I libri di testo delle scuole di ogni ordine e grado contengono informazioni parziali, manipolate e suggestive, quando non palesemente false e tendenziose. Gli studenti di tutte le età fotografano quelle informazioni, le studiano, le imparano e le ripetono. In tal modo, assorbono della realtà una visione adulterata e chiaramente ideologica, capace di pregiudicare il modo stesso di interpretare le cose della vita, interiorizzando categorie distorte di ragionamento.
Eravamo rassegnati a questo tipo di indottrinamento – tanto più proditorio in quanto inculcato a tappeto lucrando l’auctoritas dell’istituzione – per le materie che più si prestano a essere filtrate dalle lenti della propaganda politica, tipicamente la storia. E pareva irreversibile la trasformazione in veri e propri dogmi di certi miti ricorrenti della storiografia ufficiale: tipo il darwinismo “scientifico” (alla preistoria e agli ominidi è dedicato uno spazio abnorme rispetto alle grandi civiltà antiche: evidentemente tutti devono fissarsi bene in testa, fin da piccoli, di essere fratelli delle scimmie e cugini dei gasteropodi), il proverbiale oscurantismo del Medioevo, il fondamentalismo cruento dei Crociati, l’intrinseca bontà di ogni processo rivoluzionario, la gloriosa epopea risorgimentale, l’eroismo specchiato dei partigiani, l’agiografia dei tre santi del XX secolo: Gandhi (non violenza), Martin Luther King (diritti civili), Mandela (antirazzismo); e potremmo continuare all’infinito. Così che certi assiomi relativi a snodi fondamentali della storia umana penetrino nella memoria fissa dello studente per calcificarsi come verità incontrovertibili.
IL CAMBIO DI PASSO DELL’INDOTTRINAMENTO Ma non è più “solo” questo, che già è cosa grave. In breve tempo l’indottrinamento scolastico, di cui i libri di testo sono sensibile termometro, ha assunto i connotati di un vero e proprio lavaggio collettivo del cervello, funzionale al disegno egemonico di annientamento culturale e identitario delle nuove generazioni chiamate d’imperio a essere variamente “multi”: multietniche, multiculturali, multireligiose, multisessuali. Un lavaggio del cervello che va ben oltre l’inquinamento delle fonti e la mistificazione storico-politica dei fatti rappresentati, e investe di prepotenza la sfera più intima del soggetto in via di formazione intaccando pesantemente (e irreversibilmente) il delicato processo di costruzione della personalità individuale. Per realizzare l’ambizioso programma di manipolazione di massa debbono essere contaminate tutte le materie di studio, e tutto il materiale didattico: si tratta di demolire su ogni fronte, possibilmente in via preventiva, l’impalcatura logica e il bagaglio di conoscenze, teoriche e pratiche, che uno rischierebbe di capitalizzare affidandosi al principio di realtà e all’uso della retta ragione. Ed ecco che spuntano le “famigliole” monosessuali come protagoniste dei quesiti di matematica; spariscono i nomi propri italiani dai libri di italiano (casualmente si chiamano tutti Mohamed, Kevin o Aisha); vengono espunti i passaggi “sessisti” dalla poesia o dalla letteratura su cui si sono fatte le ossa generazioni di studenti (è disdicevole leggere di femmine femminili che fanno cose da femmine o di maschi virili che fanno cose da maschi). I mantra delle pari opportunità, della non-discriminazione, del contrasto al discorso dell’odio xenofobo, omo e transfobico, degli stereotipi sessuali e sociali, della parità di genere, devono colpire e deformare anche retroattivamente tutti i campi dello scibile umano. E la realtà presente, passata e futura, va costretta a tutti i costi nella nuova camicia di forza confezionata per lei dai costruttori del mondo nuovo.
DOPO GENTILE, IL NULLA Il problema di fondo è che l’istruzione italiana negli ultimi decenni è stata considerata alla stregua di una qualsiasi merce di scambio negli equilibri di potere e appaltata senza troppi scrupoli di coscienza al miglior offerente purché disposto a mettersi al servizio di interessi particolari sopraordinati. Una scuola seria un tempo ce l’avevamo. Ma la damnatio memoriae di tutto quanto evocasse reminiscenze fasciste ha reso agevole lo smantellamento, in nome di una malintesa democratizzazione, di quel solidissimo impianto gentiliano che ha avuto il merito di garantire a lungo agli scolari d’Italia un grado di preparazione invidiato dal resto del mondo. Ed è iniziato quell’esiziale processo di colonizzazione educativa gioiosamente autoinflitta che ci ha svuotato della nostra cultura e di un ethos millenario e ci ha insufflato il vuoto pneumatico in cui attecchisce ogni ideologia.
Assieme ai pacchetti pedagogici di matrice anglosassone sono state trionfalmente importate le teorie pseudoscientifiche che li sostanziano e della cui aria fritta tuttora si nutrono eserciti di “educatori” di professione certificati con la patente di “esperti”, lasciapassare imbattibile per impadronirsi dei cervelli in evoluzione.
Né sono mancati gli zelanti demolitori autoctoni, primo tra tutti quel don Milani teorico della cosiddetta scuola egualitaria – cioè votata alla uniformità dell’ignoranza – icona venerata dei maestri di fede giacobina, in odor di pedofilia più che di santità, rispolverato oggi in pompa magna dagli aedi del progresso dis-umano nella società apolide beota e analfabeta.
Dunque, l’asservimento dell’editoria scolastica alle demenziali derive ideologiche del nostro tempo non è che una delle molteplici manifestazioni di un vasto piano massificante e autodistruttivo che, ipotecando l’istruzione, mira a impossessarsi del nostro futuro.
IL «POTENZIALE TRASFORMATIVO DELL’ISTRUZIONE» Il quotidiano La Verità ha recentemente avviato un’inchiesta che si propone di far emergere le enormità assortite contenute nei libri scolastici incoraggiando genitori e insegnanti a segnalarle. Finalmente un invito a prendere coscienza del sopruso che, avallato dalle istituzioni, si consuma sulla testa degli studenti italiani e delle loro famiglie. E speriamo sia utile a smuovere di un poco la palude di conformismo, fra il rassegnato e il timoroso, nella quale ci hanno tutti calati tappandoci occhi naso e bocca, e guai chi cerca di venire a galla.
Tuttavia, per capire bene con quale nemico abbiamo a che fare, da dove spunti, di quali armi disponga e, quindi, con quali mezzi vada combattuto, è necessario approfondire la genesi di questo fenomeno editoriale paranormale e il suo terreno di coltura. Ché esso non nasce d’improvviso come un fungo, ma è un tassello di un grande e ramificato progetto dissolutorio che colpisce principalmente la gioventù e, anzi, si propone di intervenire il più precocemente possibile per meglio “instillare” i nuovi paradigmi etici o “estirpare” quelli obsoleti.
Il mostro burocratico europeo ci manda a dire di «credere fortemente nel potenziale trasformativo dell’istruzione» e di conseguenza di considerare fondamentale intervenire «nei libri di testo e nel materiale didattico (sia nei contenuti che a livello linguistico o nelle illustrazioni), nella letteratura, nel cinema, nella musica, nei giochi, nei media, nella pubblicità, e negli altri settori che possono contribuire in modo radicale a modificare l’atteggiamento, il comportamento e l’identità di ragazze e ragazzi» (cfr. Relazione Rodrigues, settembre 2015, n. 28 e ss.). E l’Italia, affetta da sindrome di sudditanza cronica, scatta sull’attenti.
CODICE POLITE Risale al lontano 1999 l’approvazione del progetto POLiTe (Pari Opportunità nei Libri di Testo), un codice di autoregolamentazione siglato dalla Associazione Italiana Editori (AIE) di concerto con il Dipartimento delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (primo governo D’Alema) e con la collaborazione di altri soggetti (CISEM; Poliedra; un ente editoriale spagnolo e un ente portoghese impegnato nella lotta per l’emancipazione della donna). Recependo gli obiettivi della Conferenza di Pechino sulle donne (1995), l’obiettivo strategico europeo B4 sulle politiche educative integrate (quarto programma di azione, che indica gli obiettivi nazionali dell’insegnamento e delle linee generali dei curricoli scolastici) e in esecuzione della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 marzo 1997 (primo governo Prodi) che sollecitava l’aggiornamento del materiale didattico alle politiche di sviluppo delle pari opportunità e dell’identità di genere, il codice POLiTe impegna gli editori italiani a garantire che, nella progettazione e realizzazione dei libri di testo e dei materiali didattici, l’identità di genere e la rimozione degli stereotipi, il rispetto delle differenze e le pari opportunità – insomma tutto il pacchetto dell’egualitarismo di maniera confezionato in sede internazionale a scopo anti-identitario e contro-naturale – vadano considerati come «fattore decisivo nell’ambito dell’educazione complessiva dei soggetti in via di formazione» contando, appunto, sullo straordinario potenziale trasformativo dell’istruzione. Operativamente, i partner di POLiTe si impongono di «riqualificare i testi e il materiale didattico», «ripensare il linguaggio» e «aggiornare e adeguare la scelta delle illustrazioni».
In caso di inosservanza degli impegni assunti – ovvero dei dogmi prescritti dall’agenda ONU e fatti propri dai luogotenenti nostrani al soldo delle oligarchie mondialiste – scattano le sanzioni: «oltre a quanto previsto dalle norme del codice civile in materia di concorrenza sleale, l’AIE si riserva di valutare con i propri organi le ricadute sul settore e di darne pubblica comunicazione».
In pratica, nel mercato della editoria scolastica hanno diritto di accesso soltanto i materiali che corrispondono ai ferrei parametri dell’ideologia dominante che gli editori si sono vincolati a rispettare.
Ciò significa che tutto l’essenziale era già stato predisposto alla fine dello scorso millennio, quando nessuno (tranne la regia) aveva ancora capito cosa stesse bollendo in pentola.
La pietanza bell’e cucinata è stata poi messa a riposare, il tempo necessario a preparare tutto il contorno e poi servire il menu completo ai consumatori designati, anch’essi nel frattempo disarmati a dovere, sia perché storditi da una propaganda sempre più martellante, sia perché privati degli strumenti per reagire al proprio annientamento programmato. Il sistema, infatti, veniva intanto opportunamente blindato dall’esterno e dall’interno attraverso una serie di interventi strutturali concentrici.
IL QUADRO NORMATIVO E ISTITUZIONALE Negli anni successivi la macchina da guerra ha proseguito la sua marcia di conquista e sulla scena internazionale ed europea si è abbattuto un diluvio di provvedimenti, tutti scritti nella stessa lingua – quella inaugurata nelle conferenze ONU del Cairo e di Pechino – e tutti volti alla realizzazione sempre più massiva e prepotente dei principi ispirati all’agenda onusiana.
L’obiettivo dichiarato della piattaforma di Pechino è quello di ottenere un cambiamento sociale radicale. Per far questo, vi sta scritto (n. 124) che «si devono adottare tutte le misure appropriate, soprattutto nel campo dell’istruzione, per modificare i modelli di comportamento degli uomini e delle donne, per eliminare i pregiudizi, le pratiche tradizionali e tutte le altre pratiche basate su una distinzione tra i sessi o su ruoli stereotipati maschili e femminili». È anche detto che «per evitare che la gente imponga etichette agli uomini e alle donne e generare disuguaglianze è necessario il controllo assoluto sulle famiglie, sulla educazione, sui media e sulle conversazioni private» (cfr. Dale O’Leary, The gender agenda, Vital Issues Press, 1997).
Il repertorio congedato dal laboratorio di Pechino si è poi riversato nella Conferenza di Istanbul del 2011 ed è penetrato in Italia con la l. 119 del 15 ottobre 2013 (legge di conversione del d.l. 93 del 14 agosto 2013), cosiddetta legge sul femminicidio e, attraverso di essa, nella l. 107/2013 cosiddetta della “buona scuola” che, nel suo comma 16, rinvia proprio alla legge sul femminicidio e a quel Piano di azione straordinario che ne forma parte integrante e che è deputato a inglobare di soppiatto, facendole entrare da una defilata porticina di servizio, tutte le aberrazioni partorite a getto continuo in sede europea.
Il codice POLiTe intanto, espressamente formulato in modo da agganciarsi anch’esso sia agli orientamenti europei in materia di istruzione sia alle direttive del governo italiano in materia di pari opportunità e dintorni, rimaneva latente a garanzia del travaso nelle scuole italiane e nelle case degli studenti italiani dei deliri consumati nelle centrali di potere sovranazionale.
Ma non è tutto. La rete è stata stesa in modo da non lasciare smagliature e da serrare la gabbia a tenuta stagna: che il piano di omologazione forzata e indiscriminata si dovesse realizzare senza eccezioni attraverso la scuola (da cui tutti sono obbligati a transitare) apparteneva evidentemente a un diktat superiore perentorio e invincibile.
Lo testimonia la sequenza stringente dei provvedimenti concatenati adottati in rapida successione durante il 2013 dal governo Monti, peraltro all’epoca già dimissionario (ovvero di quell’esecutivo “tecnico” calato dall’alto per eseguire i comandi della centrale operativa di Bruxelles). Nel maggio del 2013 il ministro del Lavoro con delega alle Pari Opportunità Elsa Fornero ha varato la Strategia LGBT, sotto l’egida dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale, facente capo al dipartimento Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri), aderendo alla Raccomandazione (non vincolante per gli stati membri) CM/Rec(2010)5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Il primo dei quattro “assi” in cui è ripartita la Strategia riguarda proprio l’istruzione e l’educazione e rappresenta il primo imponente cuneo per la penetrazione nelle scuole del pacco ideologico confezionato nelle alte sfere.
Ma nel gennaio dello stesso anno, quando la Strategia Fornero era ancora in gestazione, e in preparazione del varo di questa, la stessa Fornero aveva firmato un protocollo di intesa con il ministro Profumo, titolare del MIUR: il protocollo d’intesa siglava l’abbraccio tra il mondo della scuola e l’apparato militante del dipartimento delle Pari Opportunità e dell’UNAR, la costola del dipartimento dove alberga in pianta stabile la governance formata da 29 associazioni LGBT, tra cui il Circolo di cultura omosessuale intitolato a Mario Mieli, noto pedofilo praticante morto suicida. Una entità, questa governance, che riunisce individui non ulteriormente identificati se non dai propri particolari gusti sessuali e che, in virtù di essi, è stata incardinata nei gangli centralissimi delle istituzioni per svolgere compiti di consulenza e promuovere progetti legislativi e programmi “educativi” a beneficio della gioventù italiana.
IL MOSTRO UNAR L’UNAR, che fa capo al dipartimento delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è un ente governativo istituito col compito specifico di garantire l’attuazione pratica del principio di non discriminazione, originariamente (come si evince dal nome) per motivi razziali, poi estesi d’ufficio ai motivi sessuali e di identità di genere in quanto rientranti tutti nel genus delle (non meglio definite) «forme di razzismo a carattere culturale». L’UNAR svolge inchieste autonome avvalendosi di un apposito centro deputato a raccogliere segnalazioni relative a fenomeni discriminatori. Dispone di un apparato ad hoc parapoliziesco (l’OSCAD è un organismo interforze incardinato nel Dipartimento di pubblica sicurezza) che, di fatto, conferisce ai soggetti che se ne possono avvalere ratione materiae (per particolari gusti sessuali o per origine geografica non autoctona) una situazione particolarmente privilegiata. Con buona pace dell’art. 3 della Costituzione e del tanto sbandierato principio di uguaglianza.
A sostenere l’escrescenza dell’UNAR, tutt’un apparato di organismi opachi, occhiuti e inquisitori creati dal nulla e operativi al di fuori di ogni controllo istituzionale e democratico. L’ECRI (Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza) stende rapporti periodici con cui redarguisce eventuali pretese mancanze del sistema nell’implementare il processo di fluidificazione identitaria; la Commissione Joe Cox, presieduta dalla indimenticata presidenta della Camera Laura Boldrini (donna notoriamente vessata e discriminata), istituita per prevenire e combattere le manifestazioni di odio nei confronti di immigrati, rom-sinti, popolazione LGBT e soggetti con disabilità, monitora la situazione e stende relazioni tanto paradossali quanto pretesamente intimidatorie (cfr. il rapporto intitolato La piramide dell’odio in Italia). Queste e altre tenie annidate nei meandri della burocrazia e alimentate con soldi pubblici esortano senza requie lo Stato a dotare l’UNAR di poteri più penetranti, soprattutto al fine di «rafforzare nelle scuole l’educazione di genere e l’educazione alla cittadinanza, finalizzata agli obiettivi di rispetto, apertura interculturale, interreligiosa e contrasto a intolleranza e razzismo», nonché di «sostenere e promuovere blog e attivisti no hate, o testate che promuovono una contronarrazione e campagne informative rispetto al discorso d’odio, soprattutto nel mondo non profit, delle scuole e delle università».
Ma torniamo alla corsa contro il tempo ingaggiata dal governo Monti durante il fatidico 2013. Eravamo rimasti a maggio. In giugno viene ratificata la Convenzione di Istanbul e ad agosto 2013 (precisamente alla vigilia di Ferragosto) l’esecutivo ritiene di dover onorare gli impegni assunti con la Convenzione adottando il decreto legge 93 che sarà poi convertito nell’ottobre successivo con la cosiddetta legge sul femminicidio (la 119). Il 12 settembre 2013 intanto entra in vigore il cosiddetto decreto-scuola Carrozza, poi convertito in legge a novembre dello stesso anno con modificazioni. Tra le “modificazioni” spunta ex novo come per magia una lettera d) nel primo comma dell’art. 16 in cui si «sottolinea l’importanza – per tutto il personale scolastico – dell’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità, delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere» ed è previsto all’uopo uno stanziamento di dieci milioni di euro.
SCUOLA CATTIVA MAESTRA L’esecutivo del tecnocrate Monti, quindi, ha dato il meglio di sé nel tributare il proprio ossequio alla cupola sovranazionale costruendo nell’arco di un breve tempo, nell’ombra, un sistema stratificato a prova di bomba. L’intreccio tra normative di vario livello e provenienti da fonti eterogenee è tale che, anche qualcuno volesse togliere qualche mattone, l’impalcatura sarebbe in grado di autoripararsi.
Il cerchio, poi, lo ha chiuso definitivamente la banda renziana varando la cosiddetta “buona scuola”, nel 2015. Con un meccanismo di rinvii plurimi e permanenti (nel senso che la legge è formulata in modo tale da aspirare nel suo corpo tutto quanto viene progressivamente sfornato in sede europea), finalmente fa proprio in toto il modello educativo apparecchiato dai potentati sovranazionali e lo impone alle scuole di ogni ordine e grado con la forza della legge.
Il progetto POLiTe è parte integrante di questo ingranaggio micidiale e trasfonde nei materiali didattici tutto il veleno sintetizzato negli alambicchi dei laboratori di ingegneria sociale, dove un manipolo di visionari affetto da delirio di onnipotenza gioca a controllare il mondo e a decidere le sorti di milioni e milioni di persone manipolando con lucida demenza i cervelli in via di formazione.
Sono in produzione seriale schiere di apolidi sradicati, analfabeti, ripiegati sui propri istinti, obbedienti e manipolabili: i “cittadini” non più italiani – per carità! – ma europei e globalizzati, senz’anima e senza identità. Con l’”educazione” a questa nuova “cittadinanza” insegnano ai nostri figli a essere bravi polli delle stie in cui li vogliono ficcare a forza tutti quanti, e alimentare in batteria col becchime didattico e mediatico perché imparino a essere docilmente eterodiretti fino a farsi tirare il collo senza protestare, anzi grati a chi vi provvede, quando lo decidano i benefattori della nuova umanità.
Di questi fatti, che non sono opinioni, il governo in carica dovrebbe cominciare a prendere coscienza perché, fino a che i nostri vivai sono lasciati nelle mani di aguzzini che somministrano mangime avvelenato, ogni altra manovra politica con cui si cerchi di approntare un doveroso riscatto italiano rischia di essere uno sforzo encomiabile, ma predestinato ad avere brevissima gittata.
Per approfondimenti:
– di Elisabetta Frezza
By Redazione On 6 novembre 2018 · 3 Comments
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