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sabato 24 febbraio 2018

La "chiesa" con la minuscola

SUICIDIO CHIESA MODERNIZZATA


Le due chiese? Modernizzandosi, la Chiesa si vota al suicidio. In essa tutto il bagaglio e il patrimonio della fede viene rivisitato in senso materialista e razionalista:"il Vangelo viene sottoposto a una rilettura radicale" 
di Francesco Lamendola   

 

Il problema è, come osservava Thomas Kuhn nel suo ormai classico La struttura delle rivoluzioni scientifiche, che, quando avviene un cambio di paradigma, i seguaci del nuovo e quelli del vecchio perdono qualsiasi possibilità di dialogare realmente, come se i loro linguaggi fossero divenuti assolutamente estranei e incomprensibili l’uno all’altro. Succede, infatti, che le basi stesse del modo di ragionare di ciascuno dei due, la prospettiva complessiva sul reale, dalla quale essi muovono, sono divenuti radicalmente divergenti e incommensurabili: ciò che l’uno dice è privo di senso per l’altro, e viceversa. Sono soprattutto i seguaci del  nuovo paradigma a manifestare apertamente disprezzo e indifferenza per tutto ciò che reca troppo evidente l’impronta del vecchio; sono specialmente loro a mostrarsi del tutto disinteressati a dialogare. Sono convinti che il progresso sia dalla loro parte e che il futuro, entro poco tempo, darà loro ragione, interamente, su tutta la linea: dunque perché scendere a compromessi con chi ha i giorni contati? A che scopo attardarsi in discussioni di retroguardia, con chi reca su di sé, incombente, la condanna della storia? Chi abbia letto ilDialogo sopra i due massimi sistemi del modo, capirà molto bene quel che intendiamo dire. Perché mai Salviati,  il portavoce della concezione copernicana, dovrebbe fare sconti a Simplicio, il difensore della concezione aristotelica e tolemaica? Perché dovrebbe essere indulgente o generoso verso di lui; per quale ragione dovrebbe prendersi il disturbo di mostrargli un po’ di considerazione, o riconoscergli almeno qualche merito, insomma concedergli la resa con l’onore delle armi? La vittoria totale è a portata di mano: e a chi sta per pigliare tutto non viene neppure in mente di potersi contenere; al contrario, vuole strafare, perché tanto sa di non rischiare nulla e che nessuno gli chiederà conto della sua intransigenza.

Ebbene: forse noi ci troviamo in una situazione molto simile a quella di un cambio di paradigma, e ne stiamo pagando lo scotto: perché, nel cambio, non è detto che vi siano solo guadagni e vantaggi; ci possono essere anche delle perdite, e magari assai gravi, solo che, sul momento, nessuno se ne rende conto, nessuno le calcola come tali e, quindi, nessuno se ne dà la minima preoccupazione. Chi vede certe cose che gli altri non vedono, accecati dallo splendore illusorio del nuovo paradigma (perché non è scritto da nessuna parte che i nuovi paradigmi sono intrinsecamente superiori agli antichi; questo lo dicono i loro esponenti, che però sono parte in causa e quindi non meritano alcun credito particolare), rischia di trovarsi a recitare la scomodissima parte di Cassandra: per quanto si sforzi di segnalare il pericolo e di dare l’allarme, non trova nessuno, ma proprio nessuno, disposto ad ascoltarlo. Non è che gli altri non credano a quella certa cosa; non crederebbero a qualsiasi cosa dicesse, perché tutto quel che può uscire dalla sua bocca, a loro giudizio, non ha più alcun riscontro nella realtà. I progressisti hanno deciso che la tradizione è solo un cumulo di polverose superstizioni, e quindi non sono disposti a prestare la benché minima attenzione a quel che possono voler dire i suoi ultimi, tardivi esponenti.
Il vecchio paradigma, ormai tramontato, è quello cristiano, che, per comodità, possiamo anche chiamare medievale, ma che, in realtà, almeno in ambiente rurale, è rimasto sostanzialmente in vita fino alla prima metà del secolo scorso; il nuovo è quello moderno, anche se, negli ultimi anni, per una estrema raffinatezza di malizia, ama descriversi come post-moderno, volendo dare a intendere che non è più lo stesso, che si è evoluto, che è qualcosa d’altro; ma non è che un concentrato di tutte le caratteristiche più specifiche della modernità, soltanto rivestito con una patina di scetticismo che non contrasta con tutto il resto, che non lo mette veramente in crisi, ma è funzionale alla sua sopravvivenza, sotto spoglie parzialmente mutate. Ora, nel paradigma cristiano, parole come “peccato”, “grazia”, “beatitudine”, “dannazione”, ”angeli”, “diavoli”,  “paradiso”, “inferno”, erano l’espressione di concetti molto precisi, che si stagliavano con estrema evidenza nella mente e nella coscienza delle persone; e questo perché la prospettiva complessiva era quella della fede. Oggi, nel paradigma dominato dalla scienza e della tecnica, le stesse parole non evocano più gli stessi concetti, per cui, se non si pone attenzione al mutamento sopravvenuto, sia di pensiero che di sentimenti, si rischia d’incorrere in grossi abbagli e in pericolosi fraintendimenti. Le parole, infatti, apparentemente sono sempre quelle, ma ciò che esse evocano è del tutto cambiato. Che cosa è successo? È successo che gli uomini moderni hanno deciso di leggere la Bibbia in senso allegorico, perché non sono più capaci di leggerla nel suo significato preciso (che essi chiamano, con una punta di compatimento, “letterale”); e ciò per la buona ragione che il paradigma scientifico non consente loro di incorrere nelle “ingenuità” dei loro antenati. Il cristianesimo non è scomparso e non è scomparsa nemmeno la visone cristiana del reale, ma l’uno e l’altra si sono modernizzati, vale a dire che hanno fatto propri i nuovi modi di sentire e di pensare. E, così facendo, si sono svuotati dall’interno. Non è stato necessario che il cristianesimo venisse abbattuto con la forza, come aveva cercato di fare Diocleziano; è stato più che sufficiente che i cristiani moderni decidessero di mettere le lancette dei loro orologi in accordo con l’ora legale della modernità.
La visione cristiana del reale è rimasta viva fino a che la Chiesa cattolica ha saputo custodirla e trasmetterla fedelmente, il che si è prolungato molto dopo la fine della civiltà cristiana, nel caso dell'Italia fino agli anni '60 del Novecento. Ciò ha comportato, naturalmente, uno scollamento, una divaricazione fra la civiltà moderna e la cultura cattolica, relegata in una posizione sostanzialmente marginale, anche se all'interno di una quadro complessivo di devozione esteriore (battesimi, cresime, matrimoni, frequenza alla  Messa domenicale, ecc.). Sia pure in posizione minoritaria, però, la Chiesa custodiva due cose essenziali: il senso del sacro, della Tradizione, della trascendenza; e il proprio codice morale, ivi compresa la morale sessuale, che era distinto dal codice della società profana, sempre più laico e secolarizzato. Poi, nel 1962, è successo un fatto inaudito: rinunciando alla propria Tradizione, la Chiesa ha voluto modernizzarsi; con la pretesa di "dialogare con il mondo", si è secolarizzata a sua volta: ha fatto propri, dapprima cautamente e implicitamente, poi, come ora vediamo, in maniera sempre più rapida ed esplicita, tutti gli aspetti e tutti i "valori" (o disvalori) della civiltà moderna: dalla libertà religiosa al pluralismo e all'indifferentismo religioso; dal rispetto dei "diritti" civili all'aborto, all'eutanasia, alle unioni di fatto, ai cosiddetti matrimoni fra persone dello stesso sesso; dall'impegno caritativo e assistenziale a forme sempre più decise d'impegno sociale e politico, fino all'abbandono pratico della trascendenza e della verticalità e spiritualità della relazione con Dio, con l'azione sindacale che si sostituisce alla preghiera e con la ricerca della giustizia sociale che si sostituisce alla prospettiva del Regno di Dio, o meglio, con la radicale immanentizzazione di quest'ultimo.
Nella chiesa modernizzata e modernista (perciò  scriviamo "chiesa" con la minuscola) tutto il bagaglio e il patrimonio della fede viene rivisitato in senso materialista e razionalista: il Vangelo viene sottoposto a una rilettura radicale, espungendo tutto ciò che non si accorda con il paradigma moderno o interpretandolo in senso allegorico e figurato. I miracoli, per esempio, non sono più miracoli, ma guarigioni o altre azioni di Gesù Cristo che, nella percezione di quel tempo e nella cultura di quell'epoca, venivano ritenuti miracoli, ma non lo erano. Gesù si adattava a quelle credenze e non le smentiva, per con creare ulteriore disorientamento. Pertanto Gesù non ha eseguito alcun esorcismo, semplicemente perché il diavolo non esiste, ma è - come afferma il gesuita Sosa Abascal - una immagine simbolica del male; però ha simulato di eseguirli, per "accontentare" le richieste della gente, e, probabilmente, ha aiutato la guarigione di persone instabili e psichicamente disturbate. E la sua morte e risurrezione? Qui si arriva al nodo; e i "cattolici" modernizzanti, cioè modernisti, cioè eretici e non cattolici, si stanno disponendo da molto tempo ad affrontarlo, con una meticolosa "preparazione" psicologica e culturale dei fedeli. Si trattava, e si tratta, di portare  la massa dei credenti, un poco alla volta, verso una visione totalmente storicista del cristianesimo, spogliandola di ogni residuo di trascendenza, di sacralità, di divino: per esempio, il fatto di trasformare le chiese da luoghi di preghiera e adorazione a luoghi in cui si offre da mangiare e da dormire ai "poveri" rientra, consapevolmente o no, nella strategia per giungere a questo traguardo finale: eliminare dal cristianesimo quel poco che ancora resta di soprannaturale, di divino. Quanto al mistero supremo, la morte e la risurrezione di Cristo, la strada è stata tracciata dal signor Bergoglio, quando ha affermato, con la massima noncuranza, che la sua morte è un fatto storico, quindi oggettivo e indubitabile, mentre la sua resurrezione è un fatto di fede: laddove la parola "fede" assume, per la prima volta - almeno da parte di un pontefice - una connotazione implicitamente svalutativa rispetto alla "storia", intesa come verità certa e scientifica.Il messaggio in codice di quella frase era: alla storia sono tenuti a credere tutti; alla fede, creda chi può. L'aspetto decisivo della scelta che la Chiesa cattolica ha fatto con il Concilio Vaticano II, imboccando la strada della modernizzazione, non è percepibile di primo acchito, ma rimane, per così dire, in penombra, sullo sfondo. La frase di Bergoglio, la morte di Gesù appartiene alla storia, la sua resurrezione alla fede, non equivale solo a una distinzione e separazione dei due ambiti, quello della cultura laica e quello della cultura cattolica, cosa già, di per sé, devastante e autodistruttiva, perché una chiesa che si pone in questa prospettiva, rinunciando a rivolgersi all'uomo nella sua totalità, segna l'inizio della propria fine; ma vi è dell'altro. La cosa più importante è che, in quella frase, il sottinteso è che le cose vere e certe sono quelle della scienza (e della storia), non quelle delle fede, che sono opinabili e soggettive. Anche se ciò non viene detto apertamente, è implicito, per il fatto che la Chiesa cattolica, dopo il Concilio, ha fatto proprio, un poco alla volta, il punto di vista del mondo, secolarizzando la propria cultura, a cominciare dalla teologia, ma passando anche per la liturgia, la pastorale, eccetera.
Pertanto, le verità del mondo e quelle del Vangelo giacciono su piani differenti: le prime devono essere accettate da tutti, credenti e non credenti; le seconde possono essere credute dai credenti ("possono" e non "devono": il caso del prete torinese che dice, in piena Messa, di non credere al Credo, è solo la punta dell'iceberg), ma solo entro i limiti precisi in cui non confliggono con le seconde. E questo perché, a monte, vi è stato non solo un cedimento, ma una resa vera e propria, esplicita e conclamata, alle "verità" del mondo. La fretta indecente, per esempio, con cui la Chiesa cattolica ha ritenuto di dover riconoscere l'evoluzionismo darwiniano come una verità scientifica (mentre era e resta un teoria, tuttora non universalmente accettata dagli scienziati) nasce dal senso di colpa e dal timore di ripetere l'errore commesso con il processo a Galilei. Ciò ha introiettato nei cattolici l'idea che Galilei aveva ragione e la Chiesa torto (mentre i torti e le ragioni, nella realtà storica, sono assai più sfumati, anche sotto il solo profilo scientifico: Galilei non aveva le prove del modello copernicano) e che, d'ora in poi, se sorgesse un conflitto fra le verità del mondo e quelle del Vangelo, sarà sempre il "mondo" ad aver ragione, anche sul Vangelo stesso. Infatti, è così che i cattolici modernizzanti e progressisti leggono il Vangelo: lo prendono sul serio solo fin dove ciò non urta con i presupposti ed i dogmi del paradigma moderno; ma dove questo accade, ripudiano il Vangelo e invocano il sapere del mondo, si affidano ad esso e non esitano a deridere o denigrare i loro fratelli di fede che restano ancorati alla verità soprannaturale. Hanno sviluppato un forte complesso d'inferiorità nei confronti del mondo, per cui vogliono sempre apparire aggiornati ed al passo coi tempi: dai teologi, ai vescovi, ai sacerdoti, perfino ai frati e alle suore, per non parlare dei laici, dei presbiteri, degli insegnanti di religione cattolica, molti di loro si fanno un vanto di non credere più alla maniera di un tempo, "fideista" e un po' superstiziosa, ma di essere dei cristiani moderni ed emancipati, o “adulti”, come si usa dire dalle loro parti, che non la cedono ad alcuno quanto a visione laica e secolarizzata delle cose.

Modernizzandosi, la Chiesa si vota al suicidio

di Francesco Lamendola

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