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lunedì 25 settembre 2017

Papeachment?

"Chi divide non è più Papa". E in Vaticano c'è chi pensa all'impeachment di Bergoglio

Anche se lo stato d'accusa non è previsto molti prelati chiedono conto a Francesco delle sue scelte. Altrimenti...
La parola proibita ormai circola apertamente. È americana, richiama libertà, contropotere, vittoria della giustizia e della verità. Impeachment. Ne hanno fatto le spese presidenti e ministri. Per un Papa non è previsto, la sua autorità deriva direttamente da Dio attraverso il voto dei cardinali blindati in conclave e nessuno può attentarvi se non il Pontefice stesso con un gesto clamoroso di rinuncia.
È stata la scelta di Benedetto XVI. Ma nonostante che la volontà divina e il diritto canonico non prevedano la messa in stato d'accusa del Papa, l'idea dell'impeachment si diffonde nelle cerchie antibergogliane. Non si sa bene come procedere, né chi avrebbe il potere di farlo; gli ecclesiastici non si espongono e i pochi che accettano di parlarne chiedono un drastico riserbo. Eppure l'impeachment di Jorge Mario Bergoglio è il sogno proibito di molti conservatori. Un esercito in crescita, si garantisce in quegli ambienti, alimentato da un malcontento che sarebbe noto sia in Vaticano sia nel clero di Roma.

Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio, in un articolo scritto per gli 80 anni di Bergoglio lo ha messo nero su bianco, sia pure in forma interrogativa, analizzando le reazioni ai «dubia» presentati dai cardinali Caffarra, Burke, Brandmüller e Meisner. Un paio di mesi dopo, 23 studiosi di tutti i continenti avevano ipotizzato «una forma di correzione fraterna» poiché «la Chiesa sta entrando in un momento gravemente critico della sua storia, che presenta allarmanti somiglianze con la grande crisi ariana del quarto secolo». E l'ex ministro di Monti si è appunto chiesto se non si stia prefigurando un impeachment. Non uno scisma di chi abbandona la Chiesa, ma l'opposto: la deposizione del Papa non più ortodosso. Perché, dice un ecclesiastico attribuendo la citazione al defunto cardinale Carlo Caffarra, «un Papa che divide l'episcopato non è più Papa».
La lettera dei 23 era l'embrione del documento pubblicato ieri con 62 firme. Una correzione che non è «fraterna» ma «filiale»: i sottoscrittori scrivono di esservi «costretti» per «alcune eresie sviluppatesi» a partire dall'«Amoris laetitia». Un Papa infedele, dunque. La lettera non chiede dimissioni né tantomeno adombra un impeachment, che oggi è fantareligione. La coesistenza di tre Papi, uno dimesso, uno eretico e uno scismatico, sarebbe uno scenario grottesco. Ma ormai la sfida dei «dubia», forse al di là delle intenzioni dei quattro porporati, è il primo passo formale verso una messa in stato d'accusa di Francesco come la «correzione» di ieri è il secondo. Mentre il documento dei 62 non ha precedenti, i «dubia» sarebbero una «prassi secolare», almeno secondo i firmatari, ma nella bimillenaria storia della Chiesa sono rari i precedenti di cardinali che chiedono al pontefice di chiarire questioni dottrinali dopo essere andato fuori dal seminato.
Ma prima che i quattro si esponessero formalmente nel settembre di un anno fa, altri porporati si erano rivolti in altre forme a Francesco manifestando il proprio disorientamento. Il Papa non ha dato risposte, come ha accolto nel silenzio anche i «dubia». Era stato il cardinale Burke a tentare un altro passo in avanti. A gennaio ha detto che meditava un'ulteriore richiesta di chiarificazione, «un atto pubblico e ufficiale con il quale è possibile arrivare a correggere il Papa nei suoi eventuali errori dottrinali in materia di fede». Anche di questa correzione formale non ci sono precedenti. Almeno fino a ieri, senza peraltro la firma di Burke.
Se la strada dell'impeachment è impervia, se è difficilissimo trovare qualche canonista disposto ad avventurarsi su questo sentiero impercorribile, la contestazione ha preso una strada diversa, quella di lavorare ai fianchi il Papa argentino perché sia lui stesso ad ammettere gli errori e magari dimettersi. I circoli tradizionalisti assicurano di non essere frange minoritarie, di trovare comprensione in vari settori della curia vaticana che però non intendono uscire allo scoperto, almeno per ora, con un Pontefice che tiene alla grande la scena sui media di tutto il mondo. Il silenzio, si fa notare, non significa necessariamente approvazione. I quattro cardinali «dubiosi» sarebbero soltanto la punta dell'iceberg anche nel Sacro collegio.
Lo stesso Bergoglio ha sollecitato le critiche. Ai due Sinodi sulla famiglia ha invitato a discussioni franche. I suoi detrattori sostengono dunque di fargli un piacere. Ma ormai il principio dell'obbedienza al Pontefice sembra saltato. D'altra parte, perché portargli rispetto se, come avevano scritto i 23 dissidenti, «la barca di Pietro è senza timone?». I punti di riferimento sono altri: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, teologi come Caffarra, del quale dopo la morte sono stati ripubblicati interventi e omelie come un magistero alternativo al quale ancorarsi. Si guarda ai vescovi dell'Africa, non dell'America Latina, e all'irrigidimento dei presuli polacchi che hanno respinto in blocco le aperture contenute nell'esortazione «Amoris laetitia». Negli Stati Uniti viene ancora sbandierata la copertina del Newsweek che un paio d'anni fa si chiedeva «Is the Pope catholic?», ovvero: il Papa è cattolico?
È in atto anche una riflessione sul ruolo stesso del papato. I medesimi che all'arrivo di Bergoglio storsero il naso quando egli preferiva chiamarsi «vescovo di Roma» anziché Papa, come se intendesse ridimensionare il suo potere universale, ora sostengono che la sua infallibilità davanti a Dio è in realtà limitata ai pochi pronunciamenti «ex cathedra» e che il magistero ordinario è opinabile. Che autorità avrebbero le interviste rilasciate a un Eugenio Scalfari che non prende appunti né registra, ma mette tra virgolette quello che si ricorda spacciandolo come autentico? O le conversazioni aeree con i giornalisti di ritorno dai viaggi all'estero, che avvengono senza filtri e con rischi enormi?
Alla desacralizzazione del papato si accompagna una campagna di attacchi personali. Bergoglio è considerato un uomo privo di cultura, attaccato al potere, irascibile e vendicativo, che per giunta a 42 anni andò in psicanalisi da una specialista ebrea. Un politico che gestisce il Vaticano per conto della lobby di cardinali che l'ha piazzato sul soglio di san Pietro. Uno sprovveduto che apprezza un'abortista come Emma Bonino, non cita autori cattolici ma gente come Fellini e Borges e mette un protestante a guidare l'edizione argentina dell'Osservatore Romano. Uno che, in fondo, non ama la Chiesa ma la sopporta, come dimostrerebbe la severità con cui Francesco tratta la curia vaticana. L'impeachment papale è una prospettiva lontana, ma la strategia in atto è abile, spiega un teologo conservatore. Sulla comunione ai divorziati hanno fatto diventare un problema di massa quella che sembrava una questione per addetti ai lavori. Così adesso le ambiguità di Bergoglio sarebbero sotto gli occhi di tutti, anche dei cattolici della domenica poco avvezzi alle sottigliezze teologiche. Ma ora pronti a imporgli le correzioni.

Le 62 firme scomode: "Scelte del Pontefice facilitano le eresie"

Dalle nozze all'etica, 7 le critiche. L'ex Ior Gotti Tedeschi: "Atto di devozione"
Il titolo è in latino, la lingua ufficiale della Chiesa cattolica. «Correctio filialis de haeresibus propagatis»: correzione filiale delle eresie propagate.
E il propagatore sarebbe il Papa in persona. Lo accusa un lungo documento con 62 firme di studiosi ed ecclesiastici di 20 Paesi, dei quali il più noto è l'italiano Ettore Gotti Tedeschi, ex presidente dello Ior. I 62 non hanno i «dubia» dei quattro cardinali (due dei quali nel frattempo scomparsi) che l'anno scorso chiesero chiarimenti al Papa sull'«Amoris laetitia», che apre a certe condizioni ai sacramenti per i divorziati risposati. Nessun «dubium» ma la certezza dell'esistenza di «alcune eresie sviluppatesi per mezzo dell'esortazione apostolica e mediante altre parole, atti e omissioni di Vostra Santità». Espressioni che riecheggiano una preghiera recitata all'inizio della messa, nella quale i fedeli confessano di aver «molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni». I 62 risparmiano a Bergoglio i «pensieri», forse perché lo considerano culturalmente poco attrezzato.
Nel felpato latino curiale, nell'ossequio «filiale» e nel rispetto formale, il tono è durissimo. Sono sette le eresie delle quali il Papa sarebbe responsabile a riguardo del matrimonio, la vita morale e la recezione dei sacramenti: secondo i firmatari le ha sostenute nell'esortazione apostolica e ha causato la diffusione di queste opinioni eretiche nella Chiesa. La «Correctio» è un testo di 25 pagine in tre parti. Il punto chiave, nella sintesi dei promotori, è che «direttamente o indirettamente, il Papa ha permesso che si credesse che l'obbedienza alla legge di Dio possa essere impossibile o indesiderabile, e che la Chiesa talvolta dovrebbe accettare l'adulterio in quanto compatibile con l'essere cattolici praticanti». Sono comprese anche due accuse a Bergoglio di tipo culturale: il modernismo, riemerso dal passato dopo la condanna di san Pio X, il quale porta a credere che Dio non ha consegnato verità definite alla Chiesa, e l'essere succube del protestantesimo luterano.
Il testo porta la data del 16 luglio, festa della Madonna del Carmine, ed è stato consegnato a Francesco l'11 agosto. I promotori fanno sapere che non avendo avuto risposta in 40 giorni hanno deciso di renderlo noto ieri, festa della Madonna della Mercede e di Nostra Signora di Walsingham. Il battage mediatico, tipico del modo di operare di questa frangia di cattolici, è massiccio: un apposito sito internet in sei lingue (inglese, italiano, spagnolo, francese, tedesco e portoghese), un pool di siti e blog che hanno sganciato la bomba allo scoccare della mezzanotte, un battage sui social network e una petizione sul sito Change.org. Tra i firmatari appare anche monsignor Bernard Fellay, superiore della Fraternità sacerdotale San Pio X fondata dallo scismatico monsignor Lefebvre, assieme a docenti di atenei pontifici e dell'Università cattolica del Sacro Cuore. Fellay, che è sospeso «a divinis», non è l'unico vescovo che firma il documento: dopo la divulgazione si è aggiunto l'americano Rene Henry Gracida, 94 anni, vescovo emerito della diocesi texana di Corpus Christi. Nessun cardinale, nemmeno l'americano Raymond Burke che era stato il primo a ipotizzare una «correzione formale» al Papa.

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