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mercoledì 28 novembre 2018

Uno scontro di diverse visioni circa la Chiesa?

Parla Müller: “Sì, nella Chiesa c’è grande confusione”

    «Ora sono semplicemente un cardinale senza un incarico specifico. Un fatto alquanto insolito, visto che i vescovi normalmente restano in attività fino ai settantacinque anni. Evidentemente il papa ha sua disposizione consiglieri migliori di me. In quanto prete, vescovo e cardinale posso comunque continuare a servire la Chiesa, come docente e scrivendo libri».
    https://images3.persgroep.net/rcs/dgrhmHO-v9ZdFsA5Lu2CZT32xCo/diocontent/136937434/_fitwidth/763?appId=e9b4e2a1869038ffcaf318a6d1463b0b&quality=0.8 (immagine aggiunta)
Con una buona dose di understatement il cardinale tedesco Gerhard Müller, settantuno anni il prossimo 31 dicembre, risponde così nel corso di un’intervista al giornale olandese Trouw (https://www.trouw.nl/religie-en-filosofie/kardinaal-gerhard-muller-betreurt-het-leiderschap-van-paus-franciscus~a6c4e02d/).

Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede dal luglio 2012 al luglio 2017, quando fu rimosso da papa Francesco, Müller parla a ruota libera su molti argomenti riguardanti la situazione della Chiesa ma anche la sua condizione personale.
«Il mio senso di autostima e la mia identità non dipendono da un ufficio ricoperto nella Chiesa. Dal punto di vista teologico ho raggiunto alcuni risultati. Centoventi studenti si sono laureati con me ed ho scritto libri. Non penso che tutto ciò sia insignificante».
Durante una conferenza dall’associazione cattolica olandese CRK (Contact Rooms-Katholieken) a Den Bosh, Müller ha inoltre dichiarato: «La Chiesa cattolica non deve commettere l’errore di dare risposte secolari a una società secolarizzata. La Chiesa non è importante solo per le sue risposte ai problemi sociali e ambientali. Queste sono cose secondarie. Il primo compito della Chiesa è portare le persone a Dio. Chiunque sia con Dio può contribuire alla costruzione della società proprio a partire dalla fede. Non possiamo sostituire la Chiesa di Gesù Cristo e i sacramenti con un’organizzazione sociale».
«La Chiesa – ha poi detto Müller – deve essere segno visibile di una realtà superiore e testimoniare che l’uomo è chiamato a vedere Dio in mezzo alla comunione dei santi. Questa è la grande vocazione dell’uomo».
Secondo l’ex prefetto «la fede non è un prodotto e noi non siamo in un negozio che sta cercando di applicare i migliori metodi di vendita. I profeti e i discepoli di Gesù non si comportarono così. Dobbiamo vivere e agire come fece Gesù».
L’annuncio del messaggio del Vangelo deve essere sempre al primo posto; in caso contrario abbiamo un processo di «auto-secolarizzazione» della Chiesa, una Chiesa degradata che sminuisce la sua missione. «Ecco perché dobbiamo guidare la società in modo critico e non piegarci a tutto ciò che è moderno o nuovo. Dobbiamo ricordare ciò che è veramente buono per le persone, ciò che è morale, per la felicità umana».
In risposta a una domanda sulla sofferenza e la crisi della Chiesa e sulla possibilità che si tratti di sintomi forieri della fine dei tempi, il cardinale dice: «Non dobbiamo pensare che sia giusto per la Chiesa soffrire. Non fa bene alla Chiesa soffrire per gli scandali. Questi sono scandali che Cristo non vuole».
Nell’intervista con Trouw Müller torna sul tema della confusione nella Chiesa e conferma: «Sì, c’è una grande confusione nella Chiesa in questo momento. Il motivo è che il rapporto tra la dottrina della Chiesa e la cura pastorale per le persone in situazioni difficili non è chiaro. Non puoi accompagnare e aiutare i fedeli quando parti da una base sbagliata. Un prete è come un medico che si prende cura delle anime nel nome di Gesù Cristo. Ma un buon dottore offre aiuto solo quando prescrive il farmaco corretto. Non puoi confortare un paziente dicendogli: “Ascolta, hai un osso rotto, quindi ora ti metto un bel cerotto”. Devi usare il farmaco giusto. Ciò significa che un prete deve spiegare la dottrina in modo chiaro, indipendentemente dal fatto che le persone lo accettino o meno».
«Ciò che vediamo adesso è che coloro che vogliono “migliorare” la dottrina falsificandola non sono disciplinati, mentre altri, che sono chiaramente fedeli alla Parola di Cristo, vengono accusati di essere “rigidi” e “farisei”. È questo il modo di guidare l Chiesa?».
Molte persone, dice l’intervistatore, sperano che a febbraio, quando in Vaticano si terrà l’incontro dei responsabili delle Conferenze episcopali di tutto il mondo sulla crisi degli abusi, sarà messo in discussione il celibato obbligatorio dei preti. Lei è favorevole?
Risposta: «In generale si può dire che nel 99,99 per cento dei casi gli abusi sono commessi da qualcuno che è sposato o che comunque può avere rapporti sessuali. Inoltre il problema c’è anche nel clero di altre Chiese, nelle quali il celibato non è obbligatorio. Ciò significa che gli abusi non hanno nulla a che fare con la questione del celibato. È vero invece che si sta cercando di utilizzare questa crisi per ottenere l’abolizione del celibato obbligatorio. Ma così è come trattare un paziente dopo una diagnosi completamente sbagliata».
«Dobbiamo fare tutto il possibile – dice inoltre il cardinale – per prevenire gli abusi. È molto importante precisare che cos’è realmente il sacerdozio. Negli ultimi anni abbiamo vissuto una secolarizzazione di questo ruolo, per cui il sacerdote è diventato sempre più un funzionario nel sistema ecclesiastico e non è più il rappresentante di Gesù Cristo. Ma se diventi un funzionario pensi di poter fare ciò che vuoi nella tua vita privata. Invece un prete può essere credibile solo se ha una coscienza morale e conforma la sua vita a Cristo».
«L’abuso è principalmente un crimine, che deve essere perseguito in quanto tale dalle autorità civili. Inoltre ci deve essere un processo ecclesiastico per determinare quali conseguenze ha il comportamento del responsabile sull’ufficio che ricopre. Sono due cose diverse che devono andare insieme. Il processo da parte della Chiesa non deve equivalere a una copertura, però occorre seguire una certa procedura e ci vuole discrezione. Nei confronti dei responsabili, delle vittime e dei familiari».
Circa la vicenda dell’ex nunzio negli Usa Carlo Maria Viganò, Müller dice: «Se fossi stato Viganò non avrei mai chiesto le dimissioni del papa. Tuttavia Viganò ha fatto una serie di domande a cui occorre rispondere. Inchiodare Viganò alla gogna non è d’aiuto al papa e non porta a una soluzione adeguata. Sarebbe stato meglio se il papa avesse chiamato tutti per un confronto, così le cose avrebbero potuto essere chiarite».
Siamo di fronte a una lotta di potere o a uno scontro di diverse visioni circa la Chiesa?
«Penso che sia valida la seconda ipotesi».
Circa la difficile situazione della Chiesa cattolica in Olanda, a causa di una secolarizzazione rapida e profonda, il cardinale ha risposto: «I Paesi Bassi sono tra i paesi che hanno accolto il Concilio Vaticano II come una sorta di liberalizzazione o secolarizzazione della Chiesa, quando in realtà il Concilio ha avuto come obiettivo un modo nuovo di cristianizzare la società». Ma le speranza non sono perdute: «Potrebbe esserci una nuova fioritura. Dobbiamo pregare per questo e dare una buona testimonianza. Spero e prego che nei Paesi Bassi possa iniziare una nuova primavera per la Chiesa».
Aldo Maria Valli

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