ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 26 giugno 2018

La subdola strategia

LA BUSSOLA C'E': IL MAGISTERO


Abbiamo bisogno di una bussola e la bussola c’è. Come fanno i credenti a possedere gli strumenti per discernere il vero Magistero da quello non vero? L'azione coordinata di Benedetto XVI e Francesco per scardinare la tradizione 
di Francesco Lamendola  

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Abbiamo sostenuto, nel precedente articolo Sì, ma quale Chiesa? (pubblicato sul sito della Accademia Nuova Italia il 25/06/2018), che ogni credente è provocato, oggi, dalle circostanze eccezionali nelle quali ci troviamo, a domandarsi quanto di cattolico, e cioè di autentico e veritiero, vi sia nella Chiesa, e quanto non appartenga al vero Magistero, ma sia frutto di errori e di eresie di stampo modernista, i quali rappresentano un grave pericolo per le anime e per la stessa purezza della fede in Gesù Cristo. È chiaro che molte persone non possiedono una vera preparazione teologica e ignorano perfino alcuni aspetti essenziali della dottrina, cosa che fino al Concilio non accadeva, perché, ai tempi del tanto deprecato (dai progressisti) Catechismo di san Pio X, le cose erano chiare e tutti gli aspetti della fede cattolica, anche i più ardui dal punto di vista razionale, venivano esposti, e fatti imparare, in una maniera straordinariamente piana ed evidente, tale da non lasciare adito a dubbi d’interpretazione. 

Tutto il contrario di Amoris laetitia, documento talmente contorto che il signor Bergoglio non ha osato farlo includere negli Acta Apostolicae Sedis, ma vi ha fatto includere, in compenso, la interpretazione che di essa ha dato il clero argentino: come se il clero di questa o quella parte del mondo possa decidere su questioni di fede che riguardano la Chiesa nella sua interezza; e lo stesso errore sta egli ripetendo, con le diocesi tedesche, riguardo al controverso tema della comunione ai protestanti coniugati con un cattolico. Invitando i vescovi tedeschi a mettersi d’accordo fra di loro, egli mostra il più sovrano disprezzo per il Magistero, così come la Chiesa lo ha sempre inteso: traduzione chiara e inequivocabile del Deposto della fede, e mai e poi mai frutto di mediazioni, discussioni e compromessi fra questa o quella chiesa locale, e meno ancora all’interno di essa. In altri termini, la verità del cattolicesimo è una, e tale deve essere ritenuta da tutti i cattolici, un miliardo e duecentottanta milioni di persone; e non è il risultato di un sondaggio d’opinione, o di una serie di incontri fra i membri delle Conferenze episcopali; non può essere nemmeno il risultato dei lavori di un Concilio ecumenico (come nel caso del Vaticano II), se non vi è, in quel concilio, una perfetta e non ambigua fedeltà al Magistero perenne, al Magistero di sempre. Diversamente, ci si trova in presenza non di autentico Magistero, e perciò di decisioni tutte umane, non divinamente ispirate, e che non impegna assolutamente la fede dei credenti, anzi, al contrario, i credenti se ne devono guardare.
Ma qui sta il punto; come fanno, i semplici credenti, a possedere gli strumenti per discernere il vero Magistero da quello non vero? Se fossimo in vena di scherzare (ma non lo siamo, perché la questione è troppo seria), risponderemmo che non è obbligatorio stare con gli occhi e gli orecchi bene aperti; però, se non si ha voglia di farlo, poi non ci deve lamentare se si torna a casa alleggeriti del portafogli; oppure che si può benissimo credere a quel che dicono i giornali e i telegiornali, ma poi non deve stupire se ci si riduce nella condizione di miseri zimbelli, ignari e passivi, nelle mani del potere politico e soprattutto finanziario, sempre più invadente e arrogante. Qui, infatti, non stiamo parlando di cose umane; stiamo parlando della vita divina che si realizza nell’anima, per effetto dell’azione della Grazia; e quindi abbiamo il dovere di vigilare affinché l’azione della Grazia non sia resa impossibile, o meglio, affinché non sia vanificata (perché la Grazia ci viene sempre donata, siamo noi che non la sappiamo accogliere), il che richiede, oltre alla fede, una conoscenza sufficientemente seria dei suoi contenuti, sì da poter riconoscere ciò che viene da Cristo e ciò che viene da qualche altra parte. Non si pretende che tutti i cattolici si mettano a studiare teologia; è necessario, però, che tutti si rendano conto che, per credere da persone adulte, ci vuole una base, sia pur minima, di dottrina; checché ne dica il signor Bergoglio, il quale sembra considerare la dottrina una cosa brutta, per lo meno se crea divisioni. Come se Gesù non avesse detto di Sé: Non crediate che io sia venuto a portare la pace, ma una spada; e ancora: metterò due contro tre e tre contro due; il padre contro il figlio e il figlio contro il padre.
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Due papi con un solo obbiettivo: scardinare la Tradizione
Un tentativo di rispondere alla domanda del “come” riconoscer la vera dottrina cattolica è venuto dalla giornata di studio che il 23 giugno 2018 la Fondazione Lepanto, con il professor Roberto De Mattei, e il settimanale informatico Corrispondenza Romana, ha dedicato al tema Vecchio e nuovo modernismo: radici nella crisi della Chiesa. I due siti direttamente interessati, ma anche altri siti cattolici (per esempio, Acta Apostaticae Sedis), ne hanno parlato ampiamente; noi ci limitiamo, per ora, a evidenziare tre passaggi di altrettanti relatori, che ci sono parsi particolarmente stimolanti: uno del professor Joseph Shaw, britannico, presidente della Latin Mass Società (Società della Messa in latino), uno del professor Enrico Maria Radaelli, discepolo e continuatore del pensiero dell’illustre filosofo e teologo Romano Amerio (l’autore dell’imprescindibile Iota unum), ed uno della dottoressa Maria Guarini, responsabile del sito Chiesa e postconcilio, che probabilmente molti buoni cattolici già conoscono e apprezzano.
Nel primo passaggio, fra le altre cose, il professor Shaw ha affermato:
Ora nella stessa Chiesa cattolica facciamo la massima attenzione a mantenere ciò che è stato creduto ovunque, sempre e da tutti …. Ci atterremo alla regola se seguiamo l’universalità, l’antichità, il consenso. Seguiremo l’universalità se riconosciamo che la fede, che tutta la Chiesa nel mondo confessa, è vera; l’antichità, se non ci allontaniamo in alcun modo delle interpretazioni che chiaramente i nostri antenati e padri hanno proclamato; consenso, se nell’antichità stessa continuiamo a seguire le definizioni di tutti, o quasi tutti, vescovi e dottori allo stesso modo …
Cosa farà il cristiano cattolico, se una piccola parte della Chiesa si è staccata dalla comunione della Fede universale? … Preferirà la salubrità di tutto il corpo all’arto morboso e corrotto. Ma se un nuovo contagio provasse ad infettare tutta la Chiesa, e non solo una parte di essa? Quindi, si prenderà cura di attenersi all’antichità che non può essere ora fuorviata da alcun inganno di novità. Ma cosa accadrebbe se nell’antichità stessa due o tre uomini, o potrebbe essere una città, o addirittura un’intera provincia, venissero rilevati per errore? Quindi prenderà la massima cura per preferire i decreti degli antichi Consigli generali …. Ma cosa succede se si verifica qualche errore e riguardo a questo non si trova nulla di questo tipo? Quindi deve fare del suo meglio per confrontare le opinioni dei Padri …. E qualunque cosa troverà che è stata approvata e insegnata, non solo da uno o due, ma da tutti ugualmente e con un solo consenso, apertamente, frequentemente e con insistenza, che lo prenda senza la minima esitazione”…”

Nel secondo passaggio, il professor Radaelli, da parte sua, ha detto:
…tutti i Papi che si sono susseguiti sul Trono di Pietro dopo Pio XII hanno compiuto in piena coscienza un secondo peccato, correlato a quello, che è di aver utilizzato appositamente, e non affatto casualmente, ma con un disegno machiavellico, il grado di insegnamento appena inferiore al dogmatico, quello di ‘magistero pastorale’, o ‘ordinario e autentico’, e di averlo utilizzato proprio per le sue due precise caratteristiche:
1), di non essere dogmatico, ossia di non essere punto infallibile e irriformabile, e con ciò di avere la prerogativa di non chiamare in causa Dio, la qual cosa rassicura i suoi utilizzatori sulla propria vita, ben sapendo che non si chiama impunemente Dio a controfirmare una propria asserzione se quell’asserzione non è più che vera (nel pronunciamento dogmatico Dio è chiamato direttamente in causa con l’uso del plurale maiestatico papale, il “Noi” dei due Soggetti: il Soggetto papale e il Soggetto divino);
2), però di essere ancora esigente, di fronte a tutta la Chiesa e a ogni singolo fedele, di una obbedienza forte, qual è in ogni caso quella del ‘religioso ossequio’ di fronte ad affermazioni e insegnamenti che comunemente vengono ritenuti nella Chiesa ‘verità connesse’, ovvero verità direttamente discendenti dal dogma, come in effetti sono sempre state le verità insegnate prima che il Modernismo fosse riuscito a intronizzarsi dove mai avrebbe potuto con mezzi leciti.”

Infine, nel terzo passaggio, la dottoressa Guarini ha osservato:
Oggi appare ben chiaro come tutto l’impianto delle innovazioni e l’apparato concettuale che lo sottende sia fondato, già “in nuce” su un’idea  rivoluzionaria di Chiesa di conio vaticansecondista, che non fa altro che citare all’infinito documenti conciliari e post-conciliari che si richiamano l’un l’altro legittimandosi a vicenda, le cui variazioni – ormai vere e proprie rotture – si fanno sempre più audaci ad ogni tappa successiva, in continuità esclusivamente all’interno del loro nuovo impianto paradigmatico, ma senz’alcun legame, e quindi in discontinuità, col magistero perenne ritenuto obsoleto per definizione. Nel contesto in esame l’innovazione non espressa, ma che è alla radice di tutto, è la collegialità…
(…)  Il nocciolo del problema è che oggi, a partire dal concilio ‘pastorale’, nessun papa si è più pronunciato, né – per come stanno ora le cose – più si pronuncerà ex cathedra (e dunque impegnando l’infallibilità). E ciò anche in virtù del nuovo paradigma di ‘tradizione vivente’ in senso storicista che assegna la facoltà di riformare la Chiesa alla Chiesa del presente, secondo la ratzingeriana ermeneutica della riforma intesa come rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa che cambia ad ogni epoca, commisurata alla cultura del tempo e realizza la lettura del Vangelo sulla base di quest’ultima, anziché viceversa. Per cui, mentre da un lato il card. Burke può dire che l’esortazione “Amoris Laetitia” non è Magistero perché non riafferma l’insegnamento costante della Chiesa e non implica adesione de fide, dall’altro il papa ha potuto decretare la pubblicazione negli Acta Apostolicae Sedis dei criteri interpretativi dell’”Amoris laetitia” dei vescovi argentini e della lettera papale loro indirizzata, spuri rispetto all’insegnamento costante delle chiesa. E così il card. Schönborn può affermare che l’”Amoris laetitia”  è Magistero e come tale va accolta e il credente vi si deve adeguare. A livello individuale una coscienza ben formata sa a Chi deve obbedire. Ma finché non si recupererà la giusta collocazione del soggetto-Chiesa rispetto all’oggetto-tradizione, la confusione continuerà a regnare sovrana con gravi conseguenze per la “salus animarum”.

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Bergoglio mostra il più sovrano disprezzo per il Magistero

Abbiamo bisogno di una bussola: e la bussola c’è

di Francesco Lamendola
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