esista una cosa chiamata “dialogo interreligioso” non rappresentano opinioni deprecabili, ma, in via di principio, legittime, bensì eresie, proterve e intollerabili, le  quali costituiscono, per il solo fatto di essere manifestate, una sfida che grida vendetta al cielo.
A tutto questo si aggiunga, per completare il quadro, il fatto che Caffarra, dopo aver lasciato la guida dell’arcidiocesi di Bologna per raggiunti limiti di età, il 27 ottobre 2015, ha avuto l’incredibile audacia di sottoscrivere, insieme a Raymond Leo Burke, Walter Brandmüller e Joachim Meisner,  l’ormai famoso, o famigerato, ricorso alla Congregazione per la Dottrina della fede a proposito di alcuni insegnamenti contenuti nella Amoris laetitia di papa Francesco, il 19 settembre 2016. A questo documento non è mai stata data alcuna risposta; il papa che pretende di essere il più liberale, il più democratico della storia, non si è degnato di chiarire i legittimi dubia di quattro suoi eminenti cardinali, che hanno espresso delle perplessità e domandato dei chiarimenti a nome di milioni di fedeli; in compenso, ha fatto capire, sin troppo, quanto quella iniziativa lo abbia irritato, indignato e disgustato. Ad esempio, in una intervista rilasciata al quotidiano (ex cattolico, e ora largamente neomodernista e progressista) Avvenire, il papa ha testualmente dichiarato:

La Chiesa esiste solo come strumento per comunicare agli uomini il disegno misericordioso di Dio. Al Concilio la Chiesa ha sentito la responsabilità di essere nel mondo come segno vivo dell’amore del Padre. Con la “Lumen gentium” è risalita alle sorgenti della sua natura, al Vangelo. Questo sposta l’asse della concezione cristiana da un certo legalismo, che può essere ideologico, alla Persona di Dio che si è fatto misericordia nell’incarnazione del Figlio. Alcuni – penso a certe repliche ad “Amoris laetitia” – continuano a non comprendere, o bianco o nero, anche se è nel flusso della vita che si deve discernere. Il Concilio ci ha detto questo, gli storici però dicono che un Concilio, per essere assorbito bene dal corpo della Chiesa, ha bisogno di un secolo… Siamo a metà.

In compenso, se il papa tace, ufficialmente, davanti ai dubia espressi dai quattro “indegni” cardinali, c’è chi, con inarrivabili zelo e servilismo, ha parlato per lui, invocando provvedimenti esemplari nei confronti dei “ribelli”: il decano della Rota Romana, monsignor Pio Vito Pinto – di nomina e di stretta osservanza bergogliana - ha detto che il papa potrebbe anche togliere il cappello cardinalizio a Caffarra, Burke, Brandmüller e Meisner. Come avviene da copione, non certo nelle democrazie, ma nelle peggiori dittature della storia… 

Giacomo Biffi e  Carlo Caffarra, un episcopato che resiste fieramente alla neochiesa modernista

di Francesco Lamendola


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