ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 28 novembre 2017

PravdaFake

Le Fake News e la Pravda



La Repubblica di oggi annuncia trionfante la prossima nuova legge sulla Fake News. Non ci sarebbe che da felicitarsi per la realizzazione di una norma riguardante il selvaggio web, luogo in cui dilaga la diffamazione e la violenza verbale grazie all’anonimato e all’immunità garantita.
Però, a questa giusta opera di legiferare sull’odio via etere, si affianca un’opera di contrasto alle notizie false, le cosiddette Fake News, le cui finalità restano dubbie. Anzi pare siano proprio queste ultime il punto cruciale della questione.
I media spiegano che l’esigenza di avere una regolamentazione di internet nasce proprio dalla necessità di porre un freno a tali Fake news.
Un’esigenza, spiegano tanti analisti, nata dopo la vittoria della Brexit, di Trump e in parte dalla vittoria del No al referendum italiano sulla riforma costituzionale.

Quindi la legge ha una valenza politica molto stretta. Insomma, l’odio dilagante sul web non aveva mosso i fautori della “legislazione eterea”, mentre si muovono in conseguenza a inattesi rovesci politici.
Detto questo, imputare alle Fake News tali rovesci appare alquanto offensivo per l’intelligenza dei cittadini, che hanno attinto dal web Fake dell’una e dell’altra parte.
Ma più offensivo ancora per l’intelligenza dei cittadini è il quadro che va delineandosi, dove non si capisce chi garantisca che una notizia sia una Fake o meno.
Un esempio su tutti: i media che oggi tuonano contro le Fake sono gli stessi che hanno propalato la balla dell’esistenza delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Una balla che ha causato milioni di morti ammazzati. Nessun direttore di giornale si è dimesso dopo che è stata scoperta l’infondatezza dell’accusa. E nessun giornalista. Nessuno ha chiesto scusa o si è mortificato per le nefandezze di allora.
Anzi tanti di loro oggi pontificano, dai loro scranni più o meno nuovi, sulla necessità di arginare le Fake news.
Altra considerazione: se allora qualcuno avesse messo in dubbio la notizia delle armi di distruzione di massa (come ho fatto io nel mio piccolo), sarebbe stato bollato come produttore di Fake News. E come tale censurato e sanzionato.
Una cosa che può ripetersi, oggi come allora. Oggi che l’informazione vive di Fake News, di narrazioni più o meno congeniali a gruppi di potere, essere voce discorde è a rischio.
Si pensi alla narrazione sulla Siria. Tutti i media mainstream hanno cantato la ballata della primavera araba.
La “guerra civile” siriana nasce come repressione della rivolta dei cittadini siriani da parte del regime dittatoriale di Assad, che ha massacrato il suo popolo.
Da qui la ballata, dove eroi della libertà hanno combattuto, con l’aiuto dell’Occidente, contro un regime sanguinario.
Una ballata distonica con quanto abbiamo riportato sul nostro sito, riprendendo anche le osservazioni di tutti i patriarchi e vescovi siriani.
Testimoni oculari del massacro quotidiano, essi hanno invece parlato di una “guerra incivile”, stante che i siriani armati contro Damasco erano davvero pochi rispetto alla legione straniera arruolata in tutto il mondo da sauditi e Occidente per essere scatenata in Siria.
Una guerra nata per guadagnare ai nemici regionali e internazionali di Assad il regime-change, come fu per Saddam. Testimoni che hanno anche spiegato che c’è una indistinzione di fondo tra la cosiddetta opposizione moderata e le bande armate dichiaratamente terroriste.
La voce dei patriarchi e vescovi siriani sarebbe stata quindi classificata tra le Fake News. E se non la loro, sicuramente altre meno autorevoli che, attingendo a fonti diverse da quelle mainstream, hanno spiegato la “guerra incivile” siriana in altro modo rispetto alla ballata dominante.
Da notare anche l’altra trovata: chi sarà a decidere in maniera insindacabile chi ha prodotto Fake? Le aziende Facebook e Twitter che dovranno rimuovere tali notizie, pena sanzioni salatissime: da mezzo a cinque milioni di euro.
Insomma, lo Stato demanda a un privato il giudizio e la sanzione, proprie della sua potestà. Un privato deciderà quindi le sorti dell’informazione, pilastro fondante della democrazia.
Si tratta di un mostro giuridico. In base a tale riforma, di quel che scriveremo sul nostro sito non dovremo rispondere ai lettori o, eventualmente, ai magistrati, ma a un privato. Che ha i suoi interessi privati.
Per inciso, e per assurdo, da alcuni mesi circola la notizia che alle prossime elezioni presidenziali si presenterà mister Facebook, ovvero Mark Elliot Zuckerberg.
Nel caso avvenisse, sarebbe lui (per interposta persona, stante che si dimetterebbe dalla carica) a vigilare su come verrà descritta la corsa alla Casa Bianca, competizione dove in genere abbondano le Fake incrociate…
Un esempio di libera informazione notevole. Detto questo, al di là dell’allucinante e ancora aleatorio scenario Zuckerberg, è assurdo immaginare la privatizzazione del monitoraggio informativo e l’instaurazione di una pubblica censura.
Un servizio peraltro che sarà attivato per delazione. Infatti a indicare le possibili Fake saranno (anche) gli utenti di Facebook e Twitter. Alimentare la delazione è proprio dei meccanismi totalitari, come da spiegazione di diversi storici.
Detto questo, il giudizio insindacabile resterà a un team di esperti di Facebook o Twitter. Esperti di cosa?
Il fatto poi che tali esperti, nel caso fallissero, provocherebbero danni patrimoniali all’azienda, sarà un ulteriore incentivo a usare la mannaia. Perché infatti rischiare?
Insomma, chi scrive è più che perplesso sulla bontà della legge e sulla sua applicazione. Ma il mondo va in questa direzione. Va cioè verso la sovietizzazione dell’informazione.
Non è un’accusa o un allarme, semplicemente una banale constatazione.
Se esiste un’informazione consegnata alle Fake esiste, necessariamente e di converso, un’informazione che produce Verità.
Come l’organo ufficiale dell’Unione sovietica, che si chiamava appunto Pravda, ovvero Verità. Questo il bollino che avrà tutta la stampa mainstream, che appunto è, e sarà, depositaria della Verità.
Altri organi di informazioni, quelli che sono nati e vivono nel web, non solo per esigenze di modernità, ma anche perché non hanno i soldi per produrre giornali cartacei o per creare una redazione, saranno monitorati.
E, nel caso non rispettassero i criteri dettati dalla Pravda, censurati.

Fare duecento metri di coda per una fetta di torta gratis. In compenso, niente IVA sul cibo per cani


Ormai mi pare chiaro cosa ci attende: da qui ad almeno quattro mesi, questo Paese e la sua patetica scena politica camperanno di fake news. Anzi, camperanno dell’idea che tutto ruoti attorno alle fake news: lo scenario perfetto, perché qualsiasi critica all’operato potrà essere bollata come frutto della propaganda avversa e delle sue bugie, siano esse ispirate dal Cremlino o dalla Pro Loco di Calolziocorte. Sento parlare di “algoritmo verità” e immediatamente George Orwell e Aldous Huxley fanno capolino, mettendosi le mani nei capelli: avevano sì prefigurato un mondo manipolato ma non da Marco Carrai, santo cielo! Si scomodano totem, in questi giorni.


Ad esempio il “New York Times”, di fatto dipinto come un Vangelo laico: peccato per un paio di questioncine non trattate. Primo, sul Russiagate e sulla Siria ha pestato più merde che un cieco che cammina nel letame. Secondo, ospita una volta al mese un editoriale di Beppe Severgnini: e qualsiasi cosa contempli Severgnini è sputtanata di default. Ho deciso durante l’ultimo fine settimana che non tratterò più il tema: l’ho fatto abbastanza e credo in modo tale da dimostrare che siamo ormai nell’ambito della malafede di regime più totale: inseguire algoritmi, proposte di legge o report quindicinali alla ricerca su chi spacci più bufale è esercizio che non mi eccita. Anzi, mi deprime.
In compenso, appare interessante ciò che esula dal contesto fake news. Ovvero, la campagna elettorale pura e semplice, ormai ufficialmente apertasi nel nome delle promesse e dei numeri a cazzo, più a cazzo che mai. Nel weekend appena trascorso ne abbiamo avuto la riprova: l’ideale ping-pong di cazzate fra la Leopolda e il meeting di Forza Italia a Milano ci ha regalato perle senza precedenti. Matteo Renzi ha avuto il coraggio, dopo averi visto i suoi governi e quello da lui ispirato e guidato da Gentiloni buttare al cesso 62 miliardi in quattro anni in mancette elettorali e bonus, di ribadire la bontà degli 80 euro, provvedimento che vorrebbe ora estendere alle famiglie con figli. Berlusconi, da par sua, ha voluto da prima giocare la carta Ugo Tognazzi in “Vogliamo i colonnelli”, sparando la minchiata di un generale dei Carabinieri come premier e poi lanciarsi nel suo campionario tipico da piazzista di pentole con fondo antiaderente.

Udite udite, verrà tolta l’IVA sul cibo per cani ai proprietari anziani indigenti. Il tutto, perché un cittadino che invecchia con accanto un animale domestico, lo fa più serenamente. Ecco, signori, cosa ci attende al voto di primavera. Senza dimenticare il ministero della Terza età, la più grande rivoluzione fiscale del secolo e leggi più o meno variopinte in difesa di questo o quel diritto. Per ora, il Movimento 5 Stelle si è limitato a reagire all’offensiva sulle fake news, rimandando forse a dopo l’elencazione delle proprie proposte per il governo: attendo con ansia Luigi Di Maio in versione premier, almeno avremo il quadro completo della proposta politica del nuovo, straordinario tripartitismo all’italiana.
Ma mentre sull’asse Milano-Firenze andava in onda lo scempio di ciò che rimane della democrazia italiana, già di per sé ridotta male, ecco che dalla provincia della un tempo ricca e benestante Bologna, arrivava questo:
Bologna 200 metri di fila per una fetta di torta gratis
sabato pomeriggio, interno giorno di un centro commerciale di Casalecchio di Reno. Quella che vedete, come ragguaglia la voce narrante, è la coda per ottenere – udite udite – una fetta di torta gratis. Duecento metri, centimetro più, centimetro meno. Probabilmente si trattava del dolce migliore al mondo, una prelibatezza da Re. Oppure era una normalissima torta di mele. O una meringata. Chi lo sa. Quasi certamente non lo sapeva nemmeno la maggioranza delle persone che faceva la fila per quell’agognato pezzo di dolce: aveva letto il cartello o, magari, seguito il passaparola. O, pavlovianamente, si era accodato: se tutti erano lì, ci sarà stato un motivo. Quindi, mettiamoci anche noi in fila. Dovremmo riflettere su questa immagine. Quando ero bambino, la torta era il momento particolare e speciale della settimana, soprattutto il sabato o la domenica: era il “premio”, il momento in cui ci si sedeva insieme per mangiarla, era la merenda dei campioni rispetto al solito pane, burro e marmellata.

Era il sintomo che c’era da festeggiare anche senza bisogno di compleanni o anniversari, si festeggiava la vita, l’essere insieme, la famiglia, l’amicizia. E per quanto momento particolare, non era un lusso: la si manteneva quasi un evento solo per preservarne la magia ma farina, burro, zucchero e mele non erano un miraggio. Oggi, per provare quel momento di intimità, occorre fare 200 metri di coda al centro commerciale: magari non per impossibilità economica ma, comunque, per risparmiare per altro. O, quantomeno, per non perdere tempo a casa: faccio la fila qui ma almeno sono vicino a Unieuro e poi posso andare ad ammazzarmi di TAG e TAEG per il nuovo smartphone a rate o il televisore, figlio legittimo dell’americanissmo credito al consumo.
Ma attenzione, perché al netto di questo, in tanti sono stati in fila proprio perché risparmiare su una fetta di torta può fare la differenza. Può significare qualche euro in più di spesa al super, evitando di comprare gli ingredienti per farla. Ci vorrà mezz’ora, un’ora di attesa? Non importa, è gratis: l’importante è quello. E in questo contesto vengono a parlarmi di fake news? Di ingerenze del Cremlino nel voto italiano? Scomodano il “New York Times”? Mi parlano di 80 euro alle famiglie con figli o di IVA dimezzata sul cibo per Fuffi, Fido o come cazzo di chiama il cane di famiglia? Ma dove vive questa gente? Quale mondo vede e a quale mondo si rapporta? La cosa inquietante è proprio lo scollamento: se uno come Berlusconi ha messo sul piatto la questione del cibo per cani è perché qualche suo geniale consulente di marketing gli ha detto che è un argomento vincente (o forse la “lista civetta” animalista della Brambilla risulta particolarmente strategica nei sondaggi).

E lo è. Guardate la tv, guardate la pubblicità: cibo per cani senza glutine, al salmone, con pochi grassi, in grado di far tirare il cazzo per ore al nostro amico a quattro zampe. In compenso, l’altra metà del mondo fa 200 metri di coda per garantire al proprio figlio un pezzo di torta, magari nemmeno tanto buona, preparata da chissà chi e da mangiarsi in piedi, camminando, tra la folla. Anonimi. E senza amore. Ma che mondo di merda abbiamo creato? Sapete perché gli animali domestici sono diventati così importanti, tali addirittura da finire nel calderone delle promesse elettorali? Perché sono degli ammortizzatori sociali ed emotivi, sono l’alternativa alle nostre attenzioni, al nostro tempo, alle nostre carezze verso gli anziani o i bambini: ci pensano loro, visto che ontologicamente è loro compito star lì fare le fusa o scaldare i piedi dal freddo di un appartamento che ha il riscaldamento un po’ bassino.

E non siamo alla deriva dickensiana, siamo alla realtà dei fatti di un Paese a pezzi, prima moralmente che economicamente. Per questo non dedicherò più nemmeno una riga alle fake news, nemmeno se dimostrassero che Pier Luigi Bersani in realtà è Vladimir Putin in persona, travestito per farsi intervistare da Giovanni Floris. Perché un Paese che antepone la dieta dei cani alla cura di vecchi e bambini è già morto. E la coprofilia è argomento che lascio volentieri agli imbonitori di turno. Purtroppo mi avranno testimone giocoforza di questi tempi amari. Ma non mi avranno complice della coda a Casalecchio di Reno per un pezzo di torta.
Di Mauro Bottarelli , il 39 Comment 
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LA STAMPA SCOPRE LE “FAKE NEWS” RUSSE (o quelle del New York Times? o di Renzi?)

Di Maurizio Blondet , il 97 Comment 
(Uno vorrebbe occuparsi di cose più serie, ma questa è una provocazione)
Vedete il titolone. In prima pagina: manco avessero scoperto le armi di distruzione di massa di Saddam.

“Gli USA:  fake  news russe in Italia”. 
La “notizia”  è   di quelle pericolosissime per le libertà civili: i neocon  vogliono coinvolgere anche i media italioti nelle paranoie  del RussiaGate;  le sinistre italiote hanno bisogno di una scusa per censurare i siti e blog che disturbano la loro narrativa falsa, e mancano di rispetto a Laura Boldrini. Quindi bisogna dare il massimo rilievo a questa notizia. Il direttore de La Stampa, è un israelo-americano e sente l’obbligo di cominciare per primo a suonare la grancassa censoria.
Godetevi l’esordio:
Dal Dipartimento di Stato americano le carte sull’interferenza russa per influenzare la  politica italiana era stata già  lanciata un anno fa”.
Dunque  è una notizia vecchia quella che la Stampa spara in prima pagina: dura la vita del giornalista al servizio dei poteri forti. All’interno, il corrispondente dagli Usa Paolo Mastrolilli (poveraccio) è costretto a scrivere un articolo su questo rapporto che il Dipartimento di Stato,   secondo lui,   ha mandato all’Italia “nell’autunno del 2016”.  Concretamente,  cosa hanno scoperto le 17 agenzie d’intelligence americane? Ce lo dice il Mastrolilli:
“I servizi americani e i diplomatici avevano notato uno schema che si ripeteva un po’ dappertutto. Ovunque c’erano le elezioni, cominciavano a circolare notizie false, azioni propagandistiche, gruppi politici che favorivano gli interessi della Russia, o puntavano a destabilizzare i paesi che prendevano le distanze da Mosca”  ….”Qualcosa del genere era accaduta anche durante il referendum per la Brexit, e si sarebbe ripetuta nelle presidenziali francesi, le politiche tedesche, la Catalogna. Lo scopo era chiaro: favorire i candidati più vicini al Cremlino, o destabilizzare i Paesi occidentali amici degli Usa e le loro alleanze, come Nato e Ue”.
Ma questa, direte voi, è la soluta vecchia antifona “è stato Putin”, Putin che ha  provocato il Brexit, fatto perdere le elezioni a Merkel, Putin è dietro la secessione di Barcellona….
Ma no, calmi: adesso Mastrolilli ci elencherà le prove, con ampi stralci del documento del Dipartimento di Stato vecchio di un anno.
No no, invece  Mastrolilli (poraccio)  scrive:  “Le prove portate a Roma dalla missione del dipartimento di Stato erano concrete, ma sarebbe impossibile rivelarle senza violare la legge”.
Capito? Il Dipartimento di Stato dice di avere le prove, ma non le dà. Si deve credere alla sua parola, del Dipartimento di Stato – una parola credibile come l’acciaio, chiedete in Medio Oriente.   Il direttore della Stampa però ci crede:  per  il bene supremo di Israele si fa questo ed altro. Nessun sacrificio intellettuale è sufficiente.
Il guaio è che il Dip di Stato, in base a “prove” segrete, accusa due partiti politici italiani. Scrive Mastrolilli: “I potenziali punti di contatto [coi russi]  in Italia erano stati identificati soprattutto nel Movimento 5 Stelle e nella Lega”.
Dunque  il governo americano  sta accusando due partiti politici italiani di intese con Mosca; senza prove, li espone e li diffama, cerca insomma di danneggiarli: scusate, ma questa non è “interferenza” nelle elezioni italiote?  E pesante, inquisitoria, rozza ed offensiva.  Oltretutto, che Salvini  sia a favore della politica russa,  lo  dice lui stesso. Mica c’è bisogno delle 17 agenzie  Usa  per saperlo.
Forse, adesso, è vietato dire che la Russia ha ragione e gli Usa  torto?  Nelle democrazie occidentali possono esistere solo politici filo-sionisti e filo-americani?  Oggi anche filo-sauditi? Ai leader  che ammirano Putin bisogna negare l’agibilità politica? Escluderli dalle elezioni?   Vorremmo saperlo: non dal  Dipartimento di Stato  (conosciamo già il suo amore per la democrazia sparsa con le bombe),  ma da Molinari il direttore di La Stampa: se la sente di scrivere che non bisogna votare Lega  e 5 Stelle perché –  secondo il governo Usa   che ne ha le prove segrete –  sono complici della Russia? E che questo è un delitto perché la  Russia è stata dichiarata il Nemico?
Giusto per sapere con che libidini totalitarie vengono coltivate nelle direzioni di certi giornali.
Ché poi, lasciamo perdere il 5 Stelle, perché è stato avvisato, e si è ravveduto. Scrive Mastrolilli: “Il deputato repubblicano Francis Rooney, ex ambasciatore americano presso la Santa Sede e quindi esperto di Italia, ci ha spiegato che «sono stato io a raccontare a Di Maio l’offensiva russa per influenzare le nostre elezioni, non viceversa».  E Di Maio si è subito adeguato: “Il movimento non ha nulla a che fare con certe formazioni xenofobe e antagoniste che crescono un po’ ovunque in Europa”, ha giurato –   nelle mani di Macron.
Quindi, la pesante interferenza americana verso il 5 Stelle è confermata.  Non risulta l’opposto, ossia  che un “ex ambasciatore” russo abbia “avvicinato” Di Maio per  dargli gli stessi avvertimenti  contro gli Usa.  O ci sono le prove? Ma già, il Dipartimento di Stato  forse  le ha ma non le può dare, altrimenti  viola la legge.
Chiedo a Molinari: se non vergogna, un po’ di senso del ridicolo a prestarsi a simili  odiose e ridicole panzane, no, vero? Non gli scappa da ridere?
Ma intanto abbiamo tralasciato il tema: “Gli USA: Fake News russe in Italia”.  Basta poco  per capire che la fonte primaria di questo allarme nuovo (oltre quello vecchio del Dip di Stato) è il New York Times.
Lo ha spiegato l’agenzia AGI il 25novembre: “Il  New York Times ha dedicato una lunga inchiesta al rischio esposizione del nostro Paese a campagne di fake news finalizzate al condizionamento delle opinioni degli elettori in vista delle prossime politiche”.
Apprendiamo che  L’articolo  è stato stilato “dal corrispondente per l’Italia Jason Horowitz considera il nostro Paese come un “probabile obiettivo” della strategia di destabilizzazione che ha già influenzato gli elettori olandesi, francesi e, come si è scoperto [sic!], anche inglesi durante le ultime tornate elettorali”.
E  dove si è documentato, questo infallibile giornalista Horowitz?  Ha una entratura al Dipartimento di Stato? Macché:
L’inchiesta del Times  – scrive l’Agi –  parte da un report che arriva da Ghost Data, società che fa capo al consulente di Matteo Renzi sulla cybersecurity Andrea Stroppa, esperto di cyber security. Lo studio condiviso da Stroppa che, si scopre oggi, è lo stesso che ha imbeccato BuzzFeed News sull’inchiesta di qualche giorno fa su un’altra galassia di siti poco attendibili”. 
Come, come? Dunque è stato un amico  (o uno stipendiato)  da Matteo Renzi e dal suo PD a diffondere il “rapporto”  sulle Fake News russe.  Ma  non basta: chi è esattamente questo Andrea Stroppa, che ha imbeccato Horowitz (j) con un suo rapporto sui russi che mandano fake news che poi Salvini e i 5 Stelle diffonderebbero?
Lo scopre il Corriere della Sera, ed è tutto dire:
“C’è il rischio che le prossime elezioni vengano inquinate da fake news. È quanto ha denunciato il New York Times, partendo da un report di Andrea Stroppa, giovane esperto di cybersicurezza, che ha lavorato con Marco Carrai e oggi collabora con Renzi”.
  • Cominciamo a capire: Marco Carrai, il più noto esperto di sicurezza in Italia,  il consigliere intimo di Matteo Renzi, il suo Richelieu (ha scritto qualche giornale).  Ebbene: ricordare che Marco Carrai è un israeliano almeno quanto Molinari, è dir poco.  La  sua ditta,  Cys4, “nata con l’obiettivo di fare affari nella cyber security”,  ha come grande socio  Ofer Malka, imprenditore israeliano”. Ino,tre, Carrai è ” amico di Mihael Leeden” (“una  spia del Mossad”, per il Fatto Quotidiano, forse semplificando troppo).
In agosto, Dagospia segnala Carrai “attovagliato con l’ambasciatore di Israele”.



Marco Carrai

Israele è la mia seconda patria, ma non sono agente dei servizi segreti”, gli tocca  smentire  ad un certo punto.
Facciamola breve:   il 26 novembre, persino il Corriere osa sospettare che la “fonte” del New York Times sulle interferenze di Putin , sia in realtà Marco Carrai, l’amico e Richelieu di Renzi e israeliano:
Fake news, Marco Carrai e l’inchiesta del New York Times: «Dietro quell’articolo non c’è il mio zampino»
Testo:  “C’è il rischio che le elezioni italiane vengano inquinate da fake news. È quanto ha denunciato il New York Times, partendo da un report di Andrea Stroppa, giovane esperto di cybersicurezza, che ha lavorato con Marco Carrai e oggi collabora con Renzi.
Carrai, c’è il suo zampino dietro la pubblicazione di questo articolo sul «Nyt»? 
«Non esiste. Ecco, questo è un esempio di fake news».
È stata la sua società di sorveglianza informatica, dove lavora anche Stroppa, a girare il report al «Nyt»?«Lo escludo nel modo più totale. Stroppa lo conosco e per un periodo ha collaborato con una mia società. Chiunque può andare al registro delle Camere di commercio e vedere che non ho mai avuto società con lui».
Quando ha sentito l’ultima volta Stroppa? 
«Ci siamo parlati qualche giorno fa perché ha avuto un incidente».
Ci siamo capiti: è un circolo vizioso  di “notizie create” tra indossatori di yarmulke e  sayanim, divorati dallo zelo per la casa di Israele. La Stampa di Molinari ha  sparato in prima pagina le fake news uscite dall’ambiente  di Marco Carrai e di Renzi  per dare una mano ad  estendere la paranoia RussiaGate americano ide  e  bollare   Salvini e 5 Stelle  come servi del loro Nemico. Che deve essere anche il nostro.
Il resto dell’intervista al sayan  Marco Carrai è tutta da sottolineare:
C’è davvero un’emergenza fake news? 
«Assolutamente sì, in Italia e nel mondo. Un tempo l’informazione era verticale, garantita da una auctoritas e divulgata solo dai quotidiani. Ad esempio, per le informazioni sull’economia l’Istat e la Banca centrale erano il riferimento autorevole. Oggi invece grazie ai social, l’informazione è diventata orizzontale: si autoalimenta e per i follower diventa vero solo ciò che è virale. Capisce che questo può dare forza e palcoscenico agli istinti più distruttivi delle persone».
Ha ragione a lamentarsi.  Era più facile per i Padroni del Discorso quando “l’informazione era verticale”, la “auctoritas era garantita dai giornali”, e bastava dunque mettere un direttore yarmulke nella poltrona di ogni  testata per impedire al pubblico di  accedere ad altre voci e informazioni non autorizzate.
Ma il  Carrai sta per dirci che stanno già correndo ai ripari:
Corriere. Il grande manovratore delle fake news è Putin? 
«Stento a credere ai complotti, ma chi vuole avere egemonia sul mondo, un tempo faceva propaganda, oggi utilizza i social network».
Qual è il vostro piano per arginare il fenomeno? 
«Stiamo lavorando con uno scienziato di fama internazionale alla creazione di un “algoritmo verità”, che tramite artificial intelligence riesca a capire se una notizia è falsa”.
Perfetto: saremo giudicati dall’Algorimo-Verità. L’insindacabile software che  ci censurerà ed eliminerà del discorso pubblico  a cui stanno studiando   in Israele. Secondo me, questo AlgoritmoVerità  è già  disposizione di alcuni alti personaggi. Il Molinari direttore de La Stampa ha l’algoritmo verità, come vedete  dal titolo.  Anche la Boldrini ha l’algoritmo verità che le dice quali blog sono da chiudere. 
L’articolo LA STAMPA SCOPRE LE “FAKE NEWS” RUSSE (o quelle del New York Times? o di Renzi?) è tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.
Il New York Times: “L’Italia si prepara per la stagione elettorale delle Fake News e chiede aiuto a Facebook”
Tradotto dal New York Times, 24.11.2017
L’Italia si prepara per la stagione elettorale delle Fake News e chiede aiuto a Facebook.
ROMA – A pochi mesi da elezioni politiche curciali, crescono i timori sul fatto che l’Italia sarà il prossimo obiettivo di una campagna di destabilizzazione a suon di notizie false e propaganda, e questo spinge il leader del partito di Governo del paese a chiedere a Facebook e ad altri social media di controllare le loro piattaforme.
“Chiediamo ai social networks, e specialmente a Facebook, di aiutarci ad avere una campagna elettorale pulita”, ha dichiarato Matteo Renzi, leader del Partito Democratico in un’intervista giovedì. “La qualità della democrazia in Italia oggi dipende dalla risposta a questi problemi”.
In un’atmosfera globale resa già pesante dal sospetto di ingerenze russe nelle elezioni degli Stati Uniti, in Francia e in Germania, così come nel referendum inglese per lasciare l’Unione Europea e il movimento indipendentista catalano in Spagna, molti analisti considerano l’Italia l’anello debole in una Unione Europea sempre più vulnerabile.
Nessuno in Italia è più preoccupato del Partito Democratico al governo.Negli ultimi giorni, i suoi membri hanno cercato di realizzare un tentativo corale di concentrare l’attenzione del paese – e di piattaforme social media potenti come Facebook – su una campagna di disinformazione che ritengono sia stata concepita per danneggiare uno degli ultimi governi di centro-sinistra che resistono in Europa.
Renzi, un politico astuto che colpevolizza anche la disinformazione online e le fake news per il fallimento del referendum che lo ha costretto a dimettersi a dicembre, non cerca solo di proteggere se stesso, ma anche di passare al contrattacco.
Il segretario del Pd sta mettendo la questione al centro dei suoi post su Facebook e di una conferenza che terrà a Firenze venerdì mattina per richiamare l’attenzione sul problema.
Questa settimana, alcuni funzionari del governo hanno denunciato pubblicamente immagini apparse su siti web che supportano il Movimento 5 Stelle, partito anti-sistema navigato sul web, che aveva fatto passare l’apparizione di un ministro a un funerale come se stesse piangendo la morte di Totò Riina, il bosso mafioso omicida.
Un altro video aveva mostrato Matteo Renzi, un ex presidente del Consiglio che sta combattendo una battaglia difficoltosa per ritornare al potere, a una conferenza con il presidente della Russia Vladimir Putin, vecchia di anni. Una traduzione falsa dalle parole russe di Putin facevano sembrare che stesse incolpando il governo italiano per il fallimento della nazionale di calcio alle qualificazioni per il campionato del mondo.
Andrea Stroppa, un ricercatore di una compagnia chiamata Ghost Data che fa consulenza a Matteo Renzi in materia di sicurezza informatica, ha contribuito alla realizzazione di un’inchiesta sulle fake news che Buzzfeed ha pubblicato questa settimana e che è diventata uno degli argomenti principali di Renzi. Dopo che l’articolo è stato pubblicato, Facebook ha chiuso le pagine che diffondevano lunghi papiri dal tenore nazionalistico e anti-immigrazione.
L’esclusiva intervista di ieri a Davide Colono, realizzata per Byoblu da Eugenio Miccoli
Davide Colono, un componente della famiglia italiana che gestiva i siti in questione, ha dichiarato che quei contenuti erano meramente intesi per attrarre click in un paese stanco del governo del PD. Ha definito la chiusura delle pagine “contraria alla libertà di stampa” e “semplicemente un atto politico”.
Un rappresentante di Facebook ha detto a funzionari italiani che stanno pianificando di inviare una task force italiana di fact-checkers per affrontare il problema delle fake news da qui alle elezioni, secondo un funzionare presente alle negoziazioni ma che non era autorizzato a parlarne. Ieri, Facebook ha declinato l’invito a spiegare questi piani.
Stroppa ha preparato anche un report per Matteo Renzi che prova a dimostrare una connessione tra siti apparentemente scollegati che promuovono movimenti politici rivali, anti-sistema, critici su Renzi e sul governo di centro-sinistra.
Il report, che Stroppa ha condiviso con il New York Times, mostra che la pagina ufficiale di un movimento a favore di Matteo Salvini, leader della Lega, partito di estrema destra, condivide codici Google unici con una pagina di sostenitori e di propaganda a favore del Movimento 5 Stelle.
I codici, usati per tracciare la pubblicità e il traffico web, sono condivisi anche da una batteria di altri siti, alcuni dei quali diffondono all’impazzata teorie della cospirazione, attacchi a Renzi o esplicita propaganda pro Putin.
Un sito, IoStoConPutin.info, stronca le investigazioni degli Stati Uniti sul coinvolgimento russo nelle elezioni americane, bollandole come fake news, e produce articoli scritti da uno staff anonimo, incluso uno dal titolo “Putin, modello di un vero leader”, che ripubblica un articolo di Sputnik Italia.
Un altro, mondolibero.org, fa circolare una visione chiaramente anti-americana e anti-liberale. Un titolo recita: “Mosca rivela che Twitter dipende dai servizi segreti americani”.
Tutti questi siti condividono un unico ID assegnato da Google Analytics per tenere traccia delle loro performance, così come un unico codice Adsense attraverso il quale Google ne gestisce la pubblicità, secondo i dati del report di Stroppa, verificati da The Times.
Inoltre, tutti questi siti condividono anche un modello unico per le loro pagine di contatto. Ma nel nebuloso mondo della propaganda e degli espedienti che sfruttano internet, la tendenza di un contenuto è più chiara della sorgente da cui origina, e quanti siano questi codici condivisi non è del tutto chiaro.
“Vediamo spesso siti web non correlati condividere gli stessi identificativi, quindi questo non è un indicatore affidabile del fatto che due siti siano connessi”, ha dichiarato una portavoce di Google, Simona Panseri.
Alcuni analisti, tuttavia, hanno notato che gli introiti pubblicitari finirebbero nelle tasche dello stesso operatore e hanno suggerito che l’assegnazione di identificativi diversi ai siti indicherebbe la mano di un solo gestore, che potrebbe così facilmente tracciare il traffico web e le metriche.
Google non sembrerebbe avere intenzione di identificare gli amministratori dei siti, e le email inviate agli indirizzi elencati nelle pagine di contatto non hanno ricevuto risposta.
Chris Norton, portavoce di Facebook, ha dichiarato: “prendiamo incredibilmente sul serio il problema delle fake news”, aggiungendo che la sua società considera il tema delle informazioni accurate sulla piattaforma “molto importante, specialmente durante le elezioni”. Ha poi confermato che Facebook sta rimuovendo gli incentivi economici per le fake news, chiudendo i profili falsi e investendo in risorse e tecnologia per affrontare il problema, ma ha rifiutato di identificare gli amministratori dei profili che condividono gli stessi codici Google.
Un portavoce del Movimento Cinque Stelle ha detto, a proposito della pagina di sostenitori che condivide i codici con la pagina che sostiene la Lega, che non si trattava di un sito ufficiale e che avrebbe potuto essere stata creata da un attivista indipendente.
Su richiesta di spiegazioni circa la condivisione dei codici tra la sua pagina ufficiale e la pagina che promuove il Movimento 5 Stelle, Francesco Zicchieri, leader del movimento “Noi con Salvini”, è apparso sinceramente sbigottito. “Non so neppure di cosa stiamo parlando”, ha risposto, aggiungendo che il guru del partito, Luca Morisi, “fa ogni cosa” sui siti legati al movimento.
Ieri sera tardi, Morisi ha confermato che il sito “Noi con Salvini” condivide gli stessi codici Google dei siti che sono al di fuori dell’universo politico della Lega. Ha spiegato che un ex sostenitore del Movimento 5 Stelle aveva aiutato a costruire il sito “Noi con Salvini” e aveva copiato i codici dalla pagina pro Cinque Stelle, così come da “Io sto con Putin” e dagli altri suoi siti complottisti, nella pagina ufficiale pro Salvini.
“Ma non abbiamo niente a che fare con i siti pro-Putin o pro-Movimento 5 Stelle”, ha detto Morisi, spiegando che pensava di avere cambiato i codici in passato e promettendo di farlo questo weekend per rimuovere ogni confusione.
La Lega e il Movimento 5 Stelle non sono nominalmente alleati e si definiscono rivali, ma condividono un interesse nell’avanzamento dell’agenda pro-Russia, anti-sistema e anti-immigrazione che ha fatto dei Cinque Stelle il partito più popolare d’Italia.
I Cinque Stelle dicono di avere ripudiato qualunque alleanza, ma Salvini recentemente ha aperto alla formazione di una coalizione.
Questo mese “The Kremlin’s Trojan Horses 2.0”, uno studio prodotto dall’Atlantic Council, think tank americano, mette il partito di Salvini e il Movimento 5 Stelle nell’area pro-Putin, in parte a causa della loro opposizione e del loro scetticismo nei confronti dell’Unione Europea e della NATO.
Il partito di Salvini ha siglato un accordo di cooperazione nel marzo 2017 con il partito Russia Unita di Putin, e Salvini, che usa un linguaggio xenofobico e anti-musulmani, ha ripetutamente elogiato Putin come un alleato contro il terrorismo islamico.
Il Movimento 5 Stelle ha ospitato, sui suoi siti web collegati, propaganda anti-Renzi prodotta dagli organi di stampa russi, come Sputnik o RT.
“Siamo a un crocevia”, ha detto Renzi che, per adesso, si è trattenuto dal puntare il dito direttamente contro la Russia per la sua interferenza nelle prossime elezioni politiche italiane, che lui descrive come una scelta tra la crescita e l’instabilità.
L’ex presidente del Consiglio ha dichiarato di non avere prove del coinvolgimento russo, e ha avvertito che evocare lo spettro di Putin potrebbe diventare una ragione per “non fare niente” quando Facebook adesso ha la capacità di chiudere pagine infettate da fake news apparentemente prodotte in casa.
“Non è sufficiente evocare il pericolo russo”, ha detto, “quando abbiamo le prove in mano”.
Jason Horowitz, con la collaborazione di Sheera Frenkel, San Francisco
http://www.byoblu.com/post/2017/11/25/il-new-york-times-litalia-si-prepara-per-la-stagione-elettorale-delle-fake-news-e-chiede-aiuto-a-facebook.aspx

Il Pd contro le fake news. Non è Lercio


di Giuliano Guzzo

«Ogni 15 giorni il Pd presenterà un rapporto ufficiale sulle schifezze in rete». Lo ha detto Matteo Renzi dal palco della Leopolda, poche ore fa, dichiarando pubblicamente guerra alle cosiddette fake news. Un annuncio al quale in Paese normale, converrete, sarebbe dovuto seguire il classico lancio di pomodori. Invece pare che, al momento, al Bomba siano toccati solo applausi, nonostante in questi anni ce l’abbia messa tutta – dobbiamo riconoscerglielo – per farci capire di che pasta lui e il suo Pd siano fatti.

La prima perla fu, ricorderete, la promessa di non voler fare le scarpe a Letta: «Enrico stai sereno» (Invasioni Barbariche, La 7, 17.1.2014), fu la rassicurazione, e si è visto com’è andata a finire. Epica fu poi la solenne promessa di ritiro a vita privata, in caso di fallimento della riforma costituzionale: «Lo dico qui, prendendomene la responsabilità, che se non riesco a superare il bicameralismo perfetto non considero chiusa l’esperienza del governo, considero chiusa la mia esperienza politica» (Consiglio dei Ministri, 12.3.2014). Pure in quel caso parola mantenuta, si fa per dire. Da non dimenticare, inoltre, allorquando Renzi garantì che no, sulle unioni civili non avrebbe mai posto la fiducia (Conferenza di fine anno, 19.12.2015), scenario che poi invece il suo governo – per non smentirsi – puntualmente realizzò.
Il Nostro è insomma un vero e proprio professionista della bufala, al cui confronto Pinocchio è il santo protettore dei sinceri e il Gatto e la Volpe, emblemi di specchiate virtù. Ma se invece stavolta, contro la fake news, lui e il Pd dovessero fare sul serio, allora significa c’è speranza per tutti. Tranne che per noi, s’intende.

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