ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 20 febbraio 2018

Per il peccato di una nazione

Avvertimenti della Madonna di Fatima sulla nostra responsabilità nell’eleggere i politici.

Nella biografia di Suor Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato di Maria, come si chiamò da monaca la pastorella che vide la Madonna nel 1917 a Fatima e poi nel corso di tutta la sua lunga vita, redatta dal Carmelo di Coimbra, è riportata questa affermazione: “Per il peccato di un singolo individuo paga la persona che ne è responsabile, ma per il peccato di una nazione paga tutto il popolo. Perché i governanti che promulgano leggi inique lo fanno in nome del popolo che li ha eletti.”

Riferiscono le sue consorelle che Suor Lucia era sempre molto “misurata nelle parole riguardanti il messaggio di Fatima e soprattutto nel dare interpretazioni personali”, ma quella frase le scappò detta quasi suo malgrado.
E non potrebbe essere diversamente da così, perché nell’eleggere i nostri governanti siamo portati a scegliere secondo una prospettiva di vantaggi materiali o per compiacenze ideologiche troppo spesso in contrasto con i diritti di Dio.
Molti di noi finora hanno votato persone e partiti secondo logiche umane, seppur rispettabilissime, con molta faciloneria e senza valutarne le ricadute non solo economiche ma anche e soprattutto etiche.
Ed è inutile negare che qualcosa evidentemente abbiamo sbagliato, fosse anche non averne avvertito i fratelli, se oggi ci troviamo in una situazione politico-economica al bivio di un disastro abissale da cui, se vi cadessimo, probabilmente sarebbe quasi impossibile riemergere.
Da cattolici non possiamo esimerci dal mettere in campo tutti i mezzi che abbiamo a disposizione per arginare uno stato di fatto che è già catastrofico in partenza, scongiurando di pagarne pesantissime conseguenze personali. Ma, quel che è peggio, dovremmo risponderne non solo alle generazioni future ma soprattutto a Dio.
Lo scenario che ci si para dinnanzi è da tragedia socio-politica ed economica senza precedenti nella storia della nostra Nazione, con la certezza che, se si avverasse, produrrebbe una disperazione endemica e un conseguente svilimento dei principi etici fondamentali, con ricadute sulla fede di molti.
Voltandoci indietro a guardare la nostra storia di Paese cattolico e facendo memoria di come abbiamo superato altri momenti di grandissimo pericolo per l’incolumità delle nostre vite, possiamo star certi che ogniqualvolta ci siamo rivolti a Colui a cui nulla è impossibile, invocando l’intercessione della Madre di Cristo, il pericolo è stato scampato.
Sono ancora presenti nel nostro territorio le innumerevoli testimonianze di calamità naturali, malattie o invasioni nemiche che sono state fermate con quella che da sempre è stata considerata una delle armi più potenti che si possano sfoderare: il ricorso a Maria Santissima con la preghiera del Rosario.
Quindi dobbiamo allertarci per dar battaglia contro forze umanamente sovrastanti e apparentemente invincibili, ma che la fede sa che possono essere sconfitte con la nostra accorata preghiera.
Un tempo si mettevano in campo anche penitenze e digiuni, processioni e sante messe, e nulla ci vieta di ripetere quelle pie opere, ma ciò che tutti coloro che si definiscono credenti possono fare con il solo impegno di qualche decina di minuti al giorno, all’ora in cui ciascuno è disponibile, è la recita del Rosario per chiedere a Dio, mediante la Beata Vergine Maria, di ispirarci un voto giusto e di salvaguardare in futuro l’Italia da un’iniqua disfatta.
Se in pochi o tanti – come si spera – ci impegneremo  a pregare in unione spirituale con tali intenzioni per nove giorni, dal 23 febbraio al 3 marzo prossimi, potremo sperimentare quanto sia vera l’antichissima e sempre attuale preghiera di S. Bernardo di Chiaravalle, con la cui invocazione potremo terminare la recita:
Memorare, piissima Virgo Maria, non esse auditum a saeculo quemquam ad tua currentem praesidia, tua implorantem auxilia, tua petentem suffragiaesse derelictum. Ego, tali animatus confidentia, ad te, Virgo virginum Mater, curro; ad te venio, coram te gemens, peccator, assisto.
Noli, Mater Verbi, verba mea despicere, 
sed audi propitia et exaudi.
Amen
Ricordati, o piissima Vergine Maria, che non si è mai udito al mondo che alcuno sia ricorso alla tua protezione, abbia implorato il tuo aiuto, abbia chiesto il tuo soccorso e sia stato abbandonato. Animato da tale fiducia a te ricorro, o Madre, Vergine delle vergini; a te vengo, dinnanzi a te mi prostro, peccatore pentito.
Non volere, o Madre del verbo, disprezzare le mie preghiere, ma ascoltami benevola ed esaudiscimi.
Amen

Paola de Lillo
Con Dio e con Cesare. Quando papa Francesco concorda con Xi Jinping

Caro Magister,
ho letto con molto interesse le riflessioni sulla "opzione Benedetto" e il concetto di "krisis" in ordine al rapporto tra comunità cristiana e mondo.
Condivido le analisi e le considerazioni del prof. Leonardo Lugaresi. Eppure non posso non pensare che, specialmente nel contesto ecclesiastico attuale, il concetto di "krisis" e l'immagine ratzingeriana della "minoranza creativa" vengano recepiti come una forma aristocratica ed intellettualistica, lontana dalla vita della gente, sostanzialmente fredda e gratuitamente ostile.
È questa, dopotutto, la presentazione che ne fa il papa regnante. Inutile girarci intorno.
Mi permetto allora di proporre un punto di vista che potrebbe far apprezzare meglio l'estrema concretezza ed attualità del concetto di "krisis".
Penso al fenomeno del potere. Noi siamo soliti considerare il potere mettendolo in relazione con l'obbedienza. E l'obbedienza caratterizza senz'altro la relazione di potere: ne mette in luce l'aspetto esecutivo, dell'efficacia.
Ma a questo aspetto ne è correlato un altro: quello ontologico dell'appartenenza. In una certa misura, in maniera più o meno intensa, più o meno strutturata, più o meno partecipe, l'obbedienza rimanda, sotto l'aspetto affettivo e simbolico, ad una forma di appartenenza rispetto a chi ordina.
Questa dimensione ontologica dell'appartenenza viene messa straordinariamente in luce da Gesù nel suo celebre: "Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" (Mt 22,21).
Solitamente questa sentenza viene inquadrata nella questione della legittimità del tributo da pagare. Ma questa è una prospettiva angusta, che Gesù stesso nella sua risposta trascende.
La questione di fondo è quella dell'obbedienza al potere politico. E d'altra parte, che sia così, è confermato dagli stessi interlocutori di Gesù che, seppur in maniera ipocrita e per trarlo in trappola, premettono: "Sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?" (Mt 22, 16-17).
La risposta di Gesù si muove proprio sul piano della dimensione ontologica del potere: quello dell'appartenenza. Considera a tal proposito Benedetto XVI:
"Gesù risponde con un sorprendente realismo politico, collegato con il teocentrismo della tradizione profetica. Il tributo a Cesare va pagato, perché l’immagine sulla moneta è la sua; ma l’uomo, ogni uomo, porta in sé un’altra immagine, quella di Dio, e pertanto è a Lui, e a Lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza".
Molte sarebbero le considerazioni che si potrebbero trarre dal "realismo" di Gesù. Non ultima l'implicita considerazione del carattere assolutamente non ineluttabile del monopolio politico della moneta: se tutti restituissero la moneta con l'immagine di Cesare a Cesare la sua funzione di scambio verrebbe meno e, quindi, anche il suo valore. Il potere umano, anche il più supremo, non è mai assoluto, ma dipende in qualche modo dal riconoscimento degli altri uomini. A differenza di quello di Dio.
Ebbene, solitamente si degrada la suddetta sentenza di Gesù a una sorta di criterio di delimitazione di competenza tra gli affari di Dio e quelli di Cesare. Quanto di più distorcente ed insipiente.
La sentenza di Gesù non si presta a questa funzione. Ma, in maniera molto più radicale, inserisce una interiore tensione critica nel potere umano, che era estranea al mondo pagano. Mondo pagano che conosceva anch'esso la problematica dimensione ontologica del potere: alla luce di essa  possiamo leggere la filosofia platonica, incentrata sulla necessaria ricerca della virtù dei governanti e sul loro ruolo pedagogico. Ma anch'essa, alla fine, falliva nella realizzazione pratica e rimaneva comunque chiusa nel mondo e nella sua pretesa assolutezza, non avendo l'uomo pagano un Dio creatore al quale ricondurre la propria appartenenza.
Aggiungo che è proprio lo svanire di questa interna tensione critica alimentata dal cristianesimo che, a mio giudizio, mette in crisi i valori umanitari e liberali delle nostre società sempre più agnostiche. Tale tensione critica costituisce infatti un presidio interiore e spirituale contro gli abusi del potere il cui venir meno non può essere sostituito da alcuna costituzione scritta e da alcuna tecnica giuridica.
Ma non fermiamoci al potere politico. Questa "krisis" coinvolge anche l'autorità familiare. Sotto questo aspetto vengono in mente le parole di Gesù riferite ai discepoli mentre è in cammino verso Gerusalemme, dove lo attende la morte in croce:
"Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D'ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera" (Lc 12, 51-53).
Questa "krisis" è riconducibile in definitiva allo stesso cuore del battezzato. E sotto questo aspetto viene in mente la divisione interiore tra "uomo vecchio" e "uomo nuovo":
"Dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera" (Ef. 4, 22-24).
E, come sappiamo bene, in questo mondo il passaggio dall'uomo vecchio all'uomo nuovo non è mai compiuto col sigillo della definitività.
Purtroppo, però, papa Francesco tende a leggere questa dinamica dell'uomo nuovo, che è poi quella della "imitatio Christi", come una forma donatista di rigidità. Di qui deriva, a mio parere, anche il disconoscimento della specificità del ruolo della Chiesa cattolica e del valore della sua autonomia rispetto ai poteri del mondo.
Sotto questo aspetto è molto interessante prendere in considerazione la lettura che papa Francesco ha dato della sentenza di Gesù che prescrive di rendere a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
Papa Francesco deduce che:
1. "pagare le tasse è un atto dovuto per sentirsi cittadini";
2. "il cristiano è chiamato a impegnarsi concretamente nelle realtà umane e sociali senza contrapporre 'Dio' e 'Cesare', ma illuminando le realtà terrene con la luce che viene da Dio";
3. "è giusto sentirsi cittadini di uno Stato, ma siamo immagine di Dio";
4. "contrapporre Dio e Cesare è un atteggiamento fondamentalista".
L'interpretazione di papa Francesco, incentrata sul collegamento tra pagamento delle tasse e cittadinanza, è inaccettabile. Un simile collegamento non può di certo essere riconducibile alle parole di Gesù: le tasse dei giudei finivano nelle tasche di un dominatore straniero.
Certo, alla luce delle considerazioni papali non sorprende la sintonia della Santa Sede con il governo cinese. Il presidente Xi Jinping, l'"imperatore frugale" che lotta contro la corruzione, sottoscriverebbe senz'altro la frase "contrapporre Dio e Cesare è un atteggiamento fondamentalista". E con lui molti altri dittatori illuminati, del presente e del passato.
Il fatto è che l'attuale politica vaticana, acquiescente se non proprio solidale con tanti piccoli e grandi Cesari dei nostri giorni, è coerente con una spiritualità priva della consapevolezza di quella "krisis" che dovrebbe informare il tanto decantato "discernimento". Una "krisis", un pungolo critico, insieme interiore e pubblico, estromesso, insieme alla difesa dell'autonomia della Chiesa, in nome della pace e del benessere del mondo.
Scrive Benedetto XVI:
"Il tentatore non è così rozzo da proporci direttamente di adorare il diavolo. Ci propone soltanto di deciderci per ciò che è razionale, per la priorità di un mondo pianificato e organizzato, in cui Dio, come questione privata, può avere un suo posto, ma non deve interferire nei nostri propositi essenziali.  Solov'ëv attribuisce all'Anticristo un libro, 'La via aperta alla pace e al benessere del mondo', che diventa per così dire la nuova Bibbia e ha come contenuto essenziale l'adorazione del benessere e della pianificazione razionale" (Benedetto XVI, "Gesù di Nazaret", Rizzoli, Milano, 2007, pp. 64-65).
Riflessioni molto attuali.
Antonio Caragliu
Trieste, 20 febbraio 2018

Settimo Cielo di Sandro Magister 20 feb 

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