LA CHIESA DI SAN MARCO
Una brutta storia ha portato la parrocchia di Chiavris ai tristi onori della cronaca nera. Nella notte fra sabato 28 e domenica 29 luglio del 1991 due balordi, forse drogati, forse legati a una setta satanica, due sbandati che già avevano bussato più volte per chiedere, e ottenere, aiuti economici dal parroco monsignor Leandro Comelli (nato a Montegnacco di Cassacco nel 1915 e parroco di San Marco dal 1951), appiccano il fuoco alla canonica, mentre il parroco e la perpetua stanno dormendo. I vigili del fuoco accorrono velocemente e portano fuori i due anziani prima che le fiamme li raggiungano, ma è troppo tardi: hanno respirato le esalazioni dell’incendio e muoiono entrambi. Gli autori del duplice assassinio - perché tale è stato a tutti gli effetti, e non si venga a parlare di disgrazia - un udinese e un fiorentino, vengono presi, processati e condannati a 24 anni sia in assise che in appello, ma la Cassazione riduce la pena a 16: troppo pochi, a parer nostro, per un delitto così odioso e palesemente premeditato. Questa non è bontà, è buonismo: senza contare che se alla Chiesa si addice di essere misericordiosa, purché ci sia il pentimento, beninteso, allo Stato spetta di esercitare la giustizia: due assassini come quelli stavano bene all’ergastolo, dove non avrebbero più potuto fare del male al prossimo.
E per quanto le loro vite sbagliate possano muovere a pietà, e per quanto si possano invocare tutte le attenuanti per l’ambiente degradato in cui erano immersi, resta il fatto che lo Stato non ha il diritto di fare della generosità all’ingrosso sulla pelle dei cittadini: troppe volte abbiamo visto dei delinquenti reiterare gravi reati, e ogni volta ci siamo chiesti come sia stato possibile che fossero tornati così presto in libertà, dopo essersi mostrati socialmente pericolosi. Una domanda che andrebbe rivolta a tutti i magistrati di sinistra che pensano di vendicare le ingiustizie sociali mettendo a piede libero i malfattori, con il nobile intento di dar loro una seconda (e magari anche una terza) possibilità, ma esponendo a gravi pericoli le persone oneste e indifese. Ma questa è solo una nostra riflessione, e vale quel che vale. Nessuno, però, pensi di chiuderci la bocca affermando che il vero cristiano deve perdonare: sì, è verissimo che deve saper perdonare; ma questo non significa che il perdono si sostituisca alla giustizia o che la faccia automaticamente decadere. Al contrario, la giustizia deve fare il suo corso, altrimenti la società opera contro se stessa, e il bisogno di vedere affermata la giustizia, che è nel cuore di ciascuno, e specialmente delle vittime dei reati, o dei loro parenti, rimane amaramente deluso, e genera, a sua volta, rabbia, rancore e disperazione. Il che costituisce una ulteriore ingiustizia e, dal punto di vista cristiano, è un indurre in tentazione proprio chi ha già tanto sofferto. Strano che non se ne accorgano quei neoteologi e quei neopreti che ci tengono tanto a cambiare le parole del Padre nostro perché non piace loro l’espressione: e non c’indurre in tentazione, in quanto vogliono mettere bene in chiaro che non è Dio a indurci in tentazione (ma c’era davvero bisogno di cambiare le parole di una preghiera antichissima, la più importante preghiera del cristiano, come se davvero qualcuno non ne comprendesse l’autentico significato?). Loro, però, con il loro buonismo, non esitano a esporre alla tentazione dell’odio e della disperazione un padre o una madre che, per esempio, hanno avuto la figlia stuprata e uccisa da un balordo, da un drogato, da un violento, e che vedono infliggere all’assassino una pena mitissima, con la prospettiva di trovarselo faccia a strada, per la strada, dopo solo qualche anno, come se niente fosse stato.
Don Leandro Comelli, il parroco assassinato insieme alla perpetua Rosa Cipriani.
Difficile non pensare alla recentissima decisione del signor Bergoglio di cambiare, con un tratto di penna, il paragrafo 2267 del catechismo, quello relativo alla pena di morte, sostenendo che quest’ultima è sempre inammissibile, in qualunque circostanza. Una decisione arbitraria nella forma (definirla irrituale è troppo poco; immaginiamo dove si andrà a finire, una volta creato un simile precedente) e discutibile nella sostanza, visto che né Tommaso d’Aquino, né Caterina da Siena, né altri santi e teologi e papi prima di lui, avevano pensato quel che lui pensa, e che ha voluto imporre d’imperio. La motivazione che ha fornito è, se possibile, ancor più discutibile, così come viene espressa nel paragrafo riformulato:
Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi.
Che cosa c’è che non va, in questo discorso? Tutto. Primo: non si capisce chi è il soggetto di quel per molto tempo il ricorso alla pena di morte… fu ritenuta una risposta adeguata, eccetera. Non dice “la Chiesa”, resta sul generico, e questo per calcolata ambiguità: perché; se il soggetto è la Chiesa, allora appare evidente che la Chiesa, per molto tempo, l’ha pensata così, e dunque ora il signore argentino vuole imporre un pensiero diverso; se il soggetto è la società, allora appare evidente che la Chiesa, secondo lui, deve andare a rimorchio di quello che pensa il mondo, deve adeguarsi ai cambiamenti di mentalità, anche su questioni etiche di grandissima rilevanza. Secondo: la frase oggi è sempre più viva la consapevolezza della dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi, oltre a reiterare l’ambiguità dell’asserzione precedente, cioè non lascia capire chi sia il soggetto del nuovo orientamento, introduce una ulteriore e ancor più grave ambiguità, non di ordine semantico, ma dottrinale. Infatti, che c’entra la dignità della persona con la pena di morte? La pena di morte non lede, di per sé, la dignità della persona umana: questo significa mescolare arbitrariamente un giudizio di ordine morale (ogni persona è dotata di una dignità intrinseca e insopprimibile, il che è vero, specialmente per un cristiano) con un giudizio di ordine giuridico (questa tale persona ha commesso un reato meritevole della pena di morte). Non c’è contraddizione fra il riconoscimento della dignità umana e l’eventuale decisione di comminare legalmente la pena capitale in presenza di delitti particolarmente gravi. Una persona non perde la dignità per il fatto di essere privata della vita: questa è un’idea giusnaturalista, è un’idea liberale, è un’idea moderna, ma non è un’idea cristiana. Santa Caterina da Siena o San Giuseppe Cafasso, che di condannati a morte se ne intendevano (di condannati, cioè di casi umani concreti, non di condanne, cioè di sentenze puramente astratte), forse più del signor Bergoglio, che non ci risulta abbia mai confortato un condannato a morte, non si sono mai sognati di fare una battaglia contro la pena capitale né di convincere la Chiesa a dichiararla illecita sempre e comunque. Al contrario, la sana dottrina cristiana ha sempre insegnato che il peccatore deve pagare il suo debito sia davanti a Dio che davanti alla legge degli uomini, il che, evidentemente, implica che egli si sottoponga alla pena che gli viene infitta, e che la consideri una giusta riparazione per il male che ha fatto. Si rileggano le parole che il buon ladrone, sulla croce, durante l’agonia del nostro Signore, rivolge al suo compagno di sventura, il quale aveva schernito Gesù, dicendogli di salvare se stesso e anche loro due, se davvero era il Cristo (Lc, 23, 40-42): Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male. (…) Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno.
Ora il signore argentino si permette di cambiare il Catechismo a suo talento.
Ma c’è una terza ragione per dire che la nuova formulazione del catechismo sulla pena di morte, voluta dal signore argentino, non riflette la vera dottrina cattolica. Tutto il senso del discorso nasce da una impostazione storicistica della questione: una legge è da ritenersi giusta o ingiusta a seconda del consenso popolare. Ma questo non può essere il modo di ragionare del cristiano, la cui prospettiva non è rivolta alla storia, ma a Dio: e le azioni umane, davanti a Dio, hanno sempre un valore assoluto. Ciò significa che il giudizio su di esse non è soggetto a cambiamento. E ciò vale non solo per la pena di morte, ma per tutto: ad esempio, vale per il giudizio sulla sodomia, che, a parere di molti, sarà l’oggetto di una prossima modifica del catechismo da parte del signore argentino. Siccome oggi c’è un consenso sul fatto che due uomini o due donne possano sposarsi e anche avere dei figli (ma è proprio vero? oppure il consenso lo vorrebbe creare il fuoco incrociato e martellante dei mass-media, tutti controllati dalla élite massonica, globalista e anticristiana?), allora anche la Chiesa dovrà riconoscere come lecite e perfino buone tali unioni. Almeno stando alle premesse e visto come si è regolato costui sulla questione della pena di morte. Ma allora speriamo che il suo gioco diventi chiaro anche a quanti, finora, hanno preferito non vedere e non sapere. Quella del signor Bergoglio, di Paglia e Galantino non è più la Chiesa cattolica; è un’altra cosa, la sua diabolica contraffazione. Si son presi il marchio di fabbrica e vendono merce falsa. Ai cattolici perciò resta un solo dovere di obbedienza: quello verso Dio, non certo verso questa genia scellerata.
Estratto da
XXXIV - Omaggio alle chiese natie: San Marco
di
Francesco Lamendola
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