ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 6 dicembre 2017

Tanto, è la stessa cosa?


VINCERE LA CONCUPISCENZA           
      

Vincere la concupiscenza è unirsi alla vita divina. Una domanda apparentemente ingenua: qual è lo scopo del Vangelo, perché Cristo lo ha annunciato agli uomini e perché la Chiesa lo annuncia a noi, generazione dopo generazione? 
di Francesco Lamendola  


 

Qual è lo scopo del Vangelo? Perché Gesù Cristo lo ha annunciato agli uomini, e perché la Chiesa lo annuncia a noi, generazione dopo generazione? Ci piacerebbe rivolgere questa pur semplicissima domanda a un certo numero di cattolici, e vedere quel che ne verrebbe fuori. Una gran confusione, probabilmente. Molti, senza dubbio, spalancherebbero gli occhi in un'espressione di stupore: a una simile domanda non avevano mai pensato. E già questo la dice lunga sullo stato d'ignoranza, inconsapevolezza, abitudinarietà e conformismo in cui la fede cattolica è caduta, nella fase storica che stiamo vivendo. Perché a questa domanda, solo apparentemente ingenua, e, in realtà, molto più profonda di quel che non paia, ma al tempo stesso d'una semplicità disarmante, i nostri nonni avrebbero saputo rispondere senza alcuna esitazione. Non perché avessero studiato di più la dottrina cattolica - in verità, molti di loro erano onesti lavoratori con la licenza di quinta elementare per tutto curriculum scolastico - ma perché l'avevano appresa meglio. I sacerdoti, i catechisti e le famiglie l'avevano trasmessa a loro meglio di quel che non siano capaci di fare, per solito, il clero e tutto l’insieme della cultura cattolica, oggi. Senza tante chiacchiere sulla “complessità concreta” delle situazioni (come si legge nell’esortazione apostolica Amoris laetitia), sulla necessità del “discernimento spirituale”, sul dovere dell'”accompagnamento delle persone in difficoltà” (neanche la Chiesa fosse diventata un’agenzia di viaggi o un’agenzia per cuori solitari) e sulla assoluta priorità della “inclusione” dell’altro - un linguaggio fastidiosamente artificioso e pretenzioso, che tradisce da sé il sofisma di fondo che lo ha generato -, ai nostri nonni era stato insegnato che lo scopo del Vangelo è far partecipare l'uomo alla pienezza della vita divina. Tutto qui; e nient'altro. In quella espressione c'è tutto; e c'è molto di più e molto di meglio di quel che non possano impastrocchiare tutti i Kasper, i Sosa, i Grillo e i Bianchi di questo mondo (di questo mondo, nel significato letterale dell'espressione, ossia di teologi che non aiutano le anime a levare lo sguardo verso il Cielo, ma lo tengono rivolto ostinatamente a terra).

Questo concetto, in verità, far partecipare l'uomo alla pienezza della vita divina, viene fuori continuamente dal Vangelo, purché lo sappiamo leggere. Quante volte Gesù ha detto ai suoi Apostoli di esser venuto per chiamare loro, e tutti gli uomini attraverso di loro, alla vita del Padre, alla comunione con il Padre celeste; e ha pure spiegato loro che ciò poteva farlo Lui solo, mediante il suo stesso sacrificio, perché gli uomini, da soli, non son capaci di arrivare a Dio (Gv. 15, 5): Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Non dice, si badi: perché senza di me potete far poco; ma dice, chiaro e tondo, senza possibilità di equivoci: perché senza di me non potete far nulla. E ancora (Gv., 14, 9-10): Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere.
C'è poi un altro brano del Nuovo Testamento, nella Seconda lettera di Pietro, in cui questo concetto viene sviluppato in maniera chiarissima (1, 3-21; traduzione della Bibbia di Gerusalemme):

La sua potenza divina [del Padre] ci ha fatto dono di ogni bene per quanto riguarda la vita e la pietà, mediante la conoscenza di colui [Gesù Cristo] che ci ha chiamati con la sua gloria e potenza. Con queste ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano astati promessi, perché diventaste per loro mezzo partecipi della natura divina, essendo sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza. Per questo mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la temperanza, alla temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà, alla pietà l’amore fraterno, all’amore fraterno la carità. Se queste cose si trovano in abbondanza in voi, non vi lasceranno oziosi né senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo. Chi invece non ha queste cose è cieco e miope, dimentico di essere stato purificato dai suoi antichi peccati. Quindi, fratelli, cercate di render sempre più sicura la vostra vocazione e la vostra elezione. Se farete questo non inciamperete mai. Così infatti vi sarà ampiamente aperto l’ingresso nel regno eterno del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo.
Perciò penso di rammentarvi sempre queste cose, benché le sappiate e stiate saldi nella verità che possedete. Io credo giusto, finché sono in questa tenda del corpo, di tenervi desti con le mie esortazioni, sapendo che presto dovrò lasciare questa mia tenda, come mi ha fatto intendere anche il Signore nostro Gesù Cristo. E procurerò che anche dopo la mia partenza voi abbiate a ricordarvi di queste cose.
Infatti, non per essere andati dietro a favole artificiosamente  inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta de Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stato testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E così abbiamo conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione, come a lampada che brilla i un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori. Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi dallo Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio.

Aggiungere alla fede la virtù, la conoscenza, la temperanza, la pazienza, la pietà, l'amore fraterno, la carità, vuol dire aggiungervi le opere: con buona pace dei luterani e di tutti i neoteologi cattolici che fremono di ammirazione per la teologia protestante. Con le opere, cioè con lo sforzo concreto di vivere la fede alla luce dell'insegnamento di Gesù, il credente si trova nella giusta disposizione di spirito per essere chiamato da Dio alla partecipare alla sua stessa vita, spezzando la gabbia soffocante creata, in tutte le cose umane, dalla concupiscenza, che corrompe anche ile buone disposizioni e le trasforma in occasioni di male. La fede, la sola fede, come dice Lutero, non basta: la fede, senza le opere, è sterile; come le opere, senza la fede, sono vane. E le grazie spirituali che rendono possibile il bene - la virtù, la temperanza, la pazienza, eccetera - non sono opera dell'uomo; l'uomo non sa trovarle, né realizzarle da se stesso, tanto meno saprebbe perseverare in esse, posto che le avesse trovate: al contrario, sono tutti doni di Dio, mezzi che egli ci mette a disposizione per avvicinarci a Lui.
Tuttavia per riceverli, questi doni; per esser degni di riceverli, l'uomo si deve spogliare della corazza del proprio io, dell'egoismo ancestrale; deve abbandonare la zavorra della concupiscenza, triste eredità del peccato di Adamo, e lasciar morire in sé l'uomo vecchio, secondo la carne, affinché possa nascere in lui l'uomo, secondo lo spirito. Si tratta di una cosa possibile, di un obiettivo realizzabile, al quale possono e devono tendere tutti i credenti: non è riservato ai superuomini, e, del resto, superuomini non ce ne sono nel gregge di Cristo, ma solo dei "servi inutili", come dice Gesù stesso in una delle sue parabole, quella del servo e del suo padrone: Così anche voi, quando avrete fatto tutto quanto vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare (Luca, 17, 10). Fra questi servi inutili, vi sono coloro i quali si son resi conto della propria inutilità, e l'hanno confessata pienamente al Padre, rimettendosi a Lui per qualsiasi cosa buona possano desiderare di compiere, in se stessi e verso gli altri; e vi sono invece quelli che, gonfi di superbia, ritengono di essere chi sa cosa, non piegano le ginocchia, non si fanno piccoli, né umili, ma, al contrario, raddrizzano le spalle, sporgono il petto in fuori e par che dicano: Ebbene, eccoci qui; noi siamo i migliori, quelli che hanno capito il Vangelo e lo hanno capito meglio di tutti quelli che ci hanno preceduto. Tali sono i modernisti, i progressisti, i teologi della "svolta antropologica", i sincretisti, i relativisti, i quali non hanno abbastanza umiltà per confessare che Gesù soltanto è via, verità e vita, ma vorrebbero mettergli accanto Mosè, Maometto, Buddha e chissà chi altri; che non vogliono dispiacere al mondo, non vogliono passare per delle persone grette e fanatiche, chiuse nel loro esclusivismo, e inoltre temono l'accusa di disprezzare la scienza moderna e il dialogo con le altre religioni. Per tali ragioni, questi sedicenti cattolici, che di cattolico ormai non hanno più nulla, tranne che il nome e la veste – ma, sempre più spesso, nemmeno quello – s’industriano in ogni maniera, con abilità veramente diabolica e con sofismi degni di una causa più nobile, a relativizzare la centralità di Cristo, l’unicità di Cristo, l’indispensabilità di Cristo, e ad annacquare il più possibile il senso inequivocabile delle parole di san Pietro (Giovanni 6, 67): E da chi andremo, Signore? Tu solo hai parole di vita eterna! Ma per i Sosa Abscal, che amano andare a meditare nei templi buddisti, e per tanti altri sacerdoti della neochiesa, gesuiti, stimmatini, comboniani (che tristezza, pensando all’eroismo e all’esempio di fede e di santità di tanti loro confratelli dei tempi passati!), preti diocesani, vescovi e cardinali in odore di massoneria, per non parlare di una pletora di sedicenti teologi neomodernisti, gli Andrea Grillo, gli Enzo Bianchi, pare che siano in tante le guide spirituali capaci di offrire parole di vita eterna, non Gesù solamente; al punto che non si capisce perché abbiano scelto di farsi sacerdoti cattolici e non monaci buddisti o preti taoisti o saggi confuciani, o perché mai non si siano apertamente convertiti all’islam o al giudaismo. E la risposta a tale domanda, se qualcuno gliela facesse, ma che si può benissimo ricavare dai loro stessi scritti e discorsi – agghiacciante - probabilmente sarebbe questa: Che bisogno c’è di traslocare in un’altra fede, in un’altra parrocchia? Tanto, è la stessa cosa: tutte le fedi si equivalgono, tutte conducono a Dio; non ci sono fedi più giuste o più sante, e soprattutto non ce n’è una che sia vera, mentre le altre, di necessità, devono essere false: non abbiamo forse udito tutti il papa Francesco, vera incarnazione del credente moderno, affermare che Dio non è cattolico? 

Vincere la concupiscenza è unirsi alla vita divina
  
di Francesco Lamendola
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