Il santo Giobbe e la crisi attuale nella Chiesa
La nostra amata Santa Madre Chiesa, provata e ferita come Giobbe. Una riflessione di don Alfredo Maria Morselli.
Da un po’ di giorni mi riecheggiavano in mente le parole di Geremia: “Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare”[1], oppure quelle di Isaia: “Tutta la testa è malata, tutto il cuore langue. Dalla pianta dei piedi alla testa non c’è nulla di sano, ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state ripulite né fasciate”[2], oppure quelle del Salmista “Mentre gli empi si aggirano intorno, emergono i peggiori tra gli uomini”[3], oppure, quando David parla in nome della Chiesa: “Per il tuo sdegno, nella mia carne non c’è nulla di sano, nulla è intatto nelle mie ossa per il mio peccato”[4]…Se anche a San Giovanni Battista – vista la piega che prendevano le cose – venne qualche dubbio (Vi ricordate quando, dal carcere, mandò i suoi discepoli a chiedere a Gesù se il Messia fosse Lui oppure se ne avrebbero dovuto aspettare un altro?), se anche la Madonna una volta chiese “perché” a Gesù… ebbene penso che qualche dubbio possa lecitamente venire anche a me, e che – sempre in spirito di obbedienza e di fede – anch’io possa piamente chiedere a Gesù il “perché” di questa tremenda crisi nella Chiesa. Specialmente dopo il puzzolentissimo campione di terreno estratto dall’impietosa opera di carotatura da parte di Mons. Viganò.
Il tutto mentre gli insopportabili cacciatori di “profeti di sventura” – l’alibi su cui vengono scaricate tutte le colpe – ripetono, come ai tempi di Geremia: “la legge non verrà meno ai sacerdoti, né il consiglio ai saggi, né l’oracolo ai profeti”[5].
Devo confessare che, quando mi è venuto in mente il versetto “Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato qualche superstite, già saremmo come Sòdoma, assomiglieremmo a Gomorra”[6], mi sono persino lamentato: “O buon Dio, più Sodoma di così!, siamo già come Sodoma, ci fa un baffo a noi altri Isaia…”.
Devo dire che però mi ripetevo anche le promesse del Salvatore a San Pietro – promesse non fatte in campagna elettorale -: “Non praevalebunt”.
Ebbene, mentre in tutto questo sconforto mi lamentavo con il Signore, la sua Provvidenza mi ha fatto imbattere in un altro versetto, come se il Signore mi dicesse: “La Bibbia… leggila tutta”.
Le parole ispirate, che la Pietà celeste mi ha messo sotto gli occhi, sono quelle dette da Dio al demonio quando lo sfidava sulla santità di Giobbe: “Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la sua vita[7].
“Ah grazie Signore, certo Giobbe è ancora vivo… le piaghe ricoprono esternamente il corpo, la sua apparenza è repellente, ma dentro questo corpo c’è ancora un’anima, c’è un cuore che batte… i santi, il Cuore della Chiesa: i cuori dei santi nascosti nel Cuore Immacolato di Maria sono il Cuore della Chiesa (perdonatemi il gioco di parole)”.
Giobbe è figura di Gesù Cristo, ma, siccome non c’è un Cristo staccato dalla Chiesa, Giobbe è anche figura della Chiesa stessa (così S. Gregorio Magno[8]). E al demonio può esser lasciata nelle mani la Chiesa – in proporzione dei peccati di una certa epoca, ma mai fino a toglierle la vita.
San Gregorio ci insegna tante cose in proposito:
“…la vigile protezione accompagna il permesso di colpire e la divina disposizione abbandona, custodendolo, il suo eletto; abbandonandolo lo custodisce, mettendo in luce alcun virtù di lui e proteggendone altre. Se infatti avessi abbandonato del tutto Giobbe nelle mani del terribile avversario, che cosa sarebbe stato di quell’uomo? In questa giusta permissione si mescola una certa dose di bontà affinché in un unico e medesimo combattimento, il servo umile tragga profitto dall’oppressione e il nemico superbo soccomba per la permissione concessa.
E così, il santo viene consegnato nelle mani dell’avversario, e insieme viene trattenuto nel cuore del suo protettore. Egli apparteneva a quelle pecore, delle quali la verità nel Vangelo dice: Nessuno le strapperà dalla mia mano[9]; e tuttavia al nemico che lo richiede, viene detto: Eccolo nelle tue mani! Lo stesso uomo nelle mani di Dio lo stesso uomo nelle mani del diavolo! Infatti dicendo: eccolo nelle tue mani, e subito aggiungendo: Soltanto risparmia la sua vita, il buon protettore fa intendere chiaramente che trattiene colui che concede, e dandolo nelle mani non dà colui che, mentre espone, nasconde ai dardi del suo avversario”[10].
Ecco dunque come inquadrare la fase attuale della storia della Chiesa. Adattiamo un po’ le parole di San Gregorio: “Per una giusta permissione (“in ipsa ergo iustitia permissionis”) il buon Dio abbandona sì la Sua Chiesa, ma custodendola; e abbandonandola, la custodisce (“custodiendo deserit, deserendo custodit”): in questa permissione si mescola una certa dose di bontà perché la Chiesa tragga profitto dall’oppressione e il nemico superbo soccomba per la permissione concessa. La Chiesa viene consegnata nelle mani del suo avversario, ma insieme trattenuta nel cuore del suo Protettore (“in intimis adiutoris sui manu retinetur”). La stessa Chiesa nella mani di Dio, la stessa Chiesa nella mani del diavolo! Ma aggiungendo le parole Soltanto risparmia la sua vita, il buon protettore ci dice che trattiene nel suo Cuore la stessa Chiesa che concede (“tenuit quem concessit), e che la nasconde ai dardi del suo avversario”.
Questa dunque è la pur sempre misteriosa risposta al nostro perché: “Perché Signore questa situazione?”
Perché la Chiesa (quindi anche noi) tragga profitto dall’oppressione e il diavolo soccomba per la permissione concessa: ovvero perché il fuoco diabolico sia per gli eletti il crogiolo di fusione dell’oro fino della santità, l’oro di chi generosamente accetta di caricarsi assieme a Cristo dello stendardo insanguinato della Croce. Ed è con questi santi che il Signore sconfigge il diavolo.
Così si possono intendere le parole del santo profeta Isaia…
“Stenderò la mano su di te, purificherò nel crogiolo le tue scorie, eliminerò da te tutto il piombo”[11].
… e quelle di San Pietro:
“perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo”[12].
Attorno alla Chiesa-Giobbe ci sono oggi un’analoga moglie e degli analoghi consolatori molesti. E allora troviamo chi si perde per lo scoraggiamento (il Benedici Dio e poi muori[13] della moglie di Giobbe che diventa oggi Maledici la Chiesa!). Troviamo anche chi si perde attribuendo alla Chiesa delle colpe (come i consolatori molesti le attribuivano a Giobbe): sono quelli pronti a sparare sulle “colpe della Chiesa”, quando invece la storia della Chiesa è una storia di santità[14], e il peccato è degli uomini, non della Sposa Immacolata. E allora diventa facile e comodo deporre Papi e invalidare Sacramenti, senza rispettare il mistero più grande di un pur terribile quadro e dimenticando la custodia divina.
Infine ci sono quelli che come Giobbe, pur elevandosi di gran lunga sopra le obiezioni stupide, rimangono inevitabilmente scossi dal mistero, se ne lamentano con Dio, ma poi gli si abbandonano sperando contro ogni speranza, seguendo il Maestro tradito dai suoi, ma, alla fine – ripeto, alla fine – risorto.
Questa prospettiva non deve però scadere in un certo quietismo. Le piaghe, esternamente, ci sono, e sono grandi. Nella Chiesa-ospedale da campo a volte i malati sono i cattivi pastori, e si trae profitto dall’oppressione – come dice San Gregorio – difendendo la verità, opportune et importune, ma nel contempo rispettando sempre il mistero di questo abbandono amorevolmente sempre custodito.
NOTE
[1] Ger 14,18.
[2] Is 1, 5b-6.
[3] Sal 12,9.
[4] Sal 31,4.
[5] Ger 18,18.
[6] Is 1,9.
[7] Gb 2,6.
[8] “Si ad sanctae Ecclesiae typum trahatur…” Moralia in Job, III, XIII, VI, 8, vol. III, Roma 1994, p. 316.
[9] Gv 10,28.
[10] Moralia in Job, I, III, V, 6. Vol I, Roma 1991, p. 247.
[11] Is 1,25.
[12] 1 Pt 1,7.
[13] Gb 2,9.
[14] “In verità, tutta la storia della Chiesa è storia di santità, animata dall’unico Amore che ha la sua fonte in Dio”; Benedetto XVI, Angelus, 29-1-2006.
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https://cooperatores-veritatis.org/2018/09/06/il-santo-giobbe-e-la-crisi-attuale-nella-chiesa/
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Crollo della chiesa, crisi nella Chiesa
(di Cristina Siccardi) Il collasso del tetto della chiesa seicentesca San Giuseppe dei Falegnami, al Foro romano, nel cuore storico di Roma, arriva in un momento di profondo malessere della Chiesa, di scontri dottrinali e personali apertis verbis, che il silenzio di Papa Francesco sulla grave denuncia a lui formulata dall’Arcivescovo Carlo Maria Viganò non fanno che acuire.
Il cedimento di un tirante della volta, che è rovinato all’interno della chiesa venerdì 31 agosto, dovrebbe essere la causa dell’evento assolutamente inaspettato. Il crollo ha sorpreso il rettore, Daniele Libanori SJ, esorcista e Vescovo ausiliare di Roma, incaricato per il clero e il diaconato permanente, che in quel momento (ore 14,55) stava riposando.
Per grazia di Dio il disastro non ha provocato né vittime, né feriti, poiché la chiesa, utilizzata solo per matrimoni (previsti per il giorno dopo e la domenica) ed esercizi spirituali, era chiusa al pubblico. Il fatto, ad uno sguardo soprannaturale, costituisce oggetto di riflessione, anche perché l’edificio sacro è costruito sopra un luogo assai significativo e caro alla tradizione della Chiesa: il Carcere Mamertino, dove furono messi in catene San Pietro e San Paolo.
San Giuseppe dei Falegnami, rettoria all’interno del territorio della parrocchia di San Marco Evangelista al Campidoglio, si trova, infatti, esattamente sopra il Mamertino, la prigione più antica di Roma. I lavori di edificazione iniziarono nel 1597 per opera dell’Architetto Giacomo della Porta e per volere della congregazione di San Giuseppe dei Falegnami, che aveva preso in affitto nel 1540 la preesistente chiesa di San Pietro in Carcere.
La nuova Casa di Dio venne dedicata al loro patrono, San Giuseppe. I lavori proseguirono nel 1602 sotto la direzione di Giovan Battista Montano, che progettò la facciata ed alla sua morte (1621) dall’allievo Giovan Battista Soria. La chiesa fu completata nel 1663 da Antonio Del Grande.
L’interno, ridecorato nell’Ottocento, è a navata unica con due cappelle per lato e abside del 1880. Il soffitto ligneo a cassettoni, decorato con lamina d’oro, era assai pregevole con al centro la Natività in rilievo del Montanaro (1612). La cantoria è settecentesca con modifiche ottocentesche; i coretti furono dipinti da Giovanni Battista Speranza e Giuseppe Puglia (1634).
La prima cappella è dedicata alla Sacra Famiglia con Sant’Anna di Giuseppe Ghezzi; nella cappella maggiore si trova lo Sposalizio della Vergine di Horace Le Blanc (1605); il viaggio a Betlemme e la Bottega di San Giuseppe sono di Cesare Maccari (1883); ai lati dell’arco bei torcieri seicenteschi. Nella seconda cappella di sinistra si trova la Natività di Carlo Maratta (1651). A metà della parete destra è collocato l’accesso all’oratorio rettangolare, ampliato nel 1569.
La facciata è rialzata rispetto al piano di calpestio a causa dei lavori eseguiti negli anni Trenta del Novecento, che abbassarono la piazza antistante per permettere un accesso diretto al Carcere Mamertino sottostante. In un vano ricavato fra la volta dell’antica prigione e il pavimento della chiesa si trova la Cappella del Crocifisso, dove è custodito il Crocifisso ligneo del XVI secolo, già venerato sopra la porta dell’antica prigione dello Stato romano, chiamata, in quell’epoca, «Tullianum».
Era il carcere, a ridosso della Via Sacra nel Foro, simbolo per prigionieri illustri. Ha ospitato in ceppi, per circa mille anni, dei nemici del popolo e dello Stato, i grandi vinti e i grandi traditori di Roma: Erennio Siculo, amico di Gaio Sempronio Gracco nel 123 a.C.; Gaio Sempronio Gracco nel 121 a.C.; Giugurta, Re della Numidia nel 104 a.C.; Lentulo e Cetego, compagni di Catilina nel 63 a.C.; Vercingetorige, Re dei Galli nel 46 a.C.; Seiano e i figli, prefetto del pretorio di Tiberio nel 31 d.C.; Simone di Giora, difensore di Gerusalemme, nel 71 d.C.; gli Apostoli Pietro e Paolo.
Il Tullianum, come era chiamato il Mamertino – Carcer Mamertinum (nome medievale) – venne realizzato, secondo Livio, sotto Anco Marzio nel VII secolo a.C. Il nome deriva da «tullus» (polla, sorgente d’acqua), anche se alcuni lo fanno derivare da alcune tradizioni che lo collegano all’iniziativa di Servio Tullio o di Tullo Ostilio. La cristianizzazione del complesso, formato da due ambienti, si fa risalire all’VIII secolo, periodo al quale risalgono le tracce di un affresco rinvenuto proprio nel Tullianum, ed entrambi gli ambienti furono convertiti in cappelle.
La costruzione era su due piani sovrapposti formati da grotte scavate alle pendici meridionali del Campidoglio a fianco delle Scale Gemonie, verso il Comitium. La più profonda risale all’età arcaica (VIII-VII secolo a.C.) ed era scavata nella cinta muraria di età regia che, all’interno delle Mura serviane, proteggeva il Campidoglio; la seconda, successiva e sovrapposta, è dell’età repubblicana. Al di sotto di tutto una fonte d’acqua esistente tuttora.
Così descrive il carcere Gaio Sallustio Crispo nel De Catilinae coniuratione: «Nel carcere vi è un luogo chiamato Tulliano, un poco a sinistra salendo, sprofondato a circa 12 piedi sottoterra. Esso è chiuso tutt’intorno da robuste pareti, e al di sopra da un soffitto, costituito da una volta in pietra. Il suo aspetto è ripugnante e spaventoso per lo stato di abbandono, l’oscurità, il puzzo».
L’attuale facciata di travertino, risalente al 40 a.C., come indicato dai nomi dei consoli Caio Vibio Rufino e Marco Cocceio Nerva, ne nasconde una più antica in tufo. All’interno si trova un ambiente trapezoidale in blocchi di tufo, al quale si accedeva da una porticina ora murata sul lato destro. L’ambiente comunicava attraverso un foro sul pavimento con uno spazio sottostante, a pianta circolare in blocchi di peperino, nel quale venivano gettati i prigionieri. Il luogo, venerato con la cristianizzazione, fu consacrato nel 1726 a San Pietro in Carcere, che divenne luogo di pellegrinaggio nel 314 per volere di Papa Silvestro I.
Si racconta che san Pietro, scendendo nel Tullianum, cadesse battendo il capo contro la parete e lasciando così la propria impronta nella pietra, dal 1720 protetta da una grata. Rinchiusi nella segreta, insieme ad altri compagni nella fede in Cristo, san Pietro e san Paolo avrebbero fatto scaturire miracolosamente una polla d’acqua e avrebbero convertito e battezzato i custodi delle carceri, Processo e Martiniano, poi martirizzati. I due apostoli non furono qui giustiziati, come accadeva per altri: san Pietro fu condotto sul Colle Vaticano, mentre san Paolo alle Acque Salvie, l’attuale Abbazia delle Tre Fontane.
Alcuni frammenti del tetto di San Giuseppe dei Falegnami hanno colpito l’altare della Cappella del Crocifisso, e una trave, che ha trapassato il pavimento della cappella stessa, ha trafitto il Carcere Mamertino, sfondandone, quindi, il soffitto. Tutti concordano nel fatto che non ci siano state avvisaglie di cedimento. Ha dichiarato a Il Sole 24 Ore il soprintendente archeologico di Roma, Francesco Prosperetti: «È stato un crollo grave e inaspettato poiché non aveva dato alcun segnale, al contrario del ponte di Genova. È praticamente caduto quasi per intero il tetto della chiesa». Un segno divino? Qui habet aures audiendi, audiat. (Cristina Siccardi)
Crolla la chiesa, crolla l’Europa
(di Alfredo De Matteo) I dati di uno studio sulla demografia europea del Berlin Institute for Population and Development certificano l’inverno demografico dell’Europa ed in particolare della Grecia, uscita con le ossa rotte dalle misure di austerità che hanno letteralmente sconvolto la sua economia ed il suo tessuto sociale e che hanno portato alla fame milioni di greci: nel 2011, 11,1 milioni di persone vivevano nella penisola ellenica e solo 4 anni dopo, nel 2015, sono scese a 10,8 milioni; secondo le previsioni, nel 2050 la popolazione scenderà a 8,3 milioni e nel 2070 addirittura a 7,2. Attualmente, il 21% dei greci ha più di 65 anni e, sempre secondo le previsioni, nel 2050 gli ultra sessantacinquenni supereranno il 33%.
La feroce crisi economica non ha fatto altro che incrementare il numero degli aborti, tanto che la Grecia è ormai fra i leader mondiali degli infanticidi legalizzati: se nel 2008 vi sono stati 200.000 aborti, oggi siamo intorno ai 300.000. Di contro, cala drasticamente il numero delle nascite (nascono solamente 90.000 bambini all’anno), al punto che Melbourne è divenuta la terza città greca dopo Atene e Salonicco … (occhi della guerra.it, 30 agosto 2018).
La fotografia scattata dall’istituto demografico è impietosa e riguarda tutti i paesi europei, chi più, chi meno. L’azione combinata di misure economiche e fiscali che penalizzano oltre misura i singoli contribuenti, le famiglie e le piccole e medie imprese, il parziale annullamento delle identità nazionali nel nome di un’unione europea senz’anima né autentici ideali, la spinta sempre più marcata verso il varo di leggi contrarie al diritto naturale, il favoreggiamento dell’immigrazione incontrollata è alla base della tremenda crisi demografica in atto, che porterà inevitabilmente alla fine della civiltà europea fondata sulle comuni radici cristiane. L’antidoto al veleno del relativismo e del sovvertimento dell’ordine naturale è, come sempre, la Chiesa Cattolica. Tuttavia, la sposa di Cristo è attraversata da una profonda crisi interna che ha ormai raggiunto livelli ben superiori al limite di guardia. Gli effetti di tale crisi sono evidenti e certificati da numerosi sondaggi secondo cui il numero di coloro che dichiarano di appartenere alla Chiesa è in costante diminuzione mentre tra i praticanti aumenta l’ateismo pratico, tanto che solo un cattolico su tre conserva ancora la vera fede. È possibile affermare che il sistema di vita dei cristiani attuali non differisce in nulla da quello di chi non crede, cosicché la loro fede debole e priva di sostanza non è più in grado di influenzare la loro vita e dunque di migliorarla. Ma se la vita morale e spirituale dei fedeli è così insipida ciò non può che derivare da una cattiva predicazione, dal fatto che il clero per decenni non ha insegnato e trasmesso la fede cattolica.
Del resto, la documentata carenza di vocazioni sacerdotali e religiose non è altro che il sintomo di una profonda crisi del clero, fiaccato nell’animo e nello spirito dall’abbandono della pratica delle virtù e dal conseguente sprofondamento nel vizio. Il recente scandalo dell’esistenza di un’ignobile rete di coperture nei confronti di eminenti porporati descritti come molestatori seriali di ragazzi e giovani seminaristi, che chiama in causa direttamente Papa Francesco, non è altro che lo scoperchiamento di una fogna a cielo aperto da cui fuoriescono nefandezze morali di ogni tipo.
Il recente e imprevisto crollo del tetto di una chiesa al centro di Roma sembra un segno di ben altri cedimenti che stanno sconvolgendo la Chiesa al suo interno nonché segno del doloroso processo di purificazione che la stessa Chiesa dovrà inevitabilmente subire per poter poi risorgere a vita nuova. E con essa l’Europa cristiana. (Alfredo De Matteo)
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