ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 6 dicembre 2017

Domande volutamente retoriche?

VIENNA
Orgoglio gay occupa la Cattedrale, la scusa è l'Aids

Venerdì scorso nella Cattedrale di Santo Stefano a Vienna èandata in scena una commemorazione per le vittime dell’AIDS, in occasione della Giornata Mondiale contro l’AIDS, commemorazione ovviamente interconfessionale voluta dal Cardinal Christoph Schönborn ed organizzata in collaborazione con l’associazione AIDS Life.  Sulla opportunità di (ab)usare di un edificio sacro per eventi di impronta laica, seppur animati da ottime intenzioni, rimandiamo all’articolo di Andrea Zambrano.

Qui invece vogliamo mettere sotto la lente di ingrandimento da una parte la (voluta?) miopia di interpretare il fenomeno AIDS a senso unico e su altro fronte la decisione di far leggere una preghiera di intercessione al travestito-transessuale-transgender Conchita Wurst.

In merito al primo aspetto il cardinal Schönborn ha ricordato che si muore soprattutto nella poverissima Africa e lui, quando è stato in Zambia, lo ha potuto toccare con mano. Questo è vero ed è bene rammentarlo, ma perché far credere che la diffusione dell’AIDS sia solo una questione di mala distribuzione della ricchezza e non anche e soprattutto di condotte personali? Perchè tacere sul fatto che il gruppo sociale che registra il maggior numero di contagi è quello omosessuale? Sarebbe stato scomodo? Poco gaiamente corretto? Sarebbe stato percepito come un’affermazione discriminatoria?

Ma se la realtà è questa perché non raccontarla? Già su queste colonne abbiamo illustrato pochi giorni fa che sono le persone omosessuali ad essere più esposte a rischio di contagio, riportando i dati per l’Italia e la Spagna. Così avviene anche negli Usa dove uno studio del 2013 del Centro per la prevenzione e il controllo della patologie ci informa che il 57% delle infezioni da AIDS colpisce le persone omosessuali. E queste sono solo il 2% della popolazione. Ciò a voler dire che la maggior parte delle infezioni riguarda uno sparuto gruppo sociale. Questo non dovrebbe forse far consigliare, solo sotto il profilo della tutela della salute pubblica senza chiamare in causa principi morali, l’abbandono delle condotte omosessuali? Come esistono le campagne sociali contro il fumo e quindi contro la libertà di fumare, perché non promuoverne di simili anche contro l’omosessualità e dunque contro la libertà di avere rapporti omosessuali? Domande volutamente retoriche.

Venerdì – e così arriviamo al secondo aspetto che vogliamo qui esaminare – non si è messo in guardia gli astanti sui pericoli che i rapporti sessuali omosessuali possono provocare per la salute del corpo (figurarsi se si voleva accennare a quelli per la salute eterna). Invece si è celebrato l’orgoglio gay e pure in una cattedrale cattolica. Quindi indirettamente e per paradosso è stata fornita una sponda per la diffusione del virus. Schönborn infatti ha detto ai presenti riferendosi sia ai malati di AIDS che alle persone omosessuali: “Dio non vuole giudicare le persone, ma salvarle. Che cosa significa per noi? Non giudicare, non escludere”.

Due noticine veloci veloci. A parte il fatto che Dio è anche giudice, è bene rammentare che la salvezza non passa attraverso l’adesione volontaria all’omosessualità, ma attraverso l’abbandono delle pratiche omosessuali. Noi tutti non dobbiamo permetterci di giudicare la responsabilità soggettiva delle persona omosessuale, ma dobbiamo eccome giudicare la sua condotta, non per metterlo al muro, ma per aiutarlo ad abbandonare questo stile di vita.

Il cardinale non è su questa frequenza d’onda tanto è vero che ha chiamato per pianificare l’evento in cattedrale Gery Keszler, fondatore insieme al suo compagno Torgom Petrosian, dell’associazione AIDS Life che ogni anno organizza il Life-Ball, una serata di gala per raccogliere fondi per la lotta all’AIDS. Anche questa scelta è poco opportuna, data la presenza di realtà cattoliche austriache anch’esse impegnate sullo stesso tema, ma non così compromesse con il credo gay. Ma ancor meno opportuna è stata la scelta di chiamare a leggere una preghiera di intercessione il cantante nonché travestito Thomas Nuewirth, in arte Conchita Wurst, il quale aveva già ricevuto nel maggio del 2014 la benedizione del cardinale. Nel “giardino variopinto del Signore c’è spazio per tutte le moltitudini” aveva scritto allora il cardinale riferendosi a Conchita, tanto per dire che la transessualità può essere interpretata come naturale variante botanica-antropologica voluta da Dio.

Il barbuto Conchita dall’ambone ha così “pregato” quasi storpiando il Padre Nostro: “Dacci un occhio attento, non solo qui, ma anche in tutti gli altri luoghi affinchè possiamo comprendere veramente il mondo e la sua gente e così che tu ci possa aiutare a superare tutte le esclusioni, le discriminazioni ed evitare la persecuzione di coloro che vivono la loro identità in modo diverso. Cerchiamo di prendere consapevolezza di tutto questo ed aiutiamo coloro che sono diversi da noi stessi". Un mega spot ecclesiale a favore dell’omosessualità e della transessualità. Un caso di scuola di omoeresia. Tra l’altro viene da chiedersi cosa c’entri mai la supposta discriminazione a danno delle persone omo e trans con la diffusione dell’AIDS. Ma ogni occasione è buona per dipingere i gay come vittime e i cattolici come carnefici. Infatti l’evento in cattedrale a tratti pareva più una richiesta di scuse da parte dei cattolici che una serata di sensibilizzazione delle coscienze.

L’errore forse più marchiano è stato dunque quello di chiamare un transessuale a recitare una preghiera gender, non una persona che, come tutti noi, cade mille volte nella polvere del peccato, si riconosce peccatore e vuole rialzarsi, bensì un attivista che eleva a stendardo il peccato dell’omosessualità. C’è quindi una grossa differenza tra accoglienza della persona, Conchita incluso, ad accoglienza degli errori che professa la persona.

Ma la cattedrale di Santo Stefano rimane pur sempre la casa del Signore e il Padrone di casa, seppur in modo discreto, ha detto la sua per il tramite del genio di Mozart. Infatti in quella serata è stato eseguito il suo Requiem. Ecco ad esempio il testo del Dies irae ispirato al giorno del Giudizio: “Giorno d'ira, quel giorno distruggerà il mondo in faville, com'è attestato da Davide e dalla Sibilla. Quanto grande sarà il terrore quando verrà il giudice a valutare ogni cosa severamente”. Un testo un tantino rigido secondo i canoni ecclesiali attuali. Assai poco buonista anche il Tuba mirum: “Una tromba, con un suono mai prima udito tra i sepolcri delle nazioni tutti sospingerà davanti al trono. Stupefatte saranno Morte e Natura quando ogni creatura risorgerà per rispondere a colui che giudica. Sarà portato un libro scritto in cui tutto è annotato per giudicare il mondo. Quando il giudice si sarà assiso tutto ciò che era nascosto apparirà e nulla resterà impunito. Che dirò allora io, misero? A quale avvocato mi appellerò se a mala pena il giusto è sicuro?”. E per chiudere il ben poco inclusivo Confutatis: “Confutati i maledetti e condannati alle fiamme ardenti, chiamami tra i benedetti. Ti prego, supplicando e prostrandomi, il cuore ridotto quasi in cenere, prenditi cura della mia fine”.

Tommaso Scandroglio


  • LA CAMPAGNA DELLA NUOVA BQ

#salviamolechiese anche dalle paraliturgie omoeretiche

Il cardinale Schonborn
D’accordo. Una veglia di preghiera non è una partita di tennis, ma visto quanto successo a Vienna, dove una veglia di preghiera si può trasformare in un happeningche non ha nulla a che vedere con il culto reso a Dio fino a diventare una provocazione in salsa omoeretica, possiamo invocare il nostro hastag #salviamolechiese. E’ per questo motivo che anche per l’evento di Santo Stefano si può intravedere un uso misto tra sacro e profano che di fatto riduce l’edificio chiesa a semplice contenitore di un evento mondano e poco più.
A cominciare dall’ambientazione:sul soffitto della navata centrale della Cattedrale di Vienna sono stati installati dei grandi pannelli con i nomi di diverse vittime dell’Aids. Intenzione lodevole, ma presentata a mo’ di manifesto fine a se stesso, sicuramente dall’intento rivendicativo e ideologico. In chiesa infatti la veglia è consistita con l’esecuzione del Requiem di Mozart, l’austriaco più celebre cui il cardinal Schonborn ha fatto spesso riferimento nel suo intervento e che moriva giusto ieri 217 anni fa. Poi è seguito un evento di lumini e canti “a battimani” misto tra la paraliturgia e la rivendicazione dell’orgoglio gay con proclami e qua e là qualche generica preghiera.
Tutto troppo confuso per chi vuole davvero pregare per le vittime dell’Aids.Nessuno giudica le intenzioni, ma sullo strumento utilizzato si può esprimere un giudizio netto, soprattutto perché non appartiene alla mens della Chiesa. La quale Chiesa da sempre, ritiene un suo dovere quello di pregare per i defunti, perché siano accolti tra le braccia del Salvatore. Ebbene: l’evento per eccellenza che si deve fare dentro una chiesa per i defunti è proprio la messa applicata per loro, indipendentemente dalla loro storia o dall’esito della loro vita terrena. E’ il regalo più bello e potente che Cristo ha lasciato per associarsi a lui.
Una messa dunque con la quale offrire il sacrificio perfetto per le anime che ci hanno preceduto nell’eternità e alle quali, grazie alle nostre messe in loro memoria, possiamo accorciare il tempo di permanenza in Purgatorio. E’ una verità della Chiesa che “disintegra” tutti i lumini accesi e le tante parole umane spese.
Conchita Wurst in CattedraleInvece la coreografia andata in scena a il 1 dicembre nella capitale austriaca è il risultato di una liturgia umana che ha escluso completamente Dio, la sua misericordia accompagnata al suo giudizio sulle vicende umane. Ne è una prova proprio l’utilizzo del Requiem di Mozart. Capolavoro indiscusso del maestro di Salisburgo, ma ormai cristallizzato in una bella teca che lo ha trasformato in un semplice concerto, svuotato della sua forza liturgica. Un capolavoro, ma le cui ali sono state tagliate. Invece il Requiem non è un semplice accompagnamento, ma è messa. Messa cantata, come si fa ancora secondo la forma straordinaria del Rito Romano. 
La messa da Requiem si chiama così dalla prima parola dell'antifona di introito Requiem aeternam. Dunque è musica liturgica, che nasce per la liturgia dei defunti, che nelle antifone e nei testi contenuti nel Messale trova il suo spazio e la sua dignità. Tanto più che il testo che accompagna il capolavoro di Mozart, come gli altrettanti capolavori di Verdi o di Perosi, è quello delle parti della messa, dall'introito al Communio e comprende la celebre sequenza che inizia proprio con le parole Dies Irae e prosegue con il Tuba mirum e il Lacrimosa dopo essere passata per il Confutatis maledictis. Insomma: musica e testi per la liturgia della messa dei defunti, che acquisiscono il loro valore extramusicale proprio all’interno del rito liturgico, fonte e culmine della vita cristiana.
Suonarlo a margine un evento tanto ambiguo quanto fortemente mondanizzato e svuotarlo dunque del suo contesto rappresentato dall’evento del calvario che si rivive, rappresenta lo specchio dei tempi: la confusione fra pastoralità e dottrina che si serve di un simulacro bello e affascinante, ma svuotato del suo significato o che comunque non riesce ad esprimersi al meglio per quello che è il suo scopo perché l’oggetto della lode e della preghiera non è contemplato. 
Questo utilizzo della messa in versione concertistica è un limitarne e coglierne solo l'aspetto esteriore ed estetizzante senza voler aprofondire o essere toccati dal suo conteuto e dal suo significato. E' come chi si ferma all'esteriorità di una celebrazione particolarmente appariscente o suggestiva senza capire quello che è il significato del Santo sacrificio che si riprone in maniera incruenta. Volerla vivere così è ridurre a un mero estetismo, lo stesso estetismo di cui si accusa ingiustamente i tradizionalisti attaccati alla forma straordinaria della messa. Per i profani: è uno scartare l'invlucro e non gustare il cioccolatino. 
E questo è tanto più sentito nella messa da Requiem dove il tema del peccato e della misericordia sono giocati in un dialogo drammatico e salvifico del peccatore che si vergogna della sua colpa tanto da tremare e diventare rosso di fronte al Dio. E che cosa c'è che fa vergognare di più l'uomo se non il peccato di sodomia? Utilizzare quella messa per sostenere una lotta politica secondo il consumato canovaccio dei Live Aid non soltanto significa non aver capito il signifcato della Messa da Requiem, ma è un profanare ancora una volta le cose sacre.
Andrea Zambrano

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.