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Note sui "progressi" ecumenici in materia liturgica
Solo un breve post per ricordare, se sono vere le voci su una presunta "Messa Ecumenica" che presto verrà celebrata in comunione con gli eretici protestanti, che, stando alle opinioni della maggior parte dei teologi, riprese da Pio XI nella Mortalium animos, la celebrazione di un rito eretico all'interno di una chiesa Cattolica è peccato gravissimo per chiunque lo permetta o vi assista, e, secondo molti, sconsacra ipso facto la chiesa. Non è infatti possibile di seguire contemporaneamente la dottrina cattolica della S. Messa e di accettare quella protestante sottesa alla santa cena: anche a ciò si può applicare l'insegnamento evangelico di Nostro Signore "nemo potest duobus dominis servire: aut enim unum odio habebit et alterum diliget, aut unum sustinebit et alterum contemnet" (Matth. VI, 24)
Orbene, la Messa Ecumenica, per essere dottrinalmente accettabile dai protestanti, deve contenere almeno le seguenti eresie (non si esclude potrebbero esserne incluse altre, per esempio a riguardo della Grazia, della Verginità e della Divina Maternità della Madonna, del culto dei Santi, le quali però sarebbero solo accessorie al vero problema di tale celebrazione, che non è più la S. Messa), condannate dai Canoni del Concilio Tridentino:
- negazione del Sacerdozio ministeriale
- negazione del dogma della Transustanziazione
- negazione della natura sacrificale della S. Messa
Queste eresie effettivamente possono essere già sottese al Novus Ordo: la natura sacrificale non compare nella definizione di Messa uscita dai documenti del Consilium, e questi stessi documenti si riferiscono di preferenza al "Sacerdozio battesimale", per esempio. Lo stesso Bugnini, in fondo, disse che voleva un rito che non "urtasse la sensibilità dei fratelli separati". Il protestante Max Thurian, uno degli "osservatori" voluti presenti dalla Commissione ai propri lavori, dichiarò dopo l'uscita del Messale riformato che non vi sarebbe stato alcun impedimento, in futuro, per i protestanti di celebrare la Santa Cena coi cattolici. Identicamente un vescovo anglicano disse che dal punto di vista teologico non vi sono differenze sostanziali tra il Novus Ordo e il rito eretico anglicano. Ora, se queste preoccupanti dichiarazioni sembrano sancire l'eterodossia del Novus Ordo, è da considerare che i Pontefici degli ultimi cinquant'anni hanno, più o meno bene, confermate le verità fondamentali della dottrina cattolica sulla S. Messa, applicandole anche e soprattutto al Novus Ordo, il quale dunque, se per se stesso è di ortodossia quantomeno dubbia, è usato in senso ortodosso dalla Chiesa degli ultimi cinquant'anni (almeno de jure, poiché sono molti i casi di sacerdoti modernisti i quali applicano una lettura eterodossa dei testi della Nuova Messa, consacrando dunque in modo invalido). Usando la filosofia aristotelica, potremmo dire che nella Messa di Bugnini ci sono molte eresie in potenza, avvegnaché nessuna in atto.
Dunque, l'introduzione di una "Messa Ecumenica" potrebbe riprendere gran parte dei testi del Novus Ordo Missae: in essi vi sono in potenza tutte le eresie che abbiamo citato poc'anzi, comprese quelle "accessorie": per esempio, sono divenuti facoltativi i nomi dei Santi nel Canone Romano (e le altre anafore non li contengono del tutto); nel Confiteor sono soppressi i nomi propri dei Santi e l'avverbio semper davanti a Virginem Mariam; nelle collette scompaiono i riferimenti ortodossi al peccato e alla grazia, trovandosi invece testi ambigui che si prestano a letture protestanti o addirittura pelagiane (la qual cosa è avvenuta anche nelle letture della Messa, in cui vengono omessi i passi più significativi per l'interpretazione cattolica delle Scritture e vengono invece presentati, spesso con funzionali omissis, quelli che più aprono all'ambiguità verso il luteranesimo); etc.
La differenza sostanziale rispetto al rito attuale sarebbe che tutte queste eresie passerebbero in atto. Come? Per esempio, con l'abolizione definitiva del Canone Romano, con l'omissione della distinzione tipografica tra parole del Canone e parole consecratorie (la qual cosa è già in embrione, considerando che nel Messale di Paolo VI alcune parole non necessarie alla consacrazione sono grassettate come lo fossero, e viceversa le due necessarie Mysterium fidei sono posposte e non evidenziate), con l'annullamento delle prerogative sacerdotali (attraverso "eccezioni pastorali", il toccare i vasi sacri, e financo il toccare e distribuire la Santissima Eucaristia, possono già essere svolti da laici; il diventare in atto sarebbe, per esempio, rendere tutto ciò de jure la norma ineludibile), etc.
Sarebbero peraltro modifiche della sola mentalità con cui viene effettuato il rito, e per tale motivo sarebbe anche molto difficile notare la differenza tra la Messa che viene oggi celebrata a maggioranza, con un testo dubbio ma con una credenza de jure ortodossa, e quella che sarà forse celebrata un domani, con lo stesso testo dubbio ma con una credenza de jure eretica.
E' certo però che questa "Messa Ecumenica" non sarebbe un rito cattolico, non sarebbe un rito valido, comporterebbe l'apostasia, lo scisma e l'eresia da parte di chi lo celebra, da chi lo promuove e parzialmente di chi lo assiste (se lo fa coscientemente). Per quanto riguarda il rischio che le chiese vengano sconsacrate, questa non è certezza, ma opinione; nel caso fosse corretta, sarebbe urgente di preservare le chiese in cui si celebra il vero rito cattolico da qualsiasi contaminazione con i riti eretici, in modo che la Santa Messa possa continuare a essere celebrata e la Santissima Eucaristia a essere riposta in un luogo consacrato dalla Santa Madre Chiesa.
Si potrebbe obbiettare che questa "Messa Ecumenica" è probabilmente solo una bufala. In fondo concordo: non vedo elementi che possano far pensare all'introduzione di un rito del genere, almeno in tempi brevi. Eventuali "liturgie ecumeniche" celebrate in giro per il mondo possono essere ricondotte a un'iniziativa personale dei sacerdoti che hanno commesso quell'atto di apostasia, e non a un volere preciso e codificato della gerarchia. Volevo soltanto fare una piccola ricapitolazione teologica della faccenda, senza prospettare realmente questo rischio, dal momento che è ampiamente discussa in questi giorni negli ambienti tradizionali.
E' certamente però un fatto, e non una improbabile supposizione, che per il V Centenario della Riforma molti Cattolici, spesso su invito dei loro stessi pastori, abbiano scelto di assistere e partecipare a Liturgie protestanti. Anche questo è un atto di parziale apostasia. Il Canone 2360 del Codice di Diritto Canonico (1917) stabilisce che chi partecipa a una funzione celebrata da eretici dev'essere sospettato di eresia. Altri canoni precedenti vietano la partecipazione attiva alle liturgie eretiche, come può essere lo svolgere un qualche servizio liturgico (suonare, cantare, rispondere etc.), o anche solamente pensare di trovarsi in presenza di un culto veramente reso a Dio (cfr. Theologia moralis dal Padre Dominucus Pruemmer). E' ammessa solo la presenza formale e materiale in occasioni come matrimoni, funerali, etc. Nemmeno si parla poi, tanto era inconcepibile per la mente di un Cattolico fino a non molti anni fa, di ricevere i Sacramenti degli eretici, i quali non sono nemmeno realmente Sacramenti, essendo stato compromesso il significato mistico dei due riconosciuti dagli eretici (precisamente, la natura di remissione del peccato originale per quanto concerne il Battesimo e la vera e sostanziale trasformazione del pane e del vino in Corpo, Sangue, Anima e Divinità di NSGC per quanto concerne l'Eucaristia). San Pio V dice poi che non è nemmeno possibile di pregare il Dio Cattolico, in un modo Cattolico, insieme a dei protestanti o all'interno di templi protestanti, per non confondere la voce dei fedeli con il raglio degli asini.
Da notare che San Pio V, viceversa, dice che è possibile, senza sanzione alcuna, di pregare il Dio Cattolico all'interno di una chiesa dei greci scismatici. Alcuni teologi addirittura dicono che non è di per sé illecita l'assistenza alle liturgie dei greci scismatici, e nemmeno il ricevere benedizioni da essi. Ovviamente, precisano i teologi, la persona può permettersi di fare ciò solo se è di provata fede cattolica, e se è lontanissimo il pericolo di scandalo pubblico o, peggio, di scisma da parte di costui. Diversamente, si dovrebbe essere sospetti di scisma nel partecipare a liturgie scismatiche. Questo si basa principalmente sul fatto che i greci scismatici non negano alcunché riguardo ai sette Sacramenti, celebrano una liturgia perfettamente ortodossa e valida, e hanno una valida successione apostolica, ancorché tutto ciò sia fatto in modo illegittimo. Per quest'ultimo motivo, infatti, è sicuramente un gravissimo illecito di ricevere i Sacramenti da un greco scismatico, per il fatto che, anche se sono Sacramenti validi, sono dati da qualcuno che non ha ricevuto dalla Santa Chiesa l'autorità di conferirli.
Aggiungo, da parte mia, che le considerazioni di questi teologi si rivelano secondo me quanto mai opportune: essendo conscio di voler restare nel seno della Chiesa Cattolica, rigettando qualsiasi scisma, può essere oggettivamente un peccato di assistere a liturgie che rendono un vero culto a Dio, ancorché privo di merito perché celebrato al di fuori della Chiesa, quando i miei Vescovi e i miei Papi celebrano e mi ingiungono di partecipare a una liturgia che obbiettivamente (cfr. Il rito romano antico e nuovo di don Pietro Leone) rende a Dio un culto compromesso, offensivo, quasi blasfemo, e intriso di possibili eresie?
Confronto liturgico (altare, liturgia, consacrazione)
La Messa Cattolica di rito latino
La Divina Liturgia ortodossa
La nuova Messa cattolica (Messale del 1969)
La santa cena protestante
Non è difficile trovare similitudini e differenze...
Vaticano: Non c'è alcuna "commissione" all'esame di una messa ecumenica?
Il sentimentalismo, l'eresia della musica liturgica
Quando mi trovo a parlare con persone che hanno a cuore il
destino della musica nella liturgia (la questione terminologica - musica sacra,
musica liturgica, musica di chiesa etc. - per ora la teniamo da parte) mi rendo
conto che molti rilievi vengono fatti verso lo stato miserevole della stessa,
ma che pochi poi si concentrano su uno dei punti nodali più forti, e più
drammatici dell'intera questione. Questo punto riguarda il modo in cui il
sentimentalismo - non il sentimento - ha preso possesso delle nostre cantorie e
impazza sulle tastiere dei nostri strumenti musicali senza che ce ne rendiamo
pienamente conto. Alcuni cercano di mettere in guardia da questo male, ma non
vengono ascoltati o, peggio, vengono anche blanditi come fossero dei poveretti.
In realtà la spiegazione è ovvia: il sistema, anche clericale, è talmente
intriso di questo vero e proprio male terminale, che reagisce quando qualcuno
tenta di ricondurre le cose ai loro veri intendimenti.
Forse ad alcuni può sembrare esagerato che si parli di
"eresia", ma io intendo questo termine come "elemento
sovversivo" all'interno di quella che dovrebbe essere la funzione della
musica nella liturgia. E si badi bene anche che parlo di
"sentimentalismo", non di "sentimento". Il sentimento è
moto nobile delle nostre facoltà affettive ed una musica senza sentimento non
sarebbe musica. Il sentimentalismo è la corruzione del sentimento. Tra
sentimento e sentimentalismo c'è la stessa differenza che c'è tra polmone e
polmonite, comunità e comunismo (esempi ispirati da Marcello Veneziani). Il sentimentalismo
non esalta il sentimento, ma è la sua corruzione interna, cerca di suscitare un
moto emozionale fine a se stesso, che rimane chiuso in se stesso e mai
raggiunge un dialogo con le facoltà intellettive più alte, si avvita su se
stesso e di rado può aprirsi all'infinito (se rimane a se stante).
Il sentimentalismo è passione ma senza risoluzione, impeto
senza requie, moto disordinato senza ritorno all'ordine, Dioniso senza Apollo.
Nell'inno Veni Creator Spiritus chiediamo "accende lumen sensibus, infunde
amorem cordibus"; tutti i nostri sensi partecipano all'esperienza
spirituale, vivificati dalla luce, dal Logos divino. Ma il sentimentalismo
salta direttamente all' "amorem cordibus" romanticamente inteso, di
fatto minando il "carattere profondamente oggettivo della liturgia",
come lo definisce don Martino Neri (Salirò all'altare di Dio: Principi di Sacra
Liturgia). Questo ci fa ricordare, sull'onda anche di Benedetto XVI, che non
siamo noi a fare la liturgia, ma noi la riceviamo come dono. Ecco, questo fonda
l'oggettività della liturgia e si oppone all'enfasi sentimentalistica, che in
realtà spinge al più profondo soggettivismo. Se riduciamo tutto al
soggettivismo, all'essere di coscienza che scalza l'essere in sé. In fondo è
questo il principio che soggiace anche alla morale di situazione, tout se
tient, direbbero i francesi. Romano Amerio, in quel libro fondamentale che è il
suo Iota Unum, infatti osservava: "La morale di situazione, rifiutando la
legge come ordine assiologico dipendente da Dio, e non dall’uomo, è forzata per
logica vis a tergo a professare il principio della creatività della
coscienza". Insomma, si torna sempre a mettere l'uomo al centro piuttosto
che Dio.
Ma l'espressione sentimentalistica, sottospecie di quella
sentimentale, non è stata totalmente eliminata dalla Chiesa, che pur capisce
che si deve, in modo regolato, lasciar "sfogare" certi moti
dell'animo (pur se appartenenti a facoltà conoscitive inferiori) che sono, in
gradi diversi, presenti in tutti noi. Ecco l'enfasi secolare che si è dato al
canto popolare, quei moti semplici e spontanei dell'animo che, a margine
dell'oggettività liturgica, consentivano a questa pietà popolare fortemente
soggettiva di manifestarsi senza ledere il principio generale che era, come
detto, garantito dall'oggettività del rito. Questo era un bene, in quanto la
Chiesa vuole salvare tutto l'uomo e sa che in quei moti c'è anche del buono se
non sono lasciati a se stessi e tenuti sullo sfondo del culto ufficiale. Un
culto ufficiale che li purifica e li eleva, li innalza e non li lascia a se
stessi.
Dobbiamo sorvolare su alcuni snodi storico musicologici
importanti, che ci farebbero intravedere come questa corrente sentimentalistica
si è fatta strada in passato anche nella liturgia ufficiale, specie nel secolo
passato. Eppure essa non fu mai prevalente come lo è stata a partire dai
cambiamenti post conciliari. Si intenda: ci sono e ci sono stati musicisti che
anche di recente hanno tentato una via vernacolare all'autentica musica
liturgica, anche con risultati eccellenti. Ma purtroppo non sono loro ad aver
prevalso nei nostri repertori. Una delle cause di queste difficoltà è dovuta
alla confusione oramai quasi irrecuperabile fra il canto popolare e il canto
liturgico. Oggi nelle nostre Chiese per la gran parte non si canta musica
liturgica ma canti popolari (non significa che il popolo non può anche unirsi
alla musica liturgica, quando possibile). Il canto liturgico, il cui modello è
il canto gregoriano, rifugge proprio dai sentimentalismi a buon mercato. La
profonda scienza musicale profusa nell'autentico canto liturgico si mette a
servizio completo dell'esigenza della liturgia in quel particolare momento
rituale, al centro non è l'uomo ma l'esigenza del rito. In questo modo, si
raggiunge una unione fra le esigenze oggettive della liturgia, la sua
oggettività in quanto manifestazione dell'Oltre e non creazione umana, e
l'espressione del sentimento in questo caso elevato alla contemplazione delle
realtà soprannaturali manifestate nella liturgia e così nobilitato. Quando il
sentimentalismo prende piede, il rito è violato, la scienza musicale
impoverita, la pertinenza rituale non osservata. I musicisti (ma soprattutto
gli orecchianti di talento) sanno come "forzare la mano" verso il
sentimentalismo, se vogliono; l'intera industria miliardaria della musica
leggera è costruita sull'arte di appellarsi alle facoltà conoscitive inferiori
degli individui.
Purtroppo la musica leggera e il suo linguaggio sono entrati
senza filtri nelle nostre liturgie e ci sono anche coloro che, pur non usando
sfacciatamente i linguaggi tecnici della stessa, o le sonorità derivanti, non
sfuggono dall'impiego di quei mezzi espressivi volti alle sollecitazioni più
bieche della nostra emozionalità.
Aurelio Porfiri
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