ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 3 ottobre 2017

La specie più insidiosa dei nemici

Quando San Tommaso disse: “Amoris laetitia che…?”



Et non tradat eum in animam inmicorum eius… 
quando si prega per il Pontefice, la Chiesa chiede a Dio di non consegnarlo all'anima dei suoi nemici, ovvero di non farlo cadere nel loro stesso giro mentale, e che la mens del Papa non sia secondo i loro desideri.
La specie più insidiosa dei nemici è costituita poi dai falsi fratelli (cf. 2 Cor 11,26); e tra i falsi fratelli del Papa ci sono senz'altro quei ghost-writer che hanno contribuito alla redazione di Amoris laetitia "copia-incollando" maldestramente alcune citazioni di San Tommaso [1], e quei consiglieri che hanno indotto lo stesso Pontefice a pensare che Amoris laetitia sia un testo tomista.
Non si spiegano altrimenti le parole del Papa, pronunciate nel corso di un incontro privato con alcuni gesuiti colombiani il 10-9-2017, e riportate dal sito WEB della Civilità Cattolica:
"…sento molti commenti – rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati – sull’Esortazione apostolica post-sinodale. Per capire l’Amoris laetitia bisogna leggerla da cima a fondo. A cominciare dal primo capitolo, per continuare col secondo e così via… e riflettere. E leggere che cosa si è detto nel Sinodo. Una seconda cosa: alcuni sostengono che sotto l’Amoris laetitia non c’è una morale cattolica o, quantomeno, non è una morale sicura. Su questo voglio ribadire con chiarezza che la morale dell’Amoris laetitia è tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo, tra i migliori di oggi e tra i più maturi, il cardinal Schönborn. Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica. Aiutatele a rendersi conto che il grande Tommaso possiede una grandissima ricchezza, capace ancora oggi di ispirarci. Ma in ginocchio, sempre in ginocchio…" [2]. 
In precedenza il Papa aveva detto – rispondendo a una domanda "che cosa si aspetta dalla riflessione filosofica e teologica in un Paese come il nostro e nella Chiesa in generale" –, che questa non deve essere…
"…una riflessione di laboratorio. Infatti, abbiamo visto che danno ha finito col fare la grande e brillante scolastica di Tommaso quando è andata decadendo, decadendo, decadendo…: è diventata una scolastica da manuale, senza vita, mera idea, e si è tradotta in una proposta pastorale casuistica… non si può fare filosofia con la tavola logaritmica, che peraltro è ormai in disuso […] Un uomo che non prega, una donna che non prega, non può essere teologo o teologa. Sarà il volume del Denzinger fatto persona, saprà tutte le dottrine esistenti o possibili, ma non farà teologia."
Indubbiamente la  scolastica ha visto momenti di fioritura e momenti di decadenza, ma non si possono attribuire alla scolastica decadente i dubbi su Amoris laetitia; forse è scolastica decadente anche Veritatis Splendor? 
San Giovanni Paolo II, che si inginocchiava davanti al SS. Sacramento, che stava in ginocchio mentre riceveva la Santa Comunione, che scriveva nella sua Cappella privata inginocchiato (più teologia in ginocchio di così…), insegnava:
"Ci si può, in effetti, chiedere se la confusione fra la “gradualità della legge” e la “legge della gradualità” non abbia la sua spiegazione anche in una scarsa stima per la legge di Dio. Si ritiene che essa non sia adatta per ogni uomo, per ogni situazione, e si vuole perciò sostituirvi un ordine diverso da quello divino […] 
Lo Spirito, donato ai credenti, scrive nel nostro cuore la legge di Dio così che questa non è solo intimata dall’esterno, ma è anche e soprattutto donata all’interno. Ritenere che esistano situazioni nelle quali non sia di fatto possibile agli sposi essere fedeli a tutte le esigenze della verità dell’amore coniugale equivale a dimenticare questo avvenimento di grazia che caratterizza la nuova alleanza: la grazia dello Spirito Santo rende possibile ciò che all’uomo, lasciato alle sole sue forze, non è possibile […]
Ogni battezzato, quindi anche gli sposi, è chiamato alla santità, come ha insegnato il Vaticano II […] Tutti, coniugi compresi, siamo chiamati alla santità, ed è vocazione, questa, che può esigere anche l’eroismo. Non lo si deve dimenticare." [3].
Quindi il dilemma non è scolastica decadente vs Amoris laetitia, non è Denzinger vs teologia in ginocchio! Questi sono sofismi!
La vera alternativa, il vero irriducibile aut aut, è tra la radicalizzazione del "caso per caso" la legge di Dio "adatta per ogni uomo, per ogni situazione"; tra "un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono" (Amoris laetitia 36) e "Tutti, coniugi compresi, siamo chiamati alla santità, ed è vocazione, questa, che può esigere anche l’eroismo. Non lo si deve dimenticare (San Giovanni Paolo II)"

Ma adesso veniamo a San Tommaso: la difesa del tomismo di Amoris laetitia è affidata dal Papa al Card. Schönborn: indubbiamente i meriti teologici del porporato austriaco sono grandi, ma  diverse sua affermazioni negli ultimi tempi sono molto discutibili e non possono certo essere fatte passare come coerenti con la teologia tomista [4].
In realtà, in Amoris laetitia, l'Aquinate è stato strapazzato, nel senso inteso da Sant'Alfonso Maria de' Liguori quando parlava di Officio e S. Massa strapazzati: una cosa sacra rovinata se trattata non in modo confacente.

E adesso vado non a provare le accuse contro il presunto tomismo di Amoris laetitia, ma vorrei compiere al Papa il servizio di mostrargli le ferite di un testo: vorrei che il Santo Padre amatissimo lo rivedesse e lo curasse - in quell'ospedale da campo che prima di tutto è il Suo cuore - alla luce dell'insegnamento, impartito in ginocchio in tutti i sensi, dei suoi predecessori.
Riporto qui quattro riferimenti dell'esortazione all'Aquinate, e poi vedremo se i testi citati suffragano o invece piuttosto contraddicono le tesi propugnate in Amoris laetitia [5].

I testi che prenderò in esame sono:
  1. Summa Theologiae I-II, q. 94, art. 4, citato al § 304.
  2. Sententia libri Ethicorum, VI, 6., citato nella nota 364, sempre nel § 304.
  3. Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 3, ad 2, citato al § 301.
  4. De malo, q. 2, a. 2., citato al § 301.

1. Summa Theologiae I-II, q. 94, art. 4. 


In Amoris Laetitia § 304 viene affermato:
"È meschino soffermarsi a considerare solo se l'agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell'esistenza concreta di un essere umano".
A sostegno di questa affermazione viene portato il suddetto testo di S. Tommaso:
"Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d'Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] 
E tanto più aumenta l'indeterminazione quanto più si scende nel particolare».
 [S. Th., I-II, q. 94, art. 4. ]"
Poste queste premesse il Papa conclude:
"È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari".
Il succitato testo dell'Aquinate tuttavia non si presta a dimostrare che non esistano leggi valide in ogni circostanza, quali le leggi divine negative, obbliganti semper et pro semper, in tutte le situazioni particolari. Né tanto meno lo stesso testo può attribuire allo stesso S. Tommaso questa opinione.

A) Al contrario, abbiamo una serie di testi in cui appare chiaro che San Tommaso dichiara l'esistenza di azioni intrinsecamente cattive [6]:
1)   "…come la forma naturale è nella materia per l'agente, così la forma della bontà è in ciò che si vuole per il fine; e come la materia non proporzionata alla forma, pur sopraggiungendo un debito agente, mai ne consegue la forma, come la pietra non può diventare carne per la digestione; così anche ciò che è voluto non proporzionato alla bontà, quantunque sia buono il fine, mai riceve la bontàe tali sono le azioni in sé cattive, come il rubare e così via; a meno che la deformità non possa essere tolta per l'autorità divina, come sopra è stato detto" (Super Sent., lib. 1 d. 48 q. 1 a. 2 ad 5) [7] 
2)   "La buona intenzione non è sufficiente a determinare bontà di un atto: poiché un atto può essere in sé cattivo, e in nessun modo può diventare buono" (Super Sent., lib. 2 d. 40 q. 1 a. 2 co.) [8]. 
3) "…ciò che è male in tutto il suo genere, è assolutamente cattivo, e non può diventare buono" (Super Sent., lib. 2 d. 36 q. 1 a. 5 ad 2) [9].
B) Altri testi di S. Tommaso applicano questi princípi ai casi dell'adulterio e della fornicazione:
4) "Vi sono alcune [azioni umane] che hanno una deformità annessa inseparabilmente, come la fornicazione, l'adulterio, e altre cose di questo genere, che non possono essere compiute moralmente bene in alcun modo" (Quodlibet IX, q. 7 a. 2 co.) [10]. 
5) "…alcune passioni o azioni, [e si capisce] dal loro stesso nome, implicano malizia: come, tra le passioni, la malvagità, l'inverecondia, l'invidia e, tra le azioni, l'adulterio, il furto, l'omicidio. Tutte queste cose e altre simili sono cattive in sé e non solo nel loro eccesso o difetto; perciò riguardo a queste cose, non può accadere che qualcuno si comporti rettamente in qualunque modo compia queste azioni, ma sempre, facendole, pecca. Nello spiegare questo aggiunge che bene o non bene non toccano queste azioni per il fatto che una persona compia uno di questi atti, come nel caso dell'adulterio, come è opportuno o quando è opportuno [a seconda delle circostanze], cosicché diventi bene, e sia male quando non fatto sconvenientemente. In sé, infatti, uno qualunque di questi atti comporta ciò che ripugna a ciò che si deve" (Sententia Ethic., lib. 2 l. 7 n. 11) [11]. 
6) "…l'atto di lussuria è in sé peccato mortale, perché ha una materia indebita, che ripugna alla carità" (De malo, q. 15 a. 2 ad 6) [12]. 
7) "…essendo contro la legge naturale avere rapporti coniugali con una donna che non è la propria moglie, in nessun tempo poteva essere lecito, neppure per una dispensa"(Super Sent., lib. 4 d. 33 q. 1 a. 3 qc. 3 co., S. Th., Suppl. q. 65, a. 5 co.) [13].
C) Altri testi dove i suddetti princípî vengono applicati a varie specie di atti intrinsecamente cattivi (uccisione dell'innocente, furto, spergiuro, menzogna):
8) "in nessun modo è lecito uccidere l'innocente" (S. Th., IIª-IIae q. 64 a. 6 co.) [14].
9) "…il suicidio è sempre peccato mortale, essendo incompatibile con la legge naturale e con la carità" (S. Th., IIª-IIae q. 64 a. 5 co.) [15]. 
10) "…è evidente che qualsiasi furto è peccato" (S. Th., IIª-IIae q. 66 a. 5 co.) [16]. 
11) "La falsa testimonianza implica una triplice deformità. Primo, per lo spergiuro: poiché non si ammettono testimoni senza giuramento. E da questo lato la falsa testimonianza è sempre peccato mortale." (S. Th., IIª-IIae q. 70 a. 4 co.) [17] 
12) "In nessun modo può essere buono e lecito ciò che è cattivo nel suo genere: poiché la bontà richiede il concorso ordinato di tutti gli elementi; infatti "il bene deriva dal concorso integrale delle cause, il male invece da ogni singolo difetto", come scrive Dionigi. Ora, la menzogna è cattiva nel suo genere. Essa infatti è un'azione che si esercita su una materia sconveniente: poiché le parole, essendo per natura espressioni del pensiero, è cosa innaturale e sconveniente che uno esprima con le parole quello che non pensa. Ecco perché il Filosofo insegna, che "la menzogna è per se stessa cattiva e riprovevole: la verità invece è cosa buona e lodevole". Dunque la bugia è sempre peccato, come anche S. Agostino afferma" (S. Th., IIª-IIae q. 110 a. 3 co.) [18].
D) Altri testi dove si afferma che tutti facilmente e immediatamente possono valutare correttamente le azioni intrinsecamente cattive:
13) "…i precetti del decalogo sono stati consegnati immediatamente da Dio al popolo; perciò sono consegnati in quella forma come sono manifesti alla ragione naturale di qualunque uomo, anche di bassa condizione. Chiunque poi immediatamente può cogliere, tramite la ragione naturale, che l'adulterio è peccato: e pertanto tra i precetti del decalogo l'adulterio è vietato." (De malo, q. 15 a. 2 ad 3) [19]. 
14) "Nelle facoltà operative, ci sono certi principi conosciuti naturalmente quasi indimostrabili e prossimi ad esse, come bisogna evitare il malenon bisogna nuocere ingiustamentenon rubare e simili" (Sententia Ethic., lib. 5 l. 12 n. 3) [20]. 
15) "Ma come ogni giudizio della ragione speculativa deriva dalla conoscenza naturale dei primi princípi, così ogni giudizio della ragione pratica deriva, come abbiamo visto, da alcuni principi noti anch'essi per natura. Da questi però si procede in vari modi nel formulare i vari giudizi. Infatti nelle azioni umane ci sono delle cose talmente chiare, che si possono approvare o disapprovare, immediatamente, in base ai suddetti principi universali.[…] Infatti ci sono alcune cose che la ragione naturale di qualsiasi uomo giudica subito e direttamente come da farsi o da non farsi; tali, p. es., sono i precetti: "Onora il padre e la madre", "Non ammazzare", "Non rubare". E codesti precetti appartengono in senso assoluto alla legge naturale." (S. Th., Iª-IIae q. 100 a. 1 co.) [21].
In base a quanto detto, non si può invocare San Tommaso per affermare universalmente che "le norme generali … nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari" (AL 304); infatti, secondo l'Aquinate, esistono leggi divine negative, obbliganti semper et pro semper, in tutte le situazioni particolari. E perciò giustamente San Giovanni Paolo II insegnava che si spiega con una "scarsa stima per la legge di Dio" ritenere "che essa non sia adatta per ogni uomo, per ogni situazione, e si vuole perciò sostituirvi un ordine diverso da quello divino" [22].



2. Sententia libri Ethicorum, VI, 6.


A sostegno di quanto affermato nello stesso § 304 di Amoris Laetitia, viene riportato, alla nota (348), un altro testo dell'Aquinate:
"Riferendosi alla conoscenza generale della norma e alla conoscenza particolare del discernimento pratico, san Tommaso arriva a dire che «se non vi è che una sola delle due conoscenze, è preferibile che questa sia la conoscenza della realtà particolare, che si avvicina maggiormente all'agire» (Sententia libri Ethicorum, VI, 6 [ed. Leonina, t. XLVII, 354])".
Questo testo sembra essere citato fuori luogo, in quanto qui San Tommaso non si riferisce assolutamente alla "conoscenza generale della norma" morale, ma solo alla prudenza pratica.

Esaminiamo la frase in questione in un contesto più ampio:
"Infine, dove leggiamo Né, infatti. la prudenza ecc. (1141 b 14) [Aristotele] illustra un concetto che aveva formulato, fornendo la ragione per cui la prudenza verte su quanto si può realizzare.In effetti, la prudenza non si limita ad analizzare gli esseri universali nei quali non c'è posto per l'azione, ma occorre che conosca anche i casi particolari dato che essa è una virtù attiva, vale a dire è il principio per cui si agisce, e l'azione vene sui singoli enti.È questo il motivo per cui alcuni individui i quali non sono fomiti della scienza degli universali sono più attivi riguardo a ceni casi particolari: p. es., se un medico sa che le carni leggere sono facilmente digeribili e sane, ma ignora in realtà quali siano in realtà le carni leggere, non potrà dare la salute: invece, un individuo che sappia che le carni dei volatili sono leggere e sane sarà maggiormente in grado di produrre la salute.Quindi, acquisito che la prudenza è la ragione attiva, occorre che l'uomo prudente sia fornito della conoscenza di entrambi gli ordini di cose, vale a dire degli universali e dei particolari: oppure, se uno può conoscere soltanto uno dei due ordini di cose, deve possedere preferibilmente questa seconda disciplina, cioè la conoscenza dei particolari per il fatto che essi sono più vicini all'azione" [23].
Qui S. Tommaso non parla di discernimento morale dell'azione, ma di prudenza pratica (altra cosa è la coscienza morale, altra cosa la prudenza): non bisogna avere la testa tra le nuvole, ma avere conoscenza tanto universale quanto particolare; L'Aquinate sta parlando di utilità pratica per la vita, come è facilmente constatabile dalle parole che precedono la frase esaminata:
"Se un medico sa che le carni leggere sono facilmente digeribili e sane, ma ignora in realtà quali siano in realtà le carni leggere, non potrà dare la salute: invece, un individuo che sappia che le carni dei volatili sono leggere e sane sarà maggiormente in grado di produrre la salute".
In precedenza S. Tommaso aveva scritto:
"[Aristotele] inizia facendo notare chsiccome lprudenza hper oggetto i beni umanilagente dice che Anassagora (496 428 a. C.), un altro filosofo chiamato Talete (Vll VI aC.) e altri personaggi orientati allo stesso modo erano indubbiamente sapientima non prudenti:il motivo è che il popolo vedeva che tali individui ignoravano quanto era utile a loro stessiediceva che essi conoscevano delle cose superflue, cioè inutili e meravigliose, cioè superioriasapere comune della gente, e difficili, perché esigono uno studio diligentedivine, data la nobiltà della loro natura.
Il Nostro porta l'esempispecifico di Talete e di Anassagora perché avevano subìto ungiudizio sfavorevole proprio squestloro orientamento. Infattiuna volta che Talete erauscito di casa per osservare le stelle, cadde in unbuca; a lui che gemevauna vecchiettadisse: «O Talete, tu nosei in grado di vedere quel chsta davanti ai tuoi piedie credi disapere ciò che sta in cielo?»" [24].
Tanto l'Aquinate quanto Aristotele si riferiscono a chi conosce bene i principi, ma vive eccessivamente distratto dalla realtà.
Se applichiamo analogicamente al giudizio morale quanto il Filosofo dice qui circa la prudenza pratica, potremmo affermare che è meglio uno che agisce bene di uno che conosce benissimo la teologia morale e poi si comporta male: tanti poveri incolti, che non hanno la conoscenza scientifica della teologia morale, in Paradiso possono avere un grado di gloria superiore a tanti moralisti; ma S. Tommaso non dice che colui che non conosce formalmente i princípî universali della morale, nei casi particolari, può deviare da essi.

In conclusione, questo testo di San Tommaso dice tutt'altro rispetto alla tesi che con esso si vorrebbe avvalorare, cioè che non esisterebbero norme che "nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari".


3. Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 3, ad 2. 

Leggiamo, al § 301 di Amoris laetitia, un'altra tesi che viene suffragata da testi tomisti (Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 3, ad 2; De malo, q. 2, a. 2):
"Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione». Già san Tommaso d'Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù, in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l'esistenza di qualcuna di esse, perché l'agire esterno di questa virtù trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l'abito di tutte le virtù».
Riguardo all'affermazione: "qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù", distinguo:
"Qualcuno può avere la grazia e la carità senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù":concedo;
"Qualcuno può avere la grazia e la carità commettendo un'azione intrinsecamente cattiva":nego.
A riprova di quanto detto, possiamo vedere quanto San Tommaso afferma, poco prima del primo passo della Summa citato al § 301, precisamente Iª-IIae q. 65 a. 2 co.:
"…solo in quanto sono fatte per compiere il bene in ordine al fine ultimo soprannaturale, raggiungono perfettamente e realmente la natura di virtù; e quindi non possono acquistarsi con azioni umane, ma sono infuse da Dio. E codeste virtù morali non possono esistere senza la carità […] Ecco perché la Glossa di S. Agostino, commentando quel passo di S. Paolo, "Tutto quello che non è secondo la fede è peccato", scrive: "Dove manca la conoscenza della verità, la virtù è falsa anche se corredata di ottimi costumi"[25].
Quindi la frase "Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l'abito di tutte le virtù" non può essere riferita a chi, non avendo la carità, non possiede nessuna virtù infusa.


4. De malo, q. 2, a. 2.

Per quanto riguarda invece De malo, q. 2, a. 2, non è immediatamente evidente a quale parte dell'articolo il Papa si riferisca; possiamo pensare, visto che nel testo si parla di "fattori che limitano la capacità di decisione", alla seguente frase:
"… Ma il peccato non ha ragione di colpa che per il fatto di essere volontario, perché non si imputa a nessuno un atto disordinato, se non perché è in suo potere"[26].
I fattori che limitano la capacità di decisione sono quelli che rendono l'atto umano non perfettamente libero e volontario (non in suo potere, cioè non nel potere di chi agisce), comunemente ammessi dalla teologia morale classica (timore, passioni, malattia, violenza, ignoranza invincibile etc.): si tratta non di circostanze che mutano l'oggetto dell'atto, ma di incapacità temporanea o permanente del soggetto a compiere un atto pienamente umano (qui ex libera voluntate procedit).
Tanto i testi tomistici, quanto il Magistero costante della Chiesa, escludono categoricamente che le circostanze esterne possano mutare la natura intrinsecamente cattiva di alcuni atti, quali il vivereuxorio more di due persone che non sono marito e moglie (ad es., come abbiamo riportato sopra: "quod est secundum se malum ex genere, nullo modo potest esse bonum et licitum").


Conclusione

Papa Francesco afferma, al § 304 di Amoris laetitia, che "È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari".

Alla luce dei testi tomistici citati dallo stesso Pontefice, si deve distinguere: se è vero che dai princípî della morale non si possono dedurre a priori tutte le valutazioni morali delle minime situazioni particolari, è pur vero che gli stessi princípî consentono di valutare in ogni caso come intrinsecamente cattive determinate azioni, quali l'adulterio e la fornicazione: chi compie questi atti con piena avvertenza e deliberato consenso pecca mortalmente.
Inoltre questi princípî sono facilmente e immediatamente conoscibili da chiunque.

Se confrontiamo S. Tommaso con quanto afferma il Papa al § 301 "Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale» o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa", possiamo vedere che l'Aquinate afferma l'esatto contrario.

Un Papa veramente tomista è stato invece Pio XII, il quale, nel discorso Aux participants au congrès de la Fédération catholique mondiale de la jeunesse fémininedel 18 aprile 1952, è stato perfettamente in linea con quanto insegna il Doctor communis:
"Ci si chiederà come la legge morale, che è universale, può bastare, e nello stesso tempo essere vincolante in un caso singolare, il quale nella sua situazione concreta è sempre unico e di “una volta”. Lo può e lo fa, perché giustamente a causa della sua universalità la legge morale comprende necessariamente ed “intenzionalmente” tutti i casi particolari, all'interno dei quali si verificano i suoi concetti. E in questi casi numerosissimi lo fa con una logica così concludente, che la stessa coscienza del semplice fedele vede immediatamente e con piena certezza la decisione da prendere. Ciò vale soprattutto per le obbligazioni negative della legge morale, quelle che esigono un non fare, un lasciar stare. Ma non soltanto per quelle" [27].
Inoltre, al § 305 di Amoris laetitia leggiamo:
"A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l'aiuto della Chiesa"
Alla luce dei documenti del Magistero costante della chiesa e dei testi di S. Tommaso presi in esame, possiamo dire che, in caso di convivenza uxorio modo di due persone che non sono marito e moglie, queste possono essere non oggettivamente colpevoli o non colpevoli in modo pieno solo per una imperfezione morale dei loro atti (incapacità di compiere un atto umano), e non in base a circostanze esterne.

Sulla base di tutte le considerazioni svolte in questo articolo, si può dunque affermare, diversamente da quanto ha detto Papa Francesco, che Amoris laetitia è tutt'altro che tomista.

NOTE

[1] Cf. «"Amoris laetitia" ha un autore ombra. Si chiama Víctor Manuel Fernández. Impressionanti somiglianze tra i passaggi chiave dell'esortazione di papa Francesco e due testi di dieci anni fa del suo principale consigliere. Un doppio sinodo per una soluzione che era già scritta», http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351303.html.
[2] «La grazia non è una ideologia. Un incontro privato del Papa con alcuni gesuiti colombiani», http://www.laciviltacattolica.it/articolo/la-grazia-non-e-una-ideologia/
[3] San Giovanni Paolo IIDiscorso ai sacerdoti partecipanti a un seminario di studio su «La procreazione responsabile, Sabato, 17 settembre 1983, http://tinyurl.com/y9lqrp4v.
[4] Cf. «Il papa tace e Schönborn parla per lui. Con argomenti qui criticati ad uno ad uno», http://tinyurl.com/yc2lphs6.
[5] Riprendo qui, adattandola, l'analisi dei testi tomistici da me svolta in «Osservazioni su alcuni punti controversi dell'Esortazione apostolica Amoris laetitia - 2.2 - AL e San Tommaso», http://tinyurl.com/ybjst23j.
[6] Tutti i testi di S. Tommaso in latino, citati in questo studio, sono pesi dal sito http://www.corpusthomisticum.org/; le traduzioni, i grassetti e i corsivi sono redazionali.
[7] "…sicut forma naturalis est in materia ab agente, ita forma bonitatis est in volito a fine; et sicut materia improportionata ad formam adveniente debito agente nunquam consequitur formam, sicut lapis non fit caro a virtute digestiva; ita etiam volitum improportionatum ad bonitatem, quantumcumque sit bonus finis, nunquam bonitatem recipit; et talia sunt quae per se sunt mala, ut furari et hujusmodi; nisi deformitas tollatur auctoritate divina, ut supra, distin. 47, quaest. unica, art. 3, dictum est".
[8] "Non autem bonitas voluntatis intendentis sufficit ad bonitatem actus: quia actus potest esse de se malus, qui nullo modo bene fieri potest".
[9] …quod autem est malum ex genere, simpliciter est malum, nec bonum fieri potest"
[10] "…actionum humanarum multiplex est differentia. Quaedam enim sunt quae habent deformitatem inseparabiliter annexam, ut fornicatio, adulterium, et alia huiusmodi, quae nullo modo bene fieri possunt".
[11] "…quaedam tam passiones quam actiones in ipso suo nomine implicant malitiam, sicut in passionibus gaudium de malo et inverecundia et invidia. In operationibus autem adulterium, furtum, homicidium. Omnia enim ista et similia, secundum se sunt mala; et non solum superabundantia ipsorum vel defectus; unde circa haec non contingit aliquem recte se habere qualitercumque haec operetur, sed semper haec faciens peccat. Et ad hoc exponendum subdit, quod bene vel non bene non contingit in talibus ex eo quod aliquis faciat aliquod horum, puta adulterium, sicut oportet vel quando oportet, ut sic fiat bene, male autem quando secundum quod non oportet. Sed simpliciter, qualitercumque aliquod horum fiat, est peccatum. In se enim quodlibet horum importat aliquid repugnans ad id quod oportet".
[12] "…actus luxuriae est secundum se mortale peccatum, quia habet materiam indebitam caritati repugnantem…".
[13] "Et ideo dicendum est, quod cum habere concubinam non matrimonio junctam sit contra legem naturae, ut dictum est, nullo tempore secundum se licitum fuit, nec etiam ex dispensatione".
[14] "…nullo modo licet occidere innocentem".
[15] "Et ideo occisio sui ipsius semper est peccatum mortale, utpote contra naturalem legem et contra caritatem existens".
[16] "…manifestum est quod omne furtum est peccatum".
[17] "Respondeo dicendum quod falsum testimonium habet triplicem deformitatem. Uno modo, ex periurio, quia testes non admittuntur nisi iurati. Et ex hoc semper est peccatum mortale".
[18] "Respondeo dicendum quod illud quod est secundum se malum ex genere, nullo modo potest esse bonum et licitum, quia ad hoc quod aliquid sit bonum, requiritur quod omnia recte concurrant; bonum enim est ex integra causa, malum autem est ex singularibus defectibus, ut Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom. Mendacium autem est malum ex genere. Est enim actus cadens super indebitam materiam, cum enim voces sint signa naturaliter intellectuum, innaturale est et indebitum quod aliquis voce significet id quod non habet in mente. Unde philosophus dicit, in IV Ethic., quod mendacium est per se pravum et fugiendum, verum autem et bonum et laudabileUnde omne mendacium est peccatum, sicut etiam Augustinus asserit, in libro contra mendacium".
[19] "…praecepta Decalogi sunt immediate a Deo populo tradita; unde secundum hanc formam traduntur prout sunt manifesta naturali rationi cuiuslibet hominis etiam popularis. Quilibet autem statim ratione naturali advertere potest adulterium esse peccatum; et ideo inter praecepta Decalogi prohibetur adulterium".
[20] "…in operativis sunt quaedam principia naturaliter cognita quasi indemonstrabilia principia et propinqua his, ut malum esse vitandum, nulli esse iniuste nocendum, non esse furandum et similia".
[21] "Sicut autem omne iudicium rationis speculativae procedit a naturali cognitione primorum principiorum, ita etiam omne iudicium rationis practicae procedit ex quibusdam principiis naturaliter cognitis, ut supra dictum est. Ex quibus diversimode procedi potest ad iudicandum de diversis. Quaedam enim sunt in humanis actibus adeo explicita quod statim, cum modica consideratione, possunt approbari vel reprobari per illa communia et prima principia. […] Quaedam enim sunt quae statim per se ratio naturalis cuiuslibet hominis diiudicat esse facienda vel non facienda, sicut honora patrem tuum et matrem tuam, et, non occides, non furtum facies. Et huiusmodi sunt absolute de lege naturae".
[22] S. Tommaso d'AquinoCommento all'etica nicomachea di Aristotele, Introduzione, traduzione e glossario a c. di Lorenzo Perrotto, vol II, libri 6-10, Bologna: ESD 1998, p. 54; testo latino: "Deinde cum dicit neque enim prudentia etc., manifestat quiddam quod dixerat, assignans scilicet rationem quare prudentia sit circa operabilia. Prudentia enim non considerat solum universalia, in quibus non est actio; sed oportet quod cognoscat singularia, eo quod est activa, idest principium agendi. Actio autem est circa singularia. Et inde est, quod quidam non habentes scientiam universalium sunt magis activi circa aliqua particularia, quam illi qui habent universalem scientiam, eo quod sunt in aliis particularibus experti. Puta si aliquis medicus sciat quod carnes leves sunt bene digestibiles et sanae, ignoret autem quales carnes sint leves; non poterit facere sanitatem. Sed ille qui scit quod carnes volatilium sunt leves et sanae, magis poterit sanare. Quia igitur prudentia est ratio activa, oportet quod prudens habeat utramque notitiam, scilicet et universalium et particularium; vel, si alteram solum contingat ipsum habere, magis debet habere hanc, scilicet notitiam particularium, quae sunt propinquiora operationi" (Sententia Ethic., lib. 6 l. 6 n. 11).
[23] Commento all'etica…, p. 53; testo latino: "Dicit ergo primo quod quia prudentia est circa bona humana sapientia autem circa ea quae sunt homine meliora, inde est, quod homines dicunt Anaxagoram, et quemdam alium philosophum qui vocabatur Thales, et alios similes esse quidem sapientes, non autem prudentes, eo quod homines vident eos ignorare ea quae sunt sibi ipsis utilia, et dicunt eos scire quaedam superflua, id est inutilia, et admirabilia, quasi excedentia communem hominum notitiam, et difficilia, quia indigent diligenti inquisitione, et divina propter nobilitatem naturae. Ponit autem specialiter exemplum de Thale et Anaxagora, qui specialiter super hoc reprehensi fuerunt. Cum enim Thales exiret domum, ut astra consideraret, incidit in foveam; eoque lugente, dixit ad eum quaedam vetula: tu quidem, o Thales, quae ante pedes nequis videre et quae in caelo sunt putas cognoscere?" (Sententia Ethic., lib. 6 l. 6 n. 8-9).
[24] Discorso ai sacerdoti…, 17 settembre 1983. 
[25] "Secundum autem quod sunt operativae boni in ordine ad ultimum finem supernaturalem, sic perfecte et vere habent rationem virtutis; et non possunt humanis actibus acquiri, sed infunduntur a Deo. Et huiusmodi virtutes morales sine caritate esse non possunt […] Unde Rom. XIV super illud, omne quod non est ex fide, peccatum est, dicit Glossa Augustini, ubi deest agnitio veritatis, falsa est virtus etiam in bonis moribus".
[26] "…rationem culpae non habet peccatum nisi ex eo quod est voluntarium; nulli enim imputatur ad culpam aliquis inordinatus actus nisi ex eo quod est in eius potestate" De malo, q. 2 a. 2 co.
[27] "On demandera comment la loi morale, qui est universelle, peut suffire, et même être contraignante dans un cas singulier, lequel en sa situation concrète est toujours unique et d'«une fois». Elle le peut et elle le fait, parce que justement à cause de son universalité la loi morale comprend nécessairement et «intentionnellement» tous les cas particuliers, dans lesquels ses concepts se vérifient. Et dans des cas très nombreux elle le fait avec une logique si concluante, que même la conscience du simple fidèle voit immédiatement et avec pleine certitude la décision à prendre. Ceci vaut spécialement des obligations négatives de la loi morale, de celles qui exigent un ne-pas-faire, un laisser-de-côté. Mais nullement de celles-là seules. (…) Quelle que soit la situation individuelle, il n'y a d'autre issue que d'obéir"; http://tinyurl.com/jeja5su.

di don Alfredo Morselli

http://blog.messainlatino.it/2017/10/quando-san-tommaso-disse-amoris.html

Correzione. Se si reinventa San Tommaso

di Francesco Filipazzi
  
La correzione filiale di Amoris Laetitia (da ora AL), oltre ad aver aperto finalmente un dibattito sui grandi media, rompendo finalmente la cappa plumbea che tendeva a tacitare ogni posizione intra ecclesiale contraria a quel documento, ha generato una serie di reazioni che hanno dimostrato la sterilità delle tesi pro AL. Al momento di risposte serie alla correzione non ne sono arrivate, ma qualcuno in realtà ha provato a darne per lo meno in forme eleganti. E' il caso ad esempio di Benedetto Ippolito, storico della filosofia, che su formiche.net, pur rimanendo molto gentile, ha pubblicato un commento volto semplicemente a screditare la correzione, incorrendo in alcuni errori logici e storici, tipici di chi difende l'indifendibile.

Nell'articolo dal titolo "Vi spiego perché è eretico il documento contro il Papa", Ippolito, dopo la doverosa e in questi giorni frequente premessa che non si entrerà nel merito della correzione, sostiene che nella Chiesa ci sono sempre state opposizioni alle riforme dei pontefici. "Al fine di avere una dottrina unica e valida, e di evitare divisioni in materia di fede - spiega Ippolito - la Chiesa chiarì i punti teologici controversi stabilendo l’ortodossia cui è necessario attenersi per rimanere in comunione con gli altri cristiani sotto l’unica e assoluta autorità del Romano Pontefice". A sostegno della tesi viene portata la riforma gregoriana, che trovò molti antagonisti. Questo è il primo errore logico del testo, in quanto si parla di interventi papali chiarificatori. AL è invece esattamente il contrario, tanto che ci sono conferenze episcopali e singole diocesi che vanno in ordine sparso nella recezione del documento. La correzione filiale denuncia proprio questo effetto confusionario di AL. 

Passando oltre, troviamo un altro concetto alquanto singolare "Per la prima volta dopo il Concilio Vaticano II il Magistero di un Papa sta incontrando un’opposizione conservatrice molto dura". Ippolito si dimentica che, d'altra parte, fino all'altro ieri il Magistero papale è stato avversato in modo aperto e in modo ben più violento, in chiave progressista, da parte di coloro che oggi fanno i pasdaran dell'insindacabilità papale, che appare il nuovo dogma. Non serve ricordare il catechismo olandese (non l'avranno chiamato correzione, ma scrivere un catechismo autonomo non è forse una delegittimazione totale?), l'opposizione all'Humanae Vitae, l'opposizione a Giovanni Paolo II in tema di sessualità e matrimonio, la disobbedienza dei teologi della liberazione, gli insulti aperti e isterici contro Benedetto XVI... sono tutte situazioni note. Oggi però se si critica Bergoglio, apriti cielo. 

Dopo queste poco esaltanti premesse, si giunge a quello che sarebbe il cuore dell'articolo e qui cadono le braccia. Dopo aver riproposto la solita ammuffita teoria della distinzione fra dottrina e pastorale (che a rigor di logica quindi prevede che laddove, ad esempio, la dottrina dica che non si può uccidere, la pastorale possa dire che in qualche caso, dopo discernimento, si può tranquillamente uccidere qualcuno, magari il vicino che ha l'erba troppo verde), si giunge ad uno svarione abbastanza eclatante riguardo San Tommaso d'Aquino. Il timore è che Ippolito, liquidando in due righe il paragrafo sulle Eresie contenuto nella Summa Teologica, confidi di avere a che fare con lettori che non verificheranno mai ciò che ha scritto. Noi invece, che abbiamo un'opinione molto alta dei nostri lettori, alleghiamo in fondo al post le sette pagine della Summa al riguardo.

Ippolito dice: "San Tommaso, nella Summa theologiae (I-II, p. 2, q. 11), definisce eretico chi sostiene delle posizioni contrarie alla fede in materia religiosa e manifesta “pubblicamente” infedeltà alla Chiesa dal punto di vista pratico. Nella storia questa infedeltà si è tradotta sempre in una concreta opposizione al Sommo Pontefice, nella cui istituzione sovrana è rappresentata e garantita appunto la guida concorde dei cristiani e la comunione obbediente e libera dei fedeli. [...] Ciò indica esattamente cosa significa eresia: opporsi per vanità e superbia pubblicamente alla legittimità autorità del Papa, invece di accogliere i segni spirituali e soprannaturali che lo Spirito Santo vuol suggerire anche con un documento tanto ricco di sfumature come l’Amoris Laetitia".

Queste affermazioni sono sostanzialmente false. Se avrete la pazienza di leggere ciò che scrive Tommaso, unitamente a ciò che scrive anche la Treccani al riguardo (noi come vedete riportiamo e basta), capirete che l'eresia riguarda le verità di fede e i dogmi, non la fedeltà al Papa. L'aquinate, riportando Sant'Agostino, sancisce chel'eretico è chi "segue opinione nuove e false" e che l'eresia "implica una corruzione della fede cristiana. Ora, non riguarda la corruzione della fede cristiana il fatto che uno abbia una falsa opinione in cose estranee alla fede, p. es. in geometria o in altri campi, ma il fatto che abbia una falsa opinione nelle cose riguardanti la fede". Un po' diverso da ciò che dice Ippolito, che riduce tutto alla fedeltà alla singola persona. Peraltro, anche in questo caso la posizione espressa sarebbe problematica, perché di Papi nella storia ce ne sono stati fino ad oggi 266. Come si può quindi dichiarare eretico chi seguisse l'insegnamento di 265 pontefici e non quello del 266imo? Il concetto di Depositum Fidei e quello di infallibilità papale servono proprio a garantire che le idee personali di un singolo pontefice non possano intaccare l'insegnamento generale. Certo, San Tommaso difende la prerogativa massima del Sommo Pontefice, ma essa è chiaramente intesa in ottica di continuità di cui è garante appunto il Papa, non certo in ottica di rottura, essendo l'eresia un'opinione "nuova e falsa". L'impressione è che l'ultimo frutto del Concilio sia un estremismo clericalista mai esistito in precedenza, ad uso e consumo di chi vuole magari garantirsi qualche entratura in ambienti vaticani.

Totalmente scentrato è, infine, il tentativo di far passare i firmatari e chi è d'accordo con loro come dei sedevacantisti. L'articolista tradisce al riguardo una certa ignoranza, poiché altrimenti saprebbe che la radice del sedevacantismo disconosce totalmente alla base l'attuale realtà ecclesiastica, arrivando a negare la validità dei sacramenti celebrati negli ultimi decenni. 

Eviterebbe di dichiarare che il Papa "non si può mai criticare pubblicamente", perché saprebbe che una critica di un fedele non è mai volta alla disgregazione della Chiesa, ma alla sua conservazione e alla sua crescita. Citare tutti i santi che nella storia, secondo il criterio dell'Ippolito, sarebbero quindi eretici o addirittura eresiarchi, a partire da San Paolo, appare superfluo. Potremmo spiegare che secondo il criterio succitato, la Chiesa avrebbe dovuto essere ariana, data la simpatia di un papa per questa eresia. Un'ipotesi piuttosto singolare.

San Tommaso e le eresie. Summa Teologica
http://www.campariedemaistre.com/2017/10/correzione-se-si-reinventa-san-tommaso.html

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