Corifeo, maggiordomo e clavigero
La liturgia della XXI domenica per annum (anno A) offre un’occasione preziosa per riflettere sul ruolo di Pietro e dei suoi successori nella Chiesa. Vorrei riprendere e approfondire alcuni punti da me solo accennati — come è giusto che sia in un’omelia — durante la Messa di ieri. Sulla base dei testi biblici ripresi dalla liturgia, si potrebbe compendiare il ministero petrino in tre aspetti: corifèo,maggiordomo e clavígero. Senza voler in alcun modo mettere in discussione i tradizionali attributi del Papa (Vicario di Cristo, Successore di Pietro, Sommo Pontefice della Chiesa universale, ecc.), penso che un approccio diverso, fondato sulle Scritture, oltre ad aiutarci a comprendere meglio il ruolo di Pietro, potrebbe avere anche una qualche utilità ecumenica.
1. Corifeo. È il titolo con cui spesso viene designato Pietro dai Bizantini. Lo troviamo utilizzato nell’icona che il Patriarca Atenagora donò a Papa Paolo VI a ricordo del loro incontro del 5 gennaio 1964. L’icona (pubblicata nel post di ieri e qui ripresa in dettaglio) raffigura i due santi apostoli fratelli (οἱ ἁγίοι ἀδελφοὶἀπόστολοι) Pietro il corifeo (ὁ κορυφαῖος) e Andrea il protòclito, vale a dire il “primo chiamato” (ὁ πρωτόκλητος). C’è da dire che il titolo di corifeo non è considerato esclusivo di Pietro; i Bizantini lo usano anche in riferimento a Paolo: Pietro e Paolo sono i “santi apostoli (proto)corifei” (οἱ πρωτοκορυφαῖοι ἁγίοιἀπόστολοι).
Che significa “corifeo”? È un termine greco che deriva da κορυφή (= sommità, vertice, culmine), per cui l’aggettivo κορυφαῖος si riferisce a ciò che è in alto, primo, principale. Il sostantivo ὁ κορυφαῖος significa “capo”. Nel teatro greco il corifeo era il capo del coro, che spesso si esibiva autonomamente, ribadendo e ampliando quanto detto dai coreuti. In italiano abbiamo conservato il termine, oltre che nel significato storico di “capo del coro greco”, anche con un significato figurato di “capo, promotore di un partito, di una corrente culturale, artistica e sim.” (Zingarelli).
Ebbene, Pietro è il corifeo del “coro” degli apostoli (Apostolorum chorus), non solo perché reso tale da Cristo, ma si direbbe per una sorta di leadership naturale (Max Weber parlerebbe a questo proposito di “autorità carismatica”), esercitata già prima del conferimento del primato. Nei vangeli vediamo a piú riprese Pietro farsi “portavoce” del gruppo dei discepoli; come nel caso presente, nel quale riconosce la messianicità e la divinità di Gesú non solo a titolo personale, ma anche a nome degli altri apostoli, come si può ben vedere dal passo parallelo di Giovanni, dove formula la sua professione di fede al plurale: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6:68-69).
E questo è esattamente il compito che il Papa, successore di Pietro, è chiamato a svolgere nella Chiesa attraverso i secoli: egli deve continuare a professare la fede della Chiesa nel suo Signore: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
2. Maggiordomo. Abbiamo trovato tale termine nella prima lettura (Is 22:19-23). Per essere piú precisi, esso è ripreso dal v. 15, dove viene applicato a Sebna; lo ritroviamo successivamente nel capitolo 36 (vv. 3 e 22), attribuito questa volta a Eliakim, suo successore. Nel testo ebraico troviamo l’espressione ’ăšer ‘al-habbāyit, che letteralmente significa “colui che è sopra la casa” (nel senso di “incaricato della casa”). E infatti la Volgata in 36:3.22 traduce con qui erat super domum. In 22:15 invece essa traduce con praepositus templi (la Neovolgata ha corretto in praepositus palatii). La Septuaginta traduce l’espressione in 22:15 con ὁ ταμίας (= “dispensiere, sovrintendente”), in 36:3.22 con ὁ οἰκονόμος (= “amministratore della casa, economo”). La traduzione CEI del 1974 aveva tradotto con “sovrintendente del palazzo”; la revisione del 2008 ha preferito ricorrere al termine “maggiordomo”. La Bible de Jérusalem, la Traduction Oecuménique de la Bible e la New American Bible, invece, preferiscono tradurre con “maestro di palazzo”.
Il sintagma preposizionale ‘al-habbāyit era stato già usato in Gn 39:4 e 41:40 in riferimento a Giuseppe, nel primo caso con un significato piú domestico (CEI: “maggiordomo”), nel secondo con un’accezione piú politica (CEI: “governatore”). È tipico delle antiche civiltà che il “maggiordomo” del re assumesse il ruolo di suo “primo ministro”. La Bible de Jérusalem usa in proposito (non nel testo, ma nelle note) il termine turco visir (persiano vezir; arabo wazir): «Joseph devient le vizir d’Égypte». Giustamente è stato criticato questo uso storico anacronistico del termine visir; ma bisognerebbe far notare che non meno anacronistica è anche l’espressione “maestro di palazzo”, che di per sé andrebbe riferita esclusivamente al funzionario che sovrintendeva al palazzo reale in epoca merovingia e carolingia. Mi pare invece che il termine “maggiordomo” — che può essere utilizzato come sinonimo di “maestro di palazzo” — abbia un’accezione piú vasta e generica, e possa quindi essere usato anche in riferimento alle antiche civiltà; per cui sia Giuseppe, sia Sebna, sia Eliakim possono essere tranquillamente detti “maggiordomi”.
Orbene, nel brano usato ieri come prima lettura, a proposito di Eliakim, che appunto sostituirà Sebna come maggiordomo, a un certo punto si dice: «Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire» (v. 22). Gli esegeti hanno sempre considerato le parole rivolte a Pietro da Gesú («A te darò le chiavi del regno dei cieli») come un’allusione a questo testo isaiano. Per cui è legittimo trasferire a Pietro l’immagine di “maggiordomo” utilizzata in quel testo per Eliakim. Pietro è il “maggiordomo” della Chiesa; non ne è il capo (l’unico capo della Chiesa è Cristo); è solo il capo della servitú, al quale Cristo ha affidato il governo della Chiesa. Se vogliamo, possiamo usare per lui le equivalenti metafore “maestro di palazzo”, “visir”, “governatore”, “primo ministro”.
3. Clavigero. Il termine “clavígero” (latino: claviger) può essere inteso in due diverse accezioni: a) “portatore di clava” (epiteto di Ercole); b) “detentore delle chiavi” (epiteto di Giano). Ovviamente, a noi non interessa qui il primo significato (anche se, va detto, chi detiene il potere pensa talvolta di doverlo usare come una clava…); a noi interessa il secondo significato, strettamente connesso con la figura del maggiordomo: egli è colui che, fra le altre funzioni, «detiene le chiavi del palazzo reale, fissa l’apertura e la chiusura delle porte e introduce i visitatori presso il sovrano» (TOB, nota a Is 22:22). «Possedere la chiave della casa di Davide equivale ad avere il compito di amministratore del regno» (Bibbia CEI, nota a Is 22:22).
A Pietro Gesú ha dato le “chiavi del regno dei cieli”. Sembrerebbe quindi di capire che a Pietro Gesú ha conferito il potere di aprire e chiudere le porte del regno dei cieli, vale a dire la facoltà di permettere o impedire l’accesso a esso. Il Catechismo della Chiesa Cattolica però sembrerebbe restringere l’estensione del potere delle chiavi, riferendolo esclusivamente alla Chiesa: «Il “potere delle chiavi” designa l’autorità per governare la casa di Dio, che è la Chiesa» (n. 553). Anche se al potere delle chiavi va aggiunto quello di legare e sciogliere, che Gesú conferisce a Pietro immediatamente dopo: «Il potere di “legare e sciogliere” indica l’autorità di assolvere dai peccati, di pronunciare giudizi in materia di dottrina e prendere decisioni disciplinari nella Chiesa. Gesú ha conferito tale autorità alla Chiesa attraverso il ministero degli Apostoli [cf Mt 18:18] e particolarmente di Pietro, il solo cui ha esplicitamente affidato le chiavi del Regno» (ibid.).
Come si può vedere, si tratta di un potere grandissimo, affidato da Cristo al suo “maggiordomo”. Praticamente Gesú ha conferito a Pietro “pieni poteri”. Volendo continuare a servirci di metafore tratte dal mondo politico-diplomatico, potremmo considerare Pietro un “ministro plenipotenziario”, un ministro con pieni poteri certo, ma pur sempre un ministro.
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