Teste mozzate in chiesa. Se l’arte è all’insegna del “famolo strano”
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L’effetto è piuttosto raccapricciante e viene da chiedersi che cosa c’entrino le teste mozzate con un altare cattolico. È vero che presso certe popolazioni l’altare veniva usato per praticare sacrifici umani e forse in tali occasioni alcune teste venivano mozzate. Ma il sacrificio che si compie sopra un altare cattolico, in fin dei conti, è di un altro genere.
Opera di Claudio Parmiggiani e consacrato alla presenza dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, l’altare, secondo la spiegazione fornita dal vicario episcopale Ivano Valagussa, ha un preciso significato: “I volti che compongono l’altare sono tutti raccolti in unità, le due lastre bianche uniscono le persone, testimoni del flusso della storia; tutti sono chiamati per volontà di amore ad essere una sola cosa in Gesù Cristo, il suo corpo offerto al Padre, l’umanità nuova trasfigurata dal dono dello Spirito, vero tempio di Dio edificato con pietre vive per essere abitazione di Dio stesso tra gli uomini. La celebrazione del memoriale della Pasqua, l’Eucaristia, è attrazione, convocazione, comunione, sacrificio per una santità di vita che si esprime nella fraternità, nel servizio, nella carità e nella missione evangelica. Da qui nasce la Chiesa dalle genti e in uscita”.
Secondo l’autore, “il nuovo altare per la basilica di Santa Maria Assunta di Gallarate si riassume in una mensa derivante dalla giustapposizione di due luminose lastre marmoree sovrapposte che trattengono e proteggono, quasi materno pellicano, una moltitudine di teste antiche; reliquie ed emblemi di una sacralità, di una umanità, di una totalità”.
Materno pellicano?
Io sono un povero ignorante, ma intuisco che quando un’opera ha bisogno di così tante ed elaborate spiegazioni, c’è qualcosa che non funziona.
Interessanti sono comunque i commenti fioccati nel web. Tra i più benevoli: “Opera che lascia disorientati e attoniti”, “teologicamente inquietante”, “orribile”, “brutta”, “mostruosa”, “spaventosa”, “truculenta”, “di cattivo gusto”.
Qualcuno si chiede se l’autore si sia ispirato a Robespierre, altri ipotizzano che invece abbia preso a riferimento gli ossari che ci sono in alcune chiese.
A me l’altare ha fatto venire alla mente i depositi di teschi delle vittime di Pol Pot trovati in Cambogia. Mentre Marco Tosatti ha pensato a uno tzompantli, ovvero una di quelle strutture che nelle culture precolombiane del Centro America servivano per cucire insieme o infilare i teschi dei prigionieri di guerra e delle vittime sacrificate alle divinità (https://www.marcotosatti.com/2018/11/13/ma-che-bello-il-nuovo-altare-della-madonna-a-gallarate-sembra-proprio-uno-tzompantil/).
Poi ci sono quelli che hanno pensato a cose da mangiare: “un sacchetto di scamorze”, “un pacchetto di popcorn”, “un pezzo di torrone” (io, lo confesso, oltre a Pol Pot ho pensato anche a una scatoletta di Tic Tac).
Nel frattempo un utente di Twitter ha scoperto che le teste usate per la costruzione dell’altare di Gallarate erano già state esposte “sciolte”, in una galleria londinese. O per lo meno sembrano loro (https://www.marcotosatti.com/2018/11/14/gallarate-le-teste-dellaltare-erano-state-gia-esposte-a-londra-tre-anni-fa-sono-nuove-o-riciclate/).
I decollati sono stati dunque riciclati? Ah, saperlo. Se così fosse, non sarebbe bello, anche perché sono costati un bel po’ di quattrini.
Intanto, perché non mettere in contatto l’autore dell’altare delle teste mozzate con l’artista che ha realizzato la ferula biforcuta donata al papa dai giovani? Potrebbero scaturirne notevoli realizzazioni.
E per un’eventuale mostra ho già in mente il titolo, preso in prestito da Carlo Verdone: “O’ famo strano? Ma sì, famolo”.
Aldo Maria Valli
EFFETTI MODERNISTIL'altare dissacrante della basilica di Gallarate
Il nuovo altare della chiesa di Gallarate è composto da sculture di teste mozzate: dalla Madonna della Pietà all'imperatore gay Adriano. «Il Signore accoglie tutti», ha dichiarato il vescovo di Milano, Delpini. Così l’arte sacra viene tradita da un'opera provocatoria che attira morbosamente a sé quell’attenzione che dovrebbe essere data al Mistero che si consuma sulla sua superficie.
Un monumento alle vittime della Rivoluzione francese, un'ara precolombiana destinata ai sacrifici umani o un cippo in onore di Vlad Tepes Dracul? Più semplicemente, è il nuovo altare dell’ottocentesca basilica di Santa Maria Assunta a Gallarate (VA) consacrato domenica scorsa da Mons. Mario Delpini, Arcivescovo di Milano, in occasione del recente restauro della chiesa.
Fortemente voluta dal suo vicario Mons. Ivano Valagussa, prevosto di Gallarate, l’opera è firmata da Claudio Parmiggiani (1943) un artista che ama molto le teste mozzate e le sparge un po' ovunque nella sua produzione scultorea: spaccate, bendate, ripiene di nidi d’uccello, affumicate da lampade a petrolio, oppure direttamente ammucchiate sul pavimento. In questo caso – senza eccessivo sforzo creativo, in verità – l’artista ha impiegato le sue teste in onice bianco accatastandole per fare da base alla Mensa Eucaristica. Non deve stupire se l’opera ricorda uno dei rilievi della Colonna Traiana, nel quale i legionari palleggiano con le teste dei barbari. Mons. Delpini ha, infatti, spiegato durante l’omelia:
«Su quest’altare sono tutti rappresentati. Cristiani e pagani, santi e peccatori. Questa è la mensa del Signore che accoglie tutti». Ed era necessario presentarli decapitati in una composizione “stile Daesh”? Il programma iconografico dell’artista è ambizioso, ma solo chi è sufficientemente dotato di cultura storico-artistica potrà riconoscere nell'altare, a un esame molto ravvicinato, il calco dei principali personaggi della storia ripresi nelle più note sculture. Nel mucchio vi è la testa mozzata della Madonna della Pietà di Michelangelo accanto a quella dell’imperatore gay Adriano e ad altre teste copiate da opere di Bernini, Borromini e Canova con richiami alla scultura classica fino alle opere contemporanee. Secondo l’artista Parmiggiani: «L’altare si riassume in una mensa derivante dalla giustapposizione di due luminose lastre marmoree sovrapposte che trattengono e proteggono, quasi materno pellicano, una moltitudine di teste antiche; reliquie ed emblemi di una sacralità, di una umanità, di una totalità».
A chi sarebbe sfuggita, del resto, la metafora del materno pellicano, con tutto il resto? Forse ai bambini, agli anziani, alle persone non acculturate, ai semplici, insomma a tutta quell’umanità che alla Biennale di Venezia, di fronte a un’installazione, non è in grado di assumere una posa pensosa per maturare un profondo giudizio estetico. Praticamente, quell’umanità per cui si è incarnato Nostro Signore.
Siamo di fronte a un patente tradimento della missione dell’arte sacra cattolica che, per 2000 anni, non ha fatto altro che rendere esplicito, commovente, realistico e chiaro per tutti il messaggio di Gesù, gli episodi del Vangelo e le vite dei Santi. Ben difficilmente la Chiesa ha richiesto sforzi interpretativi ai fedeli, né tantomeno ha mai operato selezioni classiste in base al loro grado di preparazione culturale. Se alcune opere presentavano vari livelli di lettura, con raffinati simbolismi interpretabili solo dalle classi più colte, questo avveniva sempre nel pieno rispetto della visione immediata da parte della gente semplice. Dagli affreschi nelle catacombe che, con intelligenza, mutuavano gli antichi simboli della tradizione precedente, alle preziose icone medievali, pazientemente rivestite d’oro e gemme, passando per la scoperta delle leggi della visione con Giotto, Piero della Francesca, Mantegna, riscoprendo la bellezza del corpo umano con il Rinascimento, amando la realtà fino a offrirne un’illusione teatralizzata con i quadraturisti barocchi, tutta l’arte sacra è stata, da sempre, un grandioso, millenario atto di amore, di comunicazione, di spiegazione alle masse.
Dai più icastici Pantocratori bizantini, alle Madonne secentesche più tenere e materne, la Chiesa ha sempre cercato, attraverso l’arte, di magnificare Dio con la bellezza e l’armonia oggettiva in un vero inno alla realtà, con un intento didascalico che, pietosamente, spiegasse la Fede attraverso le immagini alle masse analfabete. Con quella prudenza che a noi sembra oggi eccessiva, le gerarchie ecclesiastiche hanno a volte censurato le sollecitazioni erotiche dei corpi nudi, le invenzioni astruse dei pittori manieristi, persino i dettagli troppo realistici, come i piedi sporchi del pellegrino nella Madonna del Caravaggio. San Roberto Bellarmino e San Carlo Borromeo, con la Controriforma, fornirono regole chiarissime e definitive per arginare tutti gli abusi e gli eccessi nell’arte sacra.
Una saggezza che mirava a non confondere, a non tentare gli istinti, a mitigare il protagonismo e l’interesse personale degli artisti e soprattutto a garantire un linguaggio formale che fosse costantemente improntato al massimo rispetto del sacro. Tutto questo oggi si è perso. Un'opera provocatoria, choccante e di dubbio gusto diviene oggi un altare che attira morbosamente su di sé quell’attenzione che invece dovrebbe essere catalizzata dal Mistero che si consuma sulla sua superficie.
Qualcuno ha parlato addirittura di blasfemia e rimandi satanici; più banalmente pensiamo che si tratti di un monumento all’autoreferenzialismo di un artista e al provinciale affannarsi di una certa Chiesa nel tentare di sembrare moderna, colta e “à la page”, con uno stile in ritardo di almeno 50 anni.
Andrea Cionci
http://www.lanuovabq.it/it/laltare-dissacrante-della-basilica-di-gallarate
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