Gesù (non) dixit Il gesuita che offende Cristo
Evangelisti senza registratore? Il generale gesuita Sosa,
prigioniero dell’ideologia irrazionalistica è allergico alla parola “dottrina”,
non vede che con questa stolta polemica offende non solo la Chiesa, ma Cristo
stesso, rinnegando i principali dogmi della Chiesa. Le stesse aberrazioni della
Teologia de la revolución. Sofismi che possono far presa sull’opinione pubblica
cattolica meno fornita di criteri, ma sono stati decostruiti e smentiti dai
documenti del Magistero.
L’intervista del generale dei gesuiti Padre Sosa, per il quale le parole di Gesù andrebbero contestualizzate perché gli evangelisti non avevano con sè un registratore, per la sua assoluta incoerenza logica, non meriterebbe alcun commento teologico ma solo una risata. Ma, trattandosi di un intervento dell’attuale generale dei Gesuiti nel dibattito sull’interpretazione di un documento pontificio così problematico come l’Amoris laetitia, si rende necessario, per responsabilità pastorale nei confronti dei fedeli ai quali l’intervista è giunta attraverso i media internazionali, un richiamo al corretto rapporto del Magistero e/o della sacra teologia con la verità rivelata, quella con la quale Dio «ha voluto farci conoscere la sua vita intima e i suoi disegni di salvezza per il mondo» (Vaticano I, costituzione dogmatica Dei Filius, 1870).
I fedeli cattolici (sia Pastori che fedeli) sanno che la verità che Dio ha rivelato agli uomini parlando per mezzo dei Profeti dell’Antico Testamento e poi con il proprio figlio, Gesù (cfr Lettera agli Ebrei, 1, 1), è custodita, interpretata e annunciata infallibilmente dagli Apostoli, ai quali Cristo ha conferito la potestà di magistero autentico per l’evangelizzazione e la catechesi. Agli Apostoli Cristo ha detto: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me. E chi disprezza me, disprezza Colui che mi ha mandato» (Vangelo secondo Luca, 10, 16). Il valore di verità della dottrina degli Apostoli e dei loro successori (i vescovi con a capo il Papa) dipende quindi interamente dal valore di verità della dottrina di Cristo stesso, l’unico che conosce il mistero del Padre: «La mia dottrina non è mia ma di Colui che mi ha inviato» (Vangelo secondo Giovanni, 7, 16). Padre Sosa, prigioniero com’è dell’ideologia irrazionalistica (pastoralismo, prassismo, storicismo) è allergico alla parola “dottrina”, ma non si rende conto che con questa sua stolta polemica offende non solo la Chiesa di Cristo ma Cristo stesso.
Tanto è essenziale la potestà di magistero (munus docendi), che Cristo ha conferito agli Apostoli unitamente alla potestà di amministrare i sacramenti della grazia (munus sanctificandi), con i quali gli uomini possono essere santificati, cioè uniti ontologicamente (non solo moralmente) a Cristo, e in Lui, nell’unità dello Spirito, a Dio che è il solo Santo. Dice infatti Gesù agli Apostoli: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Vangelo secondo Matteo, 28, 20).
E per provvedere alle necessità spirituali dei fedeli, con la costituzione gerarchica della Chiesa, Cristo ha conferito agli Apostoli anche la missione pastorale (munsu regendi). Si capisce allora che non si può pensare a riforme “pastorali” della Chiesa in contrasto con la dottrina dogmatica e morale, come vorrebbe padre Sosa, con l’alibi delle presunte ispirazioni di un fantomatico “Spirito”, che certamente non è lo Spirito di Gesù (quello che «ex Patre Filioque procedit») perché contraddice frontalmente la sua dottrina e i sui comandamenti, anche lì dove Gesù ha parlato in modo definitivo e inequivocabile, com’è il caso del matrimonio naturale, che è indissolubile perché Dio così lo ha istituito «fin dal principio».
Non serve a niente – tanto meno all’edificazione della fede dei cattolici di oggi – sostenere con argomenti pseudo-teologici, ossia con la propaganda rivoluzionaria, le riforme dottrinali di una immaginaria “Chiesa di Bergoglio”: i fedeli sanno benissimo che la “Chiesa di Bergoglio” non esiste e non può esistere, perché Dio ha voluto solo la Chiesa del Figlio suo, la Chiesa di Cristo, Verbo Incarnato e Capo del Corpo Mistico, sempre presente per essere l’unico Maestro, Sacerdote e Re per ogni generazione, fino alla fine dei tempi (si vedano il classico trattato teologico del cardinale Charles Journet, L’Eglise du Verbe Incarné, Desclée, Paris-Bruges 1962, e il recentissimo saggio del Prefetto della Congregazione della Fede, il cardinale Gerhrard Ludwig Müller, intitolato Der Papst – Sendung und Auftrag, Herder Verlag, Frankfurt 2017).
Non serve a niente parlare di una “Chiesa del popolo”, immaginata secondo gli schemi ideologici della sudamericana “teologia del pueblo”, dove è “la base”, “coscientizzata” dagli intellettuali organici (i teologi), quella che decide quale dottrina e quale prassi rispondono alle necessità politiche di quel momento storico e il Papa non è più l’interprete infallibile della verità rivelata e l’amministratore dei misteri salvifici ma l’interprete della volontà popolare e l’amministratore della rivoluzione permanente. Sono le aberrazioni pseudo-teologiche che si ritrovano già nella Teologia de la revolución del peruviano Gustavo Gutiérrez e che traggono origine dalla «nuova teologia politica» del tedesco Johann Baptist Metz. Il venezuelano padre Sosa, da sempre legato a questa corrente ideologica, ripropone oggi, nell’intento di sostenere servilmente le presunte intenzioni rivoluzionarie di papa Bergoglio, teorie che già quarant’anni fa, sotto papa Wojtyla, sono state condannate dal Magistero come contrarie al dogma ecclesiologico.
Nemmeno serve l’alibi pseudo-teologico di una nova e “aggiornata” interpretazione della Scrittura, capace di contraddire perfino le «ipsissima verba Christi» e capace poi di squalificare come “fondamentalisti” quanti nella Chiesa (non solo i teologi come Carlo Caffarra ma anche i Papi come san Giovanni Paolo II) stanno al significato ovvio e vincolante degli insegnamenti biblici. Questi sofismi possono far presa sull’opinione pubblica cattolica meno fornita di criteri di discernimento: ma sono stati già da tempo decostruiti e smentiti punto per punto dai documenti del Magistero recente e dalla critica teologica (vedi il mio trattato su Vera e falsa teologia, Leonardo da Vinci, Roma 2012).
Noi cattolici sappiamo di dover leggere l’Antico e il Nuovo Testamento alla luce della dottrina della Chiesa, perché è proprio della Chiesa che ci ha dato la Sacra Scrittura, garantendone l’ispirazione divina, ed è essa che ne fornisce l’interpretazione autentica, ogni qual volta un’interpretazione è necessaria per renderne comprensibile il messaggio salvifico agli uomini di un determinato contesto storico-culturale.
Noi cattolici, a differenza di Lutero e di tutti quei protestanti che ne hanno seguito la metodologia teologica (radicalmente eretica), non ci basiamo sull’illogico principio della «sola Scriptura» e del «libero esame», e non vediamo alcun motivo logico di opporre la Bibbia al Magistero e il Magistero alla Bibbia. Noi cattolici abbiamo motivo di credere, al di là di ogni ragionevole dubbio, all’autorità dottrinale della Chiesa che ci ha consegnato la Sacra Scrittura, assicurandoci del fatto che essa è veramente la «parola di Dio», in quanto Dio stesso ne è l’autore principale e gli agiografi, che hanno scritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, ne sono gli autori secondari o strumentali.
Ciò significa, contro il relativismo professato da padre Sosa, che ciò che si legge nella Sacra Scrittura è assolutamente vero, è la verità dei misteri soprannaturali che Dio ci ha rivelato gradualmente, per mezzo dei profeti, e poi definitivamente nella persona stessa di Dio Figlio. Si deve tener sempre presente che i testi scritturistici, pur contenendo la rivelazione dei misteri soprannaturali, di per sé ineffabili, forniscono ai credenti quel tanto di conoscenza (analogica) del divino che permetta loro di trovare in Cristo «la via, la verità e la vita».
Per questo loro essenziale scopo salvifico i testi scritturistici non sono “aperti” a ogni possibile interpretazione, anche in contraddizione con il loro significato testuale, che di norma è chiaro ed inequivocabile (lo stesso significato chiaro ed inequivocabile che hanno le formule dogmatiche che nei secoli la Chiesa è andata definendo). Non è vero quello che sosteneva alcuni decenni or sono il protestante svizzero Karl Jaspers, ossia che «nella Bibbia, dal punto di vista dottrinale, si può trovare tutto e il contrario di tutto».
Quando avviene che il significato testuale di un passo scritturistico sia suscettibile di diverse interpretazioni, è la Chiesa stessa che provvede a fornirne un’interpretazione “autentica”, ossia conforme all’insieme organico di tutta la dottrina rivelata (analogia fidei). Qualora poi la Chiesa non sia intervenuta a fornirne un’interpretazione “autentica”, i teologi sono liberi di proporre le loro personali ipotesi di interpretazione, tutte legittime purché compatibili con il dogma.
Il generale dei Gesuiti si riferisce irresponsabilmente a pericopi evangeliche, nelle quali è testualmente contenuta la dottrina rivelata sul matrimonio, dicendo che si tratta di parole di uomini (gli agiografi), trasmesse da altri uomini (gli Apostoli e i loro successori) e interpretata da altri uomini ancora (i teologi). Insomma, per lui non è mai la Parola di Dio! In un sol colpo padre Sosa riesce a rinnegare tutti i dogmi fondamentali della Chiesa cattolica, a cominciare da quello della divina ispirazione della Scrittura, da cui derivano le proprietà di “santità” e di “inerranza” degli insegnamenti biblici (richiamati da Pio XII nel 1943 con l’enciclica Divino afflante Spiritu e poi riproposto dal Vaticano II nel 1965 con la costituzione dogmatica Dei Verbum), per finire con quello dell’infallibilità del magistero ecclesiastico quando definisce formalmente le verità che Dio ha rivelato per la salvezza degli uomini (definito nel 1870 dal Vaticano I con la costituzione dogmatica Pastor Aeternus e riproposti anche dal Vaticano II con le costituzioni dogmatiche Lumen gentium e Dei Verbum).
Riducendo la Scrittura a «espressione della coscienza della comunità credente di altri tempi», a padre Sosa sembra logico di dover sostenere la necessità di una nuova interpretazione del messaggio biblico alla luce della «espressione della coscienza della comunità credente» di oggi. Ma questo è logico solo se si professa l’«anarchia ermeneutica», quella che ha portato un teologo luterano come Rudolf Bultmann a proporre la «de-mitologizzazione» del Nuovo Testamento. Invece, per la fede cattolica (che fino a prova contraria dovrebbe essere quella del generale dei Gesuiti), è del tutto illogico suppore che la Scrittura non insegni sempre e soprattutto delle verità divine indispensabili per la salvezza degli uomini di ogni luogo e di ogni tempo. Solo chi accetta in toto l’eresia luterana può supporre che non esista quello che io chiamo il «limite ermeneutico invalicabile», ossia l’individuazione (immediata, accessibile a tutti) di un ben preciso contenuto dottrinale, che nessuna interpretazione può negare o mettere in ombra. Questo è il caso, per l’appunto, della dottrina evangelica sul matrimonio e l’adulterio.
Capisco (anche se la depreco) l’intenzione di padre Sosa di sostenere la (presunta) rivoluzione pastorale di papa Bergoglio relativizzando il dogma, per poter contraddire nella prassi quanto la Chiesa ha stabilito ormai definitivamente con la dottrina sui sacramenti del Matrimonio, della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma ragioniamo: eliminando il dogma, su quale base si dovrebbe dar ascolto a un Papa, il quale – secondo l’interpretazione ufficiosa di Sosa e di tanti altri teologi ossequiosi – ha messo il dogma da parte?
Se non è assolutamente (non relativamente) vero – oggi come ieri e come domani – che Cristo ha dato al Papa la suprema potestà nella Chiesa, per quale motivo dovemmo ascoltarlo e obbedirgli? E noi sappiamo proprio dalla Sacra Scrittura (sulla quale si basano i dogmi enunciati dal Magistero, dai primi secoli fino al Vaticano I) che Cristo ha dato al Papa la suprema potestà nella Chiesa; ora, se si applicasse a questa volontà espressa di Cristo il criterio relativista di Sosa, allora ci sarebbero cattolici che venerano e rispettano il Papa e altri che lo ignorano o lo combattono. Gli uni e gli altri per motivi non teologici, ma ideologici, cioè politici. Fedeli a papa Bergoglio sarebbero solo quelli che lo seguono come si segue in politica un leader “carismatico” e non si tratterebbe certamente del carisma divino dell’infallibilità nella dottrina, ma del carisma umano del capopopolo che con le sue parole e i sui gesti ottiene consenso nelle masse.
Padre Arturo Sosa Abascal alla destra di Bergoglio
Oggi siamo alle prese con una sorta di bombardamento concentrico, le cui batterie, siano poste in Casa Santa Marta o in Borgo Santo Spirito, sono sempre azionate dai Gesuiti.
A dire dell’attuale Superiore dei Gesuiti, Padre Arturo Sosa Abascal, si tratterebbe di “una situazione speciale” in cui si troverebbe oggi la Chiesa, tale da esigere la scelta, mai avvenuta, di un papa gesuita.
In una intervista, rilasciata a Giuseppe Rusconi e da questi pubblicata il 18 febbraio scorso sul suo sito Rosso Porpora, il Superiore esordisce con una moderna lettura della defezione cattolica in atto da anni nell’America del Sud, da cui lui proviene.
“Ci si può chiedere quanto fosse veramente cattolica l’America latina”, visto che “la Chiesa latino-americana nasce dal sistema coloniale” e ha prodotto “una società che aveva imposto il cattolicesimo come ideologia”.
In verità una singolare lettura dell’apostasia cattolica a favore delle sette protestanti, che secondo il nuovo capo dei Gesuiti sarebbe da addebitare al vizio d’origine del cattolicesimo latino-americano. Nessuna responsabilità dei chierici cattolici, Gesuiti in testa, che in questi ultimi 50 anni, in seguito al Vaticano II, hanno smesso di fare i cattolici e si sono dati ad appoggiare ogni movimento eversivo nato in Sudamerica, soprattutto se anticattolico.
Il nostro Alberto Sosa Abascal, venezuelano, è noto non tanto per la sua spiritualità, quanto per essere un cultore, anche a livello accademico, della politica sociale di stampo positivista e marxista, sulla cui scia arrivò ad appoggiare il comunista Ugo Chavez, salvo criticarlo dopo il fallimento del suo governo dittatoriale in tipico stile sudamericano.
In questi mesi, i commentatori si sono chiesti quanto abbiano influito nella sua elezione a capo della Compagnia di Gesù sia questo suo retroterra culturale sia le riscontrate affinità con l’altro gesuita oggi sedente a Roma, Jorge Mario Bergoglio.
Singolare, in verità, questa coincidenza tra la prima volta di un gesuita sul Soglio e la prima volta di un sudamericano come “papa nero”.
Una qualche risposta a questi interrogativi la si trova in questa intervista, per esempio quando Padre Sosa precisa che l’evangelizzazione nel Settecento operata dalle reducciones – gesuite – «non era dunque proselitismo, strumento di propaganda utilizzato dal potere per accrescere i propri numeri», ma «proposta del Vangelo» che puntava alla «conservazione della cultura indigena rafforzandola dal punto di vista socio-economico».
Anche qui, emerge la distorta prospettiva del nostro, che mostra la confusione che regna nella sua mente tra conversione a Dio per la salvezza dell’anima e soluzione dei pratici problemi mondani di una data persona o un dato popolo.
Un altro esempio è dato dal pappagallesco richiamo al “fondamentalismo” cristiano, evocato a proposito dei cattolici che si “sclerotizzano” nella legge: «Noi parliamo del fondamentalismo musulmano, islamico, ma non guardiamo il nostro…».
E qui non si capisce se è Sosa che copia Bergoglio o è Bergoglio che si esprime secondo le riserve mentali che così sembrerebbero albergare nella moderna Compagnia di Gesù.
Cosa illuminata da quest’altra risposta:
«i due fondamentalismi si possono paragonare nell’atteggiamento. E’ certo fondamentalista l’atteggiamento di chi critica radicalmente il Concilio Vaticano II, questo nuovo modo di essere Chiesa che oggi è incarnato dal magistero di papa Francesco… Dicono di essere più fedeli di lui al Vangelo…»
Certo che lo dicono, e non a torto, ed è comprensibile che la cosa disturbi i gesuiti moderni, a cui oggi fa comodo sostenere che l’unico che capisce veramente il Vangelo sarebbe il gesuita Bergoglio con le sue riletture in chiave anticattolica.
E quando il giornalista gli chiede se anche il cardinale Müller sarebbe un “fondamentalista cattolico” per aver sostenuto che a proposito della sacralità del matrimonio “Le parole di Gesù sono molto chiare e la loro interpretazione non è un’interpretazione accademica, ma è Parola di Dio”, ecco cosa risponde il Padre Sosa:
«Intanto bisognerebbe incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù… a quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito…».
Noi chiediamo umilmente scusa alla manifesta sapienza del Superiore dei Gesuiti, ma siamo costretti a considerare che, secondo lui, il Verbo si sarebbe incarnato non per insegnare la Verità di Dio, ma per intavolare una discussione con dei vicini di casa nel contesto della Betlemme di duemila anni fa, così che sarebbe ridicolo ritenere che le parole di Gesù avrebbero un valore universale, al di là degli uomini, dei luoghi e dei tempi.
E questa considerazione porta alla conclusione che gli stessi Gesuiti, per cinque secoli, avrebbero sbagliato a portare la Parola di Dio in tutti gli angoli della terra.
Ma chi è costui, c’è da chiedersi, se non un manifesto sovvertitore del Vangelo?
Eh, no! Dice lui, perché «Nell’ultimo secolo nella Chiesa c’è stato un grande fiorire di studi che cercano di capire esattamente che cosa volesse dire Gesù… capire una parola, capire una frase… Ciò non è relativismo, ma certifica che la parola è relativa, il Vangelo è scritto da esseri umani, è accettato dalla Chiesa che è fatta di persone umane.»
Boom! Non di stupore, ma di commiserazione. Ma caro Padre Sosa, se la parola è “relativa”, si rende conto che queste sue stesse parole non valgono un bel niente?
Se poi intendesse dire, come dice, che «una stessa parola può avere un significato diverso se detta da uno spagnolo… o da venezuelano», Le facciamo umilmente notare che una corbelleria simile non potevamo aspettarcela da un dotto scienziato come Lei, perché sarebbe come dire che in duemila anni la Chiesa, estesasi nello spazio e nel tempo, non sarebbe mai riuscita a dire una “parola” coerente ai diversi popoli e nei diversi tempi, dato che è ovvio che una parola detta in latino a Canicattini Bagni non poteva avere lo stesso significato della stessa parola detta in bretone a Calais, senza contare che nel corso del tempo a Canicattini Bagni si è finito col parlare siculo, mentre a Calais si è parlato con la “lingua d’oïl”!
Non v’è dubbio che Lei, da gesuita venezuelano, con questo ragionare lascia credere che, secondo Lei, i cattolici italiani sarebbe quanto meno imbecilli.
Ma, a ben vedere, il nostro Superiore dimostra di sapere esattamente quello che dice, e dimostra di conoscere le “parole” per il loro significato, non relativo, ma universale, come devono intendersi e come le intendono tutti.
«Io mi identifico con quello che dice papa Francesco: non si mette in dubbio[l’affermazione di Gesù: “Non divida l’uomo ciò che Dio ha congiunto”], si mette a discernimento…»… e l’obbligo di seguire la Parola di Gesù «c’è sempre, ma di seguire i risultati del discernimento…» che «non è una qualsiasi valutazione…»… Insomma… ciò che si mette in dubbio non è «la parola di Gesù, ma la parola di Gesù come noi l’abbiamo interpretata… Il discernimento non sceglie tra diverse ipotesi ma si pone in ascolto dello Spirito Santo, che – come Gesù ha promesso – ci aiuta a capire i segni della presenza di Dio nella storia umana.»
Per chi non l’avesse ancora capito, il Superiore dei Gesuiti, tomo tomo, quatto quatto, sostiene, in tutta veridicità, che Gesù non ha detto quello che per duemila anni ci hanno trasmesso i Vangeli, ma ha detto delle parole che, nel loro valore relativo, ha lasciato al discernimento di questo o di quello, di Bergoglio o di Sosa, basta che questo o quello si mettano “in ascolto dello Spirito Santo”, e poi, ascoltatoLo, operino il loro discernimento e decidano ciò che significa la “parola di Gesù” e i suggerimenti dello Spirito Santo.
Ora, ci chiediamo noi che siamo senza sapienza: ma per dire un’asineria del genere era proprio necessario usare un così complicato giro di parole?
Bastava semplicemente dire che il Vangelo non ha alcunché di oggettivo e che la Parola di Gesù, non solo è relativa, ma può avere solo un significato soggettivo. Il che, tradotto in parole povere, significa che ognuno legge e capisce il Vangelo a modo suo e apprende e comprende gli insegnamenti di Nostro Signore a proprio “discernimento”, così da realizzare l’ideale della sequela di Cristo: ognuno si fa una religione a modo suo.
Ci sono voluti cinquecento anni, ma alla fine Lutero l’ha avuta vinta su Sant’Ignazio di Loyola… a giudicare dal ragionare del suo attuale rappresentante “virtuale”.
Siamo certi che diversi amici staranno pensando alla blasfemia e all’eresia, e invece no, non di questo si tratta, poiché si può dare del blasfemo o dell’eretico ad un appartenente alla Chiesa cattolica, ma certo non a chi dimostra in vario modo di appartenere ad un’altra Chiesa diversa dalle Chiesa cattolica, magari opposta alla Chiesa cattolica, perfino funzionalmente avversa alla Chiesa cattolica.
No! Alla gente che rientra in questa categoria non spetta neanche la qualifica di “eretica”, occorre fermarsi alla constatazione che i vari Sosa, Bergoglio e compagnia bella sono tanto estranei alla Chiesa cattolica quanto Beliar lo è nei confronti di Cristo.
A dimostrazione che le nostre considerazioni non sono affatto forzate, basta leggere il seguito dell’intervista, dove Sosa spiega meglio di noi che cosa intende dire.
Al giornalista che gli ricorda che la Chiesa ha sempre garantito dei punti d’appoggio contro il mondo, come “ultimo bastione in un mondo secolarizzato”, il Superiore Sosa si lancia in un altro aggrovigliato discettare e parte col dire: «la funzione della Chiesa non è quella di essere un bastione contro la modernità…» … ma…[il giornalista] - la “modernità calpesta i valori umani fondamentali” - … [Sosa] «Però io ricordo il messaggio del Vaticano secondo: Noi dobbiamo imparare qualcosa dalla modernità. La Chiesa non è un bastione, si apre, cerca di capire, cerca di ispirare.» … curioso - “che Lei abbia usato il verbo ispirare” - … «Non l’ho fatto a caso, perché ho evitato accuratamente di usare il verbo orientare. La Chiesa non deve orientare, deve ispirare gli ambienti più diversi…» … - “Se non deve orientare, quale stella polare per i cattolici?” - … «Gesù Cristo»… - “Non è facile tradurre Cristo… come discernere?” - … «Il discernimento bisogna farlo insieme, insieme. … non si deve solo valutare, ma decidere»… - “e chi è che deve decidere?” -… «La Chiesa ha sempre ribadito la priorità della coscienza personale…».
Ed eccoci di nuovo a tredici! Un mucchio di parole attorcigliate per finire col ripetere la solita, vecchia, protestante, illuminista storiella della “coscienza personale”. Esattamente come avevamo capito fin da subito e come abbiamo detto prima.
Così, la Chiesa avrebbe insegnato, secondo il Superiore Sosa, che Dio ha prescritto i Dieci Comandamenti, ma poi li ha lasciati al “discernimento” della “coscienza personale”.
Ed è vero, è tristemente e diabolicamente vero: questi personaggi appartengono ad un’altra religione diversa dalla cattolica, non alla vera Religione istituita da Nostro Signore, ma alla falsa religione suggerita dal Serpente, non alla vera Religione Cattolica con al centro Dio Trinità, ma alla falsa religione del mondo con al centro l’uomo con la sua multiformità.
«La Chiesa non è un pezzo di cemento armato… è nata, ha imparato, è cambiata… Dottrina è una parola che … porta … alla durezza della pietra. Invece la realtà umana è molto più sfumata… è in un continuo sviluppo». … [gionalista] - “una priorità della prassi del discernimento, sulla dottrina?” - … [Sosa] «ma la dottrina fa parte del discernimento. Un vero discernimento non può prescindere dalla dottrina…» …[gionalista] - “può giungere a conclusioni diverse dalla dottrina!” - [Soa] «Sì, perché la dottrina non sostituisce il discernimento e neanche lo Spirito Santo».
A questo punto, cari amici cattolici, non ci resterebbe che fare un bel falò con le Bibbie, con i Catechismi, con gli scritti dei Padri, con gli Esercizi di Sant’Ignazio e, perché no, con i documenti dei concilii, compreso il Vaticano II. Poiché è notorio che noi uomini moderni abbiamo una capacità di “discernimento” come mai prima d’ora e abbiamo una “coscienza” talmente sviluppata che, detta tra i denti, ci permette di fare bellamente a meno dei vescovi, dei cardinali, dei papi e dei Gesuiti, tranne ovviamente non perdere i consigli e le interviste dei modernisti e dei Gesuiti diventati superiori o addirittura papi.
Subito ci viene da ridere, ma è più un sorriso isterico, perché un groppo in gola ci muove a piangere lacrime amare sulle sorti di questa compagine cattolica post-moderna, in balia di loschi figuri venezuelani e argentini, disgraziatamente giunti a cotali posti perché Dio permette che il diavolo svolga il suo funesto lavoro, proprio per stimolare i suoi veri fedeli a respingerlo, a respingere i suoi epigoni in talare, a rifiutare le continue offerte di frutti proibiti con l’illusione che mangiandone si diventerebbe come dei, si affinerebbe il discernimento, si amplierebbe a dismisura la coscienza.
La verità è tutta scritta a chiare lettere: “Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete” (Gn. 3, 3).
E il Signore Iddio parla della “morte eterna”, della “seconda morte”, di quella a cui non c’è più rimedio per l’eternità.
Quella morte a cui, disgraziatamente, ci conducono i nuovi preti della nuova falsa chiesa sulla scorta dell’armamentario sovversivo del Vaticano II.
Che Dio abbia misericordia di noi e accorci questi tempi di tribolazione, e che la Santa Vergine Maria ci ottenga il perdono dei nostri peccati, compresi quelli che purtroppo commettiamo impiegando il breve tempo concessoci in questa valle di lacrime a leggere le sovversive suggestioni dei nuovi preti della nuova chiesa… la Madonna lo sa che siamo mossi da quella carità che ci porta ad aiutare i fratelli a tenersi lontani da tali suggestioni, indicandole e denunciandole per quelle che sono: opera del Maligno.
di Giovanni Servodio
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1871_Servodio_Gesuiti_moderni_Sosa-Abascal.html
Monsignor Paglia e “san” Marco Pannella
IL VALZER DEGLI INIQUI
Di Danilo Quinto
Sono due le città che si confrontano, mescolate nel tempo. Ho pensato a Sant’Agostino mentre ascoltavo mons. Vincenzo Paglia, nominato da Bergoglio presidente della Pontifica Accademia per la Vita, che nella sede del Partito Radicale e dai microfoni di quella radio che riceve ogni anno 10 milioni di euro di denaro pubblico, grazie agli appelli a suo favore dei cosiddetti parlamentari cattolici – in testa, la ex portavoce del Family Day, Eugenia Roccella – insieme a Francesco Rutelli e Gianni Letta, elogiava Marco Pannella.
“Lo spirito di Marco ci aiuti a vivere in quella stessa direzione”, ha detto Paglia, che ha aggiunto: “Pannella, uomo di grande spiritualità” (minuto 3,20), “(la sua è ) una grande perdita per questo nostro Paese” (6,30), “ha speso la vita per gli ultimi” (minuto 9), “in difesa della dignità di tutti, Pannella particolarmente dei più emarginati… Pannella è veramente un uomo spirituale” (10,53), è “un uomo che sa aiutarci a sperare nonostante le notizie, la quotidianità ci metta a dura prova” (18,25), “il Marco pieno di spirito continua a soffiare” (18,40), “Pannella diceva: è lo spirito che nonostante tutto muove la storia e a noi chiede di assecondarla e di continuare a soffiare nel suo verso” (18,56), “Marco ispiratore di una vita più bella non solo per l’Italia, ma per questo nostro mondo, che ha bisogno più che mai di uomini che sappiano parlare come lui… io mi auguro che lo spirito di Marco ci aiuti a vivere in quella stessa direzione” (19,20).
Dice l’Apocalisse (3:14-16): “E all’angelo della chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l’Amen, il testimone fedele e verace, il principio della creazione di Dio: Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh fossi tu pur freddo o fervente!”).
Chi sono i tiepidi?
“Tu dici”, continua l’Apocalisse (3:17-22) “«Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla», ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista. Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti. Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”.
Pensano, i tiepidi, che l’Apocalisse sia cosa vera? Sanno, da tiepidi, che non ceneranno nel banchetto con l’Agnello, quando Lui festeggerà il Suo ritorno sulla terra, dopo il Suo giudizio sui vivi e i morti? Fanno credere che viva e li aiuti a vivere lo spirito di un pubblico peccatore come Pannella, che in quanto pubblico peccatore avrebbe dovuto pentirsi pubblicamente della gravità dei suoi peccati per essere riaccolto nella comunità cristiana, come prescrive il codice di diritto canonico. Il monsignore avrà spiegato a Pannella cosa significhi e per chi è previsto il pubblico pentimento? Non so. Quel che so è che i tiepidi vivono nel liquame dei loro compromessi e perseguono il male minore, difendendo la piena applicazione della legge sull’aborto senza gridare dai tetti l’empietà dello sterminio di 6 milioni di vite umane che quella legge ha concorso a produrre in 40 anni. Distruggono le famiglie con il divorzio e poi pretendono che una Chiesa a loro amica e serva – che ha chiesto loro perdono con il Concilio Vaticano II – s’inchini e dia loro la Santa Eucaristia. E il Vicario di Colui che ha istituito il sacramento indissolubile del matrimonio, cosa fa? Dice che caso per caso si può modificare la dottrina, che lui ha il compito primario e unico di non modificare e di custodire nella sua integralità.
I tiepidi usano i sistemi anti-concezionali. Sono pronti a comprendere le unioni tra persone dello stesso sesso, perché basta che ci sia l’ammmore, non importa che San Paolo la chiami sodomia. Intendono creare un mondo ad uso e consumo dell’uomo, dove questi può affermare tutte le sue pretese e tutti i suoi desideri di libertà, di fraternità e di uguaglianza, i suoi diritti, civili o umani, in totale contrapposizione alla morale naturale. Dicono: “Non siamo in guerra contro nessuno. Ad ogni persona umana va il rispetto per la sua dignità”. Mentono, perché Gesù Cristo è venuto a portare la spada sulla terra e il cattolico è in guerra contro coloro che si comportano da nemici di Dio, contro il peccato nei confronti di Dio. Altrimenti non è cattolico. Non compiono una delle sette opere di Misericordia spirituale, quella di ammonire i peccatori, perché loro non credono al peccato. Quando ascoltano bestemmie del tipo chi sono io per giudicare? o la Chiesa non fa proselitismo, tacciono e magari profondano il loro impegno a promuovere cerimonie eretiche in cui sono presenti pagani e appartenenti ad altre religioni, nemici di Dio (cattolico) in quanto tali. Vogliono dare lavoro, sconfiggere la povertà, dare una casa ai migranti, senza chiedere ai disoccupati, ai poveri, ai migranti di convertirsi. Non combattono il Nemico di Dio, che ha guadagnato tutto il campo, perché non trova più avversari. Faranno celebrare il 13 marzo gli anglicani sulla cattedra di San Pietro o parlano alle folle con accanto la statua dell’eretico e bestemmiatore Martin Lutero o pregano nelle Chiese cattoliche insieme ai maomettani o dicono ai bambini che Dio è stato ingiusto perché ha messo sulla croce Suo Figlio. Nel solco tracciato dalle organizzazioni massoniche, vogliono dare al popolo di Dio un messaggio di Felicità terrena e di Pace Universale. Prima o poi, elimineranno la sacralità della Santa Eucaristia, perché non credono nel Mistero della Presenza nel Sacrificio incruento della Persona Dogma e perché vogliono eliminare la presenza di Gesù Cristo anche dal centro della scena pubblica, negando il Suo ruolo di Signore dell’intero Mondo, di Re dell’Universo, di Principio di tutte le cose del Cielo e della Terra. Non parlano dell’Inferno e del Purgatorio perché non credono nella potenza delle tenebre e di quella creatura immonda, maledetta sin dall’origine – come lo fu Giuda, che non è mai stato un “povero peccatore pentito”, come dice uno di questi tiepidi – che sta insidiando la Donna al Suo calcagno.
Questi tiepidi avevano bisogno di un santo. Chi meglio di Pannella! La Bonino ancora è in vita – perfino con un turbante in testa!, la califfa che si prodiga per i migranti, come George Soros e tanti tiepidi che sono in circolazione – e in vita non la si può santificare. Ha ancora un po’ di tempo. Come ce l’hanno Lady Gaga o Madonna. Per i tiepidi divengono santi coloro che piacciono al mondo, coloro che interpretano i desideri del mondo e li incarnano. E santo Pannella lo è sempre stato per loro, perché hanno sostenuto e condiviso – in forma palese e occulta – tutte le sue battaglie, che si sono trasformate in leggi. Senza la loro iniquità e la loro complicità, Pannella non avrebbe potuto raccogliere alcun consenso, non avrebbe potuto imporre nessuna empietà, non avrebbe potuto, attraverso la sua ideologia, penetrare nelle viscere della società italiana. La sua ideologia è penetrata nelle famiglie e nella Chiesa. Ha scristianizzato le prime ed ha protestantizzato la seconda, insieme alla devastante presenza massonica, che ha operato da secoli per distruggere l’Ancilla Domini.
In fondo, dei tiepidi, abbiamo bisogno. Osservando come si comportano, osserviamo la presenza di quella realtà fisica e spirituale che sta attorno a noi, che striscia ed è insinuante, che può lacerare e divorare le nostre vite se non siamo vigili, costanti, perseveranti, nella fede e nell’amore per Gesù Cristo.
Stanno costruendo la Nuova Chiesa? Vogliono creare una Nuova Umanità? Lo facciano pure. Dobbiamo essere grati a Dio di vedere questo male, di toccarlo, di averne paura, come giusto che sia, consapevoli che sarà Dio, attraverso l’opera che presto compirà la Vergine Santissima, a schiacciare la testa del serpente. Tentiamo di cooperare con Lei, perché allora, quando Lei interverrà, si verificherà la certezza della nostra fede: i buoni saranno separati dai cattivi. Solo nell’ultimo giudizio, come scrive Sant’Agostino, le due città, ora mescolate nel tempo, saranno separate: « l’una per raggiungere la vita eterna in compagnia con gli angeli buoni sotto il proprio re, l’altra per essere mandata nel fuoco eterno con il suo re in compagnia degli angeli cattivi».
Ma Gesù ha detto quel che ha detto? I “dubia” del generale dei gesuiti
Ora, anche se ha un nome da calciatore, Arturo Sosa non è l’ultimo acquisto dell’Atalanta. È un religioso. Un gesuita. Anzi, il generale dei gesuiti. Il successore di sant’Ignazio. E dice che le parole di Gesù non sono proprio sicure, perché all’epoca nessuno aveva il registratore. Lo dice in una lunga intervista a Giuseppe Rusconi, giornalista ticinese. E lo dice con certezza, senza tentennamenti.
Rusconi ci assicura che quelle sono proprio le espressioni utilizzate da Sosa. D’altra parte oggi i registratori ci sono, e Rusconi li sa usare. Le risposte sono state inviate al padre Sosa per una sua eventuale revisione, e lui ha confermato tutto.
Bene. Apprendiamo così che per il capo dei gesuiti i quattro Vangeli non sarebbero del tutto affidabili. Lui nutre dei «dubia». Gli evangelisti potrebbero essersi distratti, e d’altra parte non avevano il registratore, dunque…
Dunque bisogna contestualizzare. Che significa?
Rusconi lo chiede: «Ma allora, se tutte le parole di Gesù vanno esaminate e ricondotte al loro contesto storico, non hanno un valore assoluto».
Risposta di Sosa: «Nell’ultimo secolo nella Chiesa c’è stato un grande fiorire di studi che cercano di capire esattamente che cosa volesse dire Gesù […]. Ciò non è relativismo, ma certifica che la parola è relativa, il Vangelo è scritto da esseri umani, è accettato dalla Chiesa che è fatta di persone umane».
Ulteriore e inevitabile domanda: «È discutibile anche l’affermazione (cfr Matteo 19, 3-6) “Non divida l’uomo ciò che Dio ha congiunto”?».
Risposta di Sosa: «Io mi identifico con quello che dice papa Francesco: non si mette in dubbio, si mette a discernimento».
«Cioè – osserva Rusconi – si mette in dubbio, poiché il discernimento è valutazione, è scelta tra diverse opzioni. Non c’è più obbligo di seguire una sola interpretazione».
Risposta: «No, l’obbligo c’è sempre, ma di seguire i risultati del discernimento. Non è una qualsiasi valutazione».
Obiezione dell’intervistatore: «Però la decisione finale si fonda sul giudizio relativo a diverse ipotesi… Insomma mette in dubbio la parola di Gesù».
Risposta: «Non la parola di Gesù, ma la parola di Gesù come noi l’abbiamo interpretata. Il discernimento non sceglie tra diverse ipotesi, ma si pone in ascolto dello Spirito Santo che, come Gesù ha promesso, ci aiuta a capire i segni della presenza di Dio nella storia umana».
L’intervista completa si può leggere nel sito di Giuseppe Rusconi, www.rossoporpora.org.
I temi toccati sono tantissimi. Qui interessa questa parte sul discernimento, parola centrale nella spiritualità di ogni gesuita, ma centralissima per padre Sosa. Perché, spiega, la Chiesa è un «cantiere aperto a chi vuol discernere» e «chi entra nel cantiere deve essere preparato a discernere».
Mettiamo agli atti. In attesa che dal generale della Compagnia di Gesù arrivi magari la proposta di sostituire la preghiera del «Credo» con quella del «Discerno» e di modificare o integrare la definizione di Chiesa (non più, o non solo, «sposa di Cristo», «madre nostra» e «comunione dei santi», ma anche «cantiere aperto»), ci si potrebbe interrogare su numerosi passi evangelici. In pratica, su tutti. Gesù ha detto veramente quel che Scrittura e Tradizione ci hanno consegnato? A questo punto, perché non cambiare tutti i verbi del Vangelo relativi a Gesù sostituendo l’indicativo e mettendoci il condizionale? Non Gesù «disse», ma «avrebbe detto»; non Gesù «rispose», ma «avrebbe risposto».
Per esempio, il brano di Marco (10, 2-9) sull’indissolubilità del matrimonio potrebbe suonare così: «E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Ma egli avrebbe risposto loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla”. Gesù avrebbe detto loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”. Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli avrebbe detto: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”».
Ma il padre Sosa, dopo essere stato eletto generale, ha dato altre interviste. Come quella al mensile «Jesus» (gennaio 2017), nella quale a un certo punto sostiene che «il peccato non è rompere una norma, il peccato è non amare, amare se stessi invece che Dio e gli altri».
Se l’intervistatore fosse stato Rusconi, immagino che non avrebbe mollato l’osso e gli avrebbe chiesto di spiegare meglio: dire che «il peccato è non amare» non è un po’ troppo generico? E com’è possibile sbarazzarsi della norma? Se lo si fa, non si cade nel relativismo e nel giustificazionismo? Se si elimina la norma, non resta soltanto il sentimento soggettivo? E, lungo questa strada, non si finisce con il giustificare tutto?
Purtroppo in questa seconda intervista il padre Sosa non aveva a che fare con il mastino Rusconi, per cui non c’è stato contraddittorio. Però qualche altro passaggio risulta interessante.
Ecco che si parla di Francesco, del suo magistero e dei «detrattori» che lo mettono in discussione «in maniera sistematica», e il generale osserva: «Sì, c’è gente che ha questo programma in mente e lo attua. Gente che non è d’accordo e anche pubblicamente ha detto che il papa sbaglia. In questi casi bisogna fare appunto il discernimento. Un’altra cosa che bisogna riconoscere è che nella Chiesa, che è santa e peccatrice, ci sono le lotte di potere, proprio come in altri contesti».
Sarebbe stato bello sapere in che senso, qui, bisogna fare discernimento. Che significa? Interessante, comunque, è notare che il padre Sosa, subito dopo, parla di lotte di potere, come per far capire che chi non è del tutto d’accordo con Francesco non è mosso da nobili intenti, ma solo da brama di potere. Infatti aggiunge: «Bisogna fare i conti con queste cose, non essere ingenui. E il papa non lo è, si muove in tutto questo come faceva Gesù, che sapeva che c’era gente che tramava contro di lui, e lo diceva in faccia».
Il padre Sosa, insomma, nemmeno per un istante è sfiorato dal dubbio che chi non si sente in sintonia con l’insegnamento di Francesco, o per lo meno con alcune parti di esso, abbia a cuore la difesa della Verità, il rispetto della dottrina, la salvaguardia della fede. No, il generale dei gesuiti, ovviamente praticando il discernimento, pensa subito al potere e alle trame. Forse perché ha studiato scienze politiche e, come lui stesso spiega, la politica è sempre stato il suo interesse numero uno? Può essere.
Ma nell’intervista a «Jesus» ci sono altri punti significativi. Li riassumo.
Primo punto. «La Chiesa in uscita» è una Chiesa «che non pensa a se stessa, ma accompagna, cristiani e non cristiani, per migliorare il mondo».
Domanda che non è stata fatta: che significa accompagnare? Verso dove? Per arrivare a che cosa? Migliorare il mondo, ma come?
Secondo punto. La domanda è: «Lei si è formato negli anni della teologia della liberazione. Come la rilegge?».
Risposta: «Non la rileggo, la leggo. Cerco di farla. Non è un episodio, ma è un modo di fare teologia che ancora seguiamo».
Terzo punto. La domanda riguarda Trump e la crescita di populismi e destre in Europa. Quale lettura ne dà?
Risposta: «Ciò che mi risulta più preoccupante è la personalizzazione della leadership politica […]. Mi sembra che sia un passo indietro pericoloso perché dal personalismo, in modo più nascosto, si passa ai regimi dittatoriali, a regimi di oppressione, a dittature, dove c’è poco spazio per la libertà e i movimenti. Per noi gesuiti, per la Chiesa, una delle grandi sfide è come promuovere la politicizzazione della società».
Ci fosse stato Rusconi, sono sicuro che qui sarebbe arrivata l’obiezione che Trump è stato eletto dagli americani e non è andato alla Casa Bianca dopo un colpo di stato.
E che dire della tesi secondo cui per i gesuiti «una delle grandi sfide è come promuovere la politicizzazione della società»? Pensavo che una delle grandi sfide per i figli di sant’Ignazio fosse indagare su come Dio opera nei tempi nuovi e su come trovarlo.
Comunque sia, chissà perché, mentre leggevo le esternazioni del padre Sosa mi sono tornate alla mente le parole di Pio XII, che nella «Humani generis», l’enciclica «circa alcune false opinioni che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica», definiva «massima imprudenza» il sottovalutare o trascurare o respingere le espressioni che nel tempo il magistero ha trovato per esprimere le verità della fede «e sostituirvi nozioni ipotetiche ed espressioni fluttuanti e vaghe», nozioni che assomigliano all’erba dei campi, perché «oggi vi sono e domani seccano».
In quella sua enciclica Pio XII metteva anche in guardia dal «falso metodo» di chi «vorrebbe spiegare le cose chiare con quelle oscure» e spiegava che a volte gli uomini «si persuadono che sia falso, o almeno dubbio, ciò che essi non vogliono che sia vero».
Davvero, non so perché questi ammonimenti mi vengono in mente proprio adesso.
Aldo Maria Valli
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