ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 15 dicembre 2018

Raglialamessa

PADRE CANTALAMESSA ALLA CURIA ROMANA: UN'ERESIA TRINITARIA IN NOME DELL'ECUMENISMO


«Non abbiamo alcun potere contro la verità,
ma solo a favore di essa»
(2 Cor 13, 8)

Siamo ormai giunti alla certezza incontrovertibile che tanto meno una persona è adatta ad un incarico particolare, quanto più essa verrà designata a quell’incarico, soprattutto se in quella posizione potrà far danni. Cupich e Coccopalmerio si occupano di chierici omosessuali e molestatori, per fare un esempio: come dire Himmler giudice dei criminali nazisti a Norimberga, o Erode direttore d’un istituto d’infanzia. 

Abbiamo anche visto che, in seno alla setta che infeuda la Chiesa di Cristo da ormai sessant’anni, immoralità ed eresia sono due facce del poliedro modernista, cui si aggiungono cupidigia, brama di potere, orgoglio, ricatto e menzogna. Un quadro che va progressivamente scoprendosi, grazie anche all’opera indefessa di chi si crede ormai autorizzato ad agire alla luce del sole, pensando che ormai non vi sia più alcun ostacolo al raggiungimento della meta finale. 

In questa istituzionalizzazione dell’apostasia da parte di una vera e propria mafia d’impresentabili, possiamo comprendere con chiarezza che fenomeni apparentemente scollegati sono in realtà parte di un unico disegno criminoso. E quegli eventi che negli scorsi decenni si potevano deplorare in termini generali senza alcun collegamento reciproco, mostrano una sconcertante coerenza degna di una mente diabolica. 

Proprio in questi giorni il cardinal Francesco Coccopalmerio ha teorizzato la possibilità di riconoscere la validità delle ordinazioni anglicane [qui], in nome di quell’ecumenismo conciliare che ha cancellato l’apostolato cattolico nella neo-chiesa progressista. É noto l’impegno dei novatori nel dialogo con la setta anglicana, inaugurato da Paolo VI e proseguito anche nei successivi Pontificati. Tre anni or sono, il 25 Novembre 2015, padre Raniero Cantalamessa predicò nell’Abbazia di Westminster, partecipando alla celebrazione di inizio del Sinodo della Chiesa d’Inghilterra, una vera e propria communicatio in sacris con degli eretici [qui]. 

I pennivendoli vaticani ci informano [qui] che padre Cantalamessa, nel corso di una meditazione sull’Avvento tenuta coram Pontifice alla Curia Romana, ha ancora una volta perorato la necessità dell’unità con un’erudita metafora trinitaria, che all’orecchio di un inesperto potrebbe sembrare anche vagamente cattolica; il tono generale dell’omelia pare erudito e non tralascia il ricorso a melliflue seduzioni per incantare l’ascoltatore, distratto da figure retoriche e riferimenti all’iconografia sacra. Ma in quel discorso apparentemente innocuo si annida a mio parere non solo una scandalosa bestemmia contro la Ss.ma Trinità, ma anche una delle eresia tanto care al Predicatore in saio. 

Cantalamessa ha auspicato l’unione dei Cristiani di ogni confessione, prendendo ad esempio l’intima unità delle Divine Persone della Ss.ma Trinità: «Ogni persona divina ama l’altra esattamente come se stessa». Ed ha spiegato: «Contemplare la Trinità aiuta a vincere la discordia del mondo». E, per meglio esplicitare il proprio pensiero ha detto: «Si può essere divisi nella mente, in ciò che ognuno pensa su questioni dottrinali o pastorali ancora legittimamente dibattute nella Chiesa, ma mai divisi nel cuore: in dubiis libertas, in omnibus vero caritas», per conseguire una «unità nella diversità». 

Mi permetto di far notare, en passant, che la citazione latina è incompleta. La frase integra recita: «In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas». É significativo che Cantalamessa abbia omesso proprio «in necessariis unitas», ossia l’unità nelle cose necessarie. Vieppiù perché l’adagio compare nell’Enciclica Ad Petri cathedram di Giovanni XXIII [latino - italiano], nella parte che riguarda proprio il ritorno all’unità cattolica di quanti sono separati dalla Chiesa: 

«È fuori dubbio che il divin Redentore ha costituito la sua chiesa dotandola e corroborandola di solidissima unità; che se, per assurdo, non l’avesse fatto, avrebbe istituito qualcosa di caduco e mutevole nel tempo, a quella guisa che i vari sistemi filosofici abbandonati all’arbitrio delle varie opinioni degli uomini, con l’andar del tempo uno dopo l’altro sorgono, si trasformano e scompaiono. Non vi può quindi essere alcuno che non veda come tutto questo sia contrario al divino insegnamento di Gesù Cristo, che è «via, verità e vita» (Gv 14,6).

Siffatta unità, venerabili fratelli e diletti figli, che, come abbiamo detto, non deve essere qualcosa di evanescente, incerto e labile, ma di solido, stabile e sicuro, se manca alle altre comunità di cristiani, non manca certo alla chiesa cattolica, come può facilmente vedere chi attentamente la osservi. Infatti questa unità si fregia di tre note distintive: l’unità di dottrina, di regime e di culto. Essa è tale da risultare visibile a tutti, sicché tutti la possono riconoscere e seguire. È tale inoltre che, secondo la volontà stessa del suo divin Fondatore, tutte le pecorelle ivi realmente possono riunirsi in un solo ovile sotto la guida di un solo pastore. E così all’unica casa paterna, stabilita sul fondamento di Pietro, sono chiamati tutti i figli, e in essa bisogna cercare di radunare fraternamente tutti i popoli come nell’unico regno di Dio, i cui cittadini, congiunti tra loro in terra nella concordia di mente e di animo, abbiano un giorno a godere l’eterna beatitudine in cielo.

La Chiesa cattolica comanda di credere fedelmente e fermamente tutto ciò che è stato rivelato da Dio; quanto cioè si contiene nella sacra Scrittura e nella Tradizione orale e scritta, e, nel decorso dei secoli, a cominciare dall’età apostolica, è stato sancito e definito dai Sommi Pontefici e dai legittimi concili ecumenici. Ogni volta che qualcuno si è allontanato da questo sentiero, la Chiesa con la sua materna autorità non ha mai cessato di richiamarlo sulla retta via. Sa bene, infatti, e sostiene che vi è una sola verità e che non possono ammettersi «verità» in contrasto tra di loro. Fa sua quindi l’affermazione dell’apostolo delle genti: «Non abbiamo alcun potere contro la verità, ma solo a favore di essa» (2 Cor 13, 8).

Vi sono tuttavia non pochi punti sui quali la chiesa cattolica lascia libertà di disputa ai teologi, in quanto si tratta di cose non del tutto certe e in quanto anche, come notava il celebre scrittore inglese cardinale John Henry Newman, tali dispute non rompono l’unità della chiesa. Esse servono anzi a una più profonda e migliore intelligenza dei dogmi, poiché preparano e rendono più sicura la via a questa conoscenza. Infatti dal contrasto delle varie sentenze scaturisce sempre nuova luce. Ad ogni modo è sempre da tener presente quella bella e ben nota sentenza attribuita in diverse forme a diversi autori: nelle cose necessarie ci vuole l’unità, in quelle dubbie la libertà, in tutte la carità».  

Come si vede, i farneticamenti della neo-chiesa sono sconfessati da Giovanni XXIII, in perfetta coerenza con il Magistero ininterrotto della Chiesa. Non solo: la citazione monca del Predicatore della Casa Pontificia dimostra un intento doloso, nell’aver deliberatamente omesso proprio la parte più importante. 

Il Prelato che sente citare dal cappuccino quelle parole, orecchia la citazione dell’enciclica di Roncalli, e crede di trovarvi un elemento tranquillizzante. Ma questa orecchiabilità della citazione vale pure per l’Anglicano. Il pio Lettore mi chiederà cosa c’entra un Anglicano con l’adagio latino. Con la perfidia degna di un Mefistofele, queste parole si prestano ad una doppia interpretazione, quasi come un ammiccamento all’eretico; perché essa fu usata dal teologo luterano Peter Meiderlin: «Si nos servaremus in necesariis Unitatem, in non-necessariis Libertatem, in utrisque Charitatem, optimo certe loco essent res nostrae» (Paraenesis votiva pro pace ecclesiae ad theologos Augustanae, 1626), che a sua volta l’aveva mutuata dall’ex Primate di Dalmazia, Marco Antonio de Dominis: «Omnesque mutuam amplecteremur unitatem in necessariis, in non necessariis libertatem, in omnibus caritatem» (De Republica Ecclesiastica contra Primatum Papae libri X, lib. IV, cap. 8). Giova ricordare che de Dominis nel 1616 si separò dalla Chiesa Cattolica per abbracciare l’eresia anglicana, dove ricevette incarichi ecclesiastici e scrisse diverse opere contro il Romano Pontefice e la Chiesa di Roma. Tra l’altro, a quello stesso adagio volle ricorrere l’ugonotto Isaac Casaubon, allorché su incarico di Giacomo I d’Inghilterra scrisse al cardinale Jacques Du Perron nel 1612 per cercare un accordo tra Anglicani e Cattolici. Infine, questo è il motto dell’Unione dei Fratelli Boemi e dei Presbiteriani Evangelici degli Stati Uniti. 

Ecco spiegato come, in quella frasetta apparentemente innocente, Cantalamessa raggiunga il triplo scopo di non allarmare il Prelato di Curia conservatore, di lanciare un segnale agli acattolici e di far capire ai suoi sodali il significato della deliberata omissione: tolto «In necessariis unitas», egli conferma in quale senso va letto l’auspicio all’unità, ossia scardinandola dal fondamento nella verità. 

L’ingenuo potrà obiettare che, limitatamente alla Chiesa, ossia tra Cattolici che hanno divergenze su «questioni dottrinali o pastorali ancora legittimamente dibattute», l’affermazione di padre Cantalamessa è perfettamente ortodossa. Ma così non è, perché è evidente che il riferimento non è alla Chiesa Cattolica, ma a quel concetto proteiforme e vaporoso - liquido, come si dice oggi - di una cosiddetta chiesa che includerebbe al proprio interno tutte le denominazioni cristiane. Quella cosa - ché chiamarla chiesa è teologicamente inappropriato - cui mira il movimento ecumenico condannato dai Papi sino a Pio XII e che considera la preghiera di Nostro Signore «ut unum sint» (Jo 17, 21) non già pienamente realizzata nell’unica Chiesa da Lui fondata, ma da raggiungersi con l’unione dei Cattolici con eretici e scismatici. 

Affermo che la frase di padre Cantalamessa va intesa in questa accezione perché nella stessa meditazione alla Curia Romana egli ha parlato di un «vero cammino verso l’unità» che non avrebbe senso, se fosse da intendersi come riferito ai soli Cattolici, i quali godono già di quell’unità in virtù della loro appartenenza alla Chiesa di Cristo. E quando egli afferma che «Cristo ci ha lasciato un mezzo per farlo: l’Eucaristia», il cappuccino si riferisce all’intercomunione, ossia alla partecipazione degli acattolici alla Messa ed alla stessa Comunione eucaristica, peraltro già autorizzata a determinate condizioni da Paolo VI e da Giovanni Paolo II [qui] ed oggi divenuta scandalosissima prassi in molte Diocesi, non senza il plauso del Sedicente e pur suscitando non poche perplessità negli stessi moderati, quali ad esempio il cardinal Müller. 

L’ex Prefetto del Sant’Uffizio, proprio alcuni giorni or sono, ha rilasciato un’intervista a LifeSite News nella quale, senza mezzi termini, invita - e giustamente - i sacerdoti a disobbedire all’eventuale ordine di un loro Superiore che dovesse autorizzare l’amministrazione della Comunione agli acattolici: «Per ricevere la Santa Comunione è richiesta la piena appartenenza alla Chiesa cattolica; eppure qualcuno ha chiesto al Papa - in modo da promuovere l’intercomunione - di autorizzare una deroga con affermazioni teologicamente indistinte che contraddicono la dottrina cattolica e la chiara istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede; questa richiesta ha portato confusione nella pratica, con un grave danno alla Chiesa» [qui]. É evidente che anche in seno alla Gerarchia vi sia un’ala ultraprogressista che spinge verso la normalizzazione di un abuso ed una moderata che non giunge ad avvallare un vero e proprio sacrilegio. 

Torniamo a Padre Cantalamessa e al senso delle sue parole. Per una loro corretta interpretazione è sufficiente rileggere quel ch’egli disse in occasione dell’incontro tenutosi il 22 Giugno 2006 nello stadio Luna Park di Buenos Aires per pregare per l’unità dei Cristiani. 

Entre parenthèses, in quella circostanza l’allora cardinal Bergoglio si inginocchiò (!) per ricevere lo spirito - oggi sappiamo quale - dinanzi agli esponenti di spicco del III Incontro Fraterno della Comunione Rinnovata degli Evangelici e Cattolici nello Spirito.



Ecco le parole del Predicatore della Casa Pontificia: «Il nostro contributo all’unità è l’amore reciproco. Se alcuni vogliono costruire l’unità a partire dalle verità di fede, noi vogliamo farlo partendo dal cuore. L’unità che cerchiamo esiste già perché è stata conquistata da Cristo e si rende operante nella Chiesa attraverso lo Spirito Santo. Lo Spirito precede, l’istituzione non può far altro che seguirlo. C’è ancora molto da fare, e da sola la via dell’ecumenismo ufficiale e teologico non raggiungerebbe mai l’unità dei cristiani. E’ necessario sostenere l’ecumenismo dottrinale con quello spirituale. E visto che entrambi procedono dallo stesso spirito, non può esserci conflitto». 

Queste proposizioni dimostrano che Cantalamessa ha già fatto ricorso allo stesso perverso ragionamento, assolutamente falso, secondo il quale lo Spirito Santo viene indicato come ispiratore e motore di un’azione contro le altre due Persone della Ss.ma Trinità. Cantalamessa sostituisce alla Carità teologale una solidarietà orizzontale tra persone, giungendo a preferire l’unità nell’errore alla necessaria e doverosa separazione tra quanti professano la Verità e coloro che la negano. Egli sovverte completamente il messaggio cristiano, indicando nell’eterna dannazione la salvezza, nell’errore la verità, nel demonio il dio da adorare: l’inganno dell’antico Serpente. 

Ecco svelata in tutta la sua portata devastatrice la pastorale in antitesi alla dottrina, tematica fatta propria da Bergoglio sin dall’inizio del suo Pontificato. Il quale, già da quando era Arcivescovo di Buenos Aires, aveva le idee ben chiare su come portare avanti il suo ecumenismo: «Abbraccio, piaga e vento. Che il Padre ci chiuda la bocca con l’abbraccio e ci unisca sempre più. Sì, sono peccatore, vedo la piaga con cui Cristo ci ha salvato. Appropriamoci della piaga di Cristo. Quanto al vento, è lui che ci stringe nell’unità e ci unisce come chiese riconciliate nella diversità». Anche se siamo ormai abituati a sentirlo farneticare, specialmente quando parla di questioni dottrinali, non può non suscitare sconcerto e scandalo veder contraddetto in poche parole l’insegnamento di Nostro Signore e disprezzata la testimonianza di tanti martiri che, per fedeltà all’unica Chiesa, sono stati uccisi dagli eretici, non ultimi proprio gli Anglicani.

Quando Cantalamessa parla di «questioni dottrinali o pastorali ancora legittimamente dibattute», egli inganna dolosamente chi lo ascolta, perché non spiega che nel loro novero egli include ad esempio proprio l’intercomunione, e forse addirittura il riconoscimento delle ordinazioni anglicane, che Leone XIII nella bolla Apostolicae curae dichiarò nulle, blindando il documento - con lungimiranza profetica, direi - con tutti i carismi dell’infallibilità e specificando che questa definizione non avrebbe potuto esser in alcun modo contraddetta né attenuata in futuro [qui]. 

D’altra parte, si comprende a cosa si riferisca Cantalamessa con quell’affermazione apparentemente innocua, ma velenosissima nelle sue implicazioni: «Cristo ci ha lasciato un mezzo per farlo: l’Eucaristia». Si noti anche la critica non troppo velata alle limitazioni attualmente vigenti per l’accesso alla Comunione, laddove egli afferma che l’unità auspicata oggi - quale, se non quella dell’ecumenismo irenista? - non è possibile solo «intorno al nostro punto di vista». Un appello al Papa e ai Prelati della Curia Romana, perché cooperino al raggiungimento di questo scopo. «C’è ancora molto da fare, e da sola la via dell’ecumenismo ufficiale e teologico non raggiungerebbe mai l’unità dei cristiani», perché «se alcuni vogliono costruire l’unità a partire dalle verità di fede, noi vogliamo farlo partendo dal cuore». 

Questa contraddizione tra Fede e Carità non può ovviamente esser ammessa dal Cattolico, perché entrambe trovano fondamento ed espressione massima nella Ss.ma Trinità: di qui l’eresia trinitaria di Cantalamessa. Non solo: questo delirio teologico ha delle immediate ripercussioni pratiche, laddove si separi la dottrina dalla pastorale. E ancora, le conseguenze si estendono all’ambito meramente umano: separare ragione e sentimento - mente e cuore - è un’operazione di schizofrenia artificiale degna del Luteranesimo prima e del Romanticismo poi: quello ha affermato il primato della fede indipendentemente dalle opere - pecca fortiter sed fortius crede - dove questo ha affermato il primato dei sentimenti sulla ragione, mentre nell’ordine naturale la volontà dev’esser sottomessa all’intelletto, così come la morale dipende dalla verità. Come si vede, si torna nuovamente a toccare il Mistero della Sacrosanta ed Individua Trinità, nella Quale la Carità non cancella la Verità, ma coincide con essa in Dio. Veritatem facientes in caritate  (Ef 4, 14).

«Per questa via non si raggiungerà mai alcuna unità»: occorre quindi bypassare la disputa teologica semplicemente ignorandola, in nome di una «unità nella diversità», di una blasfema «in contrariis unitas». E per farlo si osa addirittura chiamare in causa la Ss.ma Trinità, come aveva già fatto Bergoglio l’anno scorso, quando giunse a dire: «Nella Santa Trinità le Persone baruffano a porte chiuse, ma all’esterno danno l’immagine di unità» (Udienza al Catholic Theological Ethics in The World Church, 17 Marzo 2017). 

Ecco ridotta la fede nella Presenza Reale a «punto di vista» del Cattolico, e la negazione di questo dogma come «punto di vista» del Protestante o dell’Anglicano. Quest’interpretazione delle parole di Cantalamessa in senso relativista è perfettamente  coerente con il magistero di Bergoglio, che in occasione della visita al tempio luterano nel Novembre 2015 si permise di affermare: «Mi diceva un pastore amico: Noi crediamo che il Signore è presente lì. È presente. Voi credete che il Signore è presente. E qual è la differenza? Eh, sono le spiegazioni, le interpretazioni… Lascio la domanda ai teologi, a quelli che capiscono. Soprattutto davanti a un teologo come il cardinale Kasper». Così il Vicario di Cristo - o colui che ne occupa il Soglio - finisce per render molto meno criptiche sia le proprie esternazioni apparentemente sconclusionate, sia i sofismi pseudodottrinali del carismatico in saio: «punti di vista». Se poi se ne affida la soluzione «a un teologo come il cardinale Kasper», si comprende come siamo arrivati all’apostasia.  

In questo modo gli eretici rimangono tali, dannandosi l’anima perché confermati nel loro errore da chi viceversa dovrebbe ammonirli, e i Cattolici si vedono costretti ad ammettere ai propri veri Sacramenti degli impenitenti o a partecipare ai culti acattolici senza nutrirsi del Pane degli Angeli. Satana non potrebbe esser più orgoglioso di tanti paladini della sua causa. 

Quella perorata dal Predicatore della Casa Pontificia è la diversità nella declinazione dell’eresia, e l’unità nell’esser tutti al di fuori dall’unica Chiesa di Cristo, che invece professa e adora il Dio Trino come Verità perfettissima e come Carità infinita, senza alcuna contraddizione non perché le Divine Persone ignorino reciprocamente ciò che Le rende differenti, ma perché lo Spirito Santo, ch’è l’Amore che procede dal Padre e dal Figlio, è Spirito di Verità. 

Confondere l’unità dell’essenza delle Persone della Ss.ma Trinità con l’unità di un filantropismo massonico che nega deliberatamente la Verità rivelata per non scontrarsi con chi professa l’errore è una bestemmia intollerabile ed un’eresia delle peggiori, perché tocca nel cuore il fondamento stesso della Religione, vanifica l’Incarnazione e la Redenzione, disobbedisce al comando del Salvatore di annunciare il Vangelo e battezzare tutte le genti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questa è la perversione della Carità teologale, perché non è capace né di amare Dio, né di amare il prossimo - e quindi volere il suo bene morale - per amore del Signore. 

Questa è la dichiarazione finale dell’incontro ecumenico di Buenos Aires, sottoscritta assieme ad altri eretici da Cantalamessa e da Bergoglio: «Siamo venuti a celebrare che c’è una sola chiesa, formata da tutti coloro che confessano che Gesù è il Signore e sono stati battezzati». 

Faccio notare che questa meditazione dai contenuti gravissimi, tenuta dinanzi al Papa ed alla Curia Romana, anche alla luce della proposta del cardinal Coccopalmerio di dichiarare valide le ordinazioni anglicane, rappresenta un’allarmante coincidenza di intenti che non va taciuta, ma dev’esser anzi denunciata e condannata. Lo richiedono la Carità e la Verità. Lo esige l’onore di Dio. Lo comanda la salvezza delle anime. 
 
 

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