ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 15 settembre 2017

Astenersi gesuiti perditempo&anime


GESU' SI E' FATTO DIAVOLO?         

E per Bergoglio? Si può dire che Gesù si è fatto diavolo e serpente? Il 4 aprile 2017 il papa ha affermato che il nostro Signore Gesù Cristo si è fatto diavolo e serpente per noi: una affermazione che ha turbato molti cattolici di Francesco Lamendola  
  
Santa Marta, 4 aprile 2017: nel corso della omelia della Santa Messa quotidiana, papa Francesco afferma, a un certo punto, che il nostro Signore Gesù Cristo si è fatto diavolo e serpente per noi: una affermazione che ha turbato, sconcertato, scandalizzato una gran quantità di cattolici. Che avrebbe dovuto scandalizzarli tutti, se molti di loro non fossero in preda a un vero e proprio ottundimento della coscienza e a una forma di fascinazione perversa nei confronti del papa piacione, umile, alla mano, spigliato, moderno, misericordioso, dialogante, distruttore di muri e costruttore di ponti. Sulla bocca di chiunque altro, una simile frase sarebbe suonata per quello che è realmente: una bestemmia; ma detta da lui, ecco che acquista un sapore innocuo, perfino gradevole: quale prova migliore del fatto che i cattolici d’oggi non vedono più il papa come il servo di Cristo, ma lo vedono come se fosse dio lui stesso, e intanto si dimenticano di Gesù Cristo? E i cardinali, i vescovi, i teologi, dov’erano, cosa facevano, in quali cose erano distratti e affaccendati, per non accorgersi di quelle tremende parole, per non sobbalzare sulle sedie quando sono state pronunciate, per giunta nel corso della santa Messa? E quegli arcivescovi, quei sacerdoti, quegli intellettuali sedicenti cattolici, i quali non esitavano a criticare ogni cosa uscisse dalla bocca di Benedetto XVI, stavolta non avevano niente da dire?



Ma andiamo per ordine. L’omelia di Santa Marta verteva, almeno in teoria, su un passo del Libro dei Numeri nel quale si descrive l’episodio del serpente di bronzo fatto innalzare da Mosè nel deserto, dopo la fuga dall’Egitto. Vale la pena di riportarlo  integralmente, tanto più che è assai breve, per poter meglio comprendere il senso delle parole di Bergoglio:

Poi gli Israeliti partirono dal monte Cor, dirigendosi verso il Mare Rosso per aggirare il paese di Edom. Ma il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatti uscire dall'Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c'è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero” [cioè la manna]. Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero d'Israeliti morì. Allora il popolo venne a Mosè e disse: “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi serpenti”. Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita”. Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita.

Ed ecco il passaggio centrale dell’omelia del papa, la quale vorrebbe essere una spiegazione e una esegesi del brano dell’Antico Testamento su riportato:
Il serpente è il simbolo del cattivo, è il simbolo del diavolo: era il più astuto degli animali nel paradiso terrestre». Perché «il serpente è quello che è capace di sedurre con le bugie», è «il padre della menzogna: questo è il mistero”. [Ma allora ] dobbiamo guardare il diavolo per salvarci? Il serpente è il padre del peccato, quello che ha fatto peccare l’umanità. [In realtà] Gesù dice: “Quando io sarò innalzato in alto, tutti verranno a me”. Ovviamente questo è il mistero della croce. Il serpente di bronzo guariva,  ma il serpente di bronzo era segno di due cose: del peccato fatto dal serpente, della seduzione del serpente, dell’astuzia del serpente; e anche era segnale della croce di Cristo, era una profezia. […] Per questo il Signore dice loro: “Quando avrete innalzato il figlio dell’uomo, allora conoscerete che io sono”. Così possiamo dire che Gesù si è “fatto serpente”, Gesù si “è fatto peccato” e ha preso su di sé le sporcizie tutte dell’umanità, le sporcizie tutte del peccato. E si è “fatto peccato”, si è fatto innalzare perché tutta la gente lo guardasse, la gente ferita dal peccato, noi. Questo è il mistero della croce e lo dice Paolo: “Si è fatto peccato” e ha preso l’apparenza del padre del peccato, del serpente astuto.
Cominciamo dalla citazione di San Paolo. L’Apostolo, nella Seconda epistola ai Corinzi (5, 21) non dice che Gesù si è fatto peccato, ma bensì:
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio;
e vi è una certa differenza, crediamo, fra dire che “Gesù si è fatto peccato”  e dire che Dio trattò Gesù “da peccato”; essere trattati come se si fosse una certa cosa non equivale a dire che si è diventati quella certa cosa. Gesù è stato trattato da Dio “come peccato”, nel senso che Gesù ha preso su di Sé tutti i peccati degli uomini, affinché la giustizia di Dio fosse ristabilita: giustizia che esigeva, ed esige, il castigo dei peccatori. Perché Dio, checché ne dica il papa Francesco, non è solo misericordia, cioè non è misericordia senza giustizia, ma giustizia e misericordia, in Lui, sono due facce della stessa medaglia; perché se vi fosse una misericordia che non comprende anche la giustizia, allora non sarebbe più misericordia, ma sarebbe buonismo, ossia negazione perversa della realtà del male, e Dio è buono ma non certo buonista. Il concetto che vuole esprimere san Paolo diventa ancora più chiaro alla luce della definizione che l’Apostolo dà del Cristo: Colui che non aveva conosciuto peccato. Ora, se non aveva conosciuto peccato – come del resto è ovvio, e qualsiasi bambino che abbia fatto il primo anno di catechismo lo sa benissimo, o almeno dovrebbe saperlo – è evidente che non può essersi fatto peccato. E del resto, quando mai? Quando mai un cristiano potrebbe dire, se non in preda alla pazzia, una cosa del genere: che Gesù Cristo si è fatto peccato? Ma se è venuto nel mondo per strappare il pungiglione del peccati dalle mani de diavolo! E come avrebbe potuto riuscirci, facendosi peccato? No: Gesù non si è fatto peccato, ma si è reso tale da esser trattato da Dio come se fosse stato un peccatore: nel senso che ha preso sulla sua croce, volontariamente, i peccati del mondo; e fino all’ultimo, mentre lo inchiodavano alla croce, ha pregato: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Non sapevano di mettere a morte l’Innocente per antonomasia, il Figlio di Dio: non il peccato, non colui che si era fatto peccato, ma Colui che, accettando di essere trattato da peccatore, sconfiggeva definitivamente il peccato, così come, risorgendo da morte, avrebbe sconfitto anche quest’ultima.
Nella mentalità dei giudei, che è la mentalità dell’Antica Alleanza, il peccato esige la punizione del peccatore, da parte di Dio, già in questa vita (anche perché la credenza nella vita dopo la morte era molto incerta e non condivisa da tutti). Dunque, uniformandosi alla loro mentalità, Gesù voleva far vedere che Lui si metteva al posto dei peccatori e accettava di essere Egli stesso la vittima espiatoria; con il suo sacrificio volontario, con la sua morte e resurrezione, poi, avrebbe aperto la strada a una nuova mentalità, quella della Nuova Alleanza, in cui Dio si riconcilia con gli uomini e non chiede più loro una riparazione per i peccati passati, cioè per la loro passata infedeltà nei suoi confronti, ma li chiama alla conversione e offre loro il perdono, poiché il sacrificio del suo Figlio Unigenito ha ristabilito la giustizia violata. Non vendetta da parte di Dio, quindi, ma necessità di ristabilire la giustizia, che il peccato aveva compromesso, perché, interrompendo il rapporto di amore fra le creature e il Creatore, aveva vanificato la misericordia divina, di cui la giustizia è parte integrante. Solo Gesù Cristo poteva fare una cosa simile, ristabilire l’Alleanza, perché nessun uomo sarebbe stato da tanto, nessun uomo essendo perfettamente innocente e conforme alla volontà di Dio, dopo la rottura provocata dal Peccato originale.
E ora veniamo al serpente di Mosè. Come si vede dal brano dei Numeri, Mosè fa innalzare il serpente di bronzo per risanare i giudei che erano stati morsi dai serpenti velenosi, secondo la rivelazione avuta da Dio stesso, quando gli aveva detto: Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita. Alcuni autori cristiani hanno colto una analogia fra il serpente di bronzo che viene innalzato nel deserto e il divino Redentore che viene innalzato sulla croce, perché entrambi portano la salvezza: il serpente di bronzo, mediante l’azione di guardarlo, porta via gli effetti del veleno e restituisce la vita fisica a chi lo contempla con fede, non in lui, ma in Dio; Gesù Cristo, compiendo Lui stesso l’azione salvifica, cioè immolandosi per l’umanità peccatrice, porta la salvezza dell’anima, prendendo su di sé il castigo meritato dagli uomini. Non per niente si parla del Sacrificio della Messa: l’Eucarestia è il rinnovarsi di quel sacrificio cruento compiuto da Gesù crocifisso per amor nostro. E fin qui ci siamo: l’interpretazione di quegli esegeti, come sant’Agostino, i quali hanno visto nel serpente di bronzo una prefigurazione del Crocifisso, è perfettamente corretta; tanto più che il primo a suggerirla è stato Gesù stesso (Giovanni, 3, 13-14): Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo. Gesù stesso ha paragonato se stesso, innalzato sul legno della croce, al serpente che Mosè aveva fatto innalzare nel deserto, per la salvezza del suo popolo. E tuttavia…
Tuttavia, l’interpretazione data da Bergoglio di questo passo è completamente sbagliata e fuor di qualsiasi misura. Nella tradizione biblica, il serpente è il simbolo del male; nel libro della Genesi, non è il simbolo del male (come piacerebbe a padre Sosa Abascal), ma è proprio il diavolo, che assume la forma di un serpente per tentare Eva, e, attraverso di lei, anche Adamo, e indurli a rompere l’amicizia con Dio. Pertanto, Mosè sceglie d’innalzare un serpente non perché sia il simbolo del bene, ma perché è il simbolo del male: i giudei che sono stati morsi dai serpenti velenosi, guardandolo, guariscono dagli effetti del veleno: l’atto di guardarli li libera dal male (fisico) che i serpenti, quelli veri, provocano con il loro morso. Si potrebbe quasi dire che si tratta di una forma di esorcismo simbolico: il male, uscito dai denti velenosi dei serpenti, ritorna al serpente di bronzo, risparmiando le vittime destinate alla morte. Gesù, salendo sulla croce, come abbiamo detto, non si fa serpente, ma assume su di sé la condizione dell’umanità peccatrice: guardare alla croce di Cristo porta la salvezza (dell’anima) perché il male del peccato si “scarica” sull’Innocente: per le sue piaghe noi siamo stati risanati, è scritto nella profezia dell’Emanuele,  nel Libro di Isaia (53, 5). Così, il passaggio dal serpente di bronzo alla croce di Cristo è il passaggio da una concezione legalistica del rapporto fra Dio e gli uomini, e una concezione “magica” del fatto del castigo dovuto ai peccatori, ad una concezione amorevole e filiale di quel rapporto e a una concezione spirituale del binomio peccato-castigo. Gesù vuol far capire che Dio non vuole olocausti, ma conversione; e che condona agli uomini gli effetti del Peccato originale, per virtù del sacrificio volontario di Cristo, laddove il castigo dei peccatori (non certo vittime volontarie) non sarebbe stato sufficiente, infinita essendo la distanza fra l’umanità decaduta ed il Padre celeste.

Si può dire che Gesù si è fatto diavolo e serpente?

di Francesco Lamendola Del 15 Settembre 2017
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