ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 30 gennaio 2018

Misero Adamo!

https://michelangelobuonarrotietornato.files.wordpress.com/2016/11/michelangelo_creation_of_adam_05.jpg?w=878

MARTEDÌ DI SETTUAGESIMA

La caduta.
Le promesse del serpente bastarono a soffocare nel cuore della donna ogni sentimento d'amore verso Colui che l'aveva creata e colmata di beni.
Vagheggiava d'essere simile a lui; la sua fede s'era offuscata; pensava che Dio poteva averla ingannata con la minaccia della morte, se violava il suo comando; e, cedendo all'amor proprio, guarda il frutto proibito; le pare "buono a mangiarsi e bello all'occhio e gradevole all'aspetto"; i sensi cospirano con la sua anima a disobbedire a Dio, e a perderla. Ormai la prevaricazione è già commessa nella sua volontà: non resta che consumarla con un atto esterno. Piena di sé, come se Dio non esistesse più per lei, stende la mano, coglie il frutto e lo porta alla bocca.

Dio aveva predetta la morte alla creatura infedele che avesse osato violare il suo comandamento; ma Eva, dopo aver peccato, sente ancora in sé la vita. Il suo orgoglio trionfa e credendosi più forte di Dio, pensa e desidera di far partecipe Adamo della sua colpevole vittoria. Con mano sicura gli porge il frutto che credeva aver gustato impunemente. Adamo, o per sentirsi rassicurato dall'impunità del delitto commesso dalla sposa, o per cieco amore, volle condividere la sorte di colei ch'era carne della sua carne e osso delle sue ossa, e dimenticando a sua volta il comando del Creatore, acconsente e sacrifica l'amicizia di lui per una vile compiacenza verso la donna. Misero Adamo! consumando quel frutto, manda in rovina se stesso e tutta la sua discendenza.
Appena i nostri progenitori hanno spezzato il legame che li univa a Dio, ritornano in se stessi. Dio, abitando nella creatura elevata allo stato soprannaturale, le dà un essere completo; ma quando essa lo scaccia col peccato, viene a trovarsi in uno stato peggiore del niente: naufraga nel male. Nell'anima, poc'anzi così bella e così pura, non vi sono più che rovine.
Ritornando in se stessi, i nostri progenitori sentono una grande vergogna. Hanno voluto diventare come Dio ed innalzarsi fino all'Essere infinito: ma eccoli in preda alla lotta della carne contro lo spirito. La nudità fino allora innocente li sbigottisce e, per non arrossire di se stessi, prima così pieni di nobile semplicità in mezzo all'universo loro soggetto, cercano di nasconderla.
Fu l'amore disordinato di se stessi a sedurli, ed a calpestare il comandamento del Signore, dopo aver offuscato in essi la coscienza della propria grandezza ed il ricordo dei benefici da lui ricevuti. La stessa cecità allontana da loro il pensiero di confessare la colpa e d'implorare la pietà del grande Offeso.
Costernati, fuggono e si nascondono.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 433-434

TEMPO DI SETTUAGESIMA

Capitolo II
MISTICA DEL TEMPO DI SETTUAGESIMA

Il tempo in cui entriamo contiene profondi misteri, che non sono solamente propri delle tre settimane che ci preparano alla santa Quarantena, ma si estendono a tutto il periodo che ci separa dalla grande festa di Pasqua.

Due tempi.
Il numero settenario è il fondamento di questi misteri.
"Vi sono due tempi, dice sant'Agostino nel suo commento al Salmo 148: uno si attraversa ora, nelle tentazioni e tribolazioni della vita; l'altro si passerà in una sicurezza e letizia eterne. Noi li celebriamo, il primo avanti la Pasqua, il secondo dopo la Pasqua. Il tempo avanti la Pasqua esprime le angosce della vita presente, quello che comincia con la Pasqua significa la beatitudine che godremo un giorno. Ecco perché passiamo il primo dei due tempi nel digiuno e nella preghiera, mentre il secondo lo dobbiamo dedicare ai canti della gioia; e per tutta la sua durata è sospeso il digiuno".

Due luoghi.
La Chiesa, interprete delle sacre Scritture, ci addita due diverse città, in diretto rapporto coi due tempi descritti da sant'Agostino: Babilonia e Gerusalemme. La prima è il simbolo di questo mondo di peccato, dove il cristiano passerà il tempo della prova; la seconda è la patria celeste, dove si riposerà di tutti i suoi combattimenti.
Il popolo d'Israele, la cui storia è tutta una grandiosa figura dell'umanità, fu esiliato da Gerusalemme e tenuto, per settant'anni, prigioniero in Babilonia. Per esprimere questo mistero la Chiesa, secondo Alcuino, Amalario, Ivo di Chartres e generalmente i liturgisti del Medioevo, ha voluto fissare per i giorni dell'espiazione il numero settuagenario, e, seguendo lo stile delle sacre Scritture, ha preso il numero simbolico per quello reale.

Le sette età del mondo.
Secondo le antiche tradizioni cristiane anche la durata del mondo si divide in sette periodi. Prima che albeggi il giorno della vita eterna il genere umano deve attraversare sette età. La prima è trascorsa dalla creazione di Adamo a Noè; la seconda dal diluvio fino alla vocazione di Abramo; la terza comincia con questo primo nucleo del popolo di Dio e arriva a Mosè, per le cui mani il Signore elargì la Legge; la quarta si estende da Mosè a David, nella cui persona si inizia la sovranità reale della casa di Giuda; la quinta abbraccia la serie di secoli dopo il regno di David fino alla cattività dei Giudei in Babilonia; la sesta si svolge al loro ritorno dalla cattività fino alla nascita di Gesù Cristo. Finalmente si apre la settima età, che sorge con l'apparizione del Sole di giustizia, e durerà fino all'avvento del Giudice dei vivi e dei morti. Tali sono le sette grandi frazioni dei tempi, dopo i quali non v'è che l'eternità.

Il settenario della gioia.
Per confortarci in mezzo ai combattimenti di cui è cosparso il nostro cammino, la Chiesa ci fa conoscere un altro settenario, che in realtà seguirà a quello che andiamo attraversando. Dopo la Settuagesima della tristezza verrà la Pasqua, con sette settimane di gioia, a farci pregustare le consolazioni e le delizie del cielo. Difatti, dopo aver digiunato con Cristo e compartecipato alle sue sofferenze, risusciteremo con lui, e i nostri cuori lo seguiranno nel più alto dei cieli. A poco a poco sentiremo discendere in noi il divino Spirito coi suoi sette doni; per cui la celebrazione di sì grandi meraviglie non ci chiederà meno di sette settimane, cioè da Pasqua a Pentecoste.

Il periodo della tristezza.
Dopo aver gettato uno sguardo di speranza verso il consolante avvenire dobbiamo ora rifarci alle realtà presenti. Che cosa siamo quaggiù? Degli esiliati, degli essere in catene, in preda a tutti i pericoli che Babilonia ci nasconde. Orbene, se amiamo la patria, se desideriamo rivederla, dobbiamo romperla con le false lusinghe di questo perfido straniero e respingere lungi da noi quella tazza, alla quale s'inebria una gran parte dei nostri fratelli di cattività. Essa c'invita ai trastulli ed ai piaceri; ma le nostre arpe devono rimaner sospese ai salici presso le rive del suo fiume, fino a quando ci sarà dato il segnale di rientrare in Gerusalemme. Vorrebbe impedirci di riascoltare i canti di Sion entro le sue mura, come se il nostro cuore potesse star contento lontano dalla patria, mentre un esilio eterno sarebbe la pena della nostra infedeltà. "Come canteremo i cantici del Signore in terra straniera?" (Sal 136,4).

I riti della penitenza.
Sono questi i sentimenti che la Chiesa cerca d'infonderci in tali giorni, richiamando l'attenzione sui pericoli che ci circondano, dentro e fuori di noi, da parte delle creature. Per il resto dell'anno ci spronerà a ripetere il canto celestiale del gioioso Alleluia! Ma ora ci mette la mano sulla bocca, perché non abbia mai a risuonare quel grido d'allegrezza in Babilonia. "Siamo in viaggio e lontani dal Signore! (2Cor 5,6): serbiamo i nostri inni per il momento che lo raggiungeremo. Siamo peccatori, e molto spesso complici degli infedeli: purifichiamoci col pentimento, perché sta scritto che "la lode del Signore perde la sua bellezza nella bocca del peccatore" (Eccli 15,9).
La caratteristica di questo tempo è, dunque, la sospensione dell'Alleluia che non dovrà più sentirsi sulla terra, fino a quando non avremo partecipato alla morte di Cristo e non saremo risuscitati con lui per una vita nuova (Col 2,12).
Ugualmente ci viene tolto l'inno angelico Gloria a Dio nel più alto dei cieli, che riecheggiò ogni domenica dopo la nascita del Redentore; ci sarà solo concesso ripeterlo in quei giorni della settimana in cui si commemora la festa d'un Santo. Alla domenica il Mattutino perde fino a Pasqua l'Inno Ambrosiano Te Deum laudamus. Al termine del Sacrificio il diacono non scioglierà più l'assemblea dei fedeli con le parole Ite, missa est; ma solo li inviterà a continuare la loro preghiera in silenzio, benedicendo il Dio della misericordia che, malgrado le nostre iniquità, non ci ha rigettati da lui.
Dopo il Graduale della Messa, in luogo dell'Alleluia, che si ripeterà tre volte per disporre i nostri cuori ad aprirsi per ascoltare la voce stessa del Signore nella lettura del suo Vangelo, sentiremo l'emozionante melodia del Tratto, il quale esprime il linguaggio del pentimento, della supplica incessante e dell'umile confidenza, che ci devono essere abituali in questi giorni.

Altri riti liturgici.
Pare che la Chiesa si preoccupi d'avvertire anche i nostri occhi, che il tempo in cui entriamo è un tempo di dolore. Difatti, il violaceo sarà il colore abituale, quando non vi sarà un Santo da festeggiare. Fino al Mercoledì delle Ceneri il diacono e il suddiacono continueranno a indossare la dalmatica e la tunica; ma a partire da questo giorno deporranno questi abiti di gioia, e aspetteranno che l'austera Quarantena ispiri alla Chiesa come esprimere ancora più la sua tristezza, eliminando tutto ciò che potrebbe minimamente risentire di quello splendore, di cui in altro tempo ama circondare i suoi altari.


da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 417-420

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.