ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 8 settembre 2018

«Non è oggi più sostenibile»...!

Ratzinger disse “no” al creazionismo: «l’evoluzione è una conquista della scienza»

L’idea pre-darwiniana secondo cui «ogni singola specie» è «un dato della creazione, che grazie all’opera creatrice di Dio esiste sin dal principio del mondo accanto alle altre specie come qualcosa di unico e di diverso», è una visione che «contraddice l’idea dell’evoluzione e oggi è diventata insostenibile». Ad affermarlo, nel lontano 1969, uno dei più importanti teologi cattolici: Joseph Ratzinger.
Si tratta di una poco conosciuta lezione pubblicata in una raccolta di saggi intitolata Wer ist das eigentlich – Gott? (München 1969) e rivela, forse meglio di tanti altri suoi interventi sul tema, che la Chiesa cattolica non è affatto nemica della teoria di Charles Darwin (seppur lo è di una sua interpretazione filo-ateista, il neodarwinismo filosofico).

Proprio il naturalista inglese è l’oggetto di riflessione del teologo Ratzinger, il quale «scatenò una rivoluzione dell’immagine del mondo non inferiore a quella che per noi si lega al nome di Copernico». Innanzitutto perché «la teoria del fissismo della specie» che «considerava ogni singola specie come una realtà creata da Dio fin dall’inizio del mondo, esistente come qualcosa di separato e distinto da tutte le altre specie […] non è conciliabile con quella evoluzionistica e che questo aspetto della fede di altri tempi non è oggi più sostenibile».
Questa chiarificazione, tuttavia, «non è ancora sufficiente per spiegare il concetto di creazione». La quale, se correttamente interpretata non è affatto in contraddizione con la selezione naturale darwiniana: «la fede nella creazione si pone il problema del perché qualcosa esiste al posto del nulla; la teoria dell’evoluzione si domanda invece perché esistano proprio queste cose e non altre. In termini filosofici si potrebbe dunque dire che l’evoluzionismo rimane sul piano fenomenologico, occupandosi delle singole realtà concrete, mentre la fede nella creazione si muove sul piano ontologico, contempla il miracolo dell’essere, nel tentativo di cogliere il fondamento che sta dietro alle singole cose e di arrivare al mistero di questo “essere” comune a tutte le realtà». Così, sottolineò magistralmente Ratzinger, «la fede nella creazione riguarda la differenza tra il nulla e l’essere, mentre la teoria nell’evoluzione vuole spiegare la differenza tra i diversi esseri».
La presa di distanza del futuro Benedetto XVI dal creazionismo biblico, oggi ancora sostenuto dal mondo protestante e, purtroppo, anche da qualche cattolico, è netta: «è stato eliminato dalla teoria dell’evoluzione. Il credente deve perciò accettare le conquiste della scienza ed ammettere che la maniera in cui egli si era immaginata la creazione, apparteneva ad una concezione prescientifica del mondo, diventata oggi indifendibile»L’interpretazione letterale delle Scritture, danneggia «la comprensione della trascendenza della parola di Dio rispetto a tutte le sue singole forme espressive». Anche l’evoluzione dell’uomo non è più smentibile: «o tutte le singole cose sono prodotto dello sviluppo, e quindi lo è anche l’uomo, oppure non lo sono. Quest’ultima (opzione) è fuori discussione, quindi rimane la prima».
Anche Ratzinger, come il biologo Stephen Jay Gould, propose di separare le due sfere: «la dottrina dell’evoluzione non può assolutamente incorporare la fede nella creazione. In questo senso essa può giustamente indicare l’idea della creazione come inutilizzabile per sé: non può stare fra i materiali positivi alla cui elaborazione essa è vincolata per metodo». Dall’altra parte, però, l’evoluzione biologica «deve lasciare aperta la domanda se la problematizzazione della fede non sia legittima e possibile per sé. A partire da un certo concetto di scienza, al massimo la può vedere come extrascientifica, ma non può vietare per principio alcuna domanda sull’uomo che si rivolga alla questione dell’essere come tale. Al contrario, tali domande ultime saranno sempre indispensabili per l’uomo che vive faccia a faccia con l’Ultimo e non può essere ridotto a ciò che è documentabile scientificamente».
La questione più interessante, allora, è capire se la fede nella creazione può «assumere in sé l’idea dell’evoluzione come un di più oppure se al contrario questa contraddica il suo fondamento». La domanda posta da Ratzinger è: «la rappresentazione di un mondo in divenire è conciliabile con l’idea biblica fondamentale della creazione del mondo da parte del Verbo, con il ricondurre l’essere al senso creatore? L’idea dell’essere espressa nella Bibbia può coesistere con quella del divenire elaborata dalla teoria dell’evoluzione?». Già per i Padri della Chiesa, in realtà, «l’immagine biblica del mondo, così come essa si esprime nei racconti della creazione del Vecchio Testamento, non era affatto la loro. In sostanza appariva antiscientifica a loro tanto quanto a noi».
Arrivando alle conclusioni: «la creazione non è un principio lontano e nemmeno un principio suddiviso in più stadi, bensì coinvolge l’essere contingente e l’essere in divenire: l’essere contingente è abbracciato nella sua interezza dall’unico atto creatore di Dio, il quale gli dà nella sua divisione la sua unità, in cui contemporaneamente consiste il suo essere, che non è misurabile per noi, perché noi non vediamo il tutto, anzi noi stessi siamo solo sue parti. La creazione non è da pensare secondo lo schema dell’artigiano che realizza oggetti di ogni sorta, ma nella maniera in cui il pensiero è creatore». Il pensiero di Ratzinger, così, si avvicina a quello del gesuita Teilhard de Chardin, per il quale «la materia rappresenta un momento nella storia dello spirito. Questa però è solo una diversa espressione dell’affermazione che lo spirito è creato e non è puro prodotto dello sviluppo, anche se si manifesta alla maniera dell’evoluzione. La comparsa dello spirito significa piuttosto che un moto progressivo raggiunge la sua meta stabilita».
Come dunque interpretare l’inizio dell’umanità in Adamo ed Eva, secondo il racconto biblico? «Adamo significa ognuno di noi», rispose Ratzinger. «Ogni uomo è in rapporto diretto con Dio. La fede afferma sul primo uomo nulla di più che su ciascuno di noi e viceversa su di noi nulla di meno che sul primo uomo. Ogni uomo è più che un prodotto di disposizioni ereditarie e ambiente, nessuno è solo risultato dei fattori calcolabili del mondo, il mistero della creazione sta sopra ognuno di noi». Così, a proposito del “primo uomo”«L’argilla divenne uomo nell’istante in cui un essere per la prima volta, anche se ancora in modo confuso, riuscì a sviluppare l’idea di Dio. Il primo “tu” che fu pronunciato – balbettando come sempre – nei confronti di Dio dalle labbra dell’uomo, indica l’istante in cui lo spirito era nato nel mondo. Qui fu attraversato il Rubicone dell’umanazione». E, tuttavia, «l’istante dell’umanazione non può essere fissato dalla paleontologia: l’umanazione è l’insorgenza dello spirito, che non si può dissotterrare con la vanga. La teoria dell’evoluzione non annulla la fede, e nemmeno la conferma. Ma la sfida a comprendere meglio se stessa e ad aiutare in questo modo l’uomo a capire sé e a diventare sempre più quello che deve essere: l’essere che può dire tu a Dio per l’eternità».
La redazione
Smontare il darwinismo: intervista a Enzo Pennetta

La dittatura culturale in ambito sociale, come sempre in linea col pensiero mondialista, ci ha abituato ad elevare a dogmi alcune tematiche chiave per lo sviluppo corretto di una società, proponendo di volta in volta nuove etichette per confinare ogni genere di dibattito a una dimensione di stoltezza oppure di patologia (fobia).
Aggettivi come xenofobo, omofobo, razzista vengono costantemente utilizzati per bollare coloro che, sempre più spesso, sollevano dubbi e propongono tesi in merito alle dinamiche che tutti i giorni riempiono talk show televisivi e carta stampata. In ambito scientifico, in relazione alla teoria della specie di Charles Darwin, chiunque metta in discussione il pensiero del biologo inglese viene accusato, da parte dei difensori della teoria, di essere un creazionista.
Questo esposto potrebbe apparire come una doccia fredda a chi, in questa occasione, si interroga per la prima volta sulla natura dogmatica della teoria darwiniana. Ma appare chiaro che questo genere di approccio “politico” nei confronti della critica poco si addice alle materie scientifiche.
Il Professore Enzo Pennetta nel suo libro “Inchiesta sul darwinismo: come si costruisce una teoria” è riuscito in maniera brillante a confutare scientificamente le contraddizioni insite nella “teoria della specie”, mostrando inoltre il contesto politico passato e presente all’interno del quale la teoria del biologo inglese continua ad essere presentata come una verità immutabile, nonostante l’insussistenza di basi scientifiche.
Prof. Pennetta, in quale contesto storico e politico è nata la teoria sull’origine della specie?
La teoria nacque in un’Inghilterra colonialista in politica estera e luogo del capitalismo più selvaggio e incontrastato nella realtà interna. E poiché, come insegna il filosofo della scienza Thomas Samuel Kuhn, le teorie sono figlie della visione degli uomini e della loro epoca, così la teoria di Darwin rispecchiava la società inglese basata sia sulla competizione verso gli altri popoli che all’interno della stessa Inghilterra. Della cosa si accorsero due autorevoli nomi come Marx ed Engels che ne parlarono in un loro scambio epistolare.
Qual è stato il suo percorso negli anni seguenti?
Poco più di dieci anni dopo la pubblicazione del libro di Darwin “L’origine delle specie” il coautore della teoria Alfred Russel Wallace si dissociò sostenendo che esistevano delle caratteristiche della specie umana non spiegabili con la teoria stessa, e questo è il motivo per cui oggi non si sente più parlare del secondo autore.
Successivamente la teoria venne smentita da esperimenti come quello di Weismann e del cugino di Darwin, Francis Galton, che dimostrarono la non ereditarietà dei caratteri acquisiti (cosa che viene attribuita solo alla precedente teoria di Lamarck ma che invece fu ripresa da Darwin). La smentita definitiva venne dalla ‘riscoperta’ delle leggi di Mendel pubblicate nel 1864 ma incredibilmente ignorate fino al 1900 quando de Vries, Correns e Tschermak le ritrovarono, anche esse smentivano la trasmissione dei caratteri acquisiti. La teoria a quel punto venne abbandonata da tutti gli scienziati più autorevoli, ma questo a scuola non viene insegnato. 
Infine le novità necessarie per l’evoluzione furono indicate nelle mutazioni casuali che per portare a cambiamenti funzionali sfidano nel modo più arduo il calcolo delle probabilità, al riguardo un noto astronomo come Fred Hoyle fece il paragone con un tornado che soffiando su un deposito di rottami dopo il suo passaggi lasci montato un aereo di linea. Questa è la spiegazione che fa leva sulla mutazioni casuali, ma fu proprio su queste improbabili basi che nacque il darwinismo moderno e sulle quali ancora si sostiene.
Perché la teoria darwiniana, da un punto di vista scientifico, non è una tesi corretta? Quali riscontri abbiamo volti a supportarla?
Il problema è proprio questo, non abbiamo riscontri. Ma nel metodo scientifico sono indispensabili, in pratica non abbiamo potuto osservare nessuna evoluzione avvenuta con i meccanismi darwiniani, neanche quella di un batterio dopo decine di migliaia di generazioni, il motivo è nell’improbabilità statistica che ciò avvenga, in pratica servirebbe un miracolo. Però in giro si trovano molte affermazioni di casi dichiarai come avvenuti, compreso quello del batterio Escherichia coli, peccato però che per farli diventare casi di evoluzione si è dovuto cambiare la definizione di ‘evoluzione’, insomma nessuna evoluzione realmente è stata osservata anche in quegli organismi che si riproducono molto velocemente simulando milioni di anni delle specie più complesse, nessuna evoluzione darwiniana osservata quindi, tranne quella del significato della parola ‘evoluzione’.
Ma la cosa forse ancor più grave dal punto di vista della scienza è che la teoria darwiniana non può essere smentita da nulla, in pratica essa è formulata in modo tale che qualunque risultato troveremo in natura o in laboratorio non la metterà mai in crisi, e questo significa che secondo la teoria di un grande epistemologo del Novecento come Karl Popper essa non è scientifica, in pratica si tratta di una narrazione, essa è poco più che mitologia e la mitologia non c’è modo di smentirla, o ci si crede o non ci si crede
Perché, nonostante l’assenza di prove volte a confermare la teoria darwiniana, tutt’oggi, nel mondo, viene insegnata come verità assoluta?
Il motivo in fondo è semplice e lo possiamo individuare in quanto detto prima riguardo il contesto socio politico in cui essa nacque, si tratta di una teoria che si presta perfettamente a rappresentare un sistema sociale basato sulla competizione e quindi a giustificarla in quanto legge di natura. In un mondo che è passato dal capitalismo e dal colonialismo ai loro sviluppi, o se vogliamo degenerazioni, che sono il neolibersimo e il neocolonialismo, una teoria che giustifichi queste politiche come inevitabili in quanto espressione del funzionamento della natura è funzionale al sistema.
Qual è, secondo la sua personale opinione, la reale alternativa scientifica alla tesi darwiniana? Per quale ragione?
Una teoria alternativa sarà necessariamente una teoria nella quale l’evoluzione avviene non in modo graduale ma per passaggi relativamente rapidi, cosa dimostrata dai fossili, una teoria nella quale la selezione, la competizione e il caso resteranno, ma solo come aspetti marginali, il cuore sarà un altro.
Ma non so dire esattamente quale esso sarà, il punto è che se non si liberano energie e risorse per cercarla questa nuova teoria essa non verrà trovata. In pratica finché si continuerà ad insegnare dogmaticamente il darwinismo e le sue successive modifiche come se l’importante l’avessimo già capito nessuno la cercherà la nuova teoria e quindi uno dei paradossi del darwinismo è che esso in nome della scienza sta bloccando la ricerca di una vera teoria scientifica che sia soddisfacente. 
(Intervista svolta da Fabio Sapettini)
Superato il muro delle 200 mila visualizzazioni anche per la chiacchierata di con ⁦⁩ sulle COSE CHE NON VI RACCONTANO DI CHARLES DARWIN. Bravo Enzo Pennetta!

Origine della vita: introduzione al problema scientifico

Il punto sulla questione dell’origine della vita, cosa sappiamo e cosa non sappiamo su uno dei più importanti argomenti della scienza.


Origine della vita: introduzione al problema scientifico
Di Fabio Vomiero
“La vita è un fenomeno straordinario nell’universo fisico-chimico, ancor più straordinario perchè è nata cessando di assomigliarci. Tutto è sorprendente in essa, organizzazione, riproduzione, qualità emergenti… Il biologico obbedisce al fisico per farlo obbedire al biologico” – Edgar Morin
Ci sono certamente delle importanti premesse da fare per avvicinarsi con il giusto equilibrio e con la dovuta serenità a un problema scientifico così complesso e storicamente dibattuto come quello dell’origine della vita. Un tema quantomeno controverso e che si presta ovviamente, e del tutto legittimamente, anche alla contemporanea analisi di tipo filosofico e religioso. Primo, ogni esperienza religiosa, per quanto rispettabile, si basa però sulla fede e gode pertanto di un’autonomia di tipo personale, distinguendosi così nettamente da quello che è invece il nucleo dell’atteggiamento scientifico, basato sulle prove e sulle evidenze intersoggettive; si tratta quindi semplicemente di due modelli concettuali tra loro non commensurabili. Secondo, il pensiero filosofico è certamente importante ma certa filosofia, quando irrazionalmente avulsa dalla fattualità della conoscenza scientifica, è di solito di poca utilità e può invece contribuire, semmai, a distorcere l’informazione o a creare confusione. Terzo, l’idea diffusa che l’origine della vita e molti altri processi biologici, come l’evoluzione biologica, abbiano a che fare soltanto con il puro caso (come il lancio della moneta o del dado) e la selezione naturale, è un’idea di fatto sbagliata. Di conseguenza, appaiono poco sensati e pressochè inutili anche tutti quei ragionamenti basati sul semplice calcolo delle probabilità di una successione di eventi indipendenti ed equiprobabili, che pretenderebbero di “dimostrare”, in questo modo quantomeno semplicistico, l’impossibilità di realizzo di molti processi biologici fondamentali, dalla formazione primordiale spontanea di una biomolecola, alle mutazioni geniche che producono variazioni fenotipiche di un certo rilievo. Ma non è tutto. Per collocare il problema nella sua corretta dimensione è altrettanto necessaria l’introduzione di qualche nozione fondamentale di carattere epistemologico.
Ci si può infatti facilmente accorgere, soltanto leggendo qualcosa della sterminata letteratura sui numerosi tentativi di definizione della vita o di ricostruzione della sua storia, del rapporto quantomeno problematico che esiste ancora oggi tra fisica e biologia. La vita è infatti un fenomeno fisico evidentemente vincolato alle leggi della materia e dell’energia, tuttavia questa compatibilità è tutt’altro che sufficiente a spiegare la peculiarità biofisica e l’estrema varietà degli organismi viventi. Si può comprendere meglio questo punto, però, se si pensa che la fisica studia generalmente leggi che descrivono classi di eventi mentre la biologia si concentra invece sugli eventi singoli e quindi anche su tutti quei vincoli e condizioni al contorno, perlopiù mutevoli, che fanno di ogni evento un fenomeno unico; in altre parole il “qui e ora” del singolo evento. La biologia è quindi una scienza storica, perchè la vita cambia ed è figlia del proprio passato. “Storicità della biologia contro la legalità della fisica”, amava definirla Ageno nei suoi scritti. Il resto della differenza la fanno poi concetti come sistemica, complessità ed emergenza, i quali oramai fanno decisamente parte integrante di ogni programma di ricerca che si sviluppi all’interno di una biologia teorica che, al di là delle diverse espressioni operative sul fenomeno della vita, sostanzialmente tende a caratterizzare il processo vivente come “l’emergenza di un sistema complesso autonomo dall’ambiente”. Definizione questa che, pur nella sua generalità, appare molto promettente, poichè pone correttamente in evidenza sia il concetto di emergenza, così centrale in biologia, che il rapporto dinamico (accoppiamento strutturale) che esiste sempre tra il vivente e il suo ambiente.
Nonostante ciò, come sia stato fisicamente possibile passare in tempi geologicamente plausibili dal famoso “brodo primordiale” a qualcosa di più simile a ciò che chiamiamo vita, è certamente tutt’altra questione, e in merito, com’è noto, esiste ancora un acceso dibattito, non privo di venature ideologiche. Ma se allo stato dell’arte sembra ancora quantomeno difficile riuscire a stabilire uno scenario che possa essere in qualche modo considerato un modello standard, plausibile sì, ma anche esauriente sotto il profilo del “come”, in dettaglio, possa essersi sviluppata la vita dalla materia inanimata, le molte conoscenze teoriche e una consistente mole di dati sperimentali ci autorizzano comunque, con un certo grado di fiducia, ad affermare che tutto ciò possa essere stato in qualche modo evolutivamente possibile, chimicamente fattibile e storicamente probabile. Il che non è certamente poco, non fosse altro che, per una strana logica apparentemente paradossale della scienza, generalmente ogni aumento di conoscenza genera sempre anche un corrispondente aumento di ignoranza. Ma vediamo allora quello che sappiamo o che almeno pensiamo di sapere. Innanzitutto, come già detto, l’idea di fondo di tutta la ricerca scientifica interdisciplinare sulle origini della vita è sensibilmente mutata negli ultimi decenni; non si va più alla ricerca della fortunata combinazione di eventi altamente improbabili e retti soltanto dal puro caso (alla Monod), ma si cercano piuttosto effetti e processi comunque in qualche modo guidati dalle leggi della chimica e della fisica, in cui la contingenza, concetto che assume un significato molto più sottile e raffinato del caso, come in ogni processo evolutivo, riveste sempre un ruolo determinante. In sostanza, poichè le prime testimonianze di cellule viventi derivanti da stromatoliti fossili australiane, risalgono con una certa sicurezza almeno a 3,5 miliardi di anni fa (Schopf 2017), forse oltre, e presumendo che l’intenso bombardamento meteoritico, che non avrebbe consentito una sufficiente stabilità ambientale, sia terminato all’incirca 4 miliardi di anni fa, tutto deve essere accaduto in questo intervallo di tempo, grazie al verificarsi di condizioni ambientali contingenti favorevoli. Dove? Probabilmente nei pressi dei camini dei bacini idrotermali in cui i gradienti ionici naturali e di temperatura forniscono l’energia necessaria, mentre la presenza di cavità porose favorisce nello stesso tempo l’instaurarsi di periodici cicli wet-dry che permettono l’accumulo e l’interazione tra le molecole (Martin 2014).
Che cosa poi sia effettivamente successo nessuno ancora lo sa, ma i dati sperimentali di sintesi prebiotica, da Oparin-Miller-Urey in poi, hanno chiaramente mostrato come, in presenza di una fonte di energia e di determinate condizioni ambientali, sia effettivamente possibile la formazione spontanea di numerosi precursori organici complessi della vita, dagli amminoacidi ai nucleosidi, dal pirrolo al glicerolo (costituente dei lipidi delle membrane cellulari) da alcuni metaboliti del ciclo di Krebs ai glucidi; il ribosio, per esempio, si ottiene dalla polimerizzazione con ciclizzazione della formaldeide. Molte di queste sostanze organiche sono peraltro state individuate anche nel cuore di meteoriti, rafforzando così l’ipotesi che la sintesi organica prebiotica si possa verificare anche al di fuori del pianeta Terra. In altri tipi di esperimenti si è visto anche che alcuni di questi aggregati organici, tendono spontaneamente ad adsorbirsi su superfici inorganiche, che in qualche caso possono avere funzioni catalitiche, nonchè a polimerizzare, come succede per esempio agli aminoacidi che formano i proteinoidi o ai segmenti molto piccoli di acido nucleico che si auto-organizzano in molecole più grandi.
Che poi i bioamminoacidi chirali che conosciamo siano tutti di forma enantiomerica L e i biozuccheri (ribosio e desossiribosio) tutti di forma enantiomerica D, quando invece nella chimica organica si formano sempre in forma racemica, non deve costituire un problema insuperabile. E’ una proprietà asimmetrica della vita, probabilmente selezionata e fissata in qualche modo, casuale o guidato, in un qualche momento, comunque precoce, del suo percorso evolutivo. In fondo l’asimmetria caratterizza da sempre ogni tipo di evoluzione, a partire da quella cosmica quando le fluttuazioni casuali della distribuzione di materia (anisotropia) hanno dato origine alla formazione di stelle e galassie, o quando la materia stessa ha in qualche modo prevalso sull’antimateria evitando così il suo completo annichilimento. Se poi, dal privilegiamento di un certo tipo di chimismo si passa al privilegiamento di alcune reazioni piuttosto di altre, si può parlare di inizi del metabolismo. Un recente studio apparso su “Nature Ecology and Evolution” (Keller 2017), mostra per esempio che in determinate condizioni e in presenza di radicali solfato, una catena di reazioni chimiche può replicare una sorta di proto-ciclo di Krebs anche senza molti degli enzimi in seguito divenuti essenziali.
Su “PNAS” invece (Petrov 2016), viene presentato un modello su come possa essersi evoluto un ribosoma biologicamente attivo per la fondamentale attività di sintesi proteica. Modelli che simulano esempi di un proto-metabolismo che probabilmente ebbe la possibilità di complessificarsi gradualmente una volta compartimentato all’interno di una struttura protetta da una proto-membrana plasmatica, la quale, essendo formata principalmente da fosfolipidi, tende anch’essa a formare spontaneamente in ambiente acquoso delle strutture a doppio strato che possono richiudersi in vescicole. E questi sono solo alcuni esempi di tutto il movimento che sta guidando efficacemente il programma di ricerca interdisciplinare sull’origine della vita, in ogni caso, questa tipologia di dati, non può che suggerire l’ipotesi plausibile che la vita possa essersi formata proprio per emergenza da una serie di processi graduali e guidati principalmente dalle caratteristiche chimiche e termodinamiche dell’ambiente e di alcune macromolecole fondamentali, endogene e/o esogene, che man mano si stavano formando e accumulando, autoselezionandosi e autoriproducendosi. In fondo, cinquecento milioni di anni o giù di lì di tempo a disposizione per i vari “tentativi ed errori”, non sono affatto pochi. Quindi, date alcune condizioni favorevoli contingenti, andrebbe così delineandosi un quadro che non corrisponde per niente a una serie di lanci di dado a casaccio, ma piuttosto a qualcosa di più simile a come l’ha definita il biochimico belga e premio Nobel Christian Renè “la vita, in determinate condizioni ambientali, potrebbe essere un imperativo cosmico”, con tutte le implicazioni che questo assunto plausibile e data-driven può generare, a partire dalla possibilità di vita extraterrestre. Si potrà poi discutere se sia venuto prima l’RNA o il proteinoide, versione moderna dell’uovo e della gallina, o quando l’RNA abbia concepito la sua forma più stabile, il DNA, o se prima di tutto non si sia invece sviluppato un proto-metabolismo. Potrebbe essere pertanto eccessiva, al momento, l’insistenza di vari studiosi su una priorità temporale assoluta, fra le macromolecole, dei polinucleotidi, che avrebbero dato origine inizialmente al cosiddetto “mondo a RNA”.
Si potrà anche continuare a indagare se e quanto possa essere plausibile un contributo esogeno(meteoriti e comete) nella “fornitura” di sostanza organica, consapevoli comunque dei limiti dell’ipotesi della panspermia, tuttavia le basi del discorso sembrano oramai saldamente gettate, per il momento. Ma naturalmente il problema, in ogni caso, non potrà che essere affrontato in termini di complessità e di sistemica per cui l’approccio più promettente sembra essere oggi proprio quello di immaginare un panorama primordiale appunto sistemico, una sorta di rete, in cui ogni processo emergente è legato all’altro (Wills 2017, Carter 2018), dove si intrecciano pressioni selettive, coevoluzioni e competizioni, dove ogni step guida e influenza quello successivo e dove ogni effetto che si produce può in qualche modo anche influenzare la causa stessa che lo ha determinato (feedback). Un paesaggio estremamente complesso, in cui rimane ancora da sbrogliare tutto l’immenso problema legato alla generazione dell’informazione (geni e codice genetico) e, infine, da esplorare l’eventuale coinvolgimento del fattore quantistico anche nelle dinamiche macromolecolari, elemento che la biologia, in realtà, tende invece a escludere completamente dal suo quadro esplicativo. Quindi, alla fine di questa breve riflessione appare chiaro come, al di là delle grossolane caricature di stampo mediatico, non esista in realtà ancora alcun “modello standard” per l’origine della vita, nonostante la costante e promettente fecondità della ricerca scientifica.
Tuttavia, a prescindere da come siano andate realmente le cose, le strutture biologiche emerse oltre 3,5 miliardi di anni fa, cambiarono di fatto tutte le regole e stabilirono comunque un modello, che fu poi replicato, con successo, in tutte le forme di vita successive.

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