L’idiozia sessantottarda, spontanea o eterodiretta che fosse, riuscì a produrre in tempi brevi due fenomeni di straordinaria rilevanza sociale: inaugurò l’era dei somari “autogestiti”, ed elevò le donne alla altezza filosofica de “l’utero è mio e me lo gestisco io”. Oggi godiamo i frutti di tanto impegno intellettuale e la scuola deve aiutare i pargoli a liberarsi dagli stereotipi legati a presunti condizionamenti sessuali, e da modelli troppo invasivi, sicché ciascuno sia incoraggiato a scegliere per sé il genere più confacente alla propria personalità, a dispetto della anatomia…
Se qualcuno, per negligenza, o per distrazione, avesse nutrito qualche dubbio sulla dissennatezza reale e sui fini surreali della buona scuola renziana, ora può chiarirsi le idee agevolmente. Ci sono le linee guida, firmate Fedeli Valeria, in arte ministra della fu pubblica istruzione, fatte per spiegare bene, come e perché, la scuola debba avere obiettivi che con una sapiente istruzione e una sana edificazione dello scolaro non hanno nulla a che fare. Infatti l’analfabetismo scolastico generale perseguito da alcuni decenni per ragioni di giustizia sociale, ora deve arricchirsi per legge, questa è la novità, nota ormai a tutti o quasi, dello indottrinamento obbligatorio alla indifferenza egalitaria di ogni realtà umana, sessuale, psicologica, sociale e culturale, in particolare alla mistica del genere, dell’orientamento sessuale autodeterminato e di tante altre belle cose, perché, come diceva Manzoni, “nel vòto c’entra più roba”.
Questo approdo normativo ha un preciso marchio politico, ma per comprenderne appieno la portata occorre richiamare per sommi capi certi antefatti.”culturali”.
La idiozia sessantottarda, spontanea o eterodiretta che fosse, riuscì a produrre in tempi brevi due fenomeni di straordinaria rilevanza sociale: inaugurò l’era dei somari “autogestiti”, ed elevò le donne alla altezza filosofica de “l’utero è mio e me lo gestisco io”. Così insieme con il diritto alla ignoranza di massa, venne rivendicato il diritto al sesso libero, e la rivoluzione culturale andò di pari passo con la rivoluzione sessuale. Questa però poteva darsi più vasti orizzonti attingendo ai padri della chiesa comunista: Marx ed Engels, produttori delle tante idee degenerate da cui siamo afflitti, erano convinti che la distruzione della società divisa in classi dovesse partire dalla famiglia, primo nucleo della lotta di classe tra maschi padroni e femmine oppresse. Su questa base autorevole, nel dopoguerra, le femministe lesbiche americane di sicura fede marxista, dopo avere acquistato a casa loro, ovvero all’ Onu, le quote di maggioranza del movimento femminista, presero a predicare, con indiscutibile lungimiranza, che per superare definitivamente la subalternità storica delle donne agli uomini, occorreva abolire la stessa distinzione tra i sessi.
Su questo sfondo un posto privilegiato venivano a conquistare anche gli omosessuali, e nasceva così anche la formidabile alleanza tra femminismo e omosessualismo per una lotta di liberazione comune.
Ma una volta negato ogni valore oggettivo e condizionante alla differenza biologica, il sesso fornito comunque a casaccio dalla natura è accidente superabile attraverso la forza del pensiero, della volontà e della immaginazione: nasceva così anche l’idea salvifica del genere, quale identità sessuale da costruire liberamente dopo la distruzione degli “stereotipi” secolari della femminilità e della mascolinità. La libertà dai condizionamenti biologici ricrea finalmente anche la uguaglianza metafisica perduta.
Idea geniale a modo suo, se non facesse sospettare importanti disturbi della personalità in chi l’aveva escogitata, e in quanti l’hanno poi fatta propria, e continuano a ruminarla ossessivamente per espanderla attraverso un impegnato proselitismo. Sta di fatto che essa è penetrata nelle casematte mediatiche e istituzionali dopo essere stata adottata dalle pensose élite intellettuali, politiche e socioculturali, unite dalla comune fede nel sole dell’avvenire. Così si è passati dalla dall’idiozia alla psicopatologia di genere, con un salto di qualità politica.
Infatti il progressismo occidentale, una volta liberato dagli eventi dell ’89 da ogni imbarazzo per gli infelici esiti del socialismo reale, senza perdere tempo ha alzato la bandiera arcobaleno, trovandosi una nuova insperata ragion d’essere come difensore esclusivo delle minoranze oppresse di donne e omosessuali, dei flussi migratori, e di ogni pretesa antiumana, in nome dell’uguaglianza e della pace, eterne. Con tutto un corredo di nuovi dogmi destinati a rimanere fissi come certe stelle, per non dire stereotipati con il lessico caro alla Fedeli che sugli stereotipi degli altri ha fondato la personale promozione politica.
Così sulla malapianta veteromarxista si è innestata la autocastrazione etica e culturale dell’occidente ormai impegnato a creare masse omegeneizzate anche sessualmente, funzionali al piano egemonico mondialista.
In ogni caso per scoraggiare il formarsi di famiglie procreative e tenere bloccata la demografia, accanto all’unisex, va mantenuta viva la lotta di classe tra maschi e femmine. Ma poiché il piagnisteo sulla condizione della donna occidentale può commuovere seriamente solo le Boldrini, bisogna fare ricorso all’epica della violenza che serve a prendere due piccioni con una fava.
La donna continua ad essere vittima del maschio bianco, ché quello nero è stato messo subito dall’altra parte della barricata, violento e ottuso figlio della esecrabile civiltà occidentale. Si può trattare di violenza fisica pura, o di violenza sessuale, che va dal pizzicotto storico alla Wieseltier, agli assalti all’arma bianca sotto la doccia di D.S.Kahn. In ogni caso a ricreare una attualissima “condizione femminile”, ora c’è la violenza “di genere”, quella che la donna subisce “in quanto donna”, al pari dell’omosessuale che la subisce in quanto omosessuale, e il nero in quanto nero. Tutti felicemente insieme sotto lo stesso ombrello protettivo, perché quella che conta è la violenza”di genere” cioè ideologicamente mirata: su quella fatta a casaccio si può anche chiudere un occhio.
Per pareggiare subito i conti, il maschio bianco deve essere incatenato alla lavastoviglie e utilizzato all’occorrenza in laboratorio come riproduttore occasionale.
Un tale patrimonio di idee deve essere affidato alla scuola, che ha ora il compito di inocularlo nelle vene delle nuove generazioni, perché siano finalmente liberate dai condizionamenti legati al sesso di origine, cioè dagli stereotipi di “genere”. Le nutrite schiere del femminismo saffico insediato all’Onu e all’UE, capitanate dalle Estrela, Lunacek, Rodriguez, dettano l’agenda di genere con il supporto scientifico dell’Oms, e puntano alla conquista dei più giovani “perché a quattordici anni è già tardi”, come ebbe a dire in pubblica conferenza una pasionaria omosessualista praticante.
Tutta questa merce immessa sul mercato globale dalle soccorrevoli istituzioni internazionali, e raccolta puntualmente dalla filiera Fornero Monti Renzi, è diventata il pezzo forte della legge 107 la cui interpretazione autentica spettava di diritto alla Fedeli Valeria, musa ispiratrice proprio della parte della legge dedicata alla “educazione”, nonché ministra esperta in pubblica istruzione.
Tuttavia, già dalla sua entrata in vigore, la legge 107 ha sollevato un forte allarme in chi è stato in grado di leggervi la imposizione della mistica genderista. Tanto che l’allora ministra Giannini, di fronte alle proteste, pensò di cavarsela con una trovata. Basta dire ufficialmente, pensò, che una teoria del genere non esiste, e va da sé che se non esiste, non può essere stata accolta nella legge sulla scuola. Il ragionamento però, che avrebbe lasciato perplesso anche Malacoda, convinse solo qualche accorto ecclesiastico, mentre Chiara Giaccardi, in controtendenza, non si trattenne dal varare su Avvenire il “gender cattolico”.
L’allarme in ogni caso è aumentato con il proliferare degli esperimenti “educativi” introdotti di soppiatto ai danni dei più piccoli in certe scuole “materne” dove, con il generoso patrocinio delle amministrazioni comunali più progredite, i maschietti vengono truccati da femmine .e messi sui tacchi alti, “per educare al rispetto delle differenze” .
Si è mobilitato di nuovo anche il comitato “difendiamo i nostri figli”, che non era riuscito a difenderli dalla Cirinnà. Ecco allora che ad una ministra fuori dal comune come Fedeli Valeria è stata affidata una impresa straordinaria: mettere a tacere la protesta, assicurando che la legge non prevede affatto lo indottrinamento al gender, e allo stesso tempo spiegare bene perché e per come esso debba diventare il piatto forte dell’insegnamento scolastico.
Infatti la intrepida ministressa, consapevole che la verità è solo un’opinione, come insegna anche il catechismo cattolico più aggiornato, e munita di una non comune mancanza di senso del pudore, espone nelle linee guida tutta la mistica genderista, subito dopo aver proclamato solennemente che “tra ( sarebbe stato meglio un ”fra”) le conoscenze da trasmettere non rientra in alcun modo l’ideologia gender, né l’insegnamento di conoscenze estranee al mondo educativo”, di certo ispirata dal noto penalista che raccomandava ai propri clienti: “negare tutto, soprattutto l’evidenza”.
Sta di fatto che i Gandolfini, e i Pillon, insieme a qualche redattore un po’ distratto della Bussola quotidiana, e all’immancabile Avvenire, pienamente soddisfatti per la rassicurante dichiarazione ministeriale sulla assenza di insegnamenti sospetti, se ne sono compiaciuti, e “più non vi hanno letto avante”. Ma hanno fatto male perché avrebbero visto quante belle cose, anche di interesse documentario, debbano essere insegnate a scuola ai “nostri figli”. E vi avrebbero trovato tutta la geniale filosofia lesbofemminista, di cui Fedeli Valeria è valorosa esperta.
Avrebbero potuto leggere ad esempio che, come attestato storicamente dal ratto delle Sabine, “secoli di patriarcato hanno creato una dimensione di potere dell’uomo sulla donna”, ridotta a corpo dominato da lui e “destinato alla cura esclusiva della vita”. Che alle donne condannate a questa funzione gregaria, “è stata sottratta una dimensione pienamente umana”, con conseguente esclusione dallo spazio pubblico, dell’esercizio della cittadinanza, dell’autodeterminazione e della libera scelta, per cui è stata creata quella “disuguaglianza gerarchica” dimostrata anche dal linguaggio che ha esteso arbitrariamente alla donna l’epiteto di Direttore, Presidente ecc.(ma su questo tornerà poi diffusamente). “Tuttavia”, le donne già da un paio di generazioni pareggiano i conti facendosi “protagoniste nello spazio pubblico”, e, riscattandosi dalla mansione subalterna di allevare un figlio, sono passate dalla nursery allo sportello bancario.
Ma soprattutto avrebbero letto: “maschio e femmina che connotano l’essere della persona sono etichette che denotano comportamenti predefiniti”. Infatti se “uomini e donne, bambini e bambine sono tra loro diversi”, “tuttavia”,(!?), dalle bambine ci si aspettano comportamenti che corrispondono a idee e immagini molto normative”, sicché “secondo gli stereotipi correnti, dalle prime ci si aspetta sensibilità gentilezza e tranquillità, scarsa attitudine alle scienze, allo sport (!) e alla competizione. Dai secondi abilità per il calcio e i giochi violenti, CAPACITA’ DI DIFENDERSI”. (avete letto bene). Il maschio è “quello che non deve chiedere mai” (sic!) perché “nella cultura occidentale non ha trovato adeguata rappresentazione il modello relazionale”.
Ecco dunque che per raddrizzare questa intollerabile stortura, anche se la teoria gender non è materia di insegnamento, come dichiara la Fedeli Valeria nel primo capoverso delle linee guida, la scuola deve aiutare i pargoli a liberarsi dagli stereotipi legati a presunti condizionamenti sessuali, e da modelli troppo invasivi, sicché ciascuno sia incoraggiato a scegliere per sé il genere più confacente alla propria personalità a dispetto della anatomia. A questo scopo interverranno con profitto Gli Psicologi, competenti per definizione ad assicurare a tutti una sana educazione di Stato.
Nel grande finale dai toni epici avrebbero potuto leggere che: “Certo esistono tradizioni culturali particolarmente dannose come le mutilazioni genitali permanenti, TUTTAVIA, in Europa e in Italia la violenza sulle donne è molto diffusa”. Passo che evidentemente significa: la violenza sulle donne che si verifica in Italia è imparagonabile con la pratica, pur dannosa, della mutilazione genitale permanente praticata in certi posti in omaggio ad antiche rispettabili tradizioni. Anche questa Gandolfini, Pillon e la Bussola se la sono persa (quelli di Avvenire no, perché essa è farina del sacco vaticano).
Ma sarebbe bastato fermarsi alla premessa dove, dopo il richiamo lapidario al compito della Repubblica di difendere libertà ed uguaglianza, si fa riferimento alla “promozione dell’autodeterminazione e del rispetto della persona”. Che in sé non direbbe molto se non fosse la formula convenzionale e ufficiale escogitata dalle femministe per dire che il “genere” è frutto di autodeterminazione e la relativa scelta esige rispetto, cioè se non fosse proprio questo il primo comandamento dell’agenda di genere.
A questo punto conviene chiarire come l’agenda di genere abbia due facce e richieda una duplice chiave di lettura. Essa è da un lato l’approdo del femminismo sclerotizzato, capace di appagare personalità irrisolte, culturalmente depresse o alienate con il mito reinventato e anacronistico della emancipazione sociale. Dall’altro, lo stesso rigetto femminista dei ruoli legati naturalmente al sesso, crea il passaggio alla idea della autodeterminazione sessuale, ovvero della libertà di scegliere la propria identità di genere, prima psicologica e poi magari chirurgica. La matrice femminista del fenomeno emerge anche dal fatto che le nuove “educatrici” vestono da femmina i maschietti e non viceversa. Poiché i due piani femminista e genderista in senso stretto si intersecano mischiandosi facilmente, ecco che altrettanto facilmente essi possono essere camuffati l’ uno con l’altro, e che anche alla Fedeli Valeria riesce facile giocare di volta in volta su tavoli diversi, e con un mazzo di carte truccato per confondere le acque.
Le linee guida hanno toni che vanno dall’apocalittico al patetico, al didascalico, dal propositivo al parenetico. Un salto di qualità rispetto alle direttive sulla scuola impartite nel 2012 dal duo Monti Fornero, che hanno eseguito con burocratico distacco, per dovere di ufficio ed esigenze di cassa, gli ordini impartiti dalla UE, e dalle logge di riferimento.
Per distillarvi meglio lo spirito di quella eclettica filosofia, la ministressa ne ha affidato la colta stesura ad un tavolo di persone estremamente sensibili alla materia trattata. Fra queste, a rappresentare la famosa chiesa in uscita, ci sono persino Alberto Melloni e Chiara Giaccardi, accorta teorica, come ricordavamo, del “ genere” cattolico. Ma un ruolo decisivo è stato affidato alle linguiste della Sapienza, una delle quali, fondatrice del movimento “se non ora quando”, e affiliata alla associazione “Athena”, esibisce come fiore all’occhiello della propria carriera proprio nutriti studi di genere. Agli studi di queste esperte dobbiamo che la disuguaglianza gerarchica, così plateale in fatto di accudimento della prole, emerge in modo incontrovertibile anche dal linguaggio, per cui vengono declinate soltanto al maschile le parole indicative di importanti ruoli istituzionali e professionali. E qui il lettore beneficia di un dotto excursus su certi fenomeni linguistici per cui, ad esempio la lingua italiana prevede, purtroppo, soltanto due generi non contemplando il neutro, e non consente la scelta del genere grammaticale a causa di regole codificate.
Dunque è necessario e urgente “adeguare il linguaggio al nuovo status sociale, culturale e professionale raggiunto dalle donne e quindi al mutamento della società, perché ‘C’E’ DI MEZZO UNA VERA E PROPRIA VIOLENZA SIMBOLICA’ ”. Infatti “Cambiare il linguaggio significa favorire la parità, e nella pratica didattica occorre eliminare gli stereotipi anche per quanto riguarda il genere grammaticale”. Un po’ come ha fatto la tigre che rimane tale anche quando è un tigro: esempio eloquente di genderismo felino compensativo.
Su queste basi le linee guida elencano senza mezzi termini gli obiettivi di un inedito e illuminato sforzo rieducativo:
1) Educazione alla parità dei sessi
2)prevenzione della violenza di genere
3)prevenzione di ogni forma di discriminazione.
Il testo ruota dunque per venti pagine, in modo ossessivo. intorno ad un unico concetto chiave: le donne che per le particolari caratteristiche biologiche inflittale misteriosamente dalla natura cieca, è stata resa subalterna dal maschio che l’ha ridotta a corpo “destinato alla mera mansione riproduttiva”, ora finalmente affidata alla tecnologia. Per questo bisogna ristabilire una assoluta parità, attraverso l’accesso alle professioni e alle cariche pubbliche, a quanto pare tuttora inaccessibili, sull’ esempio della stessa ministra e delle altre colleghe della compagne governativa, miracolosamente chiamate a ricoprire cariche istituzionali, sia pure per eccezionali meriti personali.
Questo contribuirebbe in modo decisivo a prevenire la violenza di genere, cioè quella che appunto il maschio esercita sulla donna in quanto tale, e non, come verrebbe da pensare, in virtù di una certa perdurante superiorità fisica. Infatti “superando stereotipi, gerarchie e discriminazioni, si disinnesca la cultura di cui si nutre la violenza”. Ovvero se mettiamo il maschio rigenerato alla lavastoviglie e la moglie in consiglio di amministrazione, e un monsignore geneticamente modificato a capo di un dicastero vaticano, è più facile che il primo non picchi la seconda e il terzo non venga apostrofato per strada con parole scurrili. A questo proposito, passando dalla teoria alla prassi, si dovranno fornire agli scolari anche tutte “ le informazioni utili sui centri antiviolenza e di Pronto soccorso”. Non si sa mai. Mentre sulle attitudini manesche delle signore presidente dei consigli di amministrazione, mancano ancora seri studi di genere.
Terzo caposaldo dell’insegnamento scolastico, l’immancabile non discriminazione, espressione buona per l’ancien regime, eppure ora ripetuta anch’essa ossessivamente a destra e a manca fuori tempo massimo, e senza senso reale dato che il principio è già stabilito per la legge dall’articolo 3 della Costituzione. Infatti essa significa una cosa sola: che ognuno di noi è obbligato a pensare, valutare persone e fatti, stringere amicizie, scegliere collaboratori ecc. soltanto secondo i criteri correttamente prestabiliti anche dall’agenda di genere, messa a tutela di tutte le “minoranze”,… per nulla oppresse. Coartazione che essendo stata praticata con successo dai regimi totalitari, è fortemente agognata dai democratici. Sull’esempio dello Scalfarotto.
Tutta questa materia di studio, perché dia seri frutti, deve innervare l’insegnamento di ogni singola materia in modo trasversale, sicché risulti impossibile sottrarvisi.
Ora poiché le linee guida, come abbiamo visto, servivano anche a spegnere l’allarme per l’inquietante programma educativo, già sperimentato anche in tante scuole “materne”, la Fedeli Valeria concede ai genitori la possibilità di prestare o meno il proprio consenso informato… per un insegnamento dichiarato inesistente. Inoltre, anche se inesistente, esso dovrà essere dispensato trasversalmente con ogni materia trattata, come una specie di basso continuo a cui non sia dato sfuggire. Con la conseguenza evidente che i genitori, qualora volessero sottrarre i figli a un tale beneficio educativo, potranno soltanto ritirarli da scuola, in attesa che vengano i carabinieri a riportarveli d’autorità.
Insomma oltre l’inganno anche la beffa, allestita dalla sapiente ministra equa e solidale a beneficio anche dei nuovi ammiratori.
La legge renziana dettata dall’Europa “ che gliel’ha chiesta”, in ossequio alle direttive dell’Onu, e ora con il corredo delle linee guida fedeliane, mira a trasformare la scuola, già svuotata da ogni serio contenuto formativo, nel laboratorio per lo allevamento egualitario dei somari deprivati anche della propria individualità naturale. Un laboratorio a disposizione di femministe riaggiornate, omosessuali originali e convertiti, psicologhesse di scarsi studi e forte autostima, e di chiunque possa concorrere a fare terra bruciata di morale, istruzione, educazione, cultura, sapere, ed estetica.
E se l’attacco a tutti i principi fondamentali della morale sessuale e famigliare è venuto in questi ultimi decenni soprattutto dalla sinistra, l’abbattimento della scuola che educhi alla virtù attraverso la conoscenza è stato invece opera comune o condivisa, come suol dirsi, di tutte le forze politiche di governo, e di tutti i variegati ministri avvicendatisi all’infelice ministero della pubblica istruzione. Ora però, proprio a scuola, si possono prendere entrambe le lepri con un colpo solo, sempre condiviso, e creare individui parificati, senza istruzione, ma anche senza identità, senza storia, senza patria e senza famiglia, senza passato e senza futuro. Fedeli Valeria veglia, da par suo, su questa corretta formazione delle giovani generazioni. Insieme all’UE.
di Patrizia Fermani
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