Papa Francesco e la psicanalisi
Per sei mesi, una volta a settimana, padre Jorge Mario Bergoglio ha incontrato una psicoanalista ebrea. “Mi ha aiutato molto, quando avevo 42 anni”. C’è tanto altro, ma anche questo, nel racconto di Papa Francesco che emerge da un nuovo libro intervista con il sociologo francese Dominique Wolton, Politique et société (edizioni L’Observatoire), in uscita il 6 settembre. Come documenta Fabio Martini sulla Stampa, la confessione del pontefice è rivoluzionaria. La Chiesa ha lungo guardato con sospetto, spesso con aperta ostilità, a Sigmund Freud e alla psicoanalisi.
Ovviamente Francesco non svela le ragioni che lo spinsero a rivolgersi a una psicanalista. Né rivela a quale scuola si ispirasse la dottoressa. Non si può che ipotizzare al limite della fantasticheria di che cosa abbiano parlato Bergoglio e la dottoressa. Di certo, lo ha raccontato lo stesso Francesco e lo descrivono le biografie, è stato quello un periodo non facile per il padre gesuita. Si colloca al termine dell’esperienza come giovanissimo padre provinciale dei gesuiti d’Argentina nel cui ruolo padre Bergoglio commette qualche errore nel metodo di governo, come ha riconosciuto nell’intervista del 2013 concessa a Civiltà Cattolica.
CHIESA E PSICOANALISI
Il passaggio del libro, anticipato da Le Figaro (qui una traduzione in italiano), è collocato in una più ampia risposta del Papa nel suo rapporto con le donne. Aggiunge Francesco sul punto: “Lei era medico e psicanalista, ed è sempre rimasta al suo posto. Poi un giorno, quando stava per morire, mi chiamò. Non per ricevere i sacramenti, dato che era ebrea, ma per un dialogo spirituale. Era una persona molto buona”. Quel “è sempre rimasta al suo posto” sembra incorniciare l’esperienza di Francesco nel pensiero della Chiesa sulla psicanalisi. Un atteggiamento in evoluzione. Nel 1952 il Bollettino del clero romano rubricava a peccato mortale ogni pratica psicoanalitica. Nel 1961 – regnante Giovanni XXIII – un monito dell’ex Sant’Uffizio riprovava l’opinione di chi ritiene necessario l’esame psicanalitico prima di emettere gli ordini sacri o la professione religiosa. Ma allo stesso tempo non sono mancate le aperture. Già da Pio XII. Come scrive Alessandro Manenti in un saggio di qualche tempo fa sulla rivista dell’Istituto per formatori della Pontificia Università Gregoriana, sono “tutti interventi che non sposano né criticano la psicologia ma la mettono in un quadro interpretativo e ne indicano l’uso corretto”. “Il rimanere al suo posto” della psicanalista che ha analizzato padre Bergoglio, pare proprio un riconoscimento alla dottoressa di allora di quello che la Chiesa chiede alla psicanalisi. Avvertendo, ricorda Manenti, “chi entra nella coscienza del religioso (e del cristiano) che non può sindacare sulla legittimità dei valori trascendenti, che invece sono elementi costitutivi della identità umana”.
GLI ANNI DIFFICILI DI PADRE JORGE COME PROVINCIALE DEI GESUITI
L’analisi a 42 anni colloca l’esperienza di padre Jorge Mario tra il 1978 e il 1979. Anni cruciali, sul crinale tra la conclusione del periodo come provinciale dei gesuiti d’Argentina e l’inizio come rettore del Collegio Máximo, la casa di formazione dei futuri membri della Compagnia. Bergoglio era stato eletto a capo dei suoi confratelli nel 1973, a 36 anni. “Una pazzia”, la definì per la giovane età lo stesso Francesco nella sua prima grande intervista da pontefice a Civiltà Cattolica. Bergoglio ammette di avere commesso degli errori, di non avere consultato altri nelle decisioni di governo: “Bisognava affrontare situazioni difficili, e io prendevo le mie decisioni in maniera brusca e personalista… Il mio modo autoritario e rapido di prendere decisioni mi ha portato ad avere seri problemi e ad essere accusato di essere ultraconservatore”. Tratteggia Elisabetta Piqué in Francesco –Vita e Rivoluzione (Lindau, 2013): “I suoi detrattori gli rimproveravano “di sostenere valori e stili pre-Vaticano II, di avere venduto proprietà della Compagnia in un periodo di immensi problemi finanziari”. Qualcuno si spinge ad accusarlo di avere collaborato con la dittatura, accuse smontate punto per punto da Nello Scavo. Fatto sta che al termine di quegli anni difficili e all’inizio del nuovo impegno come rettore del Colegio Máximo di San Miguel, padre Bergoglio sente l’esigenza di un discernimento oltre gli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio. Cercandolo nel metodo della psicoanalisi.
Bergoglio dall’analista? Nulla di strano. Parola dello
psicanalista Claudio Risé
“Saranno fatti suoi” è l’inevitabile, asciutta reazione di Claudio Risé alla richiesta di un commento alla notizia che padre Jorge Mario Bergoglio, quando aveva 42 anni, per sei mesi, una volta a settimana, ha frequentato una psicoanalista ebrea. Consultazioni, rivela Francesco, che lo hanno molto aiutato. L’allora provinciale dei gesuiti di Argentina diventato successore di Pietro, nell’intervista contenuta nel libro con il sociologo francese Dominique Wolton, Politique et société, in uscita il 6 settembre, non riferisce di un percorso di analisi in senso stretto, limitandosi a definire quegli incontri delle “consultazioni”. Sia come sia: l’impressione di trovarsi di fronte a una confessione rivoluzionaria da parte di un romano pontefice è diffusa. Non per il professor Risé, psicanalista di fama internazionale: “Mi risulta che siano molti i rappresentanti della Chiesa, anche ad alto livello, che hanno avuto un’esperienza psicoanalitica”. Dove interesse culturale e spirituale si intrecciano, inevitabilmente, in una relazione che indaga il profondo attraverso volti e figure concrete.
Avverte: “Il rapporto del cristianesimo con la psicoanalisi, in ambito cattolico e protestante, è una storia ancora tutta da scrivere. Una storia che ha attraversato il Novecento”. Meno conflittuale di quanto offra la narrazione più diffusa. E magari ci voleva il Papa “preso dalla fine del mondo” a riconciliare definitivamente una vicenda, quella psicoanalitica, che ha avuto aperture da Pio XII in avanti. Passando per precisazioni e grandi attenzioni da parte degli scritti magisteriali.
Non serve scomodare i piani alti della Chiesa mater et magistra. Lo stesso Risé ricorda i suoi contatti con il barnabita Antonio Gentili, gli incontri e i seminari in case di spiritualità cattolica dove l’approccio psicologico ai mali dell’uomo viene guardato con attenzione. E non da oggi. Di formazione e orientamento junghiano, Risé non dimentica come lo stesso Carl Gustav Jung, intorno agli anni Quaranta, evidenziasse la differenza tra la cura dell’anima e la psicologia. Che è il discrimine essenziale per la Chiesa, preoccupata che il terapeuta non invada campi che non gli sono propri. Jung ne era consapevole: la guarigione, amava indicare, è possibile solo Deo concedente. Poi ognuno faccia il suo mestiere.
Certo: tutti i percorsi spirituali vanno trattati con grande attenzione, avverte il professore. E lo sottolinea lo stesso Francesco, quando ricorda di quell’esperienza di consultazioni, forse di analisi, con una dottoressa “che è sempre rimasta al suo posto”. Insomma, par di capire: nessuna investigazione sulla fede. Ci mancherebbe. Anche se è forte la tentazione di ricordare le domande di un Nanni Moretti psicologo al Michel Piccoli, pontefice eletto e recalcitrante fino alla rinunzia, in Habemus Papam, film preveggente di molte vicende intorno a San Pietro.
Il professor Risé che, appunto “perché son fatti suoi”, di indagare i sentieri che hanno portato il quarantenne Bergoglio a consultare un’analista ha niente affatto interesse a commentare, ricorda che anima, psiche e spirito convivono. Ricerca di Dio e fratture psichiche. Con buona pace degli “ortopedici dell’anima”, come li definiva MichelFoucault, quelli che pretendono che l’anima debba star su sempre diritta, e non accettano che possa avere zone di bianchi e neri non definiti, “con crampi e stiramenti, come in tutte le cose umane”.
Così, forse non è così inaspettato nella personalità di un Papa che delle zone grigie come periferie da accompagnare ha fatto uno dei punti di attenzione rilevanti, che a 42 anni con naturalezza, forse preoccupato per certi aspetti del suo operato come responsabile dei gesuiti di Argentina, si sia rivolto a un’analista per smussare, farsi aiutare a “curare” certe condotte di governo da lui stesso definite “brusche e personaliste”. È nell’anima – accenna Risé i contorni di un discorso ben più ampio – il luogo dell’incontro tra esperienza religiosa e psicoanalitica. È la storia dello spirito: “È difficile che cristianesimo e psicoanalisi possano continuare a ignorarsi o a fingere di farlo”. Nell’evidenza di una complessità umana che si chiama realtà.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.