Piotr Merkury, Re Magi, in vetro soffiato e istoriato, 2003, cm. 55 x 70, Collezione privata
Cristo, il Re dei re, il Sommo Sacerdote, discende da una progenie di sovrani (qui) fin dalla sua nascita è stato adorato da dei sovrani sacerdoti, i Re Magi. Gesù, Figlio di Dio e di Maria Vergine, venne adorato fin dal principio: i primi a riverirlo e contemplarlo furono Maria Santissima, san Giuseppe, gli Angeli, poi i pastori e i Re Magi. Nacque in povertà, ma ricevette gli onori di un Re.
Perché i Re Magi partirono alla volta della Palestina? Erano studiosi di astrologia e, vedendo la stella cometa, diedero ad essa un valore straordinario poiché la dottrina di Zoroastro parlava di «un soccorritore partorito da una fanciulla senza che alcun uomo l’avvicini», il soccorritore avrebbe ristabilito il regno del bene e del male e la sua nascita sarebbe stata segnalata dall’apparizione di un astro luminoso. Seguirono quindi il percorso della stella e, conoscendo l’attesa di un Messia da parte degli ebrei, s’incamminarono, illuminati dalla grazia divina.
Il Vangelo secondo Matteo è l’unica fonte cristiana canonica a narrare l’adorazione ai piedi di Gesù dei Re Magi venuti dall’Oriente. Al loro arrivo a Gerusalemme, come primo atto fecero visita ad Erode, il re della Giudea romana, domandando dove fosse «il re che era nato», poiché avevano «visto sorgere la sua stella». Erode, mostrando di non conoscere la profezia dell’Antico Testamento (Michea 5,1), ne rimase turbato e chiese agli scribi dove doveva nascere il sovrano atteso dagli ebrei. Informato che si trattava di Betlemme, inviò là i Re Magi, esortandoli a trovare il bambino e riferire i dettagli del luogo dove trovarlo, «affinché anche lui potesse adorarlo» (Mt 2,1-8).
Secondo atto: il loro arrivo a Betlemme, città del re Davide e del Salvatore. Giunti sul luogo della nascita di Gesù si prostrano in adorazione e gli offrono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non ritornare da Erode, fanno ritorno alla loro patria per un’altra strada (Mt 2,9-11). Scoperto l’inganno, Erode s’infuria e manda ad uccidere tutti i bambini di Betlemme di età inferiore ai due anni, dando luogo alla Strage degli innocenti (Mt 2,16-18), ma Giuseppe, avvertito anticipatamente in un sogno, fugge in Egitto (Mt 2,13-14) con la sua famiglia.
Matteo parla di «alcuni Magi dall’Oriente” (μαγοι απο ανατολων, magoi apo anatolōn). Dal Vangelo secondo Luca si apprende che Giuseppe, Maria e Gesù rimasero a Betlemme almeno 40 giorni, cioè sino alla Presentazione al Tempio ed è in questo tempo che si compì, dopo i pastori, l’autorevole visita dei Magi.
Il termine Magi è la traslitterazione del termine persiano antico magūsh, accadico magūshu, siriaco mgōshā, passato al greco màgos (μάγος, plurale μάγοι). Si tratta di un titolo riferito specificamente ai sacerdoti dello Zoroastrismo tipici dell’Impero persiano. I tre re pagani vennero chiamati Magi a motivo della loro grande competenza nella disciplina dell’astrologia, ma anche della loro saggezza. I Magi divengono Re Magi nella tradizione liturgica cristiana in quanto la festa dell’Epifania è collegata al Salmo 72 (71), 10: «I re di Tarsis e delle isole porteranno offerte,/ i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi./A lui tutti i re si prostreranno,/lo serviranno tutte le nazioni.»
La tradizione ha dato loro un nome, Gaspare, Melchiorre, Baldassarre, e un volto, con la sterminata iconografia, ai Rei Magi. E, sempre secondo la tradizione, poiché erano sacerdoti, sebbene zoroastriani, seguendo la stella celeste e raggiungendo il neonato Re di Israele, essi hanno riconosciuto Gesù Bambino come unico Dio. Dunque i Magi giunsero alla mangiatoia di Betlemme con piena coscienza dell’importanza religiosa e cosmica della nascita di Cristo, l’unto di Dio.
Infatti, secondo il Vangelo di Matteo, i Magi sono state le prime autorità religiose e civili ad adorare Cristo. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Quando videro il divino Bambino si prostrarono e lo adorarono. Quindi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, simbolo della regalità; incenso, simbolo del sacerdozio di Gesù; mirra, usata nella preparazione dei corpi per la sepoltura, la quale indica l’espiazione dei peccati attraverso il sacrificio.
«In Persia è la città ch’è chiamata Saba, da la quale si partiro li tre re ch’andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co’ capegli: l’uno ebbe nome Beltasar, l’altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer Marco dimandò più volte in quella cittade di quegli III re: niuno gliene seppe dire nulla, se non che erano III re soppelliti anticamente.» (Marco Polo, Il Milione, cap. XXX.)
Nel transetto della basilica romanica di Sant’Eustorgio a Milano si trova la cappella dei Magi, nella quale è conservato un colossale e vuoto sarcofago di pietra, risalente al tardo Impero romano. Secondo le tradizioni ambrosiane, la basilica sarebbe stata fatta costruire dal vescovo Eustorgio intorno all’anno 344: la volontà del vescovo era quella di essere qui sepolto, dopo la sua dipartita, vicino ai corpi dei Re Magi. Per questo motivo, con l’approvazione dell’imperatore Costante avrebbe fatto arrivare i loro resti dalla basilica di Santa Sofia a Costantinopoli, dove erano stati portati alcuni decenni prima da sant’Elena, madre di Costantino, e che li aveva ritrovati durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa, quando trovò le Sacre reliquie della passione di Cristo.
Nel 1162 l’imperatore Federico Barbarossa, con la conquista di Milano, fece distruggere la chiesa di Sant’Eustorgio e si impossessò delle spoglie dei Magi. Nel 1164 l’Imperatore ordinò al suo arcicancelliere, Reinald von Dassel, che era anche arcivescovo di Colonia, di portarle in Germania al fine di rafforzare il prestigio della corona imperiale. Vennero trasportate, attraverso la Lombardia, il Piemonte, la Borgogna e la Renania, nel duomo della città tedesca, dove ancora oggi sono conservate in un prezioso reliquiario. Ai milanesi rimase solo una medaglia realizzata, così si dice, con parte dell’oro donato dai Magi al Signore, che da allora venne esposta il giorno dell’Epifania in Sant’Eustorgio, accanto al sarcofago vuoto. Invano e a più riprese Milano tentò di riavere le reliquie. Né Ludovico il Moro nel 1494, né papa Alessandro VI, né Filippo II di Spagna, né papa Pio IV, né papa Gregorio XIII, né Federico Borromeo riuscirono a riavere le spoglie in Italia. Ma il 3 gennaio del 1904 il cardinale Ferrari, arcivescovo di Milano, fece solennemente ricollocare in Sant’Eustorgio alcuni frammenti ossei delle reliquie: due fibule, una tibia e una vertebra, offerti dall’arcivescovo di Colonia Anton Hubert Fischer. Furono posti in un’urna di bronzo, accanto all’antico sacello vuoto con la scritta «Sepulcrum Trium Magorum» (tomba dei tre Magi). Il cronista Galvano Fiamma lascia testimonianza che nel 1336 a Milano si celebrava un corteo dei Magi a cavallo attraverso la città. Una versione del dettagliato racconto è contenuta nella Historia Trium Regum (Storia dei tre re) del chierico, del XIV secolo, Giovanni di Hildesheim. L’autore, per spiegare la presenza a Colonia delle reliquie mummificate dei saggi orientali, inizia la sua narrazione con il viaggio a Gerusalemme di sant’Elena:
«La regina Elena […] cominciò a pensare grandemente ai corpi di quei tre re, e si schierò e con un largo seguito si recò nella terra dell’Indo […] quand’ebbe trovato i corpi di Melchiorre, Baldassarre e Gaspare, la regina Elena li mise in uno scrigno che ornò di grandi ricchezze, e li portò a Costantinopoli […] e li pose in una chiesa chiamata Santa Sofia.»
Nella cattedrale di Colonia è quindi conservata l’arca preziosa d’argento dorato, fatta realizzare dal successore di Reinald, Filippo di Heinsberg, nella chiesa di San Pietro, trasformata successivamente nella magnificente cattedrale gotica.
Il reliquiario dei Re Magi all’interno della cattedrale di Colonia, nella copertina dell’articolo
Ricordiamo ancora che il 24 luglio la Chiesa fa memoria della traslazione delle reliquie dei santi Magi d’Oriente, adoratori di Gesù Bambino, da Milano a Colonia. Nel 1247, a motivo del grande culto che si era formato intorno alle loro figure, papa Innocenzo IV concesse speciali indulgenze per i pellegrini. Sta scritto nel Martirologio romano: «A Colonia nella Lotaringia, in Germania, traslazione dei tre magi, che sapienti di Oriente, vennero a Betlemme portando doni a contemplare nel Bambino il mistero della gloria dell’Unigenito».
Cristina Siccardi
Vennero dall’Oriente
Presso gli orientali era nota l’attesa di un Messia da parte del popolo di Israele, forse perché gli ebrei della prima diaspora, dispersi per la deportazione da parte di assiri e babilonesi, avevano fatto conoscere le loro Scritture. Il compimento di questa attesa desta gioia e sottomissione nei Magi, i quali rappresentano coloro che lasciano le tenebre per giungere all’ammirabile Luce di Cristo.
Presso gli orientali era nota l’attesa di un Messia da parte del popolo di Israele, forse perché gli ebrei della prima diaspora, dispersi per la deportazione da parte di assiri e babilonesi, avevano fatto conoscere le loro Scritture. Il compimento di questa attesa desta gioia e sottomissione nei Magi, i quali rappresentano coloro che lasciano le tenebre per giungere all’ammirabile Luce di Cristo.
«Nato Gesù a Betlemme di giudea, al tempo del re Erode, alcuni Magi vennero dall’Oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei giudei che è nato?”» (Mt 2,1-2ss). Così racconta l’evangelista Matteo, scrivendo con assoluta fondatezza storica e biblica. L’adorazione dei Magi a Gesù non è leggenda, non è un “genere letterario”, come si usa dire oggi, non è soltanto “una lettura teologica” della venuta di Gesù. È fatto storico, che con ogni probabilità, direi con certezza, Matteo ha raccolto da Maria Santissima per i suoi due primi capitoli, come Luca farà altrettanto per i suoi primi due capitoli, l’insieme dei “Vangeli dell’infanzia”, dove c’è tutto sul piccolo Gesù, presagio del “grande” Gesù.
Storia non leggenda
«Vennero dall’Oriente». L’Oriente per gli ebrei è la Mesopotamia e, più ancora, la lontana Persia, il cui re Ciro, alcuni secoli prima, aveva permesso agli ebrei deportati a Babilonia, di tornare nella loro terra, la piccola Palestina, crocevia delle genti.
Gli ebrei esuli a Babilonia, avevano diffuso, tra i “gentili” (i pagani), l’idea del loro Dio, purissimo Spirito, uno e unico Creatore e Legislatore dell’umanità, e insieme l’attesa di un suo Inviato, che essi attendevano. Prova ne sia la testimonianza di Tobia, un esule di Israele, molto pio e identitario, che in un suo cantico di lode afferma di far conoscere la gloria del vero Dio in un popolo straniero (cf. Tb 13,2-18). Altro segno è il salmo 136, in cui l’autore narra come nell’esilio a Babilonia, fosse loro chiesto di cantare i cantici di Sion e l’impossibilità di soddisfare la richiesta, poiché le cetre erano state appese, in segno di lutto, alle fronde dei salici!
Presso gli orientali della Mesopotamia e della Persia dunque, era nota l’attesa di un Messia, di un Inviato, di un Re, mai prima visto, da parte di Israele. Attesa nota, perché gli ebrei della prima diaspora, dispersi per la deportazione da parte di assiri e babilonesi, avevano fatto conoscere le loro Scritture, soprattutto tra i dotti, gli studiosi delle “stelle”, del cielo e della terra. Attesa nota, in ogni paese pagano, perché doveva esser pure stata conservata quella “rivelazione primigenia”, che risale a Dio al principio dell’umanità: «Porrò inimicizia tra te [il serpente, il diavolo, la potenza del male], la Donna, tra te e la sua discendenza. Ella ti schiaccerà il capo» (Gen 3,15). Relazione primigenia tradottasi nell’attesa di un Personaggio venuto dal Cielo, da Dio stesso.
«Alcuni Magi vennero dall’Oriente». A Gerusalemme dicono di aver visto il sorgere di una stella, la sua stella, annuncio della venuta di questo Re inedito, Re unico, tutto singolare. Allora sapevano che la sua venuta sarebbe stata preceduta da una stella, che i cieli stessi l’avrebbero fatto sapere, come dice il libro dei Numeri, 24,17. Sicuramente conoscevano qualcosa dell’Atteso da Israele, popolo così piccolo, ma segnato da una letteratura divina, le loro Scritture, con i Patriarchi, i Giudici, i Re, i Profeti, i Sapienti, tutti volti e anelanti a incontrarlo.
Facciamo una lettura fondamentalista della Parola di Dio? Ebbene che sia, sappiamo che quanto stiamo scrivendo, è la lettura che ne fa fondata cultura biblica e soprattutto il Magistero della Chiesa. E pertanto ne abbiamo l’anima in pace.
Cercatori di verità e vita
Alla domanda dei Magi, giunti a Gerusalemme: «Dov’è il re dei Giudei che è nato?», tutta la città sacra del Tempio di Dio, rimase sgomenta, primo tra tutti il re Erode, una reuccio vassallo di Roma, che temeva sempre di perdere il suo potere sul reame, fino al punto di fare assassinare i suoi figli, timoroso che attentassero al suo trono. Augusto, quando lo seppe, dichiarò che preferiva essere un «porco», che figlio di Erode – sottinteso – perché in Israele non si uccidevano né tanto meno si mangiava la carne di maiale!
Erode, dunque, sgomento, Gerusalemme sgomenta, non per la venuta dell’Atteso delle genti, che pure avrebbe dato lustro al loro popolo, ma sgomenti di stupore, di paura, di collera. «Erode, riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo dove doveva nascere il Messia. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta”». E gli citano Michea 5,1.
Notate: si radunano Erode, i sommi sacerdoti (quelli in carica e gli “emeriti”) e gli scribi del popolo. Gli stessi che si raduneranno dopo circa trent’anni, per processare Gesù! Quando Erode ha la risposta, dice ai Magi: «Andate a Betlemme, informatevi accuratamente del bambino e quando l’avrete trovato, fatemi sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Ma la sua “cura” era perfidia e scelleratezza, inizio di una congiura contro Gesù, che si illuderà di aver fine mandando Gesù alla croce, ma che continua ancora oggi, dove Gesù è rifiutato, perseguitato e crocifisso, su tutti i calvari della terra.
Pur conoscendo le Scritture, i vaticini dei profeti, riguardo al Re-Messia, nessuno di quei “signori” di Gerusalemme – neppure i sacerdoti – si mosse per andarlo a cercare a Betlemme. Anzi, dicono i Padri della Chiesa, che pure essi congiurarono con Erode nella strage di bambini dai due anni in giù, per eliminarlo.
Per restare unico re, Erode (e i suoi complici) sogna di spegnere la Luce nel sangue. I testimoni “obbligati” della Luce, i sacerdoti e i principi della nazione, non alzeranno la voce, contro l’iniquità. Il popolo sviato da quelli che avrebbero dovuto guidarlo alla verità, continuerà a ostinarsi nell’incuranza e nell’errore, nel rifiuto del suo Re-Messia. Infelice popolo, qualsiasi popolo, che abbandona il suo Dio. Sarà lui stesso abbandonato.
Sono brevi righe quelle di Matteo, capitolo 2, ma contengono una tragedia.
Ma io vado, noi andiamo a Betlemme, al seguito dei Magi e della stella riapparsa. Da quando sono entrati in Giudea, la folla si arresta ad ammirare la loro lunga carovana, i loro costumi pittoreschi, la stella che brilla alla testa del corteo. Ma nessuno comprende il segno di Dio e tutti se ne tornano dimentichi, incuranti, ai loro affari. Solo i Magi vincono l’indifferenza, l’ostilità e camminano, cercatori di verità e vita, al seguito della stella prodigiosa.
Giunti alla casa dove c’è il piccolo Gesù, non si distraggono neppure un istante, provano una grandissima gioia a vedere il Bambino Gesù con Maria sua Madre, che presenta il Figlio di Dio e suo alla loro adorazione. Sottolinea Matteo evangelista: «Essi, i Magi, prostratisi lo adorarono». Lo hanno riconosciuto non solo Re di Israele, ma Re del mondo, anzi Dio, degno Lui solo di adorazione con la faccia a terra. Altrettanto, si può pensare, fanno i loro servi.
È piccolo, Gesù, ma è il loro Re. È il nostro Re. È Lui, Gesù, il Sovrano, il Signore. “È lui che tiene in mano il Regno, la potenza e l’impero”. Sì, il nostro piccolo Re, ma è il Re cui nessuno potrà mai resistere, al quale è destinata la vittoria sul mondo e nell’eternità. I Magi offrono oro, incenso e mirra, e con loro tutti i secoli cristiani salutano e adorano il Capo, la Guida, la Vita nuova dell’umanità rigenerata da Lui.
Il Dio-bambino sorride e benedice i primi nati della sua Chiesa. Non solo l’Israele più umile, quello dei pastori della collina di Betlemme, ma “la gentilità” (i pagani) che comincia ad adorarlo nei suoi membri più illustri, quali erano i Magi, sapienti, forse sacerdoti e re pure loro, comunque guide, notabili dei loro popoli. Riconosciamolo, oggi si rivela il Salvatore – Epifania significa manifestazione –, oggi si innalza sui nostri orizzonti – sugli orizzonti dei secoli e della storia – la Luce piena, totale, indefettibile, sovrana del piccolo Re, che è il Re dei re.
Felici noi che camminiamo nella sua luce. Felice il nostro tempo se tornerà a Gesù, diversamente è il tempo più infelice e più cupo della storia. Felici noi che crediamo in Gesù, come il Figlio di Dio fatto uomo. Pastori, Magi, i credenti in Gesù a duemila e due decenni dalla sua venuta, abbiamo superato la “gnosi” di una sapienza soltanto umana, per arrenderci a Gesù, oltre il Quale non è possibile andare, come spiega l’apostolo evangelista san Giovanni (cf. 1Gv 4,2-3; 2Gv 4-9), pena l’essere fuori dal progetto di Dio, anzi, diventare anti-cristi. A noi, in compagnia di Gesù e di sua Madre, come per i santi Magi, l’assoluta certezza, il completo possesso, la sicurezza della verità assoluta ed eterna.
Storia non leggenda
«Vennero dall’Oriente». L’Oriente per gli ebrei è la Mesopotamia e, più ancora, la lontana Persia, il cui re Ciro, alcuni secoli prima, aveva permesso agli ebrei deportati a Babilonia, di tornare nella loro terra, la piccola Palestina, crocevia delle genti.
Gli ebrei esuli a Babilonia, avevano diffuso, tra i “gentili” (i pagani), l’idea del loro Dio, purissimo Spirito, uno e unico Creatore e Legislatore dell’umanità, e insieme l’attesa di un suo Inviato, che essi attendevano. Prova ne sia la testimonianza di Tobia, un esule di Israele, molto pio e identitario, che in un suo cantico di lode afferma di far conoscere la gloria del vero Dio in un popolo straniero (cf. Tb 13,2-18). Altro segno è il salmo 136, in cui l’autore narra come nell’esilio a Babilonia, fosse loro chiesto di cantare i cantici di Sion e l’impossibilità di soddisfare la richiesta, poiché le cetre erano state appese, in segno di lutto, alle fronde dei salici!
Presso gli orientali della Mesopotamia e della Persia dunque, era nota l’attesa di un Messia, di un Inviato, di un Re, mai prima visto, da parte di Israele. Attesa nota, perché gli ebrei della prima diaspora, dispersi per la deportazione da parte di assiri e babilonesi, avevano fatto conoscere le loro Scritture, soprattutto tra i dotti, gli studiosi delle “stelle”, del cielo e della terra. Attesa nota, in ogni paese pagano, perché doveva esser pure stata conservata quella “rivelazione primigenia”, che risale a Dio al principio dell’umanità: «Porrò inimicizia tra te [il serpente, il diavolo, la potenza del male], la Donna, tra te e la sua discendenza. Ella ti schiaccerà il capo» (Gen 3,15). Relazione primigenia tradottasi nell’attesa di un Personaggio venuto dal Cielo, da Dio stesso.
«Alcuni Magi vennero dall’Oriente». A Gerusalemme dicono di aver visto il sorgere di una stella, la sua stella, annuncio della venuta di questo Re inedito, Re unico, tutto singolare. Allora sapevano che la sua venuta sarebbe stata preceduta da una stella, che i cieli stessi l’avrebbero fatto sapere, come dice il libro dei Numeri, 24,17. Sicuramente conoscevano qualcosa dell’Atteso da Israele, popolo così piccolo, ma segnato da una letteratura divina, le loro Scritture, con i Patriarchi, i Giudici, i Re, i Profeti, i Sapienti, tutti volti e anelanti a incontrarlo.
Facciamo una lettura fondamentalista della Parola di Dio? Ebbene che sia, sappiamo che quanto stiamo scrivendo, è la lettura che ne fa fondata cultura biblica e soprattutto il Magistero della Chiesa. E pertanto ne abbiamo l’anima in pace.
Cercatori di verità e vita
Alla domanda dei Magi, giunti a Gerusalemme: «Dov’è il re dei Giudei che è nato?», tutta la città sacra del Tempio di Dio, rimase sgomenta, primo tra tutti il re Erode, una reuccio vassallo di Roma, che temeva sempre di perdere il suo potere sul reame, fino al punto di fare assassinare i suoi figli, timoroso che attentassero al suo trono. Augusto, quando lo seppe, dichiarò che preferiva essere un «porco», che figlio di Erode – sottinteso – perché in Israele non si uccidevano né tanto meno si mangiava la carne di maiale!
Erode, dunque, sgomento, Gerusalemme sgomenta, non per la venuta dell’Atteso delle genti, che pure avrebbe dato lustro al loro popolo, ma sgomenti di stupore, di paura, di collera. «Erode, riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo dove doveva nascere il Messia. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta”». E gli citano Michea 5,1.
Notate: si radunano Erode, i sommi sacerdoti (quelli in carica e gli “emeriti”) e gli scribi del popolo. Gli stessi che si raduneranno dopo circa trent’anni, per processare Gesù! Quando Erode ha la risposta, dice ai Magi: «Andate a Betlemme, informatevi accuratamente del bambino e quando l’avrete trovato, fatemi sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Ma la sua “cura” era perfidia e scelleratezza, inizio di una congiura contro Gesù, che si illuderà di aver fine mandando Gesù alla croce, ma che continua ancora oggi, dove Gesù è rifiutato, perseguitato e crocifisso, su tutti i calvari della terra.
Pur conoscendo le Scritture, i vaticini dei profeti, riguardo al Re-Messia, nessuno di quei “signori” di Gerusalemme – neppure i sacerdoti – si mosse per andarlo a cercare a Betlemme. Anzi, dicono i Padri della Chiesa, che pure essi congiurarono con Erode nella strage di bambini dai due anni in giù, per eliminarlo.
Per restare unico re, Erode (e i suoi complici) sogna di spegnere la Luce nel sangue. I testimoni “obbligati” della Luce, i sacerdoti e i principi della nazione, non alzeranno la voce, contro l’iniquità. Il popolo sviato da quelli che avrebbero dovuto guidarlo alla verità, continuerà a ostinarsi nell’incuranza e nell’errore, nel rifiuto del suo Re-Messia. Infelice popolo, qualsiasi popolo, che abbandona il suo Dio. Sarà lui stesso abbandonato.
Sono brevi righe quelle di Matteo, capitolo 2, ma contengono una tragedia.
Ma io vado, noi andiamo a Betlemme, al seguito dei Magi e della stella riapparsa. Da quando sono entrati in Giudea, la folla si arresta ad ammirare la loro lunga carovana, i loro costumi pittoreschi, la stella che brilla alla testa del corteo. Ma nessuno comprende il segno di Dio e tutti se ne tornano dimentichi, incuranti, ai loro affari. Solo i Magi vincono l’indifferenza, l’ostilità e camminano, cercatori di verità e vita, al seguito della stella prodigiosa.
Giunti alla casa dove c’è il piccolo Gesù, non si distraggono neppure un istante, provano una grandissima gioia a vedere il Bambino Gesù con Maria sua Madre, che presenta il Figlio di Dio e suo alla loro adorazione. Sottolinea Matteo evangelista: «Essi, i Magi, prostratisi lo adorarono». Lo hanno riconosciuto non solo Re di Israele, ma Re del mondo, anzi Dio, degno Lui solo di adorazione con la faccia a terra. Altrettanto, si può pensare, fanno i loro servi.
È piccolo, Gesù, ma è il loro Re. È il nostro Re. È Lui, Gesù, il Sovrano, il Signore. “È lui che tiene in mano il Regno, la potenza e l’impero”. Sì, il nostro piccolo Re, ma è il Re cui nessuno potrà mai resistere, al quale è destinata la vittoria sul mondo e nell’eternità. I Magi offrono oro, incenso e mirra, e con loro tutti i secoli cristiani salutano e adorano il Capo, la Guida, la Vita nuova dell’umanità rigenerata da Lui.
Il Dio-bambino sorride e benedice i primi nati della sua Chiesa. Non solo l’Israele più umile, quello dei pastori della collina di Betlemme, ma “la gentilità” (i pagani) che comincia ad adorarlo nei suoi membri più illustri, quali erano i Magi, sapienti, forse sacerdoti e re pure loro, comunque guide, notabili dei loro popoli. Riconosciamolo, oggi si rivela il Salvatore – Epifania significa manifestazione –, oggi si innalza sui nostri orizzonti – sugli orizzonti dei secoli e della storia – la Luce piena, totale, indefettibile, sovrana del piccolo Re, che è il Re dei re.
Felici noi che camminiamo nella sua luce. Felice il nostro tempo se tornerà a Gesù, diversamente è il tempo più infelice e più cupo della storia. Felici noi che crediamo in Gesù, come il Figlio di Dio fatto uomo. Pastori, Magi, i credenti in Gesù a duemila e due decenni dalla sua venuta, abbiamo superato la “gnosi” di una sapienza soltanto umana, per arrenderci a Gesù, oltre il Quale non è possibile andare, come spiega l’apostolo evangelista san Giovanni (cf. 1Gv 4,2-3; 2Gv 4-9), pena l’essere fuori dal progetto di Dio, anzi, diventare anti-cristi. A noi, in compagnia di Gesù e di sua Madre, come per i santi Magi, l’assoluta certezza, il completo possesso, la sicurezza della verità assoluta ed eterna.
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