Fede e ragione sono perfettamente compatibili il paradosso per cui l’ateismo rende l’uomo nemico di se stesso: ciò che è nemico di Dio è fuori della verità e se si è fuori della verità si è anche fuori della propria vera natura di Francesco Lamendola
Gli uomini, fin dalla notte dei tempi, hanno sempre creduto nel divino; da migliaia di anni, tutti i popoli civilizzati credono in Dio.I popoli dell’Europa, del Medio Oriente e del Nord Africa accolgono il cristianesimo tra la fine dell’antichità e i primi secoli del medioevo (quelli del Medio Oriente e del Nord Africa verranno poi sommersi dalla marea islamica); e il cristianesimo, fra tutte le fedi religiose, è quella che esprime l’immagine più compiuta dell’armonia fra il Creatore e le sue creature, perché è l’unica nella quale Dio si fa vero uomo, pur restando vero Dio, soffre e muore per amore degli uomini, poi risorge per radunare a sé tutte le genti; ed è anche l’unica che non solo non pone limiti alla ragione naturale, rettamente intesa, ma l’aiuta a svilupparsi, la promuove, la esalta, la emancipa e ne fa uno strumento potentissimo di sostegno al cammino verso il riconoscimento del vero Dio. Poi, però, fra il XIV e il XVIII secolo, si verifica una drammatica rottura all’interno della civiltà europea: proprio essa, che aveva raggiunto la sua unità e portato a perfezione la sua architettura, la sua pittura, la sua poesia, la sua filosofia, la sua scienza, grazie all’impulso ricevuto dal cristianesimo e innestato sul tronco dell’antica civiltà greca, proprio essa incomincia a separare fede e ragione, a promuovere una ragione materialista e irreligiosa, e a rifiutare, dapprima gradualmente, poi sempre più velocemente, la fede cristiana; proprio lei, a partire da un certo punto, si caratterizza come la prima civiltà dichiaratamente laica, secolarizzata e, infine atea, della storia umana. Esito sconcertante della magnifica fioritura della civiltà europea: quella che aveva costruito le cattedrali, regalato al mondo la Divina Commedia, l’arte di Raffaello, Michelangelo, Bernini, la musica di Bach, approda al rifiuto deliberato di Dio, specialmente del Dio cristiano, e con ciò stesso ripudia anche se medesima, la sua vera essenza.
Come potrebbe la ragione essere amica dell’uomo, se è nemica di Dio? Ciò che è nemico di Dio, è fuori della verità; e se si è fuori della verità, si è anche fuori della propria vera natura. Ed ecco il paradosso, per cui l’ateismo rende l’uomo nemico di se stesso...
Si tratta, evidentemente, di un suicidio; la civiltà europea è la civiltà cristiana; una civiltà europea senza il cristianesimo e contro il cristianesimo, ossia la civiltà moderna, è, per definizione e per necessità logica, una anti-civiltà; offre il caso, unico nella storia, di una civiltà che nega se stessa, che rifiuta se stessa e che odia se stessa; e che si sforza, in ogni modo, di tagliare le proprie radici, di obliare la sua identità. Non è questa la sede per vedere dove tutto questo conduce; del resto, ne abbiamo già parlato in numerose occasioni. Quel che qui vogliamo cercar di capire è quale sia l’ostacolo principale che si è posto fra la nostra civiltà, quella vera, e il Vangelo; che cosa, precisamente, a partire da un dato momento, abbia spinto gli europei lontano dalla fede dei loro padri, e che cosa sia apparso inaccettabile e scandaloso agli intellettuali. È chiaro, infatti, che la defezione e la rivolta sono partite dagli intellettuali; il popolo è stato trascinato, suo malgrado, nel corso del tempo; e se non è stata sufficiente l’azione indiretta del mutato orientamento culturale della classi dirigenti, queste ultime non si sono fatte scrupolo di ricorrere anche alla violenza fisica, pur di estirpare l’identità cristiana dell’Europa, in quello che gli storici, a partire dalla Rivoluzione francese, hanno definito come un vero e proprio processo di scristianizzazione, e che è culminato nelle grandi persecuzioni del XX secolo, dal Messico (figlio della civiltà europea) alla Russia, dalla Spagna al Kosovo dei nostri giorni. E anche in ciò vi è quasi una nemesi: perché il cristianesimo aveva conquistato l’Europa, nella tarda antichità, a partire dalle classi inferiori, mentre l’Europa ha incominciato a perderlo a partire dalle classi dirigenti. Evidentemente, a un certo punto queste ultime, e particolarmente gli intellettuali, hanno scordato del tutto la raccomandazione accorata di Gesù Cristo: Se non vi farete piccoli e non ritornerete semplici come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli; e quell’altra sua esclamazione, piena di esultanza: Ti rendo lode, o Dio, Padre del Cielo e della terra, perché hai rivelato queste cose agli umili e ai semplici, e le hai nascoste ai sapienti e agli intelligenti. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a Te! Il veleno della mentalità moderna, permeata di razionalismo incredulo e superbo, ha spinto le classi dirigenti lontano dalla fede dei loro avi, e perciò lontano da Dio. Ma perché?
Perchè credere oggi in Dio è diventata quasi una colpa e credere nel Dio cristiano, poi, una colpa particolarmente grave?
Il motivo principale della impossibilità di credere, da parte degli intellettuali moderni, crediamo risieda nella falsa idea, che si è diffusa lentamente, da Guglielmo di Occam a Francis Bacon, e da Hume a Darwin, da Spencer a Russell (e sempre gli inglesi!, come stupirsi che la loro creatura primogenita, gli Stati Uniti, siano oggi la società post-cristiana più lontana da Cristo?), che la ragione sia incompatibile con la fede; che sia la madre della vera scienza; e che, pertanto, la teologia sia una pseudo-scienza, e il cristianesimo una leggenda, o una mitologia, legata alla fase pre-razionale nello sviluppo della civiltà. Abbiamo visto, in più occasioni, che si tratta di un’idea completamente destituita di fondamento (cfr., in particolare, il nostro articolo: Il mondo è un libro scritto da Dio, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 19/01/2019). Rimane tuttavia da capire e da spiegare come un’idea filosoficamente debole come questa abbia potuto acquistare tanta forza da dominare il pensiero degli intellettuali e, in generale, delle classi dirigenti europee, e sospingerli inesorabilmente, passo dopo passo, lontano dalla fede cattolica e lontano da Dio, con tutto quel che ne consegue, non solo sul piano intellettuale, ma anche su quello morale, economico, politico, scientifico, artistico. L’ipotesi che noi formuliamo è che l’elemento decisivo, in questo fatale distacco degli intellettuali dal Vangelo, sia stato non tanto l’elemento teologico o filosofico, e neppure quello morale, bensì un fattore di ordine psicologico e, secondariamente, sociologico. A partire da un certo momento, parliamo dell’Europa fra il 1700 e il 1800, scrittori, professori, giornalisti, ricercatori scientifici e artisti si sono persuasi che non è degno di un intellettuale riconoscere quelle stesse verità che guidano la fede delle vecchiette e dei bambini; che credere in Dio è una forma di debolezza della mente, un qualcosa di cui ci si deve vergognare, o, quanto meno, che bisogna giustificare al cospetto degli altri; e che, se si vuole appartenere alla categoria degli intellettuali, semplicemente non si può credere in Dio, è una cosa impossibile, come è impossibile che un appassionato cacciatore sia anche un convinto vegetariano, o che un esperto marinaio vada soggetto al mal di mare.L’incredulità e l’ateismo sono diventati i segni distintivi della condizione d’intellettuale, sovente ammantati di scoppiettante ironia, qualche volta di caustico sarcasmo, così come, per appartenere a una certa banda giovanile, bisogna vestire e atteggiarsi in un certo modo. Il Perché non sono cristiano di Bertrand Russell è diventato il nuovo vangelo dell’intellettuale moderno, libero ed emancipato; mentre L’Essere il nulla di Sartre è diventato la Bibbia degli esistenzialisti e di tutti quelli che volevano porsi sotto il mantello del conformismo ateo. In pratica, dopo Russell e dopo Sartre, un intellettuale, se vuol continuare ad essere credente, deve sottoporsi al tacito giudizio della cultura dominante, e non ne esce mai assolto. Credere in Dio è diventata quasi una colpa; credere nel Dio cristiano, poi, una colpa particolarmente grave, perché implica una corresponsabilità, se non altro morale, con le crociate, i roghi delle streghe e il processo a Galilei, se non anche alle guerre mondiali e alla Shoah.
Il veleno della mentalità moderna, permeata di razionalismo incredulo e superbo, ha spinto le classi dirigenti lontano dalla fede dei loro avi, e perciò lontano da Dio. Ma perché?
Eppure, per secoli, la cultura europea non ha visto alcuna incompatibilità tra ragione e fede; così come non l’aveva vista, prima di essa, la civiltà greca. Scriveva, ad esempio, san Tommaso d’Aquino, nella Summa contra Gentiles (Trattato contro gli infedeli), scritta fra il 1259 e il 1268 su incarico dell’Ordine domenicano come manuale per i missionari che dovevano convertire islamici ed ebrei nelle regioni della Penisola Iberica riconquistate dai re cattolici (libro I, capp. 7-8, traduzione dal latino di S. Centi, Torino, Utet, 1975):
Sebbene la verità della fede cristiana superi la capacità della ragione, tuttavia i principi naturali della ragione non possono essere in contrasto con codesta verità [ossia quella conosciuta per fede]. Infatti:
1. I princìpi innati nella ragione si dimostrano verissimi: al punto che è impossibile pensare che siano falsi. E neppure è lecito ritenere che possa esser falso quanto si ritiene per fede, essendo confermato da Dio in maniera così evidente. Perciò essendo contrario al vero solo il falso, com’è evidente dalle loro rispettive definizioni, impossibile che una verità di fede posa essere contraria a quei principi che la ragione conosce per natura.
2. Inoltre, le idee che l’insegnante suscita nell’anima del discepolo contengono la dottrina del maestro, se costui non ricorre alla finzione: il che sarebbe delittuoso attribuire a Dio. Ora, la conoscenza dei principi a noi noti per natura ci è stata infusa da Dio, essendo egli l’autore della nostra natura. Quindi anche la sapienza divina possiede questi principi. Perciò quanto è contrario a tali principi è contrario alla sapienza divina; e quindi non può derivare da Dio. Le cose dunque che si tengono per fede, derivando dalla rivelazione divina, non possono mai essere in contraddizione con le nozioni avute dalla conoscenza naturale.
3. In più, ragioni contrarie legano l‘intelletto nostro al punto da non poter procedere alla conoscenza della verità. Perciò se Dio ci infondesse conoscenze contrastanti, impedirebbe al nostro intelletto di conoscere la verità. Il che non si può pensare di Dio.
Un fatale circolo vizioso di ragioni contrarie: l’uomo moderno, che è creatura, pretende di non poter credere nella esistenza del proprio Creatore, perché, se lo facesse, si sentirebbe sminuito nell’autonomia della cosa più preziosa che possiede, la ragione, e che pure è il dono più prezioso che da Lui ha ricevuto.
Quanta chiarezza e consequenzialità logica in san Tommaso d’Aquino; davvero la cultura moderna ha rappresentato un progresso nel pensiero e nella consapevolezza che gli uomini hanno di sé? È difficile crederlo, vedendo che si è verificata proprio quella paralisi logica che san Tommaso denuncia nel punto tre: ragioni contrarie legano l‘intelletto nostro al punto da non poter procedere alla conoscenza della verità. Ora, l’uomo moderno, che è creatura, pretende di non poter credere nella esistenza del proprio Creatore, perché, se lo facesse, si sentirebbe sminuito nell’autonomia della cosa più preziosa che possiede, la ragione, e che pure è il dono più prezioso che da Lui ha ricevuto. Fatale circolo vizioso di ragioni contrarie: l’uomo riflette sulla sua razionalità, sulla sua libertà, e cerca in qual modo abbia potuto conquistarle, perché solo così troverà anche il modo di conservarle; ma non lo può, perché non se le è date da solo, gli vengono da altro da sé, da qualcuno o da qualcosa che è la Causa prima di ogni realtà esistente, quindi anche di lui, della sua ragione e della sua libertà. In pratica, è come se l’uomo moderno pretendesse di servirsi abbondantemente a una tavola imbandita, ma senza ringraziare alcuno, anzi, negando perfino che quella tavola sia stata preparata per lui. Sostiene, assurdamente, che la tavola imbandita è frutto del caso; usa male la sua ragione, per trovare in che modo possa farne strumento della propria auto-affermazione: non si rassegna al fatto che la ragione, se rettamente adoperata, cioè nell’amore e nel timore del Creatore, è la sua benedizione, ma se usata male, cioè per escludere e rifiutare Dio, diviene la sua maledizione.
Davvero la cultura moderna ha rappresentato un progresso nel pensiero e nella consapevolezza che gli uomini hanno di sé? Nell'evidente suicidio della nostra civiltà moderna vi è l'amara risposta.
Fede e ragione sono perfettamente compatibili
di Francesco Lamendola
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