ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 10 dicembre 2017

Ora è tempo di guardare avanti


PENSARE ALLA RISCOSSA


Vangelo all’ordine del giorno? Ora che abbiamo toccato come cattolici e membri della Chiesa fondata da Gesù Cristo il punto più basso che potevamo raggiungere, dobbiamo smetterla di leccarci le ferite e pensare alla riscossa di Francesco Lamendola

  

Ora che abbiamo toccato, come cattolici e come membri della santa Chiesa fondata da Gesù Cristo, il punto più basso che potevamo raggiungere, è tempo che la smettiamo di leccarci le ferite e che pensiamo alla riscossa: a rimetterci in piedi, a parlare di nuovo del Vangelo, a porre il Vangelo all’ordine del giorno. Ne abbiamo bisogno noi, ne ha bisogno il mondo, anche se non lo sa. Ne siamo profondamente convinti anche da un punto di vista strettamente razionale: quella del Vangelo è la sola parola che può recare un raggio di luce nelle tenebre del mondo attuale; è la sola proposta seria per uscire dalla crisi morale, spirituale, intellettuale e materiale che ci attanaglia, laddove le altre ”ricette” non fanno che aggravarla; è la sola speranza di non soccombere alla implosione imminente della anti-civiltà che abbiamo costruito sulle macerie della fede in Dio e sui falsi idoli delle cose, della tecnica, del denaro, che ci siamo prostrati ad adorare. O la riscossa passerà per il Vangelo, o non ci sarà alcun futuro, né per i cristiani, né per alcun altro. Tutti gli altri dei, tutti, nessuno escluso, hanno miseramente fallito: dalla rivoluzione alla scienza, dal comunismo al capitalismo, dalla modernità alla post-modernità; per non parlare delle altre religioni e filosofie, del marxismo, della psicanalisi, dell’esistenzialismo, dello storicismo, della teosofia e dell’antroposofia, del materialismo e del falso spiritualismo in salsa New Age.

Ora basta lamentarsi; ora è tempo di guardare avanti. La neochiesa non è credibile perché, ingannando i fedeli, ha scelto di andare incontro al mondo, di rincorrere le sue passioni, di scendere a compromessi con il suo spirito di orgoglio, lussuria e avarizia. Per aver qualcosa da dire agli uomini d’oggi, non bisogna dire ciò che essi vogliono sentirsi dire, ma ciò che essi hanno bisogno di sentire. Il neoclero ha sbagliato completamene la sua valutazione circa lo stato dell’uomo moderno: a forza di sentirlo ripetere i suoi slogan sui diritti, sulla libertà, sulla responsabilità esclusiva di se stesso, sul piacere come condizione irrinunciabile per una vita meritevole d’essere vissuta, ha finito per crederci anche lui, o, quanto meno, ha finito per credere che l’uomo moderno ci credesse. Non ha compreso che l’uomo moderno, profondamente femminilizzato, pensa e ragiona come la maggior parte delle donne: quel che dice di volere, non lo vuole per davvero; mentre sarebbe pronto a gettarsi fra le braccia di quel che dice di aborrire, di detestare, di trovare insopportabile. La verità è che l’uomo moderno è stanco di se stesso; stanco e nauseato. Non ha trovato quel che cercava, pur avendo sacrificato tutto, anche la sua dignità e la sua pace, pur di riuscirci. Evidentemente, cercava l’impossibile e ora se ne sta rendendo conto; ma è troppo pigro e troppo orgoglioso per ammetterlo, per riconoscere la sua sconfitta. La Chiesa cattolica avrebbe potuto offrire un porto sicuro a questa stana umanità dei nostri giorni, provata da mille delusioni e amareggiata da continui fallimenti; invece, come ha osservato Gianni Vattimo, ha rinunciato alla sua splendida, gloriosa tradizione e si è arresa al mondo, un momento prima che il mondo, vinto, le desse ragione. Non ha avuto la forza di perseverare quel poco che le mancava per riportare una vittoria clamorosa, su tutta la linea: ha piegato le ginocchia e si è prostrata davanti a quei feticci dai quali il mondo profano si stava già distaccando con crescente repulsione, pronto a buttarsi in ginocchio, lui, davanti al vero Dio.
Questa è la profonda miseria, miseria intellettuale, oltre che umana, dei membri della neochiesa, dei neoteologi, dei vescovi di strada, dei preti progressisti e modernisti: non hanno compreso che il tempo della modernità è finito, e sta per ricominciare il tempo di Dio, del vero Dio, dopo la deludente ubriacatura dei falsi dei. Invece di tenersi stretti alla loro tradizione, e sempre più fedeli a Gesù Cristo, costoro si son messi a corteggiare i cascami delle religioni secolarizzate della modernità, il marxismo specialmente: hanno raccolto gli avanzi andati a male di un cibo che non sazia più neanche i maiali, e, credendosi assolutamente moderni, ne stanno facendo una vera scorpacciata. Peggio ancora: ne stanno facendo fare una scorpacciata ai loro fedeli. Quel vescovo di Rodez, per esempio, dipartimento dell’Aveyron, monsignor Fonlupt, che trasforma la sua cattedrale in un tempio induista, con delle danzatrici di Shiva per accompagnare la consacrazione di un sacerdote, e con le donne con l’abito indù che somministrano la santa Eucarestia, facendo il segno di Shiva sulla fronte dei “fedeli”, e che, invece di consacrare il Pane, consacra il mango, o la papaya, o l’ananas, non sapremmo dire: ecco, costui è un perfetto esempio dei cascami ideologici del passato, riciclati e fatti passare per il non plus ultra della modernità. Creatura dell’ex arcivescovo di Clermont-Ferrand, il neomarxista Simon, costui non è nuovo a simili exploit; basti dire che, sul tema della Transustanziazione, ha scritto chiaro e tondo che non c’è niente di vero, che è solo un “simbolo medioevale”: più in là dei protestanti, nella sua febbre modernista egli vuol far vedere che non resta indietro a nessuno, in fatto di eresie. Ma che ci sta a fare, nella Chiesa cattolica, un personaggio del genere? E quel prete spagnolo che ha lasciato entrare nella chiesa di Ceuta una processione indù in onore del dio Ganesha, portato a spalla dai suoi fedeli fra due ali di folla salmodiante: che ci faceva il dio dalla testa d’elefante, fra i santi e gli altari di una chiesa cattolica, in mezzo ai fedeli cattolici? Celebrava la bellezza del multiculturalismo e del dialogo interreligioso, per la gioia di quanti vogliono abbattere i muri e gettare ovunque ponti? E Sosa Abascal, il generale dei gesuiti, che un giorno dice di non credere all’esistenza del diavolo e un altro di non credere a quel che il Vangelo riporta di Gesù Cristo, che ci sta a fare nella Chiesa? Il figlio di papà ministro del Venezuela, a sua volta appassionato di scienze politiche (con simpatie di sinistra) più che di teologia, è anche l’autore di un aforisma che si potrebbe mettere a sigillo del Decameron di messer Boccaccio, con speciale riferimento alla novella di Nastagio degli Onesti: Il vero peccato non è rompere una norma, ma non amare. Ecco: ecco anche questo non è che  un cascame ideologico di vecchia, vecchissima matrice: è naturalismo allo stato puro, non cristianesimo; dove “amare” può voler dire tutto e il contrario di tutto, ma, in ogni caso, dove brilla l’assenza della parola “Vangelo” e l’assenza di un nome, “Gesù Cristo”: roba molto all’avanguardia, molto politicamente corretta: vale a dire paccottiglia che la stessa modernità non riesce più a vendere a nessuno. Ci volevano questi neopreti in ritardo di mezzo secolo sul marxismo, con i complessi d’inferiorità verso i laici e verso i protestanti che li contraddistinguono, per scambiare questi rimasugli maleodoranti per ricette utili al presente. La crisi in cui versa la società moderna, in cui versa la stessa politica moderna, ha bisogno di ben altre risposte che la teologia della liberazione, che ha fatto disastri e lasciato il deserto dietro di sé in tutta l’America Latina. Da quando la versione neomarxista del cattolicesimo è diventata la religione effettivamente insegnata da una buona parte del clero sudamericano, la Chiesa cattolica ha perso decine di milioni di fedeli, specialmente a vantaggio delle numerose sette e chiese protestanti. E una ricetta che ha prodotto solo sconfitte e fallimenti nel suo luogo d’origine, ora viene propinata al mondo intero come se fosse l’ultimissimo ritrovato della Chiesa “matura” del post-concilio.
L’elenco potrebbe continuare, tristemente monotono, per decine e centinaia di pagine. Solo restando in Italia, ci sarebbero pagine e pagine da riempire con le prodezze moderniste e progressiste dei Paglia, dei Galantino, dei Cipolla, dei Zuppi, dei Lorefice, dei D’Ercole, dei Perego, dei Ronchi, per non parlare dei teologi alla Grillo o alla Bianchi; uno più a sinistra dell’altro, uno più sindacalizzato dell’altro, uno più scatenato dell’altro sul fronte dell’inclusione dei diversi, sull’immigrazione senza limiti, sulla cittadinanza agli stranieri, e uno più impegnato dell’altro a far vedere che è con la ”gente”, con gli “ultimi”, con i “poveri”, anche se poi non è vero affatto perché la gente, gli ultimi, i poveri, sono i pensionati italiani, sono i residenti italiani dei quartieri degradati e invasi dai criminali stranieri, dagli spacciatori, dalle prostitute, dai rapinatori zingari: ma tant’è, non è vero quel che è vero, è vero quel che i neovescovi e i neopreti hanno deciso che lo sia, dopo aver fatto una spanciata dei cascami ideologici di un terzomondismo che oggi fa semplicemente ridere e di un neomarxismo che perfino i partitini dell’estrema sinistra non riconoscono più come cosa loro, essendo in tutt’altre faccende affaccendati, per esempio come ottenere la liberalizzazione dell’utero in affitto anche nel Bel Paese, o come mettere a tacere gli stupri fatti dai musulmani sulle donne italiane, perché quelli sono frutto del “disagio ambientale” e della “scarsa inclusione” da parte degli italiani egoisti, non sono stupri di classe e non inficiano il teorema dell’accoglienza indiscriminata, semmai lo rafforzano.
Ora si deve pensare alla riscossa

di Francesco Lamendola

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Maria Santissima Immacolata
                                                         
                             









Il miracolo di Empel
1585




Accadde l’8 dicembre 1585, quando la fanteria spagnola di stanza nelle Fiandre ottenne un’insperata vittoria contro le truppe ribelli dell’alta Olanda che, in numero preponderante, avevano circondato un ridotto composto da circa 3-4000 fanti spagnoli.

A quel tempo, la corona spagnola degli Asburgo reggeva un Impero che andava dall’Europa all’America – l’Impero su cui non tramontava il sole -, e le zone a nord dell’Olanda avevano già intrapreso il processo di affrancamento appoggiandosi sul calvinismo che si era diffuso soprattutto a Nord. Furono gli anni della Guerra degli Ottant’anni, iniziata nel 1572 da Guglielmo il Silenzioso d’Orange contro la Spagna.



Nel corso di questa guerra, un contingente spagnolo di circa 3-4000 fanti (Tercios) si venne a trovare nella zona di San Hertogenbosch, al comando di Francisco de Bobadilla. Un po’ alle strette per la mancanza di vettovaglie e di provviste locali, perché i contadini avevano portato via tutto per sfuggire alla guerra, le truppe spagnole videro giungere sul posto circa 100 navi fiamminghe con un esorbitante numero di uomini. Costretti come in un ridosso, si accingevano a contrastare i nemici sopraggiungi, quanto il comandante fiammingo, Philip di Hohenlohe-Neuenstein, decise di aprire le dighe sul posto, a Bommelerwaard, allagando l’intera zona.



Le truppe spagnole ripararono su una collinetta a Empel, rimanendo così circondati dall’acqua e dai nemici, senza sostentamento, e per di più sotto il fuoco dell’artiglieria di un forte vicino.
Vista la situazione disperata, il comandante fiammingo offrì loro la resa, ma Francisco di Bobadilla e i suoi risposero «Ya hablaremos de capitulación después de muertos» «Parleremo di resa dopo morti».
Decisi quindi a resistere, gli Spagnoli iniziarono a scavare delle trincee. Uno dei fanti, Juan de Aguila, mentre scavava pensando alla sua prossima morte, incontrò un ostacolo nel terreno. Non riuscendo a scalzarlo, iniziò a scavare a mano, fino a scoprire una tavola con sopra un disegno della Vergine Maria.




Chiaramente di trattava della raffigurazione dell’Immacolata Concezione, il cui culto era da alcuni secoli diffuso nell’Europa cattolica, nonostante i disaccordi teologici tra Domenicani e Francescani, e forse anche grazie ad essi. Già nel 1484, Papa Sisto IV aveva introdotto a Roma il culto della Concezione e nel 1477 e nel 1482 aveva proibito ai contendenti sull’Immacolata Concezione di Maria, di contrastarsi fino ad accusarsi vicendevolmente di eresia.


Fatta la scoperta del pannello raffigurante l’Immacolata, Francisco di Bobadilla, ritenendola un segno del Cielo, ordinò di issare sulle insegne spagnole l’immagine della Vergine.

Quella notte si alzò un insolito e quasi impossibile vento gelido che in breve gelò le acque dei fiumi presenti in tutta la zona, intrappolando le navi nemiche che non erano riuscite ad allontanarsi. I fanti spagnoli assalirono i nemici in trappola e riportarono una vittoria tanto insperata e clamorosa, quanto miracolosa.

Si racconta che il comandate fiammingo, Philip di Hohenlohe-Neuenstein, già in preda al protestantesimo, abbia esclamato: « Sembra che Dio sia spagnolo, realizzando per loro un tale miracolo.»
Ma era solo il Dio cattolico, lo stesso difeso, adorato e glorificato dalla cattolicissima casa d’Asburgo e dall’allora cattolicissima Spagna.

Dopo la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, fatta da Pio IX nel 1854, nel 1892, Maria Cristina d’Austria (Maria Christina Désirée Henriette Felicitas Rainiera di Asburgo-Lorena e d’Austria), reggente di Spagna, proclamò La Vergine Maria Immacolata, Patrona delle fanterie (Tercios) spagnole.



Maria Cristina d'Asburgo-Lorena - autoritratto

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