Dopo la canonizzazione di Paolo VI, effettuata da Francesco il 14 ottobre 2018, ciò che rimane è la preoccupazione che l'andamento in peggio della crisi nella Chiesa invece che accennare ad arrestarsi continui a dar segno di volersi accentuare.
Dove andremo a finire? Quando si può sperare di avere un po' di tregua?
E’ chiaro che se il Signore permette tutto questo ci sarà un motivo, che a noi rimane imperscrutabile, ma per quanto ci riguarda possiamo solo cercare, con l’aiuto di Dio, di rimanere saldi nella fede e di perseverare nell’attenerci alla verità e nel respingere, denunciare e combattere l’errore; con le nostre modeste forze e con i talenti che il Signore ha voluto assegnarci.
E’ in questa ottica che guardiamo oggi all’avvenuta canonizzazione di Paolo VI e, costernati, volgiamo lo sguardo agli anni in cui Giovanni Battista Montini resse le sorti del mondo cattolico, dal 1963 al 1978; quindici anni cruciali per la vita della compagine cattolica… Vaticano II, nuova Messa, nuovi sacramenti, nuova disciplina ecclesiastica, nuova pastorale, nuova dottrina, accompagnati da una non tanto mascherata persecuzione contro chi, chierico o laico, voleva rimanere fedele alla Chiesa di sempre.
In una parola: rivoluzione! Una rivoluzione che diede da subito e continua a dare i frutti nefasti che costituiscono quello che si usa chiamare crisi nella Chiesa: progressiva diminuzione dei fedeli, chierici e laici, inizio di una strisciante apostasia che si è diffusa a macchia d’olio, abbandono della morale cattolica, perdita della fede e sostituzione di essa con i valori del mondo, dai più perniciosi ai più vergognosi.
In queste ultime settimane sono stati tanti gli interventi relativi a questa inaudita canonizzazione, alcuni dei quali pubblicati in questo sito; nel merito, quindi, rimandiamo ad essi, qui abbiamo pensato che fosse opportuno fissare alcuni momenti del pontificato di Paolo VI soprattutto attraverso delle immagini, e questo non tanto perché le immagini spesso rimangono in memoria meglio degli scritti, quanto perché è risaputo che un papa fa del magistero, non solo con i documenti, ma anche con le azioni e con i gesti.
Quello che presentiamo, quindi, è un lato non secondario del magistero di Paolo VI: ciò che egli ha suggerito, consigliato, offerto come esempio di vita cristiana. Logicamente, le immagini sono accompagnate sia dai riferimenti, sia dalle citazioni tratte dalle diverse dichiarazioni fatte nell’occasione.
Le prime immagini sono generiche, ma particolarmente significative per inquadrare la figura di Giovanni Battista Montini.
Paolo VI rinuncia alla tiara e la depone per venderla
Il 13 novembre 1964, un anno dopo la sua incoronazione, Paolo VI rinunciò alla tiara con cui era stato incoronato e la depose sull’altare perché fosse venduta. Il gesto quasi sacrilego e sicuramente denigratorio per la Chiesa e per i suoi predecessori, fu volutamente demagogico.
Chi per avventura volesse ipotizzare che si trattò di un anelito alla povertà, ricordiamo che la Tiara, con le sue tre corone, simboleggia il triplice potere del Papa di: Vicario di Cristo e quindi Padre dei príncipi e dei re, Reggitore del mondo; essa simboleggia altresì la triplice costituzione della Chiesa: militante, purgante e trionfante; nonché il potere conferito da Cristo al suo Vicario sui tre mondi: il Cielo, la terra e gli inferi, come ricorda San Paolo nella Lettera ai Filippesi, 2, 10-11: « perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.»
Con la deposizione della Tiara, Paolo VI volle gettare al macero tutto questo, suscitando non poche indignate reazioni, tra le quali quella del cardinale Francis Joseph Spellmann, Arcivescovo di New York, che con una sottoscrizione di oltre un milioni di dollari acquistò la tiara dal Vaticano e la fece deporre nella Basilica dell’Immacolata Concezione di Washington, dove ancora si trova.
Paolo VI amico dei comunisti
Il 3 novembre 1954, Mons. Montini, Sostituto alla Segreteria di Stato di Pio XII, venne nominato Arcivescovo di Milano e così allontanato dal Vaticano. Al di là delle poche notizie certe sull’accaduto, quasi tutti concordano sul fatto che perse la fiducia di Pio XII perché questi venne a sapere che il suo Monsignore incontrava segretamente, a sua insaputa, gli esponenti del comunismo internazionale e italiano: con l’aiuto di don Giuseppe De Luca si incontrò a Milano con Togliatti. Tra le diverse voci in tal senso ricordiamo quella del cardinale Siri, che non era certo in Curia a Roma e che ebbe a dire di aver sentito parlare di motivi politici.
Fatto è che, divenuto papa, Paolo VI diede udienza in Vaticano a tutti i capi comunisti dei paesi dell’Est, dove i cattolici venivano perseguitati e imprigionati.
Il 30 gennaio 1967, Paolo VI concesse udienza in Vaticano a Nikolaj Podgornyj , Presidente del Presidium del Soviet Supremo dell'Unione Sovietica. Si trattò della prima udienza pontificia pubblica concessa ad un capo comunista. Paolo VI, tra calorose strette di mano, si intrattenne con Podgornyj per settanta minuti: c’è da chiedersi se abbiano parlato dei milioni di vittime del comunismo e delle decine di migliaia di fucilati e deportati tra chierici e laici cristiani, nonché dei 50.000.000 di cattolici che subirono la più atroce delle persecuzioni dietro la Cortina di Ferro.
Sulle vittime del comunismo si possono consultare diverse pagine su internet, compresa questa de L'Osservatore Romano:
http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/2010/276q04b1.html
Paolo VI volle che la speciale occasione venisse ricordata dal Vaticano con una “cartolina postale”.
Il 29 marzo 1971, Paolo VI ricevette in Vaticano Josip Broz Tito, dittatore jugoslavo con le mani macchiate del sangue delle decine di migliaia di vittime delle Foibe, tra cui centinaia di sacerdoti. L’arcivescovo di Zagabria, Alojzije Stepinac, creato cardinale da Pio XII e oggi beato, venne processato e condannato a 16 anni di carcere, morì nel 1960 per i maltrattamenti e verosimilmente avvelenato. Ciò nonostante, Il 25 giugno 1966, Paolo VI aveva fatto firmare al cardinale Casaroli, a Belgrado, un protocollo d’intesa col dittatore comunista Josip Broz Tito. Per la prima volta nella storia, la Santa Sede giunse ad un accordo con uno Stato marxista dell’Est.
Udienza concessa a Nicolae Ceauşescu
Il 26 maggio 1973, Paolo VI ricevette in udienza nel Palazzo Apostolico il dittatore della Repubblica Socialista di Romania, Nicolae Ceauşescu,accompagnato dalla moglie.
Nel paese diventato a forza comunista dopo la Seconda Guerra Mondiale, la polizia diceva del Vaticano e del Papa: “Le possibilità informative del Vaticano, in tutti i Paesi in cui esiste la Chiesa cattolica, sono vaste, soprattutto grazie al fatto che il Sommo Pontefice ha a sua disposizione un intero esercito di preti ben preparati, disciplinati, facilmente manovrabili, non essendo vincolati dalla famiglia o da patrimoni. Ogni sacerdote della Chiesa romano-cattolica è, nello stesso tempo, un agente informativo perfetto del Papa di Roma, che trasmette da ogni angolo del mondo, per mezzo di scaglioni gerarchici, tutti i dati di natura politica, sociale, economica e religiosa che raccoglie dal seno della sua comunità religiosa”.
https://www.avvenire.it/agora/pagine/romania-martiri-dimenticati
Pare che Paolo VI non si curasse dell'odio anticattolico che animava il comunismo rumeno retto da Ceauşescu, né si curasse della sorte orribile che questo regime del terrore riservò al vescovo Vasile Aftenie; infatti così si rivolse al responsabile dell'odio e del terrore:
Udienza concessa a Janos Kadar
Udienza concessa a Edward Gierek
Il 1 dicembre 1977, Paolo VI ricevette in udienza in Vaticano Edward Gierek, Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Operaio Unificato Polacco; cioè del partito comunista che gestiva la dittatura in Polonia.
In quella occasione, Paolo VI rivolse queste parole al dirigente comunista:
Paolo VI impone l’abbandono della Santa Messa degli Apostoli
Paolo VI ecumenico
Il 21 novembre 1964, Paolo VI firmava il Decreto sull'Ecumenismo elaborato nel conclio Vaticanno II: Unitatis redintegratio.
In esso sta scritto:
«Coloro infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica» … «Inoltre, tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi ed eccellenti, possono trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica» … «Perciò queste Chiese e comunità separate, quantunque crediamo abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non son affatto spoglie di significato e di valore.» (n° 3).
«D'altra parte è necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati.» … «Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene compiuto nei fratelli separati, può pure contribuire alla nostra edificazione» (n° 4).
Iniziava così l’abbandono dello spirito ecumenico che aveva contrassegnato la Chiesa cattolica per secoli e che mirava a far ritornare nel seno dell’unica Chiesa di Cristo tutti coloro che per diversi motivi se ne erano separati: rinunciando all’unità e incorrendo per loro volontà nella scomunica o perdita della comunione voluta da Cristo.
Iniziava altresì la sminuizione della Chiesa cattolica e la sua equiparazione alle diverse sette nate per volontà umana in contrapposizione e talvolta in odio all’unica Chiesa di Cristo.
In questa ottica, Paolo VI diede impulso a tutte le iniziative atte a mostrare ai fedeli cattolici che i non cattolici fossero pari a loro e quindi contradditoriamente “cattolici”.
Il 18 settembre del 1964, Paolo VI ricevette nel Palazzo Apostolico, Martin Luther King, promotore della emancipazione degli Africani negli Stati Uniti. Dell'incontro, a cui partecipò l'arcivescovo americano Paul Casimir Marcinkus, si conoscono solo le poche dichiarazioni rilasciate subito dopo dallo stesso King: «Papa Paolo è stato molto aperto e schietto nelle sue dichiarazioni sulla situazione. Ha detto di essere un amico del popolo negro e che stava seguendo la nostra lotta negli Stati Uniti.»
Il 4 aprile del 1968, Martin Luther King venne assassinato. Paolo VI lo ricordò nell'omelia la successiva Domenica delle Palme, il 7 aprile:
Lo stesso 7 parile 1968, la Santa Sede dedicò a King una cartolina postale con una foto dell'incontro avvenuto nel 1964.
Il 23 marzo 1966, Paolo VI, nella Cappella Sistina, diede il benvenuto all’“arcivescovo” anglicano di Canterbury Arthur Michael Ramsey.Il dottor Ramsey vestiva una cappa viola e porpora; portava il berretto di velluto scuro che designa il teologo riformato. Sopra i due, l’affresco del Giudizio universale.Paolo VI lo accoglie così:
Ramsey si era rivolto a Paolo VI chiamandolo: «Sua Santità, caro fratello in Cristo»
Paolo VI invitò Ramsey a benedire i presenti, ma questi non capì e stava per inginocchiarsi… Paolo VI lo fece alzare e gli mise al dito il suo anello papale.
Dal canto suo, Ramsey mise al collo di Paolo VI una antica croce pettorale anglicana.
Subito dopo l'incontro, Paolo VI tenne l'udienza generale e rivolto ai presenti disse:
Il 22 agosto 1968, Paolo VI si recò a Bogotà, Columbia. Nell'areo papale ospitò il capo della comunità calvinista di Taizé, Roger Schutz, che era accompagnato da un altro componente la comunità, Robert Giscard.
Era stato lo stesso Schutz a chiedere il “passaggio”, scrivendo al Sostituto della Segreteria di Stato, Mons. Giovanni Benelli, al quale aveva presentato quasi come credenziale l'ultima sua impresa in America Latina: la distribuzione gratuita di copie del Nuovo Testamento - un milione afferma L'Osservatore Romano - in una nuova traduzione redatta da un gruppo ecumenico di “esperti”. L'iniziativa aveva goduto dell'aiuto dei vescovi locali e perfino dei numerosi pastori protestanti presenti nel paese.
I due “ospiti” viaggiarono ufficialmente come “invitati speciali”, insieme ai diversi vescovi e cardinali del seguito di Montini.
Sulla premura di Paolo VI, l'Osservatore Romano riporta: «Questa è un’eccezione fatta ad amici - ospiti sull’aereo» scrisse di suo pugno il Papa, il 15 giugno, in un appunto per la Segreteria di Stato. Con un’amichevole raccomandazione: «Sarà bene tenere riservata questa notizia, per prevenire domande d’altri, desiderosi di eguale favore».
La notizia venne pubblicata su L'Osservatore Romano del 5 settembre 2017.
http://www.osservatoreromano.va/it/news/un-ospite-speciale
Il 10 giugno 1969, Paolo VI si recò in visita Al Consiglio ecumenico delle Chese, a Ginevra.
Salutò così i convenuti:
Lo stesso giorno, incontrando i rappresentanti delle diverse Chiese presenti a Ginevra, parlò loro del significato del sano ecumenismo:
Il 14 dicembre 1975, nel corso della celebrazione del decimo anniversario della reciproca rimozione delle scomuniche tra Roma e Costantinopoli, Paolo VI interruppe il cerimoniale per inginocchiarsi e baciare i piedi del metropolita di Calcedonia, Melitone, capo della delegazione ortodossa in rappresentanza del Patriarca di Costantinopoli, Dimitrios I.
Nel corso della precedente omelia, Paolo VI aveva detto:
In diverse occasioni, Paolo VI si compiacque di ostentare una sorta di pettorale quasi identico a quello portato dal sommo sacerdote ebraico: il “pettorale del giudizio” – Hoshen -, che veniva indossato sopra il grembiule rituale o Efod. (Cfr. Esodo 28, 6-30). Tale pettorale era un simbolo del culto israelitico nella Vecchia Alleanza e non si comprende per quale motivo dovesse indossarlo il successore di Pietro che è il capo della Chiesa cattolica voluta da Cristo che volle istituire una Nuova Alleanza (Cfr. Mt. 26, 28; Mc. 14, 24; Lc. 22, 20); Gesù stesso la chiama “Nuova”, quindi che sostituiva la “Vecchia”, tale da comportare un nuovo culto, un nuovo sacerdozio e nuovi rituali.
Non si tratta di una deduzione, ma di una constatazione: basta confrontare il monile indossato da Paolo VI con quello indossato dal sacerdote ebraico.
Finora non siamo riusciti a trovare una giustificazione: non è tale infatti quella che parla di una sorta di fermaglio che sarebbe servito a tenere ferma la stola rossa indossata da Montini.
Perché proprio la stola rossa aveva bisogno di uno speciale fermaglio? E perché tale fermaglio doveva avere la forma e la composizione esatte del “pettorale del giudizio”?
Vero è che Montini non lo indossava allo stesso modo del sacerdote ebraico, ma quel monile che penzola ostentatamente sul petto di un papa è decisamente due volte fuori posto: primo perché non ha a che vedere con le vesti pontificali, secondo perché è lesivo della croce pettorale indossata dai vescovi cattolici. E’ chiaro a chiunque che la croce ha sostituito tutti simboli del vecchio culto ebraico, ed è chiaro a tutti che i simboli del sommo sacerdote ebraico sono decaduti e non possono più essere usati, poiché è lo stesso sacerdozio ebraico che è scomparso con la scomparsa del Tempio ebraico.
Ci si può quindi chiedere se Montini indossasse il “pettorale del giudizio” per espressa richiesta degli Ebrei o se l’indossasse per offrire ad essi, motu proprio, un segno del persistere del loro culto. Non è un caso che i papi conciliari abbiano tutti insistito sul fatto assurdo che la “Vecchia Alleanza” non sarebbe mai stata revocata.
Il 10 gennaio 1975, Paolo VI ricevette in Vaticano i membri del Comitato internazionale di collegamento fra Chiesa cattolica ed ebraismo mondiale, a cui rivolse leseguenti parole:
Da 4 al gennaio 1964, Paolo VI si recò in Terra Santa e rivolto agli esponenti dell’ebraismo disse:
Il 19 gennaio 1967, Paolo VI ricevette in udienza il nuovo ambasciatore della Turchia e ne approfittò per compiere un gesto stupido, per la Turchia moderna, e offensivo per la Cristianità e per l’intera Europa.
Egli rivolse all’ambasciatore le seguenti parole:
Tale decisione, indegna di un papa, rappresentò clamorosamente il disprezzo che Paolo VI, l’“aggiornatore”, nutriva verso la storia e la vita della Chiesa fino al Vaticano II.
Cos’era infatti il famoso stendardo restituito?
Era un drappo di pesante seta verde sul quale 28 mila e 900 donne di Costantinopoli avevano ricamato, a filo d’oro zecchino, 28 mila e 900 volte il nome di Allah. Il drappo era issato sulla Sultana, la nave ammiraglia della flotta turca a Lepanto, comandata da Mehmet Alì Pascià.
In quel lontano 7 ottobre 1571, la flotta turca si scontrò con la flotta della Lega Santa, promossa da San Pio V per fermare l’avanzata musulmana. La flotta della Lega Santa era composta da 209 galee, 1805 cannoni, 28mila soldati, 12mila e 900 marinai e 43mila e 500 rematori; era comandata da Don Giovanni d’Austria e comprendeva anche le navi della Repubblica di Venezia, comandate da Sebastiano Venier, Capitano Generale del Mare. Fu proprio Venier che con la sua Capitana, insieme ad altre navi, abbordò la Sultana di Alì Pascià, che rimase ucciso, e catturò lo stendardo della nave ammiraglia turca. Venier trascinò lo stendardo, legato alla poppa della sua galea, fino a Venezia, per poi consegnarlo a San Pio V.
In quella battaglia navale che bloccò le velleità musulmane e mise in salvo la Cristianità e l’Europa, morirono 8mila uomini e morirono in nome di Cristo e per la salvaguardia della Sua Chiesa.
Paolo VI, volle dar prova di non considerare minimamente il sacrificio di quegli uomini, e al tempo stesso dimostrò quanto grande fosse il suo servilismo nei confronti dei musulmani turchi, nonostante alla Turchia moderna, che Ataturk aveva trasformato in una Repubblica laica dove aveva sminuito il culto islamico e perfino abolito l’uso della scrittura araba per sostituirla con quella occidentale, a quella Turchia non importava un bel niente di Alì Pascià e dello stendardo musulmano.
Come abbiamo detto: un gesto stupido e insieme offensivo per la Chiesa.
Ma a Paolo VI importava davvero della Chiesa?
Il giorno della elezione di Paolo VI a Pontefice, il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Giordano Gamberini (nella foto), esclamò: «Questo è l’uomo che fa per noi!». Alla morte di Paolo VI, lo stesso Gamberini, che come vescovo della “chiesa cattolica di rito antico e gnostica” aveva assunto il nome di Tau Julianus, scrisse sulla “Rivista Massonica” un elogio funebre in qualità di ex Gran Maestro: «Per noi è la morte di chi ha fatto cadere la condanna di Clemente XII e dei suoi successori. Ossia, è la prima volta – nella storia della Massoneria moderna – che muore il Capo della più grande religione occidentale non in stato di ostilità coi massoni … per la prima volta, nella storia, i Massoni possono rendere omaggio al tumulo di un Papa, senza ambiguità né contraddizione.»
(Carlo Alberto Agnoli, La Massoneria alla conquista della Chiesa)
Paolo VI, al momento della redazione della cosiddetta “Bibbia Concordata”, pubblicata nel 1968, volle che Giordano Gamberini fosse tra i redattori, e questi tradusse il nuovo “Vangelo di Giovanni”.
Il 19 dicembre 1966, un resoconto della CIA riferisce che «Oggi Papa Paolo VI ha ricevuto in udienza privata due capi del B’nai B’rith. Il Pontefice ha parlato per 20 minuti con il Presidente internazionale della Fraternità ebraica, il Dott. William A. Wexler, di Savannah, GA., e col suo Segretario Generale, Dott. Saul E. Joftes, di Falls Church, VA. Il dott. Jofets ha riferito che la discussione ha riguardato gli sforzi compiuti a favore dei diritti umani e della libertà religiosa dalle Nazioni Unite e dalla Chiesa.
Il Dott. Wexler aveva incontrato Papa Paolo VI l’anno scorso durante la visita del Pontefice alle Nazioni Unite.»
Il 3 giugno 1971, Paolo VI ricevette in Vaticano una rappresentanza dell'alta massoneria ebraica, la loggia B'nai B'rith. Il dott. Agnoli (cit.) annota che l'avvenimento venne riportato da L'Osservatore Romano. Don Luigi Villa, nel suo Paolo VI, beato? (Editrice Civiltà, Brescia), riporta che Paolo VI salutò i convenuti: «Miei cari amici!».
Don Luigi Villa, nel suo Paolo VI, beato? (Editrice Civiltà, Brescia), riferisce che: «Nel 1965, Paolo VI ricevette in Vaticano il Capo della Loggia P2, Licio Gelli, e in seguito gli conferì la nomina a Commendatore: “Equitem Ordinis Sancti Silvestri Papae”».
Formella nuova
In occasione dell'80° compleanno di Paolo VI, nel 1977, venne commissionata la cosiddetta «Porta del bene e del male», in bronzo, per uno degli ingressi della Basilica di San Pietro.
Questa porta costituisce un esempio della cattiva volontà e della confusione che regnavano già con Paolo VI.
Il “battente del bene” portava una formella centrale dedicata al concilio Vaticano II, dove erano raffigurati sei Padri conciliari: Giovanni XXIII a sinistra, quattro Padri al centro e Paolo VI a destra. Curiosamente, Paolo VI era il solo ad essere raffigurato di profilo, così che veniva messo in risalto il braccio sinistro con la mano sinistra, guantata, portante il risalto un “Pentalfa”, la “stella a cinque punte” simbolo dell’uomo ed emblema centrale della massoneria.
Particolare col “Pentalfa”
Dopo l’inaugurazione, qualcuno fece notare in alto loco l’inopportunità della presenza di tale emblema, ed allora si provvide ad abradere subito il “Pentalfa”. Successivamente la formella venne sostituita con una nuova che portava solo cinque Padri conciliari, sempre con Giovanni XXIII e Paolo VI ai loro posti e con la stessa postura: la “stella a cinque punte” di Paolo VI rimase abrasa.
Ci sarebbe molto da considerare, ma ci limitiamo a far notare che: o qualcuno commissionò la “stella” allo scultore, o lo scultore decise di testa sua. In quest’ultimo caso, o lo scultore era stato informato del gradimento di Paolo VI ad essere raffigurato con la «stella» massonica, o lo scultore era perfettamente informato della collusione di Paolo VI con la massoneria, oppure i massoni presenti in Curia avevano piacere che si sapesse che Paolo VI era uno dei loro o comunque un loro protettore.
Resta il fatto che fu proprio Paolo VI a benedire la “porta” il giorno del suo compleanno e L'Osservatore Romano del 25 settembre 1977 vi dedicò un intera pagina. In entrambi i casi, il “Pentalfa” era lì bene in vista… nessuno ebbe a ridire!
Don Luigi Villa segnalò la cosa nel fascicolo Appunti critici sul Vaticano II, n° 5, pubblicato da Chiesa Viva.
http://unavocegrida.altervista.org/download/Cat.-Don-
Luigi-e-ing.-Adessa/20_-_29/20-_vaticano/Vaticano-II-5.pdf
Altri particolari furono segnalati dal Prof. Umberto Bartocci:
http://www.cartesio-episteme.net/villa.html
L'8 maggio 1974, nel corso dell'udienza generale in cui erano presenti vasti gruppi di neocatecumenali provenienti da diverse parti, Paolo VI disse:
Il 12 gennaio 1977, ancora all'udienza generale, Paolo VI disse:
Non è questa la sede per ricordare la pratica ereticale di questo gruppo fondato dal pittore Francisco José Gómez Argüello Wirtz, detto Kiko Argüello e dall’ex suora laica María del Carmen Hernández Barrera, detta Carmen Hernández.
La gran parte dei nostri lettori sa in cosa consista il “cammino neocatecumenale” e quanti guasti ha prodotto questo moderno “movimento ecclesiale” in tante anime.
Al di là della deriva filo ebraica portata avanti da questi due “catechisti” “approvati” ed elogiati da tutti i papi conciliari, ricordiamo solo che
Ecco alcuni degli insegnamenti di questi due personaggi che San Pio da Pietrelcina definiva “i nuovi falsi profeti”:
Secondo Kiko e Carmen:
E questo in barba a quanto dava a credere a suo tempo Giovanni Battista Montini, oggi “San Paolo VI”, che forse è stato canonizzato anche per questo da papa Bergoglio.
Paolo VI mori il 6 agosto 1978 a Castel Gandolfo; i funerali si svolsero a Roma sul sagrato della Basilica di San Pietro. Aveva già preparato le sue disposizioni testamentarie in undici pagine autografe.
Oltre alle decisioni circa i suoi beni di origine familiare, che lasciò ai fratelli, e alla designazione del suo segretario personale come esecutore testamentario, dispose che
E dispose anche:
Ma evidentemente, su quest'ultimo punto dovette dare delle disposizioni verbali, perché altrimenti non si spiega, sulla base del suo '“umile e decoroso”, la stranezza della sua bara: composta di nudo legno piallato e completamente spoglia perfino di ogni segno cristiano. Una sorta di bara anonima nonostante lui fosse stato il Papa e nonostante i funerali vennero svolti in piazza San Pietro con il concorso di vescovi e cardinali e con l'assistenza delle principali autorità mondiali.
Ecco tre immagini in cui è ripresa la bara (cliccare per ingrandire)
L'arrivo della bara da Castel Gandolfo
La bara esce dalla Basilica e condotta sul sagrato
La bara viene posta sul sagrato davanti alla Basilica
E’ chiaro che se il Signore permette tutto questo ci sarà un motivo, che a noi rimane imperscrutabile, ma per quanto ci riguarda possiamo solo cercare, con l’aiuto di Dio, di rimanere saldi nella fede e di perseverare nell’attenerci alla verità e nel respingere, denunciare e combattere l’errore; con le nostre modeste forze e con i talenti che il Signore ha voluto assegnarci.
E’ in questa ottica che guardiamo oggi all’avvenuta canonizzazione di Paolo VI e, costernati, volgiamo lo sguardo agli anni in cui Giovanni Battista Montini resse le sorti del mondo cattolico, dal 1963 al 1978; quindici anni cruciali per la vita della compagine cattolica… Vaticano II, nuova Messa, nuovi sacramenti, nuova disciplina ecclesiastica, nuova pastorale, nuova dottrina, accompagnati da una non tanto mascherata persecuzione contro chi, chierico o laico, voleva rimanere fedele alla Chiesa di sempre.
In una parola: rivoluzione! Una rivoluzione che diede da subito e continua a dare i frutti nefasti che costituiscono quello che si usa chiamare crisi nella Chiesa: progressiva diminuzione dei fedeli, chierici e laici, inizio di una strisciante apostasia che si è diffusa a macchia d’olio, abbandono della morale cattolica, perdita della fede e sostituzione di essa con i valori del mondo, dai più perniciosi ai più vergognosi.
In queste ultime settimane sono stati tanti gli interventi relativi a questa inaudita canonizzazione, alcuni dei quali pubblicati in questo sito; nel merito, quindi, rimandiamo ad essi, qui abbiamo pensato che fosse opportuno fissare alcuni momenti del pontificato di Paolo VI soprattutto attraverso delle immagini, e questo non tanto perché le immagini spesso rimangono in memoria meglio degli scritti, quanto perché è risaputo che un papa fa del magistero, non solo con i documenti, ma anche con le azioni e con i gesti.
Quello che presentiamo, quindi, è un lato non secondario del magistero di Paolo VI: ciò che egli ha suggerito, consigliato, offerto come esempio di vita cristiana. Logicamente, le immagini sono accompagnate sia dai riferimenti, sia dalle citazioni tratte dalle diverse dichiarazioni fatte nell’occasione.
Le prime immagini sono generiche, ma particolarmente significative per inquadrare la figura di Giovanni Battista Montini.
Paolo VI rinuncia alla tiara e la depone per venderla
Il 13 novembre 1964, un anno dopo la sua incoronazione, Paolo VI rinunciò alla tiara con cui era stato incoronato e la depose sull’altare perché fosse venduta. Il gesto quasi sacrilego e sicuramente denigratorio per la Chiesa e per i suoi predecessori, fu volutamente demagogico.
Chi per avventura volesse ipotizzare che si trattò di un anelito alla povertà, ricordiamo che la Tiara, con le sue tre corone, simboleggia il triplice potere del Papa di: Vicario di Cristo e quindi Padre dei príncipi e dei re, Reggitore del mondo; essa simboleggia altresì la triplice costituzione della Chiesa: militante, purgante e trionfante; nonché il potere conferito da Cristo al suo Vicario sui tre mondi: il Cielo, la terra e gli inferi, come ricorda San Paolo nella Lettera ai Filippesi, 2, 10-11: « perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.»
Con la deposizione della Tiara, Paolo VI volle gettare al macero tutto questo, suscitando non poche indignate reazioni, tra le quali quella del cardinale Francis Joseph Spellmann, Arcivescovo di New York, che con una sottoscrizione di oltre un milioni di dollari acquistò la tiara dal Vaticano e la fece deporre nella Basilica dell’Immacolata Concezione di Washington, dove ancora si trova.
Paolo VI commissiona una orribile scultura in bronzo che dovrebbe rappresentare la Resurrezione e che si trova ancora oggi nella sala delle udienze in Vativano
Paolo VI commissionò la scultura nel 1965, due anni dopo la sua elevazione al Papato. Pericle Fazzini iniziò il lavoro nel 1970 e lo portò a compimento nel 1975.
Paolo VI amico dei comunisti
Il 3 novembre 1954, Mons. Montini, Sostituto alla Segreteria di Stato di Pio XII, venne nominato Arcivescovo di Milano e così allontanato dal Vaticano. Al di là delle poche notizie certe sull’accaduto, quasi tutti concordano sul fatto che perse la fiducia di Pio XII perché questi venne a sapere che il suo Monsignore incontrava segretamente, a sua insaputa, gli esponenti del comunismo internazionale e italiano: con l’aiuto di don Giuseppe De Luca si incontrò a Milano con Togliatti. Tra le diverse voci in tal senso ricordiamo quella del cardinale Siri, che non era certo in Curia a Roma e che ebbe a dire di aver sentito parlare di motivi politici.
Fatto è che, divenuto papa, Paolo VI diede udienza in Vaticano a tutti i capi comunisti dei paesi dell’Est, dove i cattolici venivano perseguitati e imprigionati.
Ripetuti incontri con Andrej Gromiko
Paolo VI incontrò cinque volte (1965, 1966, 1970, 1974 e 1975) Andrej Gromyko, ministro degli Esteri dell'Unione Sovietica; il primo incontro del 1965 avvenne a New York durante il suo viaggio negli Stati Uniti dal 4 al 5 ottobre, tutti gli altri in Vaticano. L'iniziativa di questi incontri veniva dal Vaticano, poiché Paolo VI teneva a scambiare opinioni col ministro sovietico su diverse questioni. C'è da supporre che da queste questioni esulasse quella della percuzione sovietica contro la religione e in particolare contro i cattolici.
D'altronde egli seguiva l'esempio di Giovanni XXIII, che aveva voluto incontrare Gromyko nel 1963.
Udienza concessa a Nikolaj Porgorny
Paolo VI incontrò cinque volte (1965, 1966, 1970, 1974 e 1975) Andrej Gromyko, ministro degli Esteri dell'Unione Sovietica; il primo incontro del 1965 avvenne a New York durante il suo viaggio negli Stati Uniti dal 4 al 5 ottobre, tutti gli altri in Vaticano. L'iniziativa di questi incontri veniva dal Vaticano, poiché Paolo VI teneva a scambiare opinioni col ministro sovietico su diverse questioni. C'è da supporre che da queste questioni esulasse quella della percuzione sovietica contro la religione e in particolare contro i cattolici.
D'altronde egli seguiva l'esempio di Giovanni XXIII, che aveva voluto incontrare Gromyko nel 1963.
Udienza concessa a Nikolaj Porgorny
Il 30 gennaio 1967, Paolo VI concesse udienza in Vaticano a Nikolaj Podgornyj , Presidente del Presidium del Soviet Supremo dell'Unione Sovietica. Si trattò della prima udienza pontificia pubblica concessa ad un capo comunista. Paolo VI, tra calorose strette di mano, si intrattenne con Podgornyj per settanta minuti: c’è da chiedersi se abbiano parlato dei milioni di vittime del comunismo e delle decine di migliaia di fucilati e deportati tra chierici e laici cristiani, nonché dei 50.000.000 di cattolici che subirono la più atroce delle persecuzioni dietro la Cortina di Ferro.
Sulle vittime del comunismo si possono consultare diverse pagine su internet, compresa questa de L'Osservatore Romano:
http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/2010/276q04b1.html
Paolo VI volle che la speciale occasione venisse ricordata dal Vaticano con una “cartolina postale”.
Udienza concessa a Josip Broz Tito
Il 29 marzo 1971, Paolo VI ricevette in Vaticano Josip Broz Tito, dittatore jugoslavo con le mani macchiate del sangue delle decine di migliaia di vittime delle Foibe, tra cui centinaia di sacerdoti. L’arcivescovo di Zagabria, Alojzije Stepinac, creato cardinale da Pio XII e oggi beato, venne processato e condannato a 16 anni di carcere, morì nel 1960 per i maltrattamenti e verosimilmente avvelenato. Ciò nonostante, Il 25 giugno 1966, Paolo VI aveva fatto firmare al cardinale Casaroli, a Belgrado, un protocollo d’intesa col dittatore comunista Josip Broz Tito. Per la prima volta nella storia, la Santa Sede giunse ad un accordo con uno Stato marxista dell’Est.
Udienza concessa a Nicolae Ceauşescu
Il 26 maggio 1973, Paolo VI ricevette in udienza nel Palazzo Apostolico il dittatore della Repubblica Socialista di Romania, Nicolae Ceauşescu,accompagnato dalla moglie.
Nel paese diventato a forza comunista dopo la Seconda Guerra Mondiale, la polizia diceva del Vaticano e del Papa: “Le possibilità informative del Vaticano, in tutti i Paesi in cui esiste la Chiesa cattolica, sono vaste, soprattutto grazie al fatto che il Sommo Pontefice ha a sua disposizione un intero esercito di preti ben preparati, disciplinati, facilmente manovrabili, non essendo vincolati dalla famiglia o da patrimoni. Ogni sacerdote della Chiesa romano-cattolica è, nello stesso tempo, un agente informativo perfetto del Papa di Roma, che trasmette da ogni angolo del mondo, per mezzo di scaglioni gerarchici, tutti i dati di natura politica, sociale, economica e religiosa che raccoglie dal seno della sua comunità religiosa”.
https://www.avvenire.it/agora/pagine/romania-martiri-dimenticati
Pare che Paolo VI non si curasse dell'odio anticattolico che animava il comunismo rumeno retto da Ceauşescu, né si curasse della sorte orribile che questo regime del terrore riservò al vescovo Vasile Aftenie; infatti così si rivolse al responsabile dell'odio e del terrore:
«È la prima volta che Sua Eccellenza è in Vaticano, e devo dirvi che attribuiamo grande importanza a questo, perché vogliamo solo avere buoni rapporti in completa devozione e rispetto. Siamo gli eredi di una storia che non è di per sé perfetta, ma dobbiamo perfezionarla a beneficio dei popoli. Lo stato, e così la Chiesa cattolica, più che mai, deve agire per una nuova visione sociale nel mondo»
http://www.ziuaveche.ro/exclusiv-zv/dosare-ultrasecrete-exclusiv-zv/dosare-
http://www.ziuaveche.ro/exclusiv-zv/dosare-ultrasecrete-exclusiv-zv/dosare-
Udienza concessa a Janos Kadar
Il 9 giugno 1977, Paolo VI ricevette in udienza in Vaticano Janos Kadar, Presidente del Consiglio dell'Ungheria, il persecutore del cardinale Mindszenty, arrestato due volte dal regime comunista ungherese e condannato all'ergastolo, poi liberato solo in seguito all'insurrezione anticomunista del 1956.
In occasione dell'udienza, Paolo VI rivolse al dirigente comunista le seguenti parole:
In occasione dell'udienza, Paolo VI rivolse al dirigente comunista le seguenti parole:
«La visita che oggi ella ci rende è, senza dubbio, evento di singolare significato e di speciale importanza… Questo ci dà animo a confidare che la sua visita, oltre che coronamento, in certo senso, di un importante tratto di cammino già percorso, sia annuncio e promessa di nuovi progressi sulla via dei reciproci contatti, della mutua comprensione e di una positiva cooperazione al servizio di nobili cause che interessano il popolo ungherese, non solo, ma anche altri popoli e l’umanità intera, particolarmente nella difesa della pace e per promuovere il progresso sociale, economico, culturale e morale delle Nazioni.»
Udienza concessa a Edward Gierek
Il 1 dicembre 1977, Paolo VI ricevette in udienza in Vaticano Edward Gierek, Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Operaio Unificato Polacco; cioè del partito comunista che gestiva la dittatura in Polonia.
In quella occasione, Paolo VI rivolse queste parole al dirigente comunista:
«Accogliamo con grato apprezzamento le espressioni che Ella ha voluto avere per l’opera svolta dalla Santa Sede e da Noi personalmente al servizio della pace, in Europa e nel mondo. Rispondendo essa al profondo convincimento di un dovere impostoci dalla Nostra stessa missione, distinto ma non disgiunto da quello che Ci incombe al servizio della Chiesa Cattolica, degli interessi religiosi e dei diritti umani degli individui e dei popoli.»
https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1977/
december/documents/hf_p-vi_spe_19771201_edward-gierek.html
https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1977/
december/documents/hf_p-vi_spe_19771201_edward-gierek.html
Paolo VI e Mons. Helder Camara
Paolo VI nutriva una particolare amicizia per Mons. Helder Camara, amicizia risalente al 1950 e via via rafforzatasi. L'ottima intesa dei due nel Concilio Vaticano II spinse per la realizzazione della collegialità episcopale, mentre l'enciclica Populorum progessio, pubblicata da Paolo VI nel 26 marzo 1967, contò sulla collaborazione di Camara.
Paolo VI incontrò numerose volte il suo amico brasiliano, noto come “vescovo rosso”, e si racconta che ogni volta che si incontravano, in Vaticano o altrove, si scambiavano questo significativo saluto: «Eccolo qui, il nostro ‘Arcivescovo rosso’»... «In umile presenza del ‘papa comunista’».
Camara, divenuto nel 1964 arcivescovo di Recife e Olinda (Brasile), era passato dalla militanza nel partito filo-nazista brasiliano (1934) alla promozione del comunismo in tutte le sue forme (1947): dalle rivoluzioni sudamericane e la lotta armata in Brasile, alla teologia della liberazione. Fu promotore dell’aborto, del divorzio e dell’ordinazione delle donne. Dichiarato dal governo brasiliano “Patrono brasiliano dei diritti umani”, il 25 febbraio 2015 è stata avviata la causa di beatificazione.
Paolo VI nutriva una particolare amicizia per Mons. Helder Camara, amicizia risalente al 1950 e via via rafforzatasi. L'ottima intesa dei due nel Concilio Vaticano II spinse per la realizzazione della collegialità episcopale, mentre l'enciclica Populorum progessio, pubblicata da Paolo VI nel 26 marzo 1967, contò sulla collaborazione di Camara.
Paolo VI incontrò numerose volte il suo amico brasiliano, noto come “vescovo rosso”, e si racconta che ogni volta che si incontravano, in Vaticano o altrove, si scambiavano questo significativo saluto: «Eccolo qui, il nostro ‘Arcivescovo rosso’»... «In umile presenza del ‘papa comunista’».
Camara, divenuto nel 1964 arcivescovo di Recife e Olinda (Brasile), era passato dalla militanza nel partito filo-nazista brasiliano (1934) alla promozione del comunismo in tutte le sue forme (1947): dalle rivoluzioni sudamericane e la lotta armata in Brasile, alla teologia della liberazione. Fu promotore dell’aborto, del divorzio e dell’ordinazione delle donne. Dichiarato dal governo brasiliano “Patrono brasiliano dei diritti umani”, il 25 febbraio 2015 è stata avviata la causa di beatificazione.
Paolo VI impone l’abbandono della Santa Messa degli Apostoli
Il primo documento preparato nel Vaticano II fu la Costituzione sulla Sacra Liturgia: Sacrosanctum Concilium, promulgata da Paolo VI il 4 dicembre 1963. Con essa «Il sacro Concilio si propone di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli; di meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti; di favorire ciò che può contribuire all'unione di tutti i credenti in Cristo» (SC n° 1).
Intanto in diverse parrocchie si incominciava già a celebrare secondo tale nuovo “spirito”, in violazione delle ancora vigenti norme per la celebrazione della Santa Messa di sempre; infatti la nuova Messa venne promulgata da Paolo VI il 3 aprile 1969 con la Costituzione Missale Romanum. Ciò nonostante, già nel 1965 veniva usato un nuovo Messale con l’Ordinario e il Proprio cambiati, spesso a piacimento.
Neanche Paolo VI perse tempo e il 25 gennaio 1964 istituì il Consiglio per l’Attuazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia (Consilium), composto da circa 50 cardinali e vescovi che si servivano della consulenza di circa 200 periti, tra i quali Paolo VI volle che ci fossero sei pastori protestanti, i quali, verosimilmente, dovevano assicurare che il nuovo Messale corrispondesse alle loro vedute e fosse gradito al mondo protestane fuori dalla Chiesa e avverso ad essa.
Il segretario, tuttofare, di tale Consilium fu Annibale Bugnini, stranamente in odore di massoneria: lo stesso che nel 1967 scriveva: «sarà necessario provvedere a nuove strutture per riti interi. È una questione di rinnovamento completo, direi quasi di rifondazione e in certi casi si tratterà di una creazione nuova» e nel 1974 dichiarava che «la nuova messa è la più grande conquista della Chiesa cattolica».
Ancor prima della promulgazione del nuovo Messale, fu Paolo VI che incominciò a celebrare la Messa in modo nuovo. Quasi a dare l’esempio della nuova celebrazione “a piacere”, egli celebrò la Santa Messa di sempre in italiano, realizzando la prima grande contraddizione che rende palese la doppia faccia di questo papa che, si dice, pianse dal dispiacere nel firmare il Novus Ordo Missae.
Il 10 maggio 1970, in occasione dell’udienza concessa ai sei pastori protestanti che avevano collaborato all’elaborazione del Novus Ordo Missæ, Paolo VI, parlando del loro contributo ai lavori del Consilium liturgico, ebbe a dire:
Sul ruolo di questi sei pastori non cattolici all’interno del Consilium, Mons. William Baum, creato cardinale nel 1976 da Paolo VI, ebbe a dire: «Essi non si trovavano lì solo come osservatori, ma anche come consulenti che parteciparono attivamente al rinnovamento liturgico. Non avrebbe rappresentato molto se si fossero limitati ad ascoltare; essi vi contribuirono pienamente».
Il 20 luglio 1969, Paolo VI volle assistere alla diretta televisiva che dava conto del primo sbarco sulla luna effettuato dagli uomini. Si trovava nella residenza estiva di Castel Gandolfo e da lì, in compagnia di Mons. Benelli, seguì l’evento da poco dopo le 22,00 fino a notte inoltrata. Montini, progressista ed evoluzionista, manifestò in quella occasione tutta la sua ammirazione per l’operato dell’uomo mosso dalla scienza a far avanzare il “progresso”; ammirazione che comprendeva la condivisione del sogno americano di dominio del mondo, sempre in nome della libertà, del progresso e della pace. La sua gioia, quindi, fu doppia e la si colse con mano all’ascolto dei suoi interventi relativi a questo evento eccezionale.
In vista dell'evento, nell'Udienza generale del 16 luglio 1969, Paolo VI disse:
La mattina dell'evento, all'Angelus del 20 luglio 1969, Paolo VI disse:
La notte del 21 luglio 1969, non appena gli astronauti misero piede sulla luna, Paolo VI mandò loro un messaggio:
Nell'Udienza generale del 23 luglio 1969, a evento avvenuto, Paolo VI disse:
La cosa curiosa di tutta questa storia che ha visto il Papa partecipare in prima linea all’entusiasmo del mondo, è che, fin dall’inizio, furono sollevati non pochi dubbi sulla realtà di quanto si era visto in televisione (si calcola che l’avvenimento fosse stato seguito in vario modo da circa 600 milioni di persone), perché certi specialisti della pubblicistica ebbero il sospetto che non della luna si trattasse, ma di un apposito studio televisivo preparato dagli Americani per farvi svolgere quello spettacolo. Da allora, per quasi cinquant’anni, le perplessità non sono venute meno: è proprio di quest’anno l’uscita di un nuovo documentario (American Moon) che solleva molti interrogativi sulla realtà di quanto trasmesso al mondo dagli Americani.
Noi non entriamo nel merito della questione, ci limitiamo a segnalare l’esistenza di una certa critica perché è pacifico che quell’evento, per un verso diede un impulso consistente al delirio di onnipotenza che affligge il mondo moderno dimentico di Dio, e per l’altro consolidò la guida americana verso un mondo retto da un governo unico mondiale senza Dio.
Il 5 febbraio 1972 Paolo VI riceve il Segretario Generale delle Nazioni Unite, l'austriaco Kurt Walheim. Cos' si espresse Montini rivolto a Waldheim:
Intanto in diverse parrocchie si incominciava già a celebrare secondo tale nuovo “spirito”, in violazione delle ancora vigenti norme per la celebrazione della Santa Messa di sempre; infatti la nuova Messa venne promulgata da Paolo VI il 3 aprile 1969 con la Costituzione Missale Romanum. Ciò nonostante, già nel 1965 veniva usato un nuovo Messale con l’Ordinario e il Proprio cambiati, spesso a piacimento.
Neanche Paolo VI perse tempo e il 25 gennaio 1964 istituì il Consiglio per l’Attuazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia (Consilium), composto da circa 50 cardinali e vescovi che si servivano della consulenza di circa 200 periti, tra i quali Paolo VI volle che ci fossero sei pastori protestanti, i quali, verosimilmente, dovevano assicurare che il nuovo Messale corrispondesse alle loro vedute e fosse gradito al mondo protestane fuori dalla Chiesa e avverso ad essa.
Il segretario, tuttofare, di tale Consilium fu Annibale Bugnini, stranamente in odore di massoneria: lo stesso che nel 1967 scriveva: «sarà necessario provvedere a nuove strutture per riti interi. È una questione di rinnovamento completo, direi quasi di rifondazione e in certi casi si tratterà di una creazione nuova» e nel 1974 dichiarava che «la nuova messa è la più grande conquista della Chiesa cattolica».
Ancor prima della promulgazione del nuovo Messale, fu Paolo VI che incominciò a celebrare la Messa in modo nuovo. Quasi a dare l’esempio della nuova celebrazione “a piacere”, egli celebrò la Santa Messa di sempre in italiano, realizzando la prima grande contraddizione che rende palese la doppia faccia di questo papa che, si dice, pianse dal dispiacere nel firmare il Novus Ordo Missae.
Paolo VI celebra la Santa Messa tridentina… in italiano
Il 7 marzo 1965, Paolo VI celebrò per la prima volta la Santa Messa di sempre in italiano, nella parrocchia di Ognissanti, sull’Appia Nuova a Roma.
Nell’omelia disse: «Straordinaria è l’odierna nuova maniera di pregare, di celebrare la santa messa… Norma fondamentale è, d’ora in avanti, quella di pregare comprendendo le singole frasi e parole, di completarle con i nostri sentimenti personali, e di uniformare questi all’anima della comunità, che fa coro con noi»
Paolo VI celebra la Santa Messa di Natale al centro siderurgico di Taranto
Alla mezzanotte tra il 24 e il 25 dicembre del 1968, Paolo VI andò a celebrare la Santa Messa nella nuova acciaieria di Taranto. Nel corso dell'omelia disse:
Curiosamente, però, si tenga presente che nel 1968 Taranto contava circa 200.000 abitanti e nove Confraternite, che davano vita ad una delle più importanti celebrazioni della Settimana Santa in Italia, a cui partecipava tutta la città. Non si può dubitare che tra gli operai ci fossero, non solo dei componenti delle Confraternite, ma anche tantissimi Tarantini che ogni anno partecipavano, convinti e devoti, alla celebrazione della Settimana Santa e alla spettacolare processione per la festa dell’Immacolata Concezione, Patrona della città insieme a San Cataldo; e in termini di fede, e di fede vissuta, tutti costoro potevano dare solo dei punti a Montini amico dei comunisti.
Il 7 marzo 1965, Paolo VI celebrò per la prima volta la Santa Messa di sempre in italiano, nella parrocchia di Ognissanti, sull’Appia Nuova a Roma.
Nell’omelia disse: «Straordinaria è l’odierna nuova maniera di pregare, di celebrare la santa messa… Norma fondamentale è, d’ora in avanti, quella di pregare comprendendo le singole frasi e parole, di completarle con i nostri sentimenti personali, e di uniformare questi all’anima della comunità, che fa coro con noi»
Paolo VI celebra la Santa Messa di Natale al centro siderurgico di Taranto
Alla mezzanotte tra il 24 e il 25 dicembre del 1968, Paolo VI andò a celebrare la Santa Messa nella nuova acciaieria di Taranto. Nel corso dell'omelia disse:
«Voi avete certamente sentito parlare del recente Concilio, nel quale la Chiesa ha espresso e precisato il suo pensiero a riguardo dei suoi rapporti col mondo contemporaneo. Ecco che cosa dice il Concilio: I cristiani . . . non solo non pensano di contrapporre le conquiste dell’ingegno e dell’abilità dell’uomo alla potenza di Dio, … ma, al contrario, sono piuttosto persuasi che le conquiste dell’umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto d’un suo ineffabile disegno. … Ecco, figli carissimi, perché siamo venuti. Siamo venuti per voi. Siamo venuti, affinché la nostra presenza vi dimostrasse la presenza consolatrice, salvatrice di Cristo in mezzo al mondo meraviglioso, ma vuoto di fede e di grazia del lavoro moderno»
Era la prima volta che un papa non celebrava la Santa Messa di mezzanotte di Natale nella Basilica di San Pietro a Roma. Questa iniziativa di Paolo VI fu chiaramente un gesto demagogico, rivolto al mondo intero e atto a promuovere il Vaticano II e a suggerire il supposto nuovo interesse della Chiesa “aggiornata” per gli operai. Non si dimentichi che cosa fu il Sessantotto.Curiosamente, però, si tenga presente che nel 1968 Taranto contava circa 200.000 abitanti e nove Confraternite, che davano vita ad una delle più importanti celebrazioni della Settimana Santa in Italia, a cui partecipava tutta la città. Non si può dubitare che tra gli operai ci fossero, non solo dei componenti delle Confraternite, ma anche tantissimi Tarantini che ogni anno partecipavano, convinti e devoti, alla celebrazione della Settimana Santa e alla spettacolare processione per la festa dell’Immacolata Concezione, Patrona della città insieme a San Cataldo; e in termini di fede, e di fede vissuta, tutti costoro potevano dare solo dei punti a Montini amico dei comunisti.
Paolo VI riceve in udienza i sei pastori protestanti della nuova Messa
Il 10 maggio 1970, in occasione dell’udienza concessa ai sei pastori protestanti che avevano collaborato all’elaborazione del Novus Ordo Missæ, Paolo VI, parlando del loro contributo ai lavori del Consilium liturgico, ebbe a dire:
«Vi siete particolarmente sforzati di dare più spazio alla Parola di Dio contenuta nella Sacra Scrittura; di apportare un più grande valore teologico ai testi liturgici, affinché la “lex orandi” concordi meglio con la “lex credendi”».
Sul ruolo di questi sei pastori non cattolici all’interno del Consilium, Mons. William Baum, creato cardinale nel 1976 da Paolo VI, ebbe a dire: «Essi non si trovavano lì solo come osservatori, ma anche come consulenti che parteciparono attivamente al rinnovamento liturgico. Non avrebbe rappresentato molto se si fossero limitati ad ascoltare; essi vi contribuirono pienamente».
L'americanismo globalista di Paolo VI
La visita all'ONU
Il 4 e il 5 ottobre 1965, Paolo VI, su invito del terzo Segretario Generale delle Nazioni Unite, Maha Thray Sithu U Thant, si recò a New York, dove pronunciò un discorso nella sede dell’ONU. Montini parlò del “volto umano” dell’ONU, trascurandone volutamente il volto disumano costituito dai numerosi organismi creati da quel consesso al fine di promuovere l’abbrutimento dell’uomo: dalla pianificazione delle nascite all’aborto; dalla promozione dei cosiddetti “diritti civili” all’abbandono della religione di Dio sostituita dalla religione dell’uomo; dalla promozione dell’omosessualità alla creazione della pestifera “filosofia del genere”; dalla sostituzione della famiglia naturale con una famiglia “allargata” e artificiale alla promozione dell’eutanasia per i vecchi improduttivi e i disabili, così costosi per la società.
Tuttavia, bisogna riconoscere la coerenza di Paolo VI che, il successivo 7 dicembre 1965, nel chiudere il Vaticano II, ebbe a dire:
Cosciente del fine ultimo dell’ONU, consistente della creazione di un mondo omologato e senza Dio, e diretto da un unico governo esclusivamente umano, Paolo VI dimostrò di condividere i fini e i metodi del Nuovo Ordine Mondiale. E’ stupefacente la sua ammirazione per tutto ciò che porta l’uomo lontano da Dio, ed è altrettanto stupefacente che egli riesca a coniugare tale ammirazione con il richiamo alla pratica religiosa, espresso qua e là nei suoi interventi.
Di quale religione parla Paolo VI? Nessun dubbio che si tratti della religione dell’uomo e non della religione di Dio, visto che parliamo di colui che alla chiusura del Vaticano II ci tenne a dichiarare alto e forte:
Il 4 ottobre 1965, dal pulpito dell'aula dell'Assemblea Generale del “palazzo di vestro” dell'ONU, Paolo VI dichiarò:
La visita all'ONU
Il 4 e il 5 ottobre 1965, Paolo VI, su invito del terzo Segretario Generale delle Nazioni Unite, Maha Thray Sithu U Thant, si recò a New York, dove pronunciò un discorso nella sede dell’ONU. Montini parlò del “volto umano” dell’ONU, trascurandone volutamente il volto disumano costituito dai numerosi organismi creati da quel consesso al fine di promuovere l’abbrutimento dell’uomo: dalla pianificazione delle nascite all’aborto; dalla promozione dei cosiddetti “diritti civili” all’abbandono della religione di Dio sostituita dalla religione dell’uomo; dalla promozione dell’omosessualità alla creazione della pestifera “filosofia del genere”; dalla sostituzione della famiglia naturale con una famiglia “allargata” e artificiale alla promozione dell’eutanasia per i vecchi improduttivi e i disabili, così costosi per la società.
Tuttavia, bisogna riconoscere la coerenza di Paolo VI che, il successivo 7 dicembre 1965, nel chiudere il Vaticano II, ebbe a dire:
«Ma bisogna riconoscere che questo Concilio, postosi a giudizio dell’uomo, si è soffermato ben più a questa faccia felice dell’uomo, che non a quella infelice. Il suo atteggiamento è stato molto e volutamente ottimista. Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. … Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette.»
Cosciente del fine ultimo dell’ONU, consistente della creazione di un mondo omologato e senza Dio, e diretto da un unico governo esclusivamente umano, Paolo VI dimostrò di condividere i fini e i metodi del Nuovo Ordine Mondiale. E’ stupefacente la sua ammirazione per tutto ciò che porta l’uomo lontano da Dio, ed è altrettanto stupefacente che egli riesca a coniugare tale ammirazione con il richiamo alla pratica religiosa, espresso qua e là nei suoi interventi.
Di quale religione parla Paolo VI? Nessun dubbio che si tratti della religione dell’uomo e non della religione di Dio, visto che parliamo di colui che alla chiusura del Vaticano II ci tenne a dichiarare alto e forte:
«La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. … Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso [il Concilio]. … Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo.»
Il 4 ottobre 1965, dal pulpito dell'aula dell'Assemblea Generale del “palazzo di vestro” dell'ONU, Paolo VI dichiarò:
«Voi non vi contentate di facilitare la coesistenza e la convivenza fra le varie Nazioni; ma fate un passo molto più avanti, al quale Noi diamo la Nostra lode e il Nostro appoggio: voi promovete la collaborazione fraterna dei Popoli. Qui si instaura un sistema di solidarietà, per cui finalità civili altissime ottengono l’appoggio concorde e ordinato di tutta la famiglia dei Popoli per il bene comune, e per il bene dei singoli. Questo aspetto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è il più bello: è il suo volto umano più autentico; è l’ideale dell’umanità pellegrina nel tempo; è la speranza migliore del mondo; è il riflesso, osiamo dire, del disegno trascendente e amoroso di Dio circa il progresso del consorzio umano sulla terra.»
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1965/
documents/hf_p-vi_spe_19651004_united-nations.html
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1965/
documents/hf_p-vi_spe_19651004_united-nations.html
Ecco allora una curiosità che rappresenta simbolicamente la vera realtà dell’ONU e che spiega le sue vere finalità.
Vicino all’ingresso del “palazzo di vetro” dell’ONU si trova un locale che viene detto essere la “camera della meditazione” (meditation room). Tale locale dovrebbe essere una sorta di luogo di preghiera, se così si può dire, e contiene al centro una sorta di “altare”.
Si può leggere in cosa esso consista, andando alla pagina che abbiamo approntata. Qui diciamo solo che si tratta di una sorta di trasposizione neutra del massonico “Gabinetto di riflessione”.
Paolo VI, prima di pronunciare il suo discorso nell’aula dell’Assemblea, si recò in questa meditation room per raccogliersi in preghiera.
https://www.avvenire.it/agora/pagine/la-prima-volta-del-papa-allonu-
Lo sbarco sulla lunaVicino all’ingresso del “palazzo di vetro” dell’ONU si trova un locale che viene detto essere la “camera della meditazione” (meditation room). Tale locale dovrebbe essere una sorta di luogo di preghiera, se così si può dire, e contiene al centro una sorta di “altare”.
Si può leggere in cosa esso consista, andando alla pagina che abbiamo approntata. Qui diciamo solo che si tratta di una sorta di trasposizione neutra del massonico “Gabinetto di riflessione”.
Paolo VI, prima di pronunciare il suo discorso nell’aula dell’Assemblea, si recò in questa meditation room per raccogliersi in preghiera.
https://www.avvenire.it/agora/pagine/la-prima-volta-del-papa-allonu-
Il 20 luglio 1969, Paolo VI volle assistere alla diretta televisiva che dava conto del primo sbarco sulla luna effettuato dagli uomini. Si trovava nella residenza estiva di Castel Gandolfo e da lì, in compagnia di Mons. Benelli, seguì l’evento da poco dopo le 22,00 fino a notte inoltrata. Montini, progressista ed evoluzionista, manifestò in quella occasione tutta la sua ammirazione per l’operato dell’uomo mosso dalla scienza a far avanzare il “progresso”; ammirazione che comprendeva la condivisione del sogno americano di dominio del mondo, sempre in nome della libertà, del progresso e della pace. La sua gioia, quindi, fu doppia e la si colse con mano all’ascolto dei suoi interventi relativi a questo evento eccezionale.
In vista dell'evento, nell'Udienza generale del 16 luglio 1969, Paolo VI disse:
«Dobbiamo anche noi accompagnare, osservando, pensando, il grande viaggio, che oggi s’inizia, degli astronauti verso la Luna. … Questa scoperta nuova del mondo creato è assai importante per la nostra vita spirituale. Vedere Dio nel mondo, e il mondo in Dio: che cosa v’è di più estasiante? Non è questo il lume amico e stimolante che deve sorreggere la veglia scientifica dello studioso? Non è così che fugge il terrore del vuoto, che il tempo smisurato e lo spazio sconfinato producono intorno al microcosmo, che noi siamo? la nostra insondabile solitudine, cioè il mistero dei nostri destini, non è così colmata da un’ondata di Bontà viva e d’amore?»
La mattina dell'evento, all'Angelus del 20 luglio 1969, Paolo VI disse:
«Oggi è un giorno grande, un giorno storico per l’umanità, se davvero questa sera due uomini metteranno piede sulla Luna, come Noi con tutto il mondo trepidante, esultante e orante auguriamo possa felicemente avvenire. Faremo bene a meditare sopra questo straordinario e strabiliante avvenimento; a meditare sul cosmo, che ci apre davanti il suo volto muto, misterioso, nello sconfinato quadro dei secoli innumerevoli e degli spazi smisurati. Che cos’è l’universo, donde, come, perché? Faremo bene a meditare sull’uomo, sul suo ingegno prodigioso, sul suo coraggio temerario, sul suo progresso fantastico. Dominato dal cosmo come un punto impercettibile, l’uomo col pensiero lo domina. E chi è l’uomo? Chi siamo noi, capaci di tanto? Faremo bene a meditare sul progresso. Oggi, lo sviluppo scientifico ed operativo dell’umanità arriva ad un traguardo che sembrava irraggiungibile: il pensiero e la azione dell’uomo dove potranno ancora arrivare? L’ammirazione, l’entusiasmo, la passione per gli strumenti, per i prodotti dell’ingegno e della mano dell’uomo ci affascinano, forse fino alla follia.»
La notte del 21 luglio 1969, non appena gli astronauti misero piede sulla luna, Paolo VI mandò loro un messaggio:
«Gloria a Dio! E onore a voi, uomini artefici della grande impresa spaziale! Onore agli uomini responsabili, agli studiosi, agli ideatori, agli organizzatori, agli operatori! Onore a tutti coloro che hanno reso possibile l’audacissimo volo! A voi tutti onore, che vi siete in qualche modo impegnati! Onore a voi, che, seduti dietro i vostri prodigiosi apparecchi, governate, a voi, che notificate al mondo l’opera e l’ora, la quale allarga alle profondità celesti il dominio sapiente e audace dell’uomo.Onore, saluto e benedizione!»
Nell'Udienza generale del 23 luglio 1969, a evento avvenuto, Paolo VI disse:
«Si è tanto parlato in questi giorni, e in tutto il mondo, e con tutte le voci possibili, dell’impresa lunare; Noi stessi vi abbiamo dedicato qualche esclamazione ammiratrice. … … Ciascuno vi pensi a suo modo, purché vi pensi! L’importanza degli studi scientifici può essere di per sé oggetto di interminabili considerazioni. Ad esempio, quella circa lo sviluppo e il progresso, che questi studi hanno avuto nel tempo nostro, fino a modificare la mentalità umanistica tradizionale della nostra cultura e della nostra scuola; il che vuol poi dire della nostra vita. Il bilancio di questi studi positivi e scientifici è così attivo, che una grande attrattiva vi polarizza molta parte delle nuove generazioni, e un ottimismo sognatore sulle loro future conquiste ne fa quasi un’iniziazione profetica. E sia pure. Il campo scientifico merita ogni interesse. … Ma intanto potremmo, di passaggio, osservare come sia fuori luogo, almeno a questo riguardo, il disfattismo oggi di moda contro la società e la sua compagine, e in genere contro la vita moderna. Questo disfattismo seduce oggi perfino qualche parte della gioventù, e altri uomini di pensiero e d’azione; li gratifica di audace progressismo, e sembra loro conferire una personalità superiore, quando li riempie di istinti ribelli e di spregiudicato disprezzo verso la nostra età e verso il suo sforzo creativo. La vita invece è seria; e ce lo insegna la somma immensa di studi, di spese, di fatiche, di ordinamenti, di tentativi, di rischi, di sacrifici, che una impresa colossale, come quella spaziale, ha reclamati. Criticare, contestare è facile; non così costruire, in questa iniziativa si comprende; ma parimente in altre moltissime da cui risulta la nostra presente civiltà. … Ed allora ecco un’altra considerazione. Questo nostro aperto suffragio per la progressiva conquista del mondo naturale, per via di studi scientifici, di sviluppi tecnici e industriali, non è in contrasto con la nostra fede e con la concezione della vita e dell’universo, ch’essa comporta. Basta ricordare quanto insegna a questo riguardo il recente Concilio (Gaudium et spes, nn. 37, 58, 59, ecc.). … E come può, insiste lo studioso osservando i mutamenti continui, rapidi e macroscopici, che avvengono col volgere del tempo nel pensiero e nel costume dell’uomo moderno, rimanere intatta la religione tradizionale, racchiusa in una mentalità statica e d’altri tempi? … Ma ora Ci basti rassicurarvi. La fede cattolica, non solo non teme questo poderoso confronto della sua umile dottrina con le meravigliose ricchezze del pensiero scientifico moderno, ma lo desidera. Lo desidera, perché la verità, anche se si diversifica in ordini differenti e se si appoggia a titoli diversi, è concorde con se stessa, è unica; e perché è reciproco il vantaggio che da tale confronto può risultare alla fede (cfr. Gaudium et spes, n. 44) e alla ricerca e allo studio d’ogni campo conoscibile.»
La cosa curiosa di tutta questa storia che ha visto il Papa partecipare in prima linea all’entusiasmo del mondo, è che, fin dall’inizio, furono sollevati non pochi dubbi sulla realtà di quanto si era visto in televisione (si calcola che l’avvenimento fosse stato seguito in vario modo da circa 600 milioni di persone), perché certi specialisti della pubblicistica ebbero il sospetto che non della luna si trattasse, ma di un apposito studio televisivo preparato dagli Americani per farvi svolgere quello spettacolo. Da allora, per quasi cinquant’anni, le perplessità non sono venute meno: è proprio di quest’anno l’uscita di un nuovo documentario (American Moon) che solleva molti interrogativi sulla realtà di quanto trasmesso al mondo dagli Americani.
Noi non entriamo nel merito della questione, ci limitiamo a segnalare l’esistenza di una certa critica perché è pacifico che quell’evento, per un verso diede un impulso consistente al delirio di onnipotenza che affligge il mondo moderno dimentico di Dio, e per l’altro consolidò la guida americana verso un mondo retto da un governo unico mondiale senza Dio.
Paolo VI riceve il Segretario Generale dell'ONU, Kurt Waldheim
Il 5 febbraio 1972 Paolo VI riceve il Segretario Generale delle Nazioni Unite, l'austriaco Kurt Walheim. Cos' si espresse Montini rivolto a Waldheim:
«Nonostante la diversità dei piani e dei mezzi, i suoi sforzi ed i nostri convergono tuttavia su questo scopo che risponde ad una aspirazione tanto sentita dell’umanità intera: la pace! … V’è un altro settore ancora, vicinissimo a quello della pace; in cui la sua e la nostra azione s’incontrano: quello della difesa dei diritti dell’uomo, dei diritti delle comunità umane e in particolare delle minoranze etniche. Non si può, senza grave pericolo per la società, rassegnarsi al fatto che vengono inflitte a questi diritti oggi, in numerosi paesi, ad onta di tante eloquenti proclamazioni, tante e così dolorose ferite. La Chiesa, seppure precipuamente preoccupata dei diritti di Dio, non potrà mai disinteressarsi dei diritti dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza del suo Creatore. … noi abbiamo fede nell’O.N.U.; noi abbiamo fiducia nelle sue possibilità di estendere il dominio della pace e il regno del diritto nel nostro tormentato mondo, noi siamo pronti a dargli il nostro pieno appoggio morale.»
https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1972/february/
documents/hf_p-vi_spe_19720205_segretario-generale-onu.html
https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1972/february/
documents/hf_p-vi_spe_19720205_segretario-generale-onu.html
Il 21 novembre 1964, Paolo VI firmava il Decreto sull'Ecumenismo elaborato nel conclio Vaticanno II: Unitatis redintegratio.
In esso sta scritto:
«Coloro infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica» … «Inoltre, tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi ed eccellenti, possono trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica» … «Perciò queste Chiese e comunità separate, quantunque crediamo abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non son affatto spoglie di significato e di valore.» (n° 3).
«D'altra parte è necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati.» … «Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene compiuto nei fratelli separati, può pure contribuire alla nostra edificazione» (n° 4).
Iniziava così l’abbandono dello spirito ecumenico che aveva contrassegnato la Chiesa cattolica per secoli e che mirava a far ritornare nel seno dell’unica Chiesa di Cristo tutti coloro che per diversi motivi se ne erano separati: rinunciando all’unità e incorrendo per loro volontà nella scomunica o perdita della comunione voluta da Cristo.
Iniziava altresì la sminuizione della Chiesa cattolica e la sua equiparazione alle diverse sette nate per volontà umana in contrapposizione e talvolta in odio all’unica Chiesa di Cristo.
In questa ottica, Paolo VI diede impulso a tutte le iniziative atte a mostrare ai fedeli cattolici che i non cattolici fossero pari a loro e quindi contradditoriamente “cattolici”.
Paolo VI riceve in udienza Martin Luther King
Il 18 settembre del 1964, Paolo VI ricevette nel Palazzo Apostolico, Martin Luther King, promotore della emancipazione degli Africani negli Stati Uniti. Dell'incontro, a cui partecipò l'arcivescovo americano Paul Casimir Marcinkus, si conoscono solo le poche dichiarazioni rilasciate subito dopo dallo stesso King: «Papa Paolo è stato molto aperto e schietto nelle sue dichiarazioni sulla situazione. Ha detto di essere un amico del popolo negro e che stava seguendo la nostra lotta negli Stati Uniti.»
Il 4 aprile del 1968, Martin Luther King venne assassinato. Paolo VI lo ricordò nell'omelia la successiva Domenica delle Palme, il 7 aprile:
«Noi abbiamo ricevuto in Udienza, anni fa, questo predicatore cristiano della promozione umana e civile della sua gente negra in terra americana. … Tanto più forte è perciò il Nostro rammarico per la sua tragica morte, e tanto più viva è la Nostra deplorazione per questo delitto. … Siamo sicuri che voi, con tutta la comunità cattolica di Roma e del mondo, condividete questi sentimenti. Come pure certamente saranno da tutti condivisi i voti che questo sangue spiritualmente prezioso Ci ispira: possa l’esecrando delitto assumere valore di sacrificio … la Nostra speranza cresce altresì vedendo che da ogni parte responsabile e dal cuore del popolo sano cresce il desiderio e l’impegno di trarre dall’iniqua morte di Martin Luther King un effettivo superamento delle lotte razziali e di stabilire leggi e metodi di convivenza più conformi alla civiltà moderna e alla fratellanza cristiana.»
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1968/documents/hf_p-vi_hom_19680407.html
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1968/documents/hf_p-vi_hom_19680407.html
Lo stesso 7 parile 1968, la Santa Sede dedicò a King una cartolina postale con una foto dell'incontro avvenuto nel 1964.
Paolo VI riceve in udienza Arthur Michael Ramsey
Il 23 marzo 1966, Paolo VI, nella Cappella Sistina, diede il benvenuto all’“arcivescovo” anglicano di Canterbury Arthur Michael Ramsey.Il dottor Ramsey vestiva una cappa viola e porpora; portava il berretto di velluto scuro che designa il teologo riformato. Sopra i due, l’affresco del Giudizio universale.Paolo VI lo accoglie così:
«Noi vogliamo che Ella abbia questa prima impressione varcando le soglie della Nostra dimora: i Suoi passi non arrivano in una casa straniera; essi giungono in una casa che Ella per sempre validi titoli può dire anche Sua; Noi siamo lieti di aprirle le porte, e con le porte il Nostro cuore; perché Noi siamo contenti ed onorati». […] «Nel campo della dottrina e della legge ecclesiastica siamo tuttora rispettivamente diversi e distanti; e così ora dev’essere per l’ossequio dovuto alla verità e alla libertà…»
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1966/documents/
hf_p-vi_spe_19660323_ramsey-anglicano.html
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1966/documents/
hf_p-vi_spe_19660323_ramsey-anglicano.html
Ramsey si era rivolto a Paolo VI chiamandolo: «Sua Santità, caro fratello in Cristo»
Paolo VI invitò Ramsey a benedire i presenti, ma questi non capì e stava per inginocchiarsi… Paolo VI lo fece alzare e gli mise al dito il suo anello papale.
Dal canto suo, Ramsey mise al collo di Paolo VI una antica croce pettorale anglicana.
Subito dopo l'incontro, Paolo VI tenne l'udienza generale e rivolto ai presenti disse:
«Carissimi figli, non possiamo tacervi la commozione che ancora abbiamo nell’anima per l’udienza che ha preceduto la vostra. Abbiamo pochi momenti or sono incontrato ufficialmente, nella Cappella Sistina, l’Arcivescovo Anglicano di Canterbury. Sono più di quattro secoli che la Chiesa Romana ha il dolore di essere separata dalla Chiesa d’Inghilterra»
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1966/documents/
hf_p-vi_spe_19660323_udienza-post-ramsey.html
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1966/documents/
hf_p-vi_spe_19660323_udienza-post-ramsey.html
Paolo VI ospita nel suo aereo i responsabili della comunità calvinista di Taizé
Il 22 agosto 1968, Paolo VI si recò a Bogotà, Columbia. Nell'areo papale ospitò il capo della comunità calvinista di Taizé, Roger Schutz, che era accompagnato da un altro componente la comunità, Robert Giscard.
Era stato lo stesso Schutz a chiedere il “passaggio”, scrivendo al Sostituto della Segreteria di Stato, Mons. Giovanni Benelli, al quale aveva presentato quasi come credenziale l'ultima sua impresa in America Latina: la distribuzione gratuita di copie del Nuovo Testamento - un milione afferma L'Osservatore Romano - in una nuova traduzione redatta da un gruppo ecumenico di “esperti”. L'iniziativa aveva goduto dell'aiuto dei vescovi locali e perfino dei numerosi pastori protestanti presenti nel paese.
I due “ospiti” viaggiarono ufficialmente come “invitati speciali”, insieme ai diversi vescovi e cardinali del seguito di Montini.
Sulla premura di Paolo VI, l'Osservatore Romano riporta: «Questa è un’eccezione fatta ad amici - ospiti sull’aereo» scrisse di suo pugno il Papa, il 15 giugno, in un appunto per la Segreteria di Stato. Con un’amichevole raccomandazione: «Sarà bene tenere riservata questa notizia, per prevenire domande d’altri, desiderosi di eguale favore».
La notizia venne pubblicata su L'Osservatore Romano del 5 settembre 2017.
http://www.osservatoreromano.va/it/news/un-ospite-speciale
Paolo VI in visita al Consiglio Ecumenico delle Chiese
Il 10 giugno 1969, Paolo VI si recò in visita Al Consiglio ecumenico delle Chese, a Ginevra.
Salutò così i convenuti:
«Apprezziamo molto le vostre parole di benvenuto e rendiamo grazie a Dio per averCi concesso di fare una visita di fraternità cristiana nel centro del Consiglio ecumenico delle Chiese. Che cos’è, infatti, il Consiglio ecumenico se non un meraviglioso movimento di cristiani, di «figli di Dio che erano dispersi» (Io. 11, 52), e che sono ora alla ricerca di una ricomposizione nella unità? E qual è il senso della Nostra venuta qui, sulla soglia della vostra casa, se non quello di una gioiosa ubbidienza all’impulso segreto che qualifica, per precetto e misericordia di Cristo, il Nostro ministero e la Nostra missione? Felice incontro, in verità, momento profetico, aurora di un giorno futuro e atteso da secoli!»
https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1969/june/documents/
hf_p-vi_spe_19690610_consiglio-ecumenico-chiese.html
https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1969/june/documents/
hf_p-vi_spe_19690610_consiglio-ecumenico-chiese.html
Lo stesso giorno, incontrando i rappresentanti delle diverse Chiese presenti a Ginevra, parlò loro del significato del sano ecumenismo:
«È una gioia per Noi poter completare, in qualche modo, la Nostra visita al Consiglio ecumenico delle Chiese, dedicando qualche istante ai Rappresentanti delle Chiese di Ginevra che sono uniti a Noi nella fede in Cristo Salvatore. … Vuol dire che lo spirito che anima gli uni e gli altri - e che richiama così bene il nome del Centro che ci accoglie - è lo spirito di un sano ecumenismo. … Questo spirito richiede come prima condizione di ogni fruttuoso contatto tra differenti confessioni, che ciascuno professi lealmente la propria fede. E invita a riconoscere, con non minore lealtà, i valori positivi, cristiani, evangelici, che si trovano nelle altre confessioni.»
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1969/june/
documents/hf_p-vi_spe_19690610_ecumenismo.html
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1969/june/
documents/hf_p-vi_spe_19690610_ecumenismo.html
Paolo VI bacia i piedi al metropolita Melitone
Il 14 dicembre 1975, nel corso della celebrazione del decimo anniversario della reciproca rimozione delle scomuniche tra Roma e Costantinopoli, Paolo VI interruppe il cerimoniale per inginocchiarsi e baciare i piedi del metropolita di Calcedonia, Melitone, capo della delegazione ortodossa in rappresentanza del Patriarca di Costantinopoli, Dimitrios I.
Nel corso della precedente omelia, Paolo VI aveva detto:
«Sì, è ancora presente in maniera vivente ai nostri occhi il magnifico spettacolo della celebrazione nel corso della quale, dieci anni fa, nella Basilica di San Pietro, parallelamente a quanto si compiva nella chiesa di San Giorgio di Phanar, noi abbiamo compiuto l’atto solenne e sacro della rimozione degli antichi anatemi, atto col quale abbiamo voluto bandire per sempre dalla memoria e dal cuore della Chiesa il ricordo dei vecchi avvenimenti.»
Mentre la delegazione ortodossa fu presa alla sprovvista e rimase turbata dal gesto, La Civiltà Cattolica lo commentò in maniera positiva ed elogiativa.
Paolo VI e gli Ebrei
Paolo VI indossa l'ebraico “pettorale del giudizio”
Paolo VI indossa l'ebraico “pettorale del giudizio”
In diverse occasioni, Paolo VI si compiacque di ostentare una sorta di pettorale quasi identico a quello portato dal sommo sacerdote ebraico: il “pettorale del giudizio” – Hoshen -, che veniva indossato sopra il grembiule rituale o Efod. (Cfr. Esodo 28, 6-30). Tale pettorale era un simbolo del culto israelitico nella Vecchia Alleanza e non si comprende per quale motivo dovesse indossarlo il successore di Pietro che è il capo della Chiesa cattolica voluta da Cristo che volle istituire una Nuova Alleanza (Cfr. Mt. 26, 28; Mc. 14, 24; Lc. 22, 20); Gesù stesso la chiama “Nuova”, quindi che sostituiva la “Vecchia”, tale da comportare un nuovo culto, un nuovo sacerdozio e nuovi rituali.
Non si tratta di una deduzione, ma di una constatazione: basta confrontare il monile indossato da Paolo VI con quello indossato dal sacerdote ebraico.
Finora non siamo riusciti a trovare una giustificazione: non è tale infatti quella che parla di una sorta di fermaglio che sarebbe servito a tenere ferma la stola rossa indossata da Montini.
Perché proprio la stola rossa aveva bisogno di uno speciale fermaglio? E perché tale fermaglio doveva avere la forma e la composizione esatte del “pettorale del giudizio”?
Vero è che Montini non lo indossava allo stesso modo del sacerdote ebraico, ma quel monile che penzola ostentatamente sul petto di un papa è decisamente due volte fuori posto: primo perché non ha a che vedere con le vesti pontificali, secondo perché è lesivo della croce pettorale indossata dai vescovi cattolici. E’ chiaro a chiunque che la croce ha sostituito tutti simboli del vecchio culto ebraico, ed è chiaro a tutti che i simboli del sommo sacerdote ebraico sono decaduti e non possono più essere usati, poiché è lo stesso sacerdozio ebraico che è scomparso con la scomparsa del Tempio ebraico.
Ci si può quindi chiedere se Montini indossasse il “pettorale del giudizio” per espressa richiesta degli Ebrei o se l’indossasse per offrire ad essi, motu proprio, un segno del persistere del loro culto. Non è un caso che i papi conciliari abbiano tutti insistito sul fatto assurdo che la “Vecchia Alleanza” non sarebbe mai stata revocata.
Paolo VI riceve in Vaticano gli esponenti dell'ebraismo mondiale
Il 10 gennaio 1975, Paolo VI ricevette in Vaticano i membri del Comitato internazionale di collegamento fra Chiesa cattolica ed ebraismo mondiale, a cui rivolse leseguenti parole:
«La vostra sessione si tiene poco tempo dopo la costituzione, avvenuta nel mese d’ottobre scorso, di una Commissione della chiesa cattolica per le relazioni religiose con l’ebraismo, il cui primo atto importante è stato quello di pubblicare, pochi giorni or sono, degli Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate nel campo delle relazioni ebreo-cristiane.
[…]
La vostra presenza qui, come rappresentanti fra i più autorizzati dell’ebraismo mondiale, testimonia che questo mio augurio personale trova in voi una qualche eco. I termini nei quali l’esprimiamo, … vi dicono abbastanza con quale lealtà e con quale decisione collegiale la chiesa cattolica desidera che si sviluppi attualmente questo dialogo con l’ebraismo, al quale ci ha invitato il concilio Vaticano II con la Dichiarazione Nostra Aetate (n. 4).
[…]
Osiamo pensare che … l’invito che abbiamo rivolto a tutti i fedeli della chiesa cattolica di mettersi in ascolto per «imparare a conoscere meglio attraverso quali caratteristiche gli ebrei definiscono se stessi nella loro realtà religiosa vissuta», pongono da parte cattolica le condizioni di sviluppi benefici »
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/fr/speeches/1975/documents/
hf_p-vi_spe_19750110_chiesa-cattolica-ebraismo.html
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/fr/speeches/1975/documents/
hf_p-vi_spe_19750110_chiesa-cattolica-ebraismo.html
Paolo VI in Terra Santa
Da 4 al gennaio 1964, Paolo VI si recò in Terra Santa e rivolto agli esponenti dell’ebraismo disse:
«Noi veniamo a venerare i Luoghi Santi, Noi veniamo per pregare. Da questa terra unica al mondo per la grandezza degli avvenimenti di cui è stata teatro, la Nostra umile supplica si eleva a Dio per tutti gli uomini, credenti e miscredenti, e Noi vi includiamo volentieri i figli del «popolo dell’Alleanza», di cui non potremmo dimenticare il ruolo nella storia religiosa dell’umanità.»
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/fr/speeches/1964/documents/
hf_p-vi_spe_19640105_peuple-alliance.html
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/fr/speeches/1964/documents/
hf_p-vi_spe_19640105_peuple-alliance.html
e ancora: «E’ di vero cuore che Noi invochiamo su di voi, sui nostri figli cristiani che qui ci circondano e su tutti quelli che nel mondo nutrono pensieri di pace e di riconciliazione, l’abbondanza delle benedizioni divine.»
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/fr/speeches/1964/documents/
hf_p-vi_spe_19640105_commiato.html
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/fr/speeches/1964/documents/
hf_p-vi_spe_19640105_commiato.html
Paolo VI e i musulmani
Il 19 gennaio 1967, Paolo VI ricevette in udienza il nuovo ambasciatore della Turchia e ne approfittò per compiere un gesto stupido, per la Turchia moderna, e offensivo per la Cristianità e per l’intera Europa.
Egli rivolse all’ambasciatore le seguenti parole:
«Poiché Noi stessi desideravamo manifestare in qualche modo i Nostri sentimenti, con un gesto che potesse essere gradito alle Autorità della Turchia contemporanea, è stata per Noi una gioia restituire un antico stendardo, preso al tempo della battaglia di Lepanto, che, da allora, si conservava nelle collezioni del Vaticano. Questo Le dice, Signor Ambasciatore, quali siano le disposizioni che Ci animano nei riguardi della Sua grande e bella Nazione.»
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1967/january/documents/
hf_p-vi_spe_19670119_ambasciatore-turchia.html
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1967/january/documents/
hf_p-vi_spe_19670119_ambasciatore-turchia.html
Tale decisione, indegna di un papa, rappresentò clamorosamente il disprezzo che Paolo VI, l’“aggiornatore”, nutriva verso la storia e la vita della Chiesa fino al Vaticano II.
Cos’era infatti il famoso stendardo restituito?
Era un drappo di pesante seta verde sul quale 28 mila e 900 donne di Costantinopoli avevano ricamato, a filo d’oro zecchino, 28 mila e 900 volte il nome di Allah. Il drappo era issato sulla Sultana, la nave ammiraglia della flotta turca a Lepanto, comandata da Mehmet Alì Pascià.
In quel lontano 7 ottobre 1571, la flotta turca si scontrò con la flotta della Lega Santa, promossa da San Pio V per fermare l’avanzata musulmana. La flotta della Lega Santa era composta da 209 galee, 1805 cannoni, 28mila soldati, 12mila e 900 marinai e 43mila e 500 rematori; era comandata da Don Giovanni d’Austria e comprendeva anche le navi della Repubblica di Venezia, comandate da Sebastiano Venier, Capitano Generale del Mare. Fu proprio Venier che con la sua Capitana, insieme ad altre navi, abbordò la Sultana di Alì Pascià, che rimase ucciso, e catturò lo stendardo della nave ammiraglia turca. Venier trascinò lo stendardo, legato alla poppa della sua galea, fino a Venezia, per poi consegnarlo a San Pio V.
In quella battaglia navale che bloccò le velleità musulmane e mise in salvo la Cristianità e l’Europa, morirono 8mila uomini e morirono in nome di Cristo e per la salvaguardia della Sua Chiesa.
Paolo VI, volle dar prova di non considerare minimamente il sacrificio di quegli uomini, e al tempo stesso dimostrò quanto grande fosse il suo servilismo nei confronti dei musulmani turchi, nonostante alla Turchia moderna, che Ataturk aveva trasformato in una Repubblica laica dove aveva sminuito il culto islamico e perfino abolito l’uso della scrittura araba per sostituirla con quella occidentale, a quella Turchia non importava un bel niente di Alì Pascià e dello stendardo musulmano.
Come abbiamo detto: un gesto stupido e insieme offensivo per la Chiesa.
Ma a Paolo VI importava davvero della Chiesa?
Paolo VI e la massoneria
Paolo VI e Giordano Gamberini
Paolo VI e Giordano Gamberini
Il giorno della elezione di Paolo VI a Pontefice, il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Giordano Gamberini (nella foto), esclamò: «Questo è l’uomo che fa per noi!». Alla morte di Paolo VI, lo stesso Gamberini, che come vescovo della “chiesa cattolica di rito antico e gnostica” aveva assunto il nome di Tau Julianus, scrisse sulla “Rivista Massonica” un elogio funebre in qualità di ex Gran Maestro: «Per noi è la morte di chi ha fatto cadere la condanna di Clemente XII e dei suoi successori. Ossia, è la prima volta – nella storia della Massoneria moderna – che muore il Capo della più grande religione occidentale non in stato di ostilità coi massoni … per la prima volta, nella storia, i Massoni possono rendere omaggio al tumulo di un Papa, senza ambiguità né contraddizione.»
(Carlo Alberto Agnoli, La Massoneria alla conquista della Chiesa)
Paolo VI, al momento della redazione della cosiddetta “Bibbia Concordata”, pubblicata nel 1968, volle che Giordano Gamberini fosse tra i redattori, e questi tradusse il nuovo “Vangelo di Giovanni”.
Paolo VI e la loggia massonica ebraica B'nai B'rith
Il 19 dicembre 1966, un resoconto della CIA riferisce che «Oggi Papa Paolo VI ha ricevuto in udienza privata due capi del B’nai B’rith. Il Pontefice ha parlato per 20 minuti con il Presidente internazionale della Fraternità ebraica, il Dott. William A. Wexler, di Savannah, GA., e col suo Segretario Generale, Dott. Saul E. Joftes, di Falls Church, VA. Il dott. Jofets ha riferito che la discussione ha riguardato gli sforzi compiuti a favore dei diritti umani e della libertà religiosa dalle Nazioni Unite e dalla Chiesa.
Il Dott. Wexler aveva incontrato Papa Paolo VI l’anno scorso durante la visita del Pontefice alle Nazioni Unite.»
Il 3 giugno 1971, Paolo VI ricevette in Vaticano una rappresentanza dell'alta massoneria ebraica, la loggia B'nai B'rith. Il dott. Agnoli (cit.) annota che l'avvenimento venne riportato da L'Osservatore Romano. Don Luigi Villa, nel suo Paolo VI, beato? (Editrice Civiltà, Brescia), riporta che Paolo VI salutò i convenuti: «Miei cari amici!».
Paolo VI e Licio Gelli
Don Luigi Villa, nel suo Paolo VI, beato? (Editrice Civiltà, Brescia), riferisce che: «Nel 1965, Paolo VI ricevette in Vaticano il Capo della Loggia P2, Licio Gelli, e in seguito gli conferì la nomina a Commendatore: “Equitem Ordinis Sancti Silvestri Papae”».
Paolo VI e il “pentalfa” massonico
Battente “del bene”
Battente “del bene”
Formella nuova
In occasione dell'80° compleanno di Paolo VI, nel 1977, venne commissionata la cosiddetta «Porta del bene e del male», in bronzo, per uno degli ingressi della Basilica di San Pietro.
Questa porta costituisce un esempio della cattiva volontà e della confusione che regnavano già con Paolo VI.
Il “battente del bene” portava una formella centrale dedicata al concilio Vaticano II, dove erano raffigurati sei Padri conciliari: Giovanni XXIII a sinistra, quattro Padri al centro e Paolo VI a destra. Curiosamente, Paolo VI era il solo ad essere raffigurato di profilo, così che veniva messo in risalto il braccio sinistro con la mano sinistra, guantata, portante il risalto un “Pentalfa”, la “stella a cinque punte” simbolo dell’uomo ed emblema centrale della massoneria.
Particolare con la figura di Paolo VI
Particolare col “Pentalfa”
Dopo l’inaugurazione, qualcuno fece notare in alto loco l’inopportunità della presenza di tale emblema, ed allora si provvide ad abradere subito il “Pentalfa”. Successivamente la formella venne sostituita con una nuova che portava solo cinque Padri conciliari, sempre con Giovanni XXIII e Paolo VI ai loro posti e con la stessa postura: la “stella a cinque punte” di Paolo VI rimase abrasa.
Ci sarebbe molto da considerare, ma ci limitiamo a far notare che: o qualcuno commissionò la “stella” allo scultore, o lo scultore decise di testa sua. In quest’ultimo caso, o lo scultore era stato informato del gradimento di Paolo VI ad essere raffigurato con la «stella» massonica, o lo scultore era perfettamente informato della collusione di Paolo VI con la massoneria, oppure i massoni presenti in Curia avevano piacere che si sapesse che Paolo VI era uno dei loro o comunque un loro protettore.
Resta il fatto che fu proprio Paolo VI a benedire la “porta” il giorno del suo compleanno e L'Osservatore Romano del 25 settembre 1977 vi dedicò un intera pagina. In entrambi i casi, il “Pentalfa” era lì bene in vista… nessuno ebbe a ridire!
Don Luigi Villa segnalò la cosa nel fascicolo Appunti critici sul Vaticano II, n° 5, pubblicato da Chiesa Viva.
http://unavocegrida.altervista.org/download/Cat.-Don-
Luigi-e-ing.-Adessa/20_-_29/20-_vaticano/Vaticano-II-5.pdf
Altri particolari furono segnalati dal Prof. Umberto Bartocci:
http://www.cartesio-episteme.net/villa.html
Paolo VI e i Neocatacumenali
L'8 maggio 1974, nel corso dell'udienza generale in cui erano presenti vasti gruppi di neocatecumenali provenienti da diverse parti, Paolo VI disse:
«Sappiamo, diletti figli, che nelle vostre comunità voi vi adoperate insieme a comprendere e a sviluppare le ricchezze del vostro battesimo e le conseguenze della vostra appartenenza a Cristo. […] Questo proposito, mentre per voi è un modo consapevole e autentico di vivere la vocazione cristiana, si traduce anche in una testimonianza efficace per gli altri, in uno stimolo alla riscoperta e al recupero di valori cristiani che potrebbero restare sopiti. […] Per questa sensibilità ecclesiale - che è sempre garanzia della presenza edificatrice dello Spirito - vi rivolgiamo il nostro incoraggiamento e vi impartiamo la nostra Benedizione.»
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1974/documents/hf_p-vi_aud_19740508.html
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1974/documents/hf_p-vi_aud_19740508.html
Il 12 gennaio 1977, ancora all'udienza generale, Paolo VI disse:
«La presenza a questa Udienza d’un gruppo, notevole per numero e per dignità di partecipanti, di appartenenti alle «Comunità neocatecumenali» ci offre l’occasione di richiamare l’attenzione dei nostri visitatori e di quanti si collegano all’ascoltazione di questa nostra familiare parola su due avvenimenti della Chiesa cattolica… […] Adesso possiamo comprendere anche la testimonianza che i nostri odierni visitatori ci offrono: essa si svolge intorno al cardine della vita cristiana che è il battesimo, il sacramento della rigenerazione cristiana, il quale deve ritornare ad essere ciò che era nella coscienza e nel costume delle prime generazioni del cristianesimo. […] Ecco la rinascita del nome «catecumenato», che certamente non vuole invalidare né sminuire l’importanza della disciplina battesimale vigente, ma la vuole applicare con un metodo di evangelizzazione graduale e intensivo, che ricorda e rinnova in certo modo il catecumenato d’altri tempi. […] nuove forme di carità, di cultura e di solidarietà sociale accrescono la vitalità della comunità cristiana e ne fanno di fronte al mondo la difesa, l’apologia, l’attrattiva. Con la nostra Apostolica Benedizione.»
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1977/documents/hf_p-vi_aud_19770112.html
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1977/documents/hf_p-vi_aud_19770112.html
Non è questa la sede per ricordare la pratica ereticale di questo gruppo fondato dal pittore Francisco José Gómez Argüello Wirtz, detto Kiko Argüello e dall’ex suora laica María del Carmen Hernández Barrera, detta Carmen Hernández.
La gran parte dei nostri lettori sa in cosa consista il “cammino neocatecumenale” e quanti guasti ha prodotto questo moderno “movimento ecclesiale” in tante anime.
Al di là della deriva filo ebraica portata avanti da questi due “catechisti” “approvati” ed elogiati da tutti i papi conciliari, ricordiamo solo che
non credono nel Sacrificio della Messa, nella transustanziazione e nella Presenza Reale, e pertanto non sono cattolici e non appartengono al Chiesa.
Ecco alcuni degli insegnamenti di questi due personaggi che San Pio da Pietrelcina definiva “i nuovi falsi profeti”:
Secondo Kiko e Carmen:
«Le idee sacrificali e sacerdotali appartengono al paganesimo e non all’autentico cristianesimo”.
«Le idee sacrificali, che Israele aveva avuto ed aveva sublimato, si introdussero di nuovo nell’Eucaristia cristiana».
«La Chiesa Cattolica divenne ossessionata riguardo alla presenza reale, tanto che, per essa, è tutto presenza reale»
«In un certo momento fu necessario insistere contro i protestanti sulla presenza reale... ma ora non è più necessario e non bisogna insistervi più».
E questo in barba a quanto dava a credere a suo tempo Giovanni Battista Montini, oggi “San Paolo VI”, che forse è stato canonizzato anche per questo da papa Bergoglio.
Il testamento di Paolo VI
Paolo VI mori il 6 agosto 1978 a Castel Gandolfo; i funerali si svolsero a Roma sul sagrato della Basilica di San Pietro. Aveva già preparato le sue disposizioni testamentarie in undici pagine autografe.
Oltre alle decisioni circa i suoi beni di origine familiare, che lasciò ai fratelli, e alla designazione del suo segretario personale come esecutore testamentario, dispose che
«Sullo stato della Chiesa; abbia essa ascolto a qualche nostra parola, che per lei pronunciammo con gravità e con amore. Sul Concilio: si veda di condurlo a buon termine, e si provveda ad eseguirne fedelmente le prescrizioni. Sull’ecumenismo: si prosegua l’opera di avvicinamento con i Fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza, con grande amore; ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica. Sul mondo: non si creda di giovargli assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo.»
E dispose anche:
«Circa i funerali: siano pii e semplici (si tolga il catafalco ora in uso per le esequie pontificie, per sostituirvi apparato umile e decoroso).»
Ma evidentemente, su quest'ultimo punto dovette dare delle disposizioni verbali, perché altrimenti non si spiega, sulla base del suo '“umile e decoroso”, la stranezza della sua bara: composta di nudo legno piallato e completamente spoglia perfino di ogni segno cristiano. Una sorta di bara anonima nonostante lui fosse stato il Papa e nonostante i funerali vennero svolti in piazza San Pietro con il concorso di vescovi e cardinali e con l'assistenza delle principali autorità mondiali.
Ecco tre immagini in cui è ripresa la bara (cliccare per ingrandire)
L'arrivo della bara da Castel Gandolfo
La bara esce dalla Basilica e condotta sul sagrato
La bara viene posta sul sagrato davanti alla Basilica
Non entriamo nel merito di questa decisione che sembrerebbe voler fare apparire Giovanni Battista Montini un uomo qualunque, per di più privo di una qualche connotazione religiosa; diciamo solo che questa voluta estrema semplicità si tramuta in una ostentazione artificiosa della povertà, la quale è cosa talmente grave da rivelare sia la presunzione e l'orgoglio, sia il dileggio della Chiesa e del Papato.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.