di Ann Barnhardt
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Pubblichiamo con questo titolo nostro, un articolo dell'Autrice, che contiene il testo della prima parte di un articolo scritto di Joseph Ratzinger del 1978, relativo alla speculazione sul papato che, per servire realmente l'unità dei cristiani, dovrebbe diventare - secondo chi divenne Benedetto XVI - una sorta di triumvirato: un “troika papale” composta da un cattolico, un ortodosso e un protestante. Alla luce di questo scritto di Ratzinger si può comprendere meglio perché si sia dimesso e tuttavia abbia preteso di farsi chiamare ancora “papa”.
Circa le conclusioni dell'Autrice, secondo cui Ratzinger sarebbe il solo e unico papa, ci teniamo a dichiarare che non le condividiamo. Secondo noi, al di là delle finezze sul Codice di Diritto Canonico, il semplice fatto che Ratzinger si sia dimesso ed abbia permesso così, consapevolmente, di fare sedere Bergoglio sul trono pontificio, lo rende non solo decaduto dal papato, ma perfino ineliggibile, viste le molteplici posizioni prossime all'eresia sostenute da Don Ratzinger al Vaticano II, da Mons. Ratzinger nel dopo-concilio, dal Cardinale Ratzinger in veste di “custode della dottrina della fede”, e da Ratzinger-Benedetto XVI soprattutto con Assisi III e la riduzione a “forma straordinaria” dell'unica vera liturgia della Chiesa risalente agli Apostoli.
Per comodità dei lettori abbiamo riportato il testo in questione, come presentato dalla Barnhardt: col l'originale in tedesco.
Per una più comoda fruizione del testo di Ratzinger, lo abbiamo riportato a parte, in formato pdf, con la versione bilingue tedesca e italiana.
Circa le conclusioni dell'Autrice, secondo cui Ratzinger sarebbe il solo e unico papa, ci teniamo a dichiarare che non le condividiamo. Secondo noi, al di là delle finezze sul Codice di Diritto Canonico, il semplice fatto che Ratzinger si sia dimesso ed abbia permesso così, consapevolmente, di fare sedere Bergoglio sul trono pontificio, lo rende non solo decaduto dal papato, ma perfino ineliggibile, viste le molteplici posizioni prossime all'eresia sostenute da Don Ratzinger al Vaticano II, da Mons. Ratzinger nel dopo-concilio, dal Cardinale Ratzinger in veste di “custode della dottrina della fede”, e da Ratzinger-Benedetto XVI soprattutto con Assisi III e la riduzione a “forma straordinaria” dell'unica vera liturgia della Chiesa risalente agli Apostoli.
Per comodità dei lettori abbiamo riportato il testo in questione, come presentato dalla Barnhardt: col l'originale in tedesco.
Per una più comoda fruizione del testo di Ratzinger, lo abbiamo riportato a parte, in formato pdf, con la versione bilingue tedesca e italiana.
SOSTANZIALE ERRORE ATOMICO
di Ann Barnhardt
Nel 1978 Joseph Ratzinger considerava l’ipotesi che un Papato monarchico fosse di natura intrinsecamente “ariana”, e che il Papato dovesse riflettere la Trinità, con una “troika di papi” composta da un cattolico, un protestante e un ortodosso, “con il papato, il principale impedimento per la cristianità non cattolica, che diventa il veicolo definitivo per l’unità di tutti i cristiani”.
San Vincenzo Ferrer ce l’ha fatta. Velocemente. Meno di 24 ore dopo che il mio post gli giungesse con le mie preghiere, da parte di un lettore tedesco è arrivata nella mia casella di posta elettronica questa stupefacente citazione completa di traduzione.
Ecco il testo:
- Ho postato un’istantanea e una citazione dall’inizio del capitolo 8 della tesi di dottorato di J. Michael Miller che cita Walter Kasper. La citazione era: “L'attuale crisi del papato è una crisi di legittimazione”.
- Questa citazione di Kasper è stata tratta da un libro intitolato “Dienst an der Einheit”, pagina 83.
“Dienst an der Einheit”, che significa “Servizio all’unità”, è una raccolta di articoli pubblicati da… pensate un po’… JOSEPH RATZINGER. Così la citazione di Kasper in realtà è stata redatta da RATZINGER.
Uno dei contributi a “Dienst an der Einheit” è un articolo scritto dallo stesso Joseph Ratzinger, intitolato “Der Primat des Papstes und die Einheit des Gottesvolkes” che significa: “Il primato del Papa e l’unità del popolo di Dio”.
Qui di seguito è riportato il testo originale tedesco e il corrispondente italiano (la traduzione in inglese è stata eseguita da un lettore tedesco completamente bilingue – senza l’ausilio di traduzione algoritmica) della parte iniziale di questo pezzo, che si trova alle pagine 165-167:
Der Primat des Papstes und die Einheit des Gottesvolkes
Il primato del Papa e l’unità del popolo di Dio.
I. Der spirituelle Grund von Primat und Kollegialität
I. La base spirituale del primato e della collegialità
Il tema del papato non è uno dei temi popolari dell’era postconciliare. Esso era in qualche modo implicito allorché corrispondeva alla monarchia in ambito politico. Nel momento attuale, in cui l’idea di monarchia si è praticamente estinta ed è stata sostituita dall’idea democratica, la dottrina del primato manca del quadro di riferimento per i nostri presupposti generali. Quindi non è certo un caso che il Concilio Vaticano I sia stato dominato dall’idea del primato, mentre il Vaticano II dalla lotta per il concetto di collegialità.
Va però subito aggiunto che il Vaticano II ha cercato di riscrivere l’idea di collegialità, per la quale ha ricevuto incentivi dall’atteggiamento odierno nei confronti della vita, in modo tale da contenere l’idea del primato. Oggi, avendo maturato una piccola esperienza della collegialità, del suo valore, ma anche dei suoi limiti, è necessario ricominciare da capo su questo punto, per comprendere meglio l’unità di tradizioni apparentemente contraddittorie, così da preservare la ricchezza dell’espressione cristiana.
1. Kollegialität als Ausdruck der Wir-Struktur des Glaubens
1. Collegialità come espressione della nostra struttura della fede
In connessione col dibattito conciliare, la teologia, in quel momento, cercò di cogliere la collegialità al di là di quella puramente strutturale e funzionale, come espressione di una legge fondamentale che risale all’essenza più intima del cristiano, che quindi si presenta in modi diversi al livello individuale della realizzazione pratica del cristiano stesso: esso potrebbe mostrare che la struttura del noi appartiene al cristiano in generale. Il credente, in quanto tale, non è mai solo: credere significa uscire dall’isolamento ed immettersi nel Noi dei figli di Dio; l’atto di devozione a Dio rivelato in Cristo è sempre anche devozione a coloro che sono già stati chiamati.
Come tale, l’atto teologico è sempre un atto ecclesiale che si presta anche ad una struttura sociale. Per il cristiano, dunque, l’iniziazione è sempre concreta socializzazione nella comunità dei credenti, è la formazione nel Noi, che è al di là del mero io.
Ciò corrisponde al fatto che la chiamata dei discepoli di Gesù è rappresentata dalla figura dei Dodici, cifra che riprende quella dell’antica concezione del popolo di Dio, nella quale è ancora una volta essenziale come Dio crei una storia comune e agisca sul suo popolo in quanto popolo.
Per altro verso, vista questa ragione più profonda di questa caratteristica del Noi del cristiano, diventa evidente che Dio stesso è un Noi: Il Dio che il Credo cristiano professa, non è un solitario elaboratore del pensiero, non è assoluto e indivisibile in un io che contiene sé stesso, ma è l’unità nella relazione trinitaria dell’Io-Tu-Noi, cosicché il Noi-Essere, come forma divina di base, precede tutti i Noi mondani, e la somiglianza di Dio trova il suo riferimento all’origine di tale Noi-Essere.
In questo contesto, un trattato di E. Peterson su “Il monoteismo come problema politico”, che era stato largamente dimenticato, ha attirato nuovamente l’attenzione. In esso, Peterson aveva tentato di dimostrare che l’arianesimo era una teologia politica favorita dagli imperatori, perché forniva l’equivalente divino della monarchia politica, quando invece il trionfo della fede trinitaria aveva infranto la teologia politica e capovolto l’idea della teologia come giustificazione della monarchia politica.
Peterson aveva interrotto la sua analisi su questo punto; ora essa è stata ripresa e proseguita in un nuovo pensiero analogico, la cui idea di base è che il Noi di Dio deve corrispondere all’organismo ecclesiastico secondo il modello del Noi. Questo approccio generale e poliedrico si è talvolta spinto fino al punto che, secondo esso, l’esercizio del primato da parte di un solo uomo, il papa a Roma, segue in realtà un modello ariano.
Secondo la natura trinitaria di Dio, la chiesa deve essere guidata da un triumvirato, i cui tre componenti sono insieme il papa. Non è mancata una intraprendente speculazione che, seguendo in qualche modo la storia dell’Anticristo di Soloviev, ha trovato che in questo modo un cattolico romano, un ortodosso e un cristiano delle confessioni della Riforma potrebbero formare insieme la Troika papale.
Così, direttamente dalla teologia, il concetto di Dio e la complementare vicinanza dell’ecumenismo, sembravano aver quadrato il cerchio, con il papato, il principale impedimento per la cristianità non cattolica, che diventava il veicolo definitivo per l’unità di tutti i cristiani [vedi nota a pie’ di pagina].
Nota a pie’ di pagina: Questo è stato udito occasionalmente in considerazioni orali, che hanno cercato di riferirsi in modo non raffinato all’opera di H. Mühlen, specialmente al suo lavoro Entsakralisierung, Paderborn 1971, 228 ss.; 240 ss.; 376-396; 401-440. Sebbene le esposizioni di Mühlen siano impressionanti e avanzate, non mi sembra che siano libere dal pericolo di un nuovo pensiero analogico che estenda eccessivamente l’applicabilità ecclesiologica dell’asserzione trinitaria.
Così, abbiamo la prova che Joseph Ratzinger, come i suoi coevi colleghi tedeschi e della Nouvelle Theologie, abbiano posto IDEE SOSTANZIALMENTE ERRONEE sull’Ufficio Petrino, riferendosi tranquillamente ad esso come ad un “impedimento”, e facendo eco alle parole di Kasper che il papato avrebbe subito una “crisi di legittimazione”. Il punto di partenza era che il papato DEVE essere “radicalmente e fondamentalmente trasformato” attraverso una sorta di allargamento in un “ufficio collegiale, sinodale”. Vediamo quindi un Joseph Ratzinger che partendo da questa ELABORAZIONE SOSTANZIALMENTE ERRONEA, arriva a dire che il Ministero petrino potrebbe includere anche i NON CATOLICI e diventare così il “veicolo definitivo per l’unità di tutti i cristiani”; ma prima, deve essere “allargato” in un “ministero collegiale, sinodale”.
Joseph Ratzinger ha accettato il Papato nell’aprile 2005 COME ESSO ERA, NONOSTANTE I SUOI SOSTANZIALI ERRORI SU COSA POTESSE “DIVENTARE”.
Questo contrasta con quanto stabilito dal Canone 188, scritto per proteggere il papato. Cosa che determina in questo caso la presenza dell’“errore sostanziale”. In modo che quando questa ELABORAZIONE è stata tentata o anche solo accostata, avrebbe SPECIFICAMENTE FALLITO. Perché? Perché la CHIESA È INDEFETTIBILE. Perché l’Ufficio Petrino è SUPERNATURALMENTE PROTETTO. Perché proprio l’atto stesso di tentare di eseguire tale follia annullerebbe il tentativo in sé e per sé, e la situazione continuerebbe semplicemente a ritornare allo status quo - il Papato come stabilito da Cristo.
Non c'è assolutamente NULLA che Papa Benedetto XVI o chiunque altro possa mai, mai e poi mai fare per portare a termine con successo questa abietta follia come descritta sopra da Ratzinger o una qualsiasi cosa ad essa lontanamente connessa, perché lo stesso Diritto Canonico sta in piedi come un monolite che protegge da tali cose la Santa Madre Chiesa e l’Ufficio Petrino. Potranno buttarsi a capofitto finché vogliono contro questo monolite, ma mai e poi mai potranno scalfire la Santa Madre Chiesa, indefettibile, e mai e poi mai potranno “trasformare radicalmente” l’Ufficio Petrino, divinamente strutturato da Gesù Cristo stesso, e quindi IMMUTABILE.
Papa Benedetto XVI Ratzinger è il solo e unico Papa vivente, che gli piaccia o no. L’illegittimità del suo tentativo di “trasformazione ed allargamento” del Papato nel febbraio 2013 rende tale tentativo completamente e totalmente nullo, ed egli rimane, secondo il Canone 188, il solo e unico Papa vivente.
Questa follia DEVE finire qui, e noi dobbiamo resistere ad essa con ogni fibra del nostro essere. Ogni giornalista, blogger, sacerdote e vescovo di buona volontà dovrebbe essere bombardato ogni giorno con comunicati redatti dai fedeli, che chiedono che l’illegittimità e l’ERRORE SOSTANZIALE della tentata azione di Papa Benedetto XVI nel febbraio 2013, sia pienamente esposta e conosciuta, e che l’Antipapa Bergoglio sia immediatamente rimosso, sia completamente annullato l’antipapato bergogliano, e Bergoglio sia rimpatriato in Argentina, auspicabilmente per affrontare le accuse civili per reati finanziari, politici e di abusi sui minori.
A Papa Benedetto XVI Ratzinger dovrebbe essere data la possibilità di pentirsi e riprendere l’esercizio dell’Ufficio Petrino, OPPURE di vivere la sua vita terrena in preghiera e isolamento, con una emergenziale sospensione solo per pagare le bollette dell’elettricità e compiere le altre nude necessità dello Stato della Città del Vaticano. Posto che i Papi POSSONO validamente dimettersi, a questo punto io penso che, essendoci troppi sospetti e incertezze riguardo alle dimissioni presentate da Papa Benedetto XVI, la via da seguire IN PRUDENZA è CHIARAMENTE che NESSUN CONCLAVE dovrebbe essere convocato fino a che Papa Benedetto XVI Ratzinger non sia morto, quando Dio vorrà. Mi sembra che questo attenga al buon senso. Non dev’esserci né AMBIGUITÀ NÉ CONFUSIONE.
Di certo ci sarà ancora molto da dire al riguardo.
Spero che questo possa essere d’aiuto.
San Vincenzo Ferrer, prega per noi.
Santa Caterina da Siena, prega per noi.
Sant’Atanasio, prega per noi.
San Pietro, prega per noi.
Sacra Famiglia, prega per noi.
Signore Gesù Cristo, abbi pietà di noi.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2774_Barnhardt_Troika_papale_di_Ratzinger.html
Il card. Wuerl ha frainteso la crisi; Papa Francesco non deve fare lo stesso errore.Nel 1978 Joseph Ratzinger considerava l’ipotesi che un Papato monarchico fosse di natura intrinsecamente “ariana”, e che il Papato dovesse riflettere la Trinità, con una “troika di papi” composta da un cattolico, un protestante e un ortodosso, “con il papato, il principale impedimento per la cristianità non cattolica, che diventa il veicolo definitivo per l’unità di tutti i cristiani”.
San Vincenzo Ferrer ce l’ha fatta. Velocemente. Meno di 24 ore dopo che il mio post gli giungesse con le mie preghiere, da parte di un lettore tedesco è arrivata nella mia casella di posta elettronica questa stupefacente citazione completa di traduzione.
Ecco il testo:
- Ho postato un’istantanea e una citazione dall’inizio del capitolo 8 della tesi di dottorato di J. Michael Miller che cita Walter Kasper. La citazione era: “L'attuale crisi del papato è una crisi di legittimazione”.
- Questa citazione di Kasper è stata tratta da un libro intitolato “Dienst an der Einheit”, pagina 83.
“Dienst an der Einheit”, che significa “Servizio all’unità”, è una raccolta di articoli pubblicati da… pensate un po’… JOSEPH RATZINGER. Così la citazione di Kasper in realtà è stata redatta da RATZINGER.
Uno dei contributi a “Dienst an der Einheit” è un articolo scritto dallo stesso Joseph Ratzinger, intitolato “Der Primat des Papstes und die Einheit des Gottesvolkes” che significa: “Il primato del Papa e l’unità del popolo di Dio”.
Qui di seguito è riportato il testo originale tedesco e il corrispondente italiano (la traduzione in inglese è stata eseguita da un lettore tedesco completamente bilingue – senza l’ausilio di traduzione algoritmica) della parte iniziale di questo pezzo, che si trova alle pagine 165-167:
* * *
Der Primat des Papstes und die Einheit des Gottesvolkes
Il primato del Papa e l’unità del popolo di Dio.
I. Der spirituelle Grund von Primat und Kollegialität
I. La base spirituale del primato e della collegialità
Das Thema Papsttum gehört nicht zu den populären Themen der Nachkonzilzeit. Es hatte ein gewisses Maß an Selbstverständlichkeit, solange ihm in politischen Raum die Monarchie entsprach. In dem Augenblick, in dem der monarchische Gedanke praktisch erloschen und durch die demokratische Idee abgelöst ist, fehlt der Primatslehre das Bezugsfeld in unseren allgemeinen Denkvoraussetzungen. So ist es gewiß kein Zufall, daß das Erste Vatikanum von der Primatsidee, das Zweite aber von dem Ringen um den Begriff der Kollegialität beherrscht wurde.
Il tema del papato non è uno dei temi popolari dell’era postconciliare. Esso era in qualche modo implicito allorché corrispondeva alla monarchia in ambito politico. Nel momento attuale, in cui l’idea di monarchia si è praticamente estinta ed è stata sostituita dall’idea democratica, la dottrina del primato manca del quadro di riferimento per i nostri presupposti generali. Quindi non è certo un caso che il Concilio Vaticano I sia stato dominato dall’idea del primato, mentre il Vaticano II dalla lotta per il concetto di collegialità.
Dem ist freilich sofort hinzuzufügen, daß das Zweite Vatikanum die Kollegialitätsidee, mit der es Impulse aus dem Lebensgefühl der Gegenwart aufnahm, so zu umschreiben suchte, daß darin der Primatsgedanke enthalten ist. Heute, da wir ein wenig Erfahrung mit der Kollegialität, mit ihrem Wert und auch mit ihren Grenzen gewonnen haben, müssen wir wohl gerade an dieser Stelle wieder ansetzen, um die Zusammengehörigkeit scheinbar gegenläufiger Traditionen besser zu begreifen und so den Reichtum der christlichen Gestalt zu wahren.
Va però subito aggiunto che il Vaticano II ha cercato di riscrivere l’idea di collegialità, per la quale ha ricevuto incentivi dall’atteggiamento odierno nei confronti della vita, in modo tale da contenere l’idea del primato. Oggi, avendo maturato una piccola esperienza della collegialità, del suo valore, ma anche dei suoi limiti, è necessario ricominciare da capo su questo punto, per comprendere meglio l’unità di tradizioni apparentemente contraddittorie, così da preservare la ricchezza dell’espressione cristiana.
1. Kollegialität als Ausdruck der Wir-Struktur des Glaubens
1. Collegialità come espressione della nostra struttura della fede
In Zusammenhang mit der konziliaren Debatte hatte seinerzeit die Theologie versucht, Kollegialität über das bloß Strukturelle und Funktionale hinaus als Ausdruck eines bis in die innersten Wesensgründe des Christlichen zurückreichenden Grundgesetzes zu erfassen, das sich daher in je verschiedener Weise auf den einzelnen Ebenen der praktischen Verwirklichung des Christlichen darstellt: Es ließ sich zeigen, daß die Wir-Struktur zum Christlichen überhaupt gehört. Der Glaubende steht als solcher nie allein: Gläubigwerden heißt, aus der Isolation heraustreten in das Wir der Kinder Gottes; der Akt der Zuwendung zu dem in Christus offenbaren Gott ist immer auch Zuwendung zu den schon Gerufenen.
In connessione col dibattito conciliare, la teologia, in quel momento, cercò di cogliere la collegialità al di là di quella puramente strutturale e funzionale, come espressione di una legge fondamentale che risale all’essenza più intima del cristiano, che quindi si presenta in modi diversi al livello individuale della realizzazione pratica del cristiano stesso: esso potrebbe mostrare che la struttura del noi appartiene al cristiano in generale. Il credente, in quanto tale, non è mai solo: credere significa uscire dall’isolamento ed immettersi nel Noi dei figli di Dio; l’atto di devozione a Dio rivelato in Cristo è sempre anche devozione a coloro che sono già stati chiamati.
Der theologische Akt ist als solcher immer ein ekklesialer Akt, dem auch eine soziale Struktur eignet. Die Initiation ins Christliche ist daher konkret immer auch Sozialisation in die Gemeinde der Gläubigen hinein, ist Wir-Werdung, die das bloße Ich überschreitet.
Come tale, l’atto teologico è sempre un atto ecclesiale che si presta anche ad una struttura sociale. Per il cristiano, dunque, l’iniziazione è sempre concreta socializzazione nella comunità dei credenti, è la formazione nel Noi, che è al di là del mero io.
Dem entsprach dann, daß die Jünger-Berufung Jesu sich in der Figur der Zwölf darstellt, die die Chiffre des alten Gottes-Volk-Gedankens aufnimmt, dem ja auch wiederum wesentlich ist, daß Gott eine gemeinsame Geschichte schafft und an seinem Volk als Volk handelt.
Ciò corrisponde al fatto che la chiamata dei discepoli di Gesù è rappresentata dalla figura dei Dodici, cifra che riprende quella dell’antica concezione del popolo di Dio, nella quale è ancora una volta essenziale come Dio crei una storia comune e agisca sul suo popolo in quanto popolo.
Nach der anderen Seite zu zeigte sich als der tiefste Grund für diesen Wir-Charakter des Christlichen, daß Gott selbst ein Wir ist: Der Gott, den das christliche Credo bekennt, ist nicht einsames Selbst-denken des Gedankens, ist nicht absolutes und unteilbar in sich geschlossenes Ich, sondern ist Einheit in der trinitarischen Relation des Ich-Du-Wir, so daß das Wir-Sein als die göttliche Grundgestalt allem weltlichen Wir vorangeht und Gottebenbildlichkeit sich von vornherein auf solches Wir-Sein verwiesen findet.
Per altro verso, vista questa ragione più profonda di questa caratteristica del Noi del cristiano, diventa evidente che Dio stesso è un Noi: Il Dio che il Credo cristiano professa, non è un solitario elaboratore del pensiero, non è assoluto e indivisibile in un io che contiene sé stesso, ma è l’unità nella relazione trinitaria dell’Io-Tu-Noi, cosicché il Noi-Essere, come forma divina di base, precede tutti i Noi mondani, e la somiglianza di Dio trova il suo riferimento all’origine di tale Noi-Essere.
In diesem Zusammenhang rückte damals ein zuvor weithin vergessener Traktat von E. Peterson über “Monotheismus als politisches Problem” neu in Bewußtsein, in dem Peterson zu zeigen versucht hatte, daß der Arianismus deshalb politische, von den Kaisern begünstigte Theologie war, weil er zur politischem Monarchie die göttliche Entsprechung gewährleistete, während das Obsiegen des trinitarischen Glaubens die politische Theologie zersprengte und Theologie als Rechtfertigung von politischer Monarchie aufhob.
In questo contesto, un trattato di E. Peterson su “Il monoteismo come problema politico”, che era stato largamente dimenticato, ha attirato nuovamente l’attenzione. In esso, Peterson aveva tentato di dimostrare che l’arianesimo era una teologia politica favorita dagli imperatori, perché forniva l’equivalente divino della monarchia politica, quando invece il trionfo della fede trinitaria aveva infranto la teologia politica e capovolto l’idea della teologia come giustificazione della monarchia politica.
Peterson hatte seine Darlegung an dieser Stelle abgebrochen; jetzt wurde sie aufgenommen und zu einem neuen Entsprechungsdenken weitergeführt, dessen Grundansatz lautete: Dem Wir Gottes muß kirchliches Handeln im Modell des Wir entsprechen. Dieser allgemeine, vielfältig ausdeutbare Ansatz wurde vereinzelt bis zu der Aussage vorangetrieben, demgemäß folge die Ausübung des Primats durch einen einzigen Menschen, den Papst in Rom, eigentlich einem arianischen Modell.
Peterson aveva interrotto la sua analisi su questo punto; ora essa è stata ripresa e proseguita in un nuovo pensiero analogico, la cui idea di base è che il Noi di Dio deve corrispondere all’organismo ecclesiastico secondo il modello del Noi. Questo approccio generale e poliedrico si è talvolta spinto fino al punto che, secondo esso, l’esercizio del primato da parte di un solo uomo, il papa a Roma, segue in realtà un modello ariano.
Entsprechend der Dreipersönlichkeit Gottes müsse auch die Kirche durch ein Dreierkollegium geleitet werden, dessen drei Inhaber zusammen der Papst seien. Dabei fehlte es nicht an findigen Spekulationen, die (etwas unter Anlehnung an Solowjews Geschichte vom Antichrist) herausfanden, daß auf diese Weise ein römischer Katholik, ein Orthodoxer und ein Christ aus dem Bereich der reformatorischen Bekenntnisse zusammen die Papst-Troika bilden könnten.
Secondo la natura trinitaria di Dio, la chiesa deve essere guidata da un triumvirato, i cui tre componenti sono insieme il papa. Non è mancata una intraprendente speculazione che, seguendo in qualche modo la storia dell’Anticristo di Soloviev, ha trovato che in questo modo un cattolico romano, un ortodosso e un cristiano delle confessioni della Riforma potrebbero formare insieme la Troika papale.
Damit schien, unmittelbar aus der Theo-logie, dem Gottesbegriff, die Schlußformel der Ökumene gefunden, die Quadratur des Kreises geleistet, durch die das Papsttum, Hauptärgernis der nicht-katholischen Christenheit, zum definitiven Vehikel für die Einheit aller Christen werdem müßte.*SEE FOOTNOTE
Così, direttamente dalla teologia, il concetto di Dio e la complementare vicinanza dell’ecumenismo, sembravano aver quadrato il cerchio, con il papato, il principale impedimento per la cristianità non cattolica, che diventava il veicolo definitivo per l’unità di tutti i cristiani [vedi nota a pie’ di pagina].
*FOOTNOTE (*(Derlei war gelegentlich in mündlichen Äußerunger zu hören, die sich vergröbernd auf Ausführungen von H. Mühlen beziehen mochten, bes. in dessen Werk Entsakralisierung, Paderborn 1971, 228 ff.; 240 ff.; 376-396; 401-440.Obwohl Mühlens eigene Darlegungen beeindrückend und weiterführend sind, scheinen sie mir von der Gefahr eines neuen Entsprechungsdenkens nicht frei, das die ekklesiologische Anwendbarkeit der trinitarischen Aussage überdehnt.)
Nota a pie’ di pagina: Questo è stato udito occasionalmente in considerazioni orali, che hanno cercato di riferirsi in modo non raffinato all’opera di H. Mühlen, specialmente al suo lavoro Entsakralisierung, Paderborn 1971, 228 ss.; 240 ss.; 376-396; 401-440. Sebbene le esposizioni di Mühlen siano impressionanti e avanzate, non mi sembra che siano libere dal pericolo di un nuovo pensiero analogico che estenda eccessivamente l’applicabilità ecclesiologica dell’asserzione trinitaria.
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Così, abbiamo la prova che Joseph Ratzinger, come i suoi coevi colleghi tedeschi e della Nouvelle Theologie, abbiano posto IDEE SOSTANZIALMENTE ERRONEE sull’Ufficio Petrino, riferendosi tranquillamente ad esso come ad un “impedimento”, e facendo eco alle parole di Kasper che il papato avrebbe subito una “crisi di legittimazione”. Il punto di partenza era che il papato DEVE essere “radicalmente e fondamentalmente trasformato” attraverso una sorta di allargamento in un “ufficio collegiale, sinodale”. Vediamo quindi un Joseph Ratzinger che partendo da questa ELABORAZIONE SOSTANZIALMENTE ERRONEA, arriva a dire che il Ministero petrino potrebbe includere anche i NON CATOLICI e diventare così il “veicolo definitivo per l’unità di tutti i cristiani”; ma prima, deve essere “allargato” in un “ministero collegiale, sinodale”.
Joseph Ratzinger ha accettato il Papato nell’aprile 2005 COME ESSO ERA, NONOSTANTE I SUOI SOSTANZIALI ERRORI SU COSA POTESSE “DIVENTARE”.
Questo contrasta con quanto stabilito dal Canone 188, scritto per proteggere il papato. Cosa che determina in questo caso la presenza dell’“errore sostanziale”. In modo che quando questa ELABORAZIONE è stata tentata o anche solo accostata, avrebbe SPECIFICAMENTE FALLITO. Perché? Perché la CHIESA È INDEFETTIBILE. Perché l’Ufficio Petrino è SUPERNATURALMENTE PROTETTO. Perché proprio l’atto stesso di tentare di eseguire tale follia annullerebbe il tentativo in sé e per sé, e la situazione continuerebbe semplicemente a ritornare allo status quo - il Papato come stabilito da Cristo.
Non c'è assolutamente NULLA che Papa Benedetto XVI o chiunque altro possa mai, mai e poi mai fare per portare a termine con successo questa abietta follia come descritta sopra da Ratzinger o una qualsiasi cosa ad essa lontanamente connessa, perché lo stesso Diritto Canonico sta in piedi come un monolite che protegge da tali cose la Santa Madre Chiesa e l’Ufficio Petrino. Potranno buttarsi a capofitto finché vogliono contro questo monolite, ma mai e poi mai potranno scalfire la Santa Madre Chiesa, indefettibile, e mai e poi mai potranno “trasformare radicalmente” l’Ufficio Petrino, divinamente strutturato da Gesù Cristo stesso, e quindi IMMUTABILE.
Papa Benedetto XVI Ratzinger è il solo e unico Papa vivente, che gli piaccia o no. L’illegittimità del suo tentativo di “trasformazione ed allargamento” del Papato nel febbraio 2013 rende tale tentativo completamente e totalmente nullo, ed egli rimane, secondo il Canone 188, il solo e unico Papa vivente.
Questa follia DEVE finire qui, e noi dobbiamo resistere ad essa con ogni fibra del nostro essere. Ogni giornalista, blogger, sacerdote e vescovo di buona volontà dovrebbe essere bombardato ogni giorno con comunicati redatti dai fedeli, che chiedono che l’illegittimità e l’ERRORE SOSTANZIALE della tentata azione di Papa Benedetto XVI nel febbraio 2013, sia pienamente esposta e conosciuta, e che l’Antipapa Bergoglio sia immediatamente rimosso, sia completamente annullato l’antipapato bergogliano, e Bergoglio sia rimpatriato in Argentina, auspicabilmente per affrontare le accuse civili per reati finanziari, politici e di abusi sui minori.
A Papa Benedetto XVI Ratzinger dovrebbe essere data la possibilità di pentirsi e riprendere l’esercizio dell’Ufficio Petrino, OPPURE di vivere la sua vita terrena in preghiera e isolamento, con una emergenziale sospensione solo per pagare le bollette dell’elettricità e compiere le altre nude necessità dello Stato della Città del Vaticano. Posto che i Papi POSSONO validamente dimettersi, a questo punto io penso che, essendoci troppi sospetti e incertezze riguardo alle dimissioni presentate da Papa Benedetto XVI, la via da seguire IN PRUDENZA è CHIARAMENTE che NESSUN CONCLAVE dovrebbe essere convocato fino a che Papa Benedetto XVI Ratzinger non sia morto, quando Dio vorrà. Mi sembra che questo attenga al buon senso. Non dev’esserci né AMBIGUITÀ NÉ CONFUSIONE.
Di certo ci sarà ancora molto da dire al riguardo.
Spero che questo possa essere d’aiuto.
San Vincenzo Ferrer, prega per noi.
Santa Caterina da Siena, prega per noi.
Sant’Atanasio, prega per noi.
San Pietro, prega per noi.
Sacra Famiglia, prega per noi.
Signore Gesù Cristo, abbi pietà di noi.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2774_Barnhardt_Troika_papale_di_Ratzinger.html
Un articolo molto interessante che approfondisce la lettura sbagliata della crisi degli abusi che ha fatto il card. Wuerl, che lo ha portato a fare degli errori che hanno inciso sulle sue dimissioni. Una lettura che sembra essere condivisa anche da Papa Francesco.
Ecco l’opinione di Stephen P. White, nella mia traduzione.
A giudicare dalla sua lettera ai vescovi americani in ritiro all’inizio di questo mese, il Papa sta ancora operando sulla premessa che la crisi di credibilità negli Stati Uniti è il risultato di nuove rivelazioni di abusi (per lo più) vecchi di decenni, che hanno riaperto vecchie ferite e reso dolorosi i tradimenti del passato. A questo dolore, che ostacola la risposta pastorale della Chiesa, si aggiunge (secondo Francesco) la risposta disarticolata e frammentaria dei vescovi americani, problema aggravato dalle missive infiammatorie dell’arcivescovo Viganò.
C’è verità in tutto questo, certo, ma è anche profondamente inadeguata. La riapertura di vecchie ferite e la scoperta di crimini nascosti è dolorosa, certo. Ma l’oltraggio negli Stati Uniti oggi non può essere compreso al di fuori di questo fatto elementare: molti fedeli negli Stati Uniti credono, a ragione, di essere stati ingannati dai loro pastori. E molti dei fedeli americani credono, a ragione, di essere stati ingannati ancora oggi.
Accanto a Theodore McCarrick, forse nessun ecclesiastico ha fatto più del cardinale Donald Wuerl per convincere la Chiesa americana di questo.
Una parte di me è solidale con Wuerl. Di tutti i prelati che meritano di essere licenziati per aver gestito male le accuse di abuso negli anni ’80 e ’90, Wuerl non è in cima alla lista. Dai risultati, è stato un amministratore “da manuale”. La sua storia di gestione degli abusi a Pittsburgh, anche se non esemplare, è stata avanzata. E mentre ci sono alcuni casi che ha chiaramente gestito male, il modello generale del suo periodo a Pittsburgh è stato quello di fare la scelta giusta anche nei casi più difficili. Chi può biasimarlo per non voler essere il capro espiatorio?
Ma quello che il cardinale Wuerl ancora non sembra capire è che, molto più dei suoi risultati non omogenei a Pittsburgh, è stata la sua imperdonabile mancanza di franchezza su ciò che sapeva di McCarrick – e quando – che gli sono costati la fiducia dei suoi sacerdoti e del suo gregge. E’ difficile guarire vecchie ferite quando ne infliggi ancora di nuove.
E questo ci riporta a come papa Francesco comprende la crisi della Chiesa americana. Il Santo Padre sembra condividere la visione (sbagliata) di Wuerl su ciò che è andato storto. Di conseguenza, vede anche Wuerl come una sorta di martire, che sacrifica nobilmente la sua vita – o almeno la sua carriera – per il suo gregge. Quando il Santo Padre ha finalmente (a malincuore) accettato le dimissioni di Wuerl lo scorso autunno, ha fatto l’insolito passo di scrivere una lettera di lode a Wuerl. In quella lettera, Francesco scrisse:
Riconosco nella sua richiesta [di dimettersi] il cuore del pastore che, ampliando la sua visione per riconoscere un bene più grande che può giovare a tutto il corpo, dà priorità alle azioni che sostengono, stimolano e fanno crescere l’unità e la missione della Chiesa al di sopra di ogni tipo di sterile divisione seminata dal padre della menzogna che, cercando di ferire il pastore, non vuole altro che le pecore siano disperse.Lei ha elementi sufficienti per “giustificare” le sue azioni e distinguere tra ciò che significa coprire crimini o non affrontare i problemi, e commettere qualche errore. Tuttavia, la sua nobiltà L’ha portato a non scegliere questa via di difesa. Di questo, sono orgoglioso e la ringrazio.
Se Wuerl si fosse dimesso dal suo incarico a Washington a causa dei suoi fallimenti a Pittsburgh, queste parole avrebbero più senso. Se le accuse di McCarrick non fossero mai venute alla luce, la risposta di Wuerl alla relazione della grande giuria della Pennsylvania – l’ormai scellerata e di brevissima durata difesa della sua gestione a Pittsburgh apparsa sul suo sito web (postata e subito oscurata, ndr) – avrebbe avuto più senso, anche. Ma a cosa servono le rassicurazioni su come gli abusi sono stati gestiti vent’anni fa, se c’è una disperata mancanza di onestà su ciò che sta succedendo in questo momento? È come se Wuerl continuasse a cercare di offrire la giusta risposta alla crisi sbagliata.
Purtroppo, questo è un passo falso verso cui anche Papa Francesco si è orientato. Rischia di sottovalutare il grado in cui l’affare McCarrick ha cambiato radicalmente la natura della crisi qui negli Stati Uniti. Le questioni sollevate dall’affare McCarrick significano che il collegio dei vescovi e Roma stessa sono implicati in un modo senza precedenti: Chi sapeva cosa di McCarrick e quando? Chi ha spinto per la sua promozione? Chi a Roma lo ha protetto? Chi ha chiuso un occhio? Chi ci ha guadagnato con la sua promozione e la sua influenza?
Rispondere a queste domande richiederà uno scavo nei pontificati di Benedetto XVI e di San Giovanni Paolo II. Sono anche domande che sono indissolubilmente legate a questo pontificato e alla testimonianza di Viganò (anche se sono state poste molto prima.) Sia come sia, e per quanto la testimonianza di Viganò abbia causato acrimonia, il problema più profondo non è quello dei vescovi litigiosi, come Francesco ha ripetutamente suggerito nella sua lettera al ritiro dei vescovi. Una maggiore cortesia tra i vescovi non sarà di grande aiuto se continueranno a fraintendere la natura e le cause del divario che li separa tra loro e quelli che sono tenuti a servire.
E in questo c’è un’opportunità per papa Francesco: può imparare dal terribile fraintendimento della crisi fatta dal cardinale Wuerl prima che lui lo ripeta. Il Papa ha promesso un’indagine completa su McCarrick: “Seguiremo la via della verità ovunque essa porti”. Preghiamo perché questo accada e che il Santo Padre faccia quello che i nostri vescovi sono stati troppo spaventati di chiedergli che facesse: dare per intero i risultati.
Fonte: The Catholic Thing
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