Quella Babele argentina che manda in confusione l'intera Chiesa
"No hay otras interpretaciones", non ci sono altre interpretazioni. La più spettacolare "fake news" del pontificato di papa Francesco è in queste quattro parole della lettera da lui scritta il 5 settembre 2016 ai vescovi della regione di Buenos Aires, di approvazione dei loro "Criteri" riguardo alla comunione ai divorziati risposati.
Non c'è niente, infatti, di più lontano dalla realtà di quelle quattro parole, se appena si guarda alla varietà di interpretazioni contrastanti di "Amoris laetitia" che ormai hanno libero corso nella Chiesa cattolica, tra nazione e nazione, tra diocesi e diocesi, tra parrocchia e parrocchia, rivendicando ciascuna la propria perfetta conformità al cruciale capitolo ottavo di quell'esortazione postsinodale.
È convinzione di papa Francesco che questa varietà di posizioni sia solo di tipo "pastorale", senza intaccare in nulla la dottrina. Il matrimonio resta indissolubile e l'adulterio non può essere mai giustificato; e su questo il papa non ammette che si esprimano dubbi.
Ma la realtà dice l'opposto. Anzi, è proprio l'interpretazione di "Amoris laetitia" data dai vescovi argentini e ufficializzata da papa Francesco che finisce col demolire ancora di più la dottrina cattolica del matrimonio.
È ciò che argomenta il teologo benedettino Giulio Meiattini, dell'Abbazia della Madonna della Scala a Noci, docente alla Facoltà teologica della Puglia e al Pontificio ateneo Sant'Anselmo di Roma, in questo suo libro uscito pochi giorni fa:
Un estratto di un capitolo di questo libro è riprodotto qui sotto. E mette in luce i radicali capovolgimenti di dottrina insiti nel documento dei vescovi argentini approvato dal papa.
La distorsione più grave indotta da tale documento, ma già, in origine, dal capitolo ottavo di "Amoris laetitia" – sostiene Meiattini –, è l'abbandono del "fondamento sacramentale" della morale relativa al matrimonio cristiano. "Sembra che in quel capitolo tutto scaturisca da un’etica generale della legge naturale". Per questo il sottotitolo del libro è: “I sacramenti ridotti a morale”.
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"AMORIS LAETITIA" È CONFUSA. E IL DOCUMENTO DEI VESCOVI ARGENTINI LA CONFONDE ANCORA DI PIÙ
di Giulio Meiattini OSB
I dieci "Criteri" promulgati dai vescovi della circoscrizione di Buenos Aires danno indicazioni su come comportarsi relativamente alla "situazione di qualche divorziato che vive una nuova unione", senza specificare se la nuova unione sia quella di un matrimonio civile a tutti gli effetti o una semplice convivenza o una unione di fatto.
E qui subito ci troviamo dinanzi a una imprecisione di fondo proprio nel testo che dovrebbe dissipare le ambiguità di "Amoris laetitia". Questa infatti si riferisce ai "battezzati che sono divorziati e risposati civilmente", dunque a una categoria ben precisa, mentre qui una persona potrebbe aver divorziato da un matrimonio civile e poi ancora da un altro matrimonio anche sacramentale e poi trovarsi attualmente in una unione di fatto, e rientrare ugualmente nel novero delle situazioni alle quali si riferiscono i "Criteri" per l’eventuale accesso ai sacramenti.
Al n. 5 del documento si legge: "Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, in particolare quando entrambi sono cristiani con un cammino di fede, si può proporre l’impegno di vivere la continenza sessuale".
Sottolineo il "si può proporre". Dunque non solo è facoltativa la continenza, ridotta da esigenza a proposta, ma è facoltativo anche per il sacerdote presentarla come tale. Stando alle parole del testo, il confessore potrebbe anche non proporre la continenza, per un qualche motivo non specificato, passando direttamente all’assoluzione.
Le conseguenze sul piano pratico sono radicali. È possibile, infatti, che anche il semplice tentativo di incoraggiare il proposito sia scavalcato, senza essere preso neppure in considerazione. La domanda che sorge è se il penitente debba almeno essere messo al corrente che egli quel proposito dovrebbe tentare di configurarlo, per esprimere se non altro un inizio di pentimento. Altrimenti, in assenza di questo pentimento-proposito, l’assoluzione non è valida e il peccato rimane. Siamo sicuri che la dottrina non è cambiata?
L’obiezione si rafforza se passiamo al n. 6 del documento, dove si parla di "altre circostanze più complesse", non specificate, nelle quali "l’opzione [della continenza] appena menzionata può di fatto non essere percorribile".
Ciò significa liquidare del tutto il pentimento-proposito come condizione dell’assoluzione. Dunque, dopo aver presentato come facoltativa la proposta di fare il proposito di continenza, si elimina di fatto anche il proposito stesso. Il che è perfettamente conseguente, in questo tipo di logica non teologica.
Affermare, infine, che i sacramenti della penitenza e della eucaristia "disporranno la persona a continuare il processo di maturazione e a crescere con la forza della grazia", anche senza proposito e dunque senza pentimento, mi induce ad affermare che questi "criteri" non concordano con l’insegnamento del Concilio di Trento e la dottrina del Catechismo della Chiesa cattolica sul sacramento della penitenza.
Degno di nota è poi il fatto che la parola “scandalo”, usata una volta al n. 8, è riferita non a quello procurato dai fedeli che vivono un’unione irregolare, ma alle "ingiustizie" che eventualmente un coniuge può aver esercitato verso l’altro provocando la separazione.
Questo particolare può essere utile per comprendere tutte le implicazioni racchiuse nel successivo n. 9, dove si afferma: "Può essere opportuno che un eventuale accesso ai sacramenti si realizzi in modo riservato, soprattutto quando si possano ipotizzare situazioni di disaccordo".
Si tratta di un punto importante, perché di fatto viene suggerito che la comunione eucaristica per queste persone può avvenire anche in modo a tutti noto, non in modo riservato.
Questa affermazione rende di fatto facoltativa la via della riservatezza e dunque permette a coloro che vivono in palese e oggettivo adulterio di accostarsi pubblicamente alla comunione sacramentale. Naturalmente non v'è nessun accenno a una qualche forma penitenziale visibile, sia pur minima e blanda, come per esempio è in uso nelle Chiese ortodosse per chi accede alle seconde nozze.
Si capisce che quella qui indicata dai "Criteri" non è la via del foro interno in senso proprio, la quale, nel caso specifico, richiederebbe che l’accesso alla comunione eucaristica avvenisse in modo da non arrecare scandalo o confusione nei fedeli, in modo cioè da non far credere loro che non ci sia più differenza fra unione legittima e adulterio.
I "Criteri", invece, contemplano la possibilità di superare anche questa ultima forma di riservatezza per coloro che vivono in condizione oggettiva di adulterio. Non solo, ma subito aggiungono: "Non bisogna smettere di accompagnare la comunità per aiutarla a crescere in spirito di comprensione e di accoglienza". È chiaro il concetto: è la comunità che ha bisogno di essere accompagnata e convertita, è lei che deve abituarsi ad accogliere come "normali" questi nuovi comportamenti, fino a poco tempo fa moralmente ed ecclesialmente non accettabili. Difficile negare che qui avviene un vero e proprio ribaltamento: non dev’essere chi vive in situazione di oggettivo scandalo a cambiare o a comunicarsi in via riservata, previa assoluzione, lì dove non è nota la sua condizione irregolare, ma è la comunità ecclesiale che deve essere capace di non "scandalizzarsi" più.
In questa cornice, la frase finale del n. 9, con cui si esorta a "non creare confusioni a proposito dell’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio", suona quasi come una battuta di spirito fuori luogo. Se la prassi ammette che chi vive un’unione oggettiva di adulterio si possa accostare "coram populo" alla comunione eucaristica, senza neanche premettere un gesto ecclesialmente riconosciuto di pentimento per un peccato pubblico, l’indissolubilità e l’unicità del matrimonio cristiano diventano un semplice ectoplasma. Perché è quello che si fa che conta, non quello che si dice! E la forza dei comportamenti sta proprio nel loro conformare e plasmare il pensare, il sentire e il vivere.
In questo caso, la realtà è davvero più importante dell’idea, e la realtà è che nel pensare e sentire comune si instaurerà ben presto l’equiparazione pratica fra regolare e irregolare, fra matrimonio indissolubile e matrimonio "solubile".
Non vi sarà più nessun marcatore visibile a distinguere davanti alla comunità i coniugi fedeli che si accostano alla comunione da quelli adulteri che fanno lo stesso. E in questa assuefazione priva di "disaccordi" scomparirà forse la reazione scandalizzata , cioè lo scandalo psicologico, e si affermerà lo scandalo oggettivo: la percezione della normalità dell’adulterio pubblico.
È questa la conseguenza di una sottovalutazione della dimensione visibile e sacramentale a favore di un discernimento puramente morale.
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