Circa la professione di fede promossa dai 3+2 vescovi
Lo scorso 31 dicembre, tre vescovi kazaki, della diocesi di Astana, i monss. Tomash Peta, Jan Pawel Lenga, Athanasius Schneider, hanno sottoscritto una solenne professione di fede circa l’insegnamento tradizionale della Chiesa riguardo al divieto di accesso dei divorziati risposati al Sacramento dell’Eucaristia (cfr. Kazakhstan Bishops Call Communion for Remarried “Alien to the Entire Tradition of the Catholic and Apostolic Faith”, inOnepeterfive, Jan. 1st, 2018; D. Montagna, Three bishops call Pope’s reading of Amoris Laetitia ‘alien’ to Catholic faith, in Lifesitenews, Jan. 2nd, 2018; Full text of Kazakhstan Catholic Bishops statement on Amoris Laetitia, ivi; I vescovi Tomash Peta, Jan Pawel Lenga, Athanasius Schneider: Professione delle verità immutabili riguardo al matrimonio sacramentale, in Corrispondenza romana, 2.1.2018; Pubblica Professione di fede dei tre vescovi del Kazakhstan sul matrimonio sacramentale, in Chiesa e postconcilio, 2.1.2018;Professione delle verità immutabili riguardo al matrimonio sacramentale, in Riscossa cristiana, 2.1.2018; ).
Una professione di fede quantomeno opportuna, vista la recente pubblicazione, sugli Acta Apostolicae Sedis, della nota missiva di adesione del Vescovo di Roma ai Criteri – di accesso alla Comunione – elaborati dai vescovi della regione ecclesiastica di Buenos Aires ed al rescritto del Segretario di Stato, card. Parolin, su cui abbiamo avuto modo di intervenire in altra occasione (v. qui) e che è stata condivisa dal prof. De Mattei – e di ciò lo ringraziamo pubblicamente (cfr. R. De Mattei, De Mattei: A Response to Edward Peters on the Buenos Aires Letter & Authentic Magisterium, in Onepeterfive, Dec. 19, 2017; De Mattei risponde a Edward Peters sulla lettera di Buenos Aires e il magistero autentico, inCorrispondenza romana, 28.12.2017, nonché in Chiesa e postconcilio, 28.12.2017).
Da parte nostra si è sostenuto, non senza argomentazioni giuridico-canoniche, che quei documenti fossero da ritenersi “magisteriali” non in quanto provenienti dalla Chiesa e, quindi, ascrivibili a giusto titolo nell’ambito della Tradizione bimillenaria della Chiesa, ma in quanto chiara, pubblica ufficializzazione dell’avvenuto mutamento dottrinale - riteniamo abusivo – compiuto dal Vescovo di Roma; ufficializzazione, che, pensiamo, non possa essere minimizzata e ridotta quasi ad una trascurabile opinione di un privato dottore (cfr. Bugie e fango sugli Acta Apostolicae Sedis, ivi, 29.12.2017). Non si veda in quest’opposizione chissà quale dietrologia (cfr. M. Faggioli, The opposition to Pope Francis is not really about ‘Amoris Laetitia’, in La Croix, Dec. 29, 2017). No, è solo una questione di verità evangelica, che va riaffermata e ribadita in quest’epoca nella quale essa viene messa in dubbio.
Se prima della pubblicazione sugli Acta ci potessero essere dubbi interpretativi circa la natura della missiva del vescovo di Roma, che riteneva l’interpretazione dell’accesso graduale dei divorziati risposati alla Comunione così come elaborata dai vescovi argentini come unica possibile (il che poneva termine a diverse ed altre interpretazioni, magari più aderenti alla Tradizione della Chiesa per la quale il divieto è assoluto e non temperato in alcun modo e neppure dall’eventuale colpa/discolpa di alcuno dei coniugi), oggi alcun dubbio può sussistere al riguardo. La pubblicazione costituisce un’indubbia ufficializzazione e, potremmo dire, “solennizzazione” dell’avvenuto mutamento dottrinale, di cui, con buona pace di alcuni autori, forse è il caso che si prenda atto per trarne le giuste conseguenze. Quantomeno per non generare ulteriore confusione, proponendo interpretazioni – peraltro oggi ufficialmente escluse, pure le più bizzarre (tra queste ci piace porre in luce quella decisamente fantasiosa del card. Ouellet, secondo cui, in certi casi, si potrebbe consentire ai divorziati risposati di accostarsi ai Sacramenti, affinché, di fatto, ottengano ... la grazia di non chiederli! cfr. P. Baklinski, Did this Vatican Cardinal flip-flop on Communion for remarried because of Pope Francis?, in Lifesitenews, Oct. 18, 2017), essendo quella degli argentini “l’unica possibile”! – che cerchino di far quadrare un cerchio, affermando che mancherebbe l'intenzione del vescovo di Roma di esercitare l'autorità magisteriale.
Ed il mutamento dottrinale, pensiamo, sia avvenuto non agendo sul can. 915 – norma di carattere generale concernente una serie indistinta di peccatori ostinati – bensì sulla norma speciale e specifica dei divorziati risposati fatta propria dall’insegnamento magisteriale della Chiesa e segnatamente, ad es., dall’esortazione Familiaris Consortio. Per incidens: coloro che negano il valore di “magistero” ad un’esortazione apostolica, in quanto documento pastorale-esortativo, dovrebbero poi spiegare perché l’attribuiscono, invece, allaFamiliaris consortio, visto che anch’essa – quanto a natura del documento adoperato – è un’esortazione apostolica … . A parte questa considerazione, ad ogni modo, dicevamo che il mutamento dottrinale della norma specifica – che deve ritenersi tacitamente abrogata – avrebbe inciso sulle tradizionali condizioni di peccato mortale (materia grave, deliberato consenso e piena avvertenza), e segnatamente sulla piena avvertenza e deliberato consenso, scadendo nell'etica della situazione, in quanto l'ambito delle circostanze attenuanti sarebbe ampliato e reso indeterminato in maniera più o meno occulta (affidandosi, di fatto, al "discernimento" del confessore), tanto da coincidere, nel loro esito pratico, pur non negandosi l'esistenza di una norma oggettivamente valida, con l'etica della situazione. Per questo, e cioè per come è presentata tale novità, essa sarebbe quantomeno favens haeresim(cfr. FAVENS HÆRESIM - L'equivocità magisteriale come deliberata premessa dell'errore, in opportuneimportune, 13.11.2017).
Per cui, sarebbe non realistico non prendere atto che il Vescovo di Roma abbia inteso mutare la dottrina di sempre della Chiesa, traendo le conseguenze teologiche e canoniche che dovrebbero trarsi al riguardo.
In questo contesto si pone l’odierna professione di fede dei vescovi di Astana, confermandosi il Kazakistan come un bastione di fedeltà alla fede di sempre (cfr. E.Barbieri, Il Kazakistan: un bastione di fedeltà nella confusione presente, inCorrispondenza romana, 2.1.2018). In effetti, questa professione – dall’indubbio carattere spiazzante per i vescovi ed in primis per quello dell’Urbe – comporterà che chiunque non vi aderisca dei circa 5.000 vescovi esistenti nel mondo non possa essere considerato cattolico, ponendosi quindi fuori dalla cattolicità. Certo, magari chi non vi aderirà, potrà fregiarsi nominalmente dell’appellativo di cattolico, ma ciò sarà solo una questione nominale, non sostanziale. Per essere sostanzialmente cattolici e, quindi, veri successori degli Apostoli e veri Pastori (e non mercenari), i vescovi, loro malgrado, dovranno aderire e compiere una tale professione.
Come sotto S. Pio X – e per molto tempo dopo di lui – il mancato giuramento antimodernista (per il testo, v. qui) comportava la qualifica di eresia o rendeva quantomeno dubbia l’ortodossia del soggetto (tanto da essere deferito al Tribunale del Sant'Offizio, v. m.p. Sacrorum Antistitum), oggi il prelato che non intenda aderire a questa professione dovrebbe considerarsi sostenitore del mutamento dottrinale, con le implicazioni sopra accennate.
Il discrimen tra vescovo cattolico e sedicente “vescovo” sta oggi in questo. Di qui ben a ragione sono comprensibili le motivazioni degli altri due sottoscrittori, che si sono aggiunti agli originari tre presuli, vale a dire mons. Carlo Maria Viganò e mons. Luigi Negri (cfr. D.Montagna, Former US Nuncio joins statement calling Pope’s reading of Amoris Laetitia‘alien’ to Catholic faith, in Lifesitenews, Jan. 2nd, 2018; D. Hitchens, Five bishops reaffirm traditional teaching on Communion, in Catholic Herald, Jan. 3rd, 2018; Due vescovi italiani aderiscono alla professione di verità sul matrimonio sacramentale, inCorrispondenza romana, 3.1.2018 ed in Chiesa e postconcilio, 2.1.2018;
Possiamo ben comprendere l’irritazione in quelle, un tempo sacre, stanze da parte dell’attuale establishment chiesastico, come ci racconta il giornalista Marco Tosatti (La strategia del Pontefice contro i cinque vescovi coraggiosi, secondo Anonimi della Croce: screditarli. Poi, una coincidenza singolare, in Stilum Curiae, 3.1.2018). Certo però che se quanto afferma il giornalista fosse confermato e cioè al vero che il Vescovo di Roma cercasse con il discredito di “minimizzare” l’iniziativa dei tre+due presuli, crediamo che egli abbia sbagliato strategia, poiché, anche se fossero screditati come persone, rimarrebbe che, senza l’adesione di alcuno degli altri cinquemila e passa vescovi della Chiesa (vescovo di Roma compreso) a quella professione, sarebbero questi ultimi a risultarne screditati, in quanto non aderenti ad una professione di fede integralmente cattolica. Cosicché, come lo fu per il giuramento antimodernista, coloro che non vi aderissero sarebbero semplicemente non cattolici e, quindi, de facto, non più Pastori legittimi dell’Ecclesia Catholica, in quanto eretici ed aderenti ad una chiesa che non sarebbe quella di Cristo. Questa sarebbe la conseguenza.
Per cui, non prendesse sotto gamba quest’eventualità il vescovo di Roma! Potrebbe non aderire alla suddetta professione solo se dimostrasse mediante la Tradizione che sarebbe quella professione ad essere contro il deposito della fede. Ma fino a che non ne sarà dimostrata l’eterodossia alla luce della Tradizione e del magistero bimillenario della Chiesa – cosa che riteniamo impossibile – riteniamo che la mancata adesione alla professione comporterà la qualifica di eretici per i presuli che non la sottoscrivessero.
Un suggerimento estremo dunque ci sentiamo di poterlo dare ai vescovi e cardinali dellaCatholica: sottoscrivetela e rimangiatevi quanto scritto su AL! Meglio passare da ridicoli e macchiette dinanzi al mondo (dicendo “ragazzi, abbiamo scherzato …”), piuttosto che passare, dinanzi alla Chiesa ed a Dio, da eretici ostinati, con ciò che questo comporta!
Del resto, non aveva detto il vescovo di Roma, per il quale - forse - le parole non hanno molto peso, che avrebbe recitato, se glielo avessero chiesto, quanti Credo si volesse (cfr. qui; S. Cernuzio, Francesco in aereo: “Non sono un anticristo o un antipapa. Se volete recito il Credo…”, in Zenit, 22.9.2015; M. Ansaldo, Bergoglio: "Io comunista o antipapa? Se necessario recito il Credo...", in La Repubblica, 23.9.2015??? Bene: reciti allora questa professione di fede. Pubblicamente. E vi aderisca e la sottoscriva. In fondo, è pur sempre un credo ... .
Augustinus Hipponensis
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.