Il Terzo Segreto di Fatima rivela la “Parusia intermedia”
IL FIGLIO SPIRITUALE DI MARIA NEL QUALE, “SOPRA IL MONTE”, È GENERATO PERFETTAMENTE IL CRISTO
«La S. Sede non si è ancora pronunciata in modo definitivo» e il problema è aperto alla libera discussione[1]. Con queste parole, l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. Joseph Ratzinger, volle fare chiarezza sulla dibattuta questione della cosiddetta “Parusia intermedia”, cioè la Venuta di Cristo prima del giorno del Giudizio, della quale avevano scritto diversi Padri della Chiesa, fino ai più recenti apporti di valenti teologi[2]. Per prima cosa, si deve fare attenzione a non considerare questo concetto, la “Parusia intermedia”, come si si dovesse trattare di una manifestazione “teatrale” messa in cartello per i tempi finali; mentre piuttosto essa è la vera, grande forza che opera nell’umanità, per trasformarla e riempirla della vita di Cristo, mediante lo Spirito e – vedremo – concretamente, attraverso il suo sangue. Questo concetto, sul quale ritorneremo, è felicemente riassunto nell’espressione “transustanziazione del mondo”, adoperata di recente da S.S. Benedetto XVI. Alla venuta del Cristo fa esplicito riferimento San Paolo nella Seconda Lettera ai fratelli di Tessalonica: Prima (di essa) verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio.
… Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che finora lo trattiene. Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta (2Ts 2,3-8). E ancora l’Apostolo ne parla, in un’altra sua Epistola, lì dove ricorda che prima della fine, il Cristo avrà ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi (1Cor 15,24s). L’Apocalisse, d’altro canto, non fa che descrivere nel particolare questa battaglia escatologica che l’Agnello di Dio ingaggia contro i suoi nemici, i quali prendono forma nelle bestie sataniche e nei re di questo mondo ad esse sottomessi: Essi combatteranno contro l’Agnello, ma l’Agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re dei re (Ap 17,14). Difatti, ecco che infine la bestia fu catturata e con essa il falso profeta … Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo (Ap 19,20). Questa lotta – lo si comprenderà facilmente – non può che avvenire in questa nostra dimensione spazio-temporale, poiché noi, proprio in questi tempi d’angoscia, vediamo gli avversari di Cristo determinati a portare avanti – purtroppo con successo – la loro opera tesa al traviamento delle anime, imponendo un culto idolatrico, anticristico. Alla venuta di Cristo fa riferimento anche il capitolo finale del Vangelo di Giovanni, in quel passo dove Gesù, dopo aver conferito a Pietro il mandato di pascere il gregge, alla domanda di questi a proposito del destino del “discepolo amato”, risponde: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?» (Gv 21,22). Prima della venuta di Cristo, dunque, rimarrà il “discepolo amato” – e non semplicemente Giovanni, figlio di Zebedeo – che ai piedi della Croce prese con sé, tra le cose sue più intime[3] – εἰς τὰ ἴδια –, Maria, la madre del Signore: «Ecco la tua madre!» (Gv 19,26s).
Per comprendere questo mistero grande – la venuta intermedia del Cristo –, occorre dunque tornare sul Calvario, ai piedi della Croce. In quel contesto, quella solennità dell’affidamento, quel suo collocarsi al cuore stesso del dramma della croce, quella sobrietà ed essenzialità di parole che si direbbero proprie di una formula quasi sacramentale, fanno pensare che, al di sopra delle relazioni familiari, il fatto vada considerato nella prospettiva dell’opera della salvezza, dove la donna-Maria è stata impegnata col Figlio dell’uomo nella missione redentrice[4]. Sebbene questo ruolo della Vergine non sia stato ancora definito dogmaticamente, qui si vuole dimostrare che Ella, mettendo al mondo nel dolore il “nuovo figlio”, si sia guadagnata la corona di Corredentrice. Difatti, dopo aver compiuto il reciproco affidamento tra Madre e discepolo, l’Uomo-Dio morente sulla Croce fu consapevole che ormai tutto era compiuto (Gv 19,28). Era dunque indispensabile che quell’affidamento avvenisse, affinché il “tutto” della missione redentrice di Gesù fosse portato a conclusione, nella sua integrità. In mancanza di quelle parole, qualcosa di fondamentale sarebbe venuto a mancare alla completezza del progetto salvifico, contemplato dalle Sacre Scritture.
Il “discepolo amato” diveniva “figlio” della Donna, generato sotto la Croce, mentre la Madre soffriva l’ultimo strazio nel suo Cuore Immacolato, unito al Cuore del Figlio: sul Calvario il Cuore Immacolato di Maria, aperto dalla parola “Donna, ecco il tuo figlio”, si incontrò spiritualmente col Cuore del Figlio aperto dalla lancia del soldato[5]. Ci si potrebbe chiedere: cosa c’entra tutto ciò col mistero della “Parusia intermedia” del Cristo, oggetto della nostra dissertazione? Ebbene, per poterlo arrivare ad intendere, dobbiamo nuovamente fare riferimento all’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, nel cui clima – abbiamone contezza – ci troviamo a vivere, proprio in questo nostro tempo dei “due Papi”: il capitolo 12° si apre con il signum magnum della Donna vestita di sole, l’Immacolata Genitrice di Dio secondo la natura umana, la quale è incinta e grida per le doglie e il travaglio del parto (Ap 12,2).
Certamente questo parto non può riferirsi alla venuta di Gesù nella carne a Betlemme di Giuda, poiché comprendiamo bene che l’Immacolata, immune da ogni macchia di peccato, sin dal primo istante del suo concepimento, non provò alcun dolore nel dare alla luce il Salvatore del mondo; né può ritenersi, come fa qualche esegeta, che si voglia alludere a una continua generazione del Cristo da parte della Chiesa, nella persecuzione, poiché alcuni passi la contraddicono, ed inoltre tutta la descrizione appare assai realistica e non riconducibile che a unico avvenimento ben preciso della storia umana. In questo passo apocalittico si parla dunque del “parto spirituale” di un “figlio spirituale” di Maria, la quale lo mette al mondo nel dolore. E dove, se non sotto la Croce, nel luogo in cui la Madre venne costituita, e quasi si direbbe “consacrata”, come Madre della Chiesa? Questo bambino (τέκνον), che solo in seguito viene denominato “figlio” (υἱός), è perseguitato sin dai primi anni di vita, si direbbe quasi forgiato nel dolore; eppure la sua incolumità è sempre preservata da attacchi che ne possano mettere in pericolo la vita, grazie alla protezione soprannaturale dell’arcangelo Michele, il Custos Ecclesiæ. Questo “figlio”, però, non è un figlio come gli altri, poiché egli viene descritto adoperando attributi messianici: destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro (Ap 12,5), rifacendosi al “Salmo regale” che racconta l’intronizzazione del re.
Chi è questo “figlio spirituale” della Donna? Qui si vuole dimostrare che si tratta in verità del “Vescovo vestito di Bianco” di cui parla la Visione messa per iscritto, nel gennaio 1944, dalla Suora portoghese Lúcia dos Santos, offerto dalla Madre della Chiesa – che è in un certo senso anche “Madre dell’Eucaristia”[6] –, in “sacrificio di riparazione”, col suo Immacolato Cuore: Cuore di Madre, che serbava i misteri e i dolori del Figlio suo Gesù (Lc 2,19.51), compresi in ordine alla Croce, lì dove il suo dolore e la sua fede si erano fusi nella sua anima; e pertanto questa offerta è segnata, in maniera indelebile, da quei misteri e quei dolori del Figlio, interamente rivissuti, in una prospettiva ecclesiale, dal nuovo “figlio” che Le è stato affidato sul Calvario, da Lei dato in oblazione proprio per riparare all’ “abominio devastante”, che vorrebbe negare la Crocifissione redentrice. Ed ecco allora le fiamme inviate dall’Angelo con la spada di fuco, che si spengono al contatto dello splendore emanato dalla Madre, mentre in una luce immensa che è Dio, viene veduto il “Vescovo vestito di Bianco”: il suo “figlio” partorito nel dolore.
Il Trionfo del Cuore Immacolato di Maria, come ho già detto altrove[7], non consiste che in questo: è il tempo nel quale la Madre farà la sua “offerta sacerdotale”, presentando il corpo del “figlio spirituale” – la Vittima – nel quale, quando, come a Cana di Galilea, il vino del Sacrificio eucaristico verrà a mancare, il Padre genererà il sangue, in cui è la salvezza, affinché sia possibile celebrare le Nozze di Lui con la sua Sposa (Ap 19,7); Egli è perciò anche il Sommo Sacerdote, “consacrato” direttamente dall’Altissimo, e il Pastore che si fa concretamente agnello: la “Parusia intermedia” oggetto del nostro discorso. Nel rifugio nel deserto, durante il tempo della persecuzione anticristica – che è il tempo nostro prossimo venturo –, la vera Chiesa si troverà al riparo, seppure ridotta ai minimi termini, e verrà nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo (Ap 12,14), vale a dire per i tre anni e mezzo, durante i quali la Messa cattolica sarà abolita, proprio grazie all’ “offerta sacerdotale” della Madre Immacolata. Mentre altrove è devastazione, mentre in ogni parte del mondo imperversa la persecuzione del drago contro il resto della discendenza della Donna (Ap 12,17), in questa porzione di Chiesa ci sarà un “figlio spirituale” di quella stessa Donna, che sacrificandosi in “riparazione”, consentirà la sopravvivenza del vero culto.
Difatti, noi abbiamo consapevolezza che la devozione al Cuore Immacolato di Maria e il Sacrificio eucaristico di “riparazione” sono i due assiomi fondamentali del messaggio consegnato ai tre pastorelli da Nostra Signora del Rosario di Fátima. Entrambi si fondono e si spiegano a vicenda proprio nella figura del “Vescovo vestito di Bianco”.
Del resto, la Scrittura ci illumina e ci sostiene: Se qualcuno commetterà un’infedeltà e peccherà per errore riguardo a cose consacrate al Signore, porterà al Signore, come sacrificio di riparazione, un ariete senza difetto, preso dal gregge (Lv 5,15). Questa è la prescrizione della Legge, nel caso d’infedeltà: portare al Signore, in “sacrificio di riparazione”, un ariete senza difetto – immacolato – preso dal gregge – la Chiesa. Eppure quest’uomo senza colpa (Dn 9,26), perseguitato e sofferente, nel testo apocalittico viene denominato “agnello” e non “ariete”. Questo perché Egli deve crescere (Gv 3,30): anch’Egli ha bisogno di lavare nel vino la sua veste (Gn 49,11), cioè il suo corpo, quello della Vittima, poiché esso si presenta ancora imperfetto, a cagione dell’accanimento demoniaco contro la sua carne passibile, che è stata immolata in empi riti (cfr Ap 5,9). Il “Dio con noi”, l’Emmanuele – dice Isaia – mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene (Is 7,15). Eppure, benché solo “agnello”, che nella storia di tutti i popoli è l’animale sacrificale per eccellenza, Egli è pienamente consapevole che il Sacrificio eucaristico nel quale quotidianamente s’immolerà, in una maniera che si potrebbe velatamente rifare a quanto accadde per San Pio da Pietrelcina, sarà sempre celebrato come memoriale del Sacrificio del Golgota, che in Lui verrà perfezionato solamente alla fine della “salita del Monte”, ai piedi della grande Croce, lì dove Egli verrà trafitto (Ap 1,7) e dalle cui piaghe zampillerà quella sorgente purificatrice, di cui parla il profeta Zaccaria (Zc 12,10; 13,1): agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29); ecco che le parole del Battista ora si rivelano nel loro significato più compiuto.
È la “transustanziazione del mondo”, di cui ha parlato recentemente S.S. Benedetto XVI: «un mondo nel quale l’amore ha vinto la morte», proprio mediante quell’ “offerta sacerdotale “ della Donna di Nazareth, “Mater Ecclesiæ”. «Noi offriamo sempre il medesimo Agnello, e non oggi uno e domani un altro, ma sempre lo stesso. Per questa ragione il sacrificio è sempre uno solo. […] Anche ora noi offriamo quella vittima, che allora fu offerta e che mai si consumerà».[8] «In verità io vi dico che io non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio» (Mc 14,25, cfr Mt 26,29). In queste parole di Gesù, comprendiamo bene come il “regno di Dio” non possa che avere un antefatto proprio su questa terra, dove il “Vescovo vestito di Bianco”, vero Capo della Chiesa, consacrando, bevendo e dando da bere il proprio sangue, sigillo del Dio vivente (Ap 7,2), potrà condurre alle fonti delle acque della vita, coloro i quali andranno incontro alla “grande tribolazione” apocalittica (Ap 7,13-17). C’è ancora un’altra parola del Cristo, nella quale questa verità è meglio spiegata: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati» (Mc 10,39): calice e battesimo, ancora sangue e acqua; ma qui il battesimo, come ogni volta in cui il Cristo parla di se stesso, allude alla sua morte; e perciò esso consiste in un palingentico “battesimo di sangue” (Lc 12,50), quello descritto appunto nella Visione di Fátima.
Esattamente come nel Primo Esodo, in questa strada di salvezza che si aprirà tra le sofferenze dell’ultima tribolazione, il sangue dell’Agnello, che vince l’accusatore, il Satana (Ap 12,10), sarà necessario per affrontare e superare l’ultimo scatenamente del Male, che stravolgerà questo nostro mondo che passa, affinché si possa salire a un nuovo cielo e a una terra nuova (Ap 21,1). È la Pasqua finale, prefigurata da quella Israelitica, che pure fu un cammino di liberazione dal sangue all’acqua: dal sangue dell’agnello cosparso sugli stipiti delle case israelitiche, all’acqua del Mar Rosso (o del Giordano), che prefigura il battesimo cristiano. Contestualmente, sarà anche una strada lungo la quale il “Vescovo” – Colui che apre e chiude (Ap 3,7) – si farà datore di vera Misericordia Divina; un passaggio proprio dal sangue all’acqua, che non potrà che cominciare allorquando l’impostura in atto, riguardante una “falsa Misericordia”, avrà prodotto fino in fondo i suoi disastrosi risultati: l’ “abominio devastante”, che la Vergine del Rosario aveva chiaramente anticipato alla Cova da Iria il 13 luglio 1917: «varie nazioni saranno distrutte»[9]. «Scrivi questo: prima di venire come Giudice giusto, vengo come Re di Misericordia. Prima che giunga il giorno della giustizia, sarà dato agli uomini questo segno in cielo: si spegnerà ogni luce in cielo e ci sarà una grande oscurità su tutta la terra. Allora apparirà in cielo il segno della Croce e dai fori, dove furono inchiodati i piedi e le mani del Salvatore, usciranno grandi luci che per qualche tempo illumineranno la terra. Ciò avverrà poco tempo prima dell’ultimo giorno». O Sangue e Acqua, che scaturisci dal Cuore di Gesù, come sorgente di Misericordia per noi, confido in Te.[10] Parole messe per iscritto dalla Suora polacca Faustyna Kowalska, canonizzata dalla Chiesa, nelle quali è esplicitamente predetta la “Parusia intermedia” della quale stiamo parlando: il Cristo che si manifesta come “Re di Misericordia”, prima di venire come “Giudice”. «Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,3). Sopra il Monte, sotto la grande Croce veduta dai tre piccoli veggenti portoghesi, l’Agnello di Dio, ripresa la sua immacolatezza che na fa la Vittima pura, e portando liberamente agli estremi esiti la sua immolazione, si rivela fino in fondo nostra Pasqua (1Cor 5,7), e in Lui, il “figlio spirituale” di Maria, è generato perfettamente il Cristo: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?». Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen! (Ap 1,7)
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[1] A. GREGORI, La Venuta Intermedia di Gesù, Terni 1993, p. 8; è riportato il breve colloquio del teologo p. Martino Penasa col card. Joseph Ratzinger. [2] «Conosciamo una triplice venuta del Signore. Una venuta occulta si colloca infatti tra le altre due che sono manifeste. Nella prima il Verbo fu visto sulla terra e si intrattenne con gli uomini, quando, come egli stesso afferma, lo videro e lo odiarono. Nell’ultima venuta “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” (Lc 3,6) e vedranno colui che trafissero (cfr. Gv 19,37). Occulta è invece la venuta intermedia, in cui solo gli eletti lo vedono entro se stessi, e le loro anime ne sono salvate. Nella prima venuta dunque egli venne nella debolezza della carne, in questa intermedia viene nella potenza dello Spirito, nell’ultima verrà nella maestà della gloria. Quindi questa venuta intermedia è, per così dire, una via che unisce la prima all’ultima» (S. BERNARDO DA CHIARAVALLE, Disc. 5 sull’Avvento, 1-3; Opera omnia, Ed. cisterc. 4 [1966], pp. 188-190). È significativo il fatto che all’argomento “Parusia”, il Catechismo della Chiesa Cattolica non dedichi che pochi accenni, neppure espressi in modo chiaro e univoco, proprio perché la questione è ancora dibattuta né si è mai tentato di definire dogmaticamente in che modo il Cristo sarebbe ritornato, tanto è vero che si è parlato esplicitamente di “vuoto dogmatico”. [3] Come è noto, nel testo greco l’espressione “εἰς τὰ ἴδια” va oltre il limite di un’accoglienza di Maria da parte del discepolo nel senso del solo alloggio materiale e dell’ospitalità presso la sua casa, designando piuttosto una comunione di vita che si stabilisce tra i due in forza delle parole del Cristo morente: cf S. Agostino, In loan. Evang. tract. 119, 3: «Egli la prese con sé non nei suoi poderi, perché non possedeva nulla di proprio, ma tra i suoi doveri, ai quali attendeva con dedizione» (GIOVANNI PAOLO II, Lett. encicl. Redemptoris Mater, 45, nt. 130 [25 marzo 1987]). [4] GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale (Mercoledì, 23 novembre 1988). [5] GIOVANNI PAOLO II, Omelia durante la Santa Messa celebrata nel Santuario di Fátima (13 maggio 1982). [6] È intuitivo comprendere che, come Genitrice del Dio-Uomo, secondo la carne, Maria non possa che essere anche Madre del pane di vita che è appunto l’Eucaristia, tanto che si è arrivata a definirLa “Madre dell’Eucaristia”. «Il rapporto di Maria con l’Eucaristia si può indirettamente delineare a partire dal suo atteggiamento interiore. Maria è donna “eucaristica” con l’intera sua vita. La Chiesa, guardando a Maria come a suo modello, è chiamata ad imitarla anche nel suo rapporto con questo Mistero santissimo» (GIOVANNI PAOLO II, Lett. encicl. Ecclesia de Eucharistia, 53 [17 aprile 2003]). [7] Nota Il Trionfo del Cuore Immacolato di Maria si comprende sul Golgota (18 gennaio 2016):
https://www.facebook.com/notes/giov… [8] S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla Lettera agli Ebrei 17,3 : PG 63,131. [9] LÚCIA DOS SANTOS, Memorie di suor Lucia, I, Fátima 20058, pp. 173-174 (Quarta Memoria, 8 dicembre 1941). [10] S. MARIA FAUSTINA KOWALSKA, Diario. La Misericordia divina nella mia anima, Città del Vaticano 2007, 11ª ed., n. 83, p. 101.
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