SONO SENZA SANTITA' E UMILTA'
Manca la santità perché manca l’umiltà. Si sta trasformando il cattolicesimo in una forma di naturalismo. Chi nega gli effetti del Peccato originale, nega che ci fosse una valida ragione per cui Gesù doveva venire sulla terra di Francesco Lamendola
Abbiamo detto che lussuria, orgoglio e avarizia sono i tre vizi capitali che affliggono la vita cristiana al nostro tempo, e che caratterizzano drammaticamente la crisi che la Chiesa cattolica sta vivendo: crisi di fede, di vocazioni, di opere, di preghiera, di penitenza, di conversione, di apostolato, di santità. La santificazione delle anime non è più all’ordine del giorno: la Chiesa ha smesso di parlarne; si parla, in compenso, della giusta realizzazione delle umane aspirazioni, di assecondare i bisogni della natura di ciascuno.Si sta trasformando il cattolicesimo in una forma di naturalismo: non è più la legge di Dio quello che deve informare di sé la nostra vita, guidare i nostri passi, ispirarci e consigliarci nei momenti difficili, ma la natura, così com’è, buona in se stessa: negando, quanto meno implicitamente, gli effetti disastrosi del Peccato originale, cioè negando un punto fondamentale della dottrina cattolica. Per il cattolico, la natura non è affatto “buona” in se stessa: lo era, ma prima del Peccato, quando uscì dalle mani del Creatore; dopo la ribellione di Adamo ed Eva, essa ha subito le conseguenze di quel peccato, è stata ferita, è rimasta sfigurata, ed è stato per medicare quella ferita e quello stravolgimento che il Verbo si è Incarnato nel suo ineffabile mistero di amore, ha sofferto la Passione e la Morte, è Risorto ed è ritornato al Padre celeste. Chi nega gli effetti disastrosi del Peccato originale, chi nega la ferita inferta a tutto il creato dalla ribellione di Adamo ed Eva, nega anche la necessità e l’indispensabilità della divina Redenzione: nega che ci fosse una valida ragione per cui Gesù Cristo doveva venire sulla terra; e nega, soprattutto, che la sua morte fosse necessaria per la riparazione dei nostri peccati.
Infatti, costui nega che la natura umana, dopo il Peccato originale, è divenuta in se stessa peccaminosa: non, come dicono i protestanti, sino al punto di non potersi più salvare, senza un atto speciale di Dio, caso per caso, anima per anima: ma da non potersi salvare senza l’Incarnazione e senza la Redenzione, che hanno profuso sugli uomini i loro salvifici effetti e che, con la successiva effusione dello Spirito Santo, li hanno ristabiliti nella relazione di figli rispetto a Dio.
Ebbene: di quei tre vizi capitali, il più grave di tutti ci sembra essere l’orgoglio, che è il contrario dell’umiltà, vale a dire l’affermazione orgogliosa di sé, l’ostentazione superba dei propri meriti e del proprio valore, in opposizione all’annullamento di sé, al dono e al sacrificio di sé fatto a Dio, per poter divenire tutt’uno con la sua volontà, secondo l’insegnamento di Gesù Cristo; il quale, quanto a se stesso, altro non ha fatto nella sua esistenza terrena che uniformarsi costantemente alla santa volontà del Padre celeste, compreso il sacrificio finale di Sé (Padre, se è possibile, passi da me questo calice; tuttavia sia fatto come vuoi Tu) proprio per darne l’esempio a tutti gli uomini: Siate dunque perfetti, come perfetto è il Padre vostro nei cieli (Mt 5, 48). Oggi, fra i cattolici e fra lo stesso clero, regnano l’immodestia, il narcisismo, l’esibizionismo, la superbia e l’orgoglio: ci sono tanti, troppi teologi che scrivono quello che vogliono, e preti che dicono dal pulpito quel che passa loro per la testa, e vescovi e cardinali che rilasciano interviste e prendono decisioni dalle quali traspare la loro volontà di affermazione, di riconoscimenti, di popolarità, non certo l’umiltà e la sottomissione a Dio. Questo è divenuto, oggi, il principale problema della Chiesa cattolica, questo è il suo peccato capitale: la mancanza di umiltà, la superbia e l’orgoglio che spinge a volersi giustificare da se stessi, a parlare e a fare alla propria maniera; e perfino alla pretesa, assurda e blasfema, di voler ritoccare il Vangelo per ridisegnare la figura di Gesù Cristo. Come sostiene il gesuita spagnolo José-Ramon Busto Saiz, si sente il bisogno di un Gesù più credibile. Impostura suprema e suprema bestemmia: come se Gesù dovesse adeguarsi alle nostre umane aspettative; e, per giunta, alle aspettative di un clero degenerato, con i preti che in chiesa, nel mezzo della Messa, si dichiarano omosessuali ai fedeli; oppure presentano loro delle coppie omosessuali; oppure annunciano di non credere al Credo, e quindi di non volerlo più recitare; oppure che aboliscono, di loro iniziativa, la santa Messa di Natale, e anche quella di Capodanno e dell’Epifania, “per rispetto verso i migranti”. Il comun denominatore di tutte queste bizzarrie, di queste balordaggini e di queste offese a Dio e alla comunità dei fedeli è sempre lo stesso: la mancanza di umiltà, il narcisismo, la vanità, l’orgoglio, il credersi migliori di tutti, della Chiesa e del clero di sempre; la pretesa di aver “scoperto” un cristianesimo più vero, più adulto, più maturo e via dicendo; la pretesa di aver capito quel che in duemila anni di storia nessuno aveva capito, cioè che per amare Dio bisogna amare il prossimo, ma bisogna amarlo in senso materiale, sfamarlo, accoglierlo, nutrirlo, anche se quella di farsi accogliere, sfamare e nutrire è diventata una professione, oltretutto ripagando l’accoglienza con la delinquenza; che bisogna assecondare gli uomini nelle loro passioni, anche le più disordinate, e “accompagnarli” nei loro vizi, perché non li si deve mai giudicare, ma soltanto “accettare” e rispettare: dimenticando che si può essere poveri non solo in senso materiale, ma anche e soprattutto in senso spirituale e morale, e dimenticando anche che il peccatore non va giudicato, ma il peccato sì, per cui il peccatore non va “accompagnato” verso il peccato, ma fuori di esso, e che se è giusto accettarlo come persona, ciò non significa accettare anche il suo peccato, ma al contrario, che amare veramente qualcuno significa desiderare il suo bene e quindi desiderare di vederlo riconciliato con Dio e sottratto alle spire velenose del diavolo.
Nella loro superbia e mancanza di umiltà, tutti costoro, (cattivi) teologi in testa, si sono scordati che il vero e solo modello della vita cristiana è Gesù Cristo e nessun altro, se non nella misura in cui costui si uniforma al modello di Gesù Cristo: nemmeno il papa, per parlarci chiaro; anzi, il papa meno di tanti altri, perché il papa non deve necessariamente essere santo, anche se sceglie, assai poco modestamente, di chiamarsi Francesco, cosa che nessun altro papa nella storia aveva mai avuto l’ardire di fare. Il papa è semplicemente il custode della verità cattolica: non gli si chiede altro. Se poi è anche santo, benissimo; ma lo scopo del papato non è la santità del pontefice, non più di quanto lo sia la santificazione di tutte le anime di tutti i credenti. Pertanto, è semplicemente idolatrico dire, come oggi fanno tanti (cattivi) preti: Io sto con Francesco; io faccio e dico quel che fa Francesco; io sono nella linea di Francesco. Tanto per cominciare, il (falso) papa Francesco non ha niente a che fare con san Francesco d’Assisi, il Poverello di cui ha usurpato il nome: non c’è niente, ma proprio niente, nel suo stile, nel suo tratto, nel suo parlare, nel suo tacere, che ricordi la santa e benedetta umiltà e mansuetudine di san Francesco d’Assisi, bensì un orgoglio smisurato, un narcisismo senza limiti, una vanità gigantesca, ipertrofica, che lo spingono ad assumere pose e atteggiamenti sempre più imbarazzanti, sempre più incongrui, e, quel che è peggio, sempre più sacrileghi, perché egli non si cura di fare la volontà del Padre, ma vuol fare la sua propria volontà, tanto è vero che subito dopo essere stato eletto ha affermato (in una tristemente celebre intervista rilasciata al capo del partito massonico italiano): Voglio cambiare la Chiesa, in modo tale che non posa più tornare indietro. Orgoglio smisurato, superbia senza limiti: costui crede forse di essere il padrone della Chiesa cattolica, ma si è scordato di un piccolo, semplice, essenziale dettaglio: che il padrone della Chiesa è uno solo, che poi è anche il Re dell’universo: Gesù Cristo. Lui, il papa, non è padrone di nulla, neanche dell’ultimo spillo esistente in Vaticano; e i suoi atteggiamenti di finta modestia, come aver rifiutato di vivere nei Palazzi vaticani, per far sapere a tutto il mondo, e specialmente ai non cattolici – i quali a lui interessano e piacciono molto più dei cattolici - quanto è umile, quanto è insofferente del lusso, come se decine e decine di papi vissuti prima di lui fossero immodesti e amanti del lusso, e lui solo avesse scoperto cosa significhi vivere in semplicità, pur essendo papa; fino a farsi vedere, e soprattutto fotografare, con la borsa della spesa in mano, come un qualsiasi pensionato o lavoratore, la borsa del Lidl, per la precisione, così che tutti sappiano che egli è uno come noi, anzi, uno di noi, in tutto e per tutto una persona comune e normalissima. Il che è falso, perché la spesa, di sicuro, non se la fa da solo, se non per la gioia dei fotografi e dei suoi entusiastici fan; ma, soprattutto, è sbagliato, perché nessuno gli chiede di andare a farsi la spesa da solo, o di salire e scendere la scaletta dell’aereo portandosi da sé la propria valigia, o di assumere un qualsiasi altro atteggiamento da persona comune.
Manca la santità perché manca l’umiltà
di Francesco Lamendola
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