ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 18 febbraio 2019

La nostra preghiera: nostra, di chi?

CHE COS'E' LA PREGHIERA?


Che cos’è la preghiera e cosa non lo è. E' la parola di lode e di ringraziamento che l’uomo rivolge al suo Signore, e non la parola che gli uomini rivolgono a se stessi cioè "un'auto-celebrazione massonica e gnostica dell'uomo" 
di Francesco Lamendola   

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Che cos’è la preghiera? Crediamo tutti di saperlo; ma è proprio così? Se siamo diventati adulti dopo il Concilio Vaticano II, allora ci sono forti probabilità che le nostre idee, anche su una cosa tanto importante come la preghiera, siano state alquanto confuse, se non addirittura falsificate, da quelli che avrebbero dovuto insegnarci la retta dottrina, senza nulla togliere alla divina Rivelazione che parla agli uomini per due vie, e due soltanto: la Scrittura e la Tradizione.

 Del resto, basta entrare in una chiesa e osservare quella (bruttissima) tavola che è stata collocata al centro del presbiterio, rivolta verso i fedeli, lasciando sullo sfondo, come una inutile appendice, il vero altare, quello dove per secoli è stato posto il Santissimo e sul quale, per secoli, il sacerdote ha celebrato il Sacrificio della Messa, per capire che qualcosa non va come dovrebbe. Se si entra in chiesa per pregare Dio, che ci sta a fare quella tavola, là in mezzo? La chiesa non è una sala per conferenze, ma la casa di Dio: si va per incontrare Dio. E Dio parla agli uomini, sì, per mezzo del sacerdote; ma il sacerdote è solo un mezzo, e quindi l’attenzione del fedele non dovrebbe essere rivolta al sacerdote in quanto uomo, ma a Dio, che parla per mezzo del sacerdote. Se ci si scorda, anche solo per un attimo, che la preghiera è la parola di lode e di ringraziamento che l’uomo rivolge al suo Signore, e non la parola che gli uomini rivolgono a se stessi; e che pregare è cercare Dio e non meditare sul senso della vita e della storia umana, allora si sta sbagliando tutto: non si sta pregando, ma si sta perseguendo l’auto-celebrazione, massonica e gnostica, dell’uomo. Ma è proprio questo che sta accadendo, a partire dal Vaticano II: si sta cercando di trasformare la fede in Dio in una fede nell’uomo. Non ha forse detto il signor Bergoglio, parlando al Parlamento di Strasburgo, che la speranza dl’Europa consiste nel mettere l’uomo al centro? L’uomo, non Dio. Si può immaginare un’eresia peggiore di questa: un papa che dice che la speranza degli uomini consiste nel mettere l’uomo al centro?

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David Maria Turoldo

A titolo di esempio, ecco cosa scriveva David Maria Turoldo nella introduzione al volume La nostra preghiera. Liturgia dei giorni, sottotitolo Comunità di S. Egidio, Sotto il Monte, Liscate, Milano, Cooperativa Editrice Nuova Stampa, 1987, pp. 6-7):
Certo, il dono più grande è lo spirito di preghiera; chi ha lo spirito di preghiera, ha la grazia dell’amicizia con Dio e con gli uomini, la grazia dell’illuminazione e della gioia. Egli è in comunione con tutte le creature e nell’usarne sa il dovuto rispetto e la misura: nessuno, infatti, è un uomo così libero, non condizionato, non turbato, come l’uomo di preghiera.
Per rispondere al mondo e ai tempi, non già dunque preghiera come alienazione, ma preghiera come ascensione di tutto l’essere in Dio; come salvare l’esistenza dalla disperazione, un riassumerla per riversarla nel mare di Dio. Che vuol dire riassumere la storia, gli avvenimenti e le gioie degli uomini. E a piedi nudi accostarci – come abbiamo già ricordato -, al roveto che arde nel cuore della chiesa, e cioè nel cuore dell’umanità; e alla sua fiamma scoprire il mistero e leggerne i significati e capire come la nube ancora ci copre, accompagnandoci nel giorno, e la colonna di fuoco ci precede la notte.

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 La preghiera è la parola di lode e di ringraziamento che l’uomo rivolge al suo Signore.

Si potrebbe continuare, ma sarebbe ancora peggio; crediamo che questa breve citazione basti e avanzi. Certo, Turoldo è un poeta, per cui si dirà: sì, molte affermazioni non sono teologicamente appropriate; molti concetti sono ambigui e possono quasi appartenere a una dottrina che è di Turoldo, ma non è la vera dottrina cattolica: però bisogna capire, un poeta parla con slancio, con passione, non si può mica pretendere che parli come parlerebbe un piatto, banale insegnante di catechismo. Niente affatto! Qui o altrove non c’è poesia che tenga: la dottrina cattolica è una, e i poeti possono inghirlandare tutti i fiori che vogliono, purché non pretendano di modificarla neppure d’uno iota! La poesia va bene, va benissimo, per magnificare la gloria del Signore; ma non può essere usata come un cavallo di Troia per introdurre nel corpo della dottrina delle idee, dei concetti che non siano perfettamente ortodossi. Se ciò accade, e a noi pare che qui accada, siamo in presenza di un’abile, astuta falsificazione: ci si serve della poesia per cambiare, dietro una veste scintillante, la sola e vera dottrina cattolica. Pessima e perfida operazione, degna di una strategia infernale: si usa la poesia come uno specchietto per le allodole, e intanto si introduce la serpe velenosa dell’eresia nel giardino della fede.

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Ci avevano insegnato che Lutero è un eretico, un apostata e uno scismatico. Vuoi vedere che per cinquecento anni, siamo stati male informati !

Tutto, in questa pagina di prosa, ci dispiace: sentiamo di non essere nel solco del Magistero perenne, ma in quello di un sentiero nuovo, umano, tracciato dalla umana superbia, quasi a voler sostituire la vecchia strada di sempre, quella certa e sicura che conduce le anime senza fallo alla loro meta: che è Dio, e non certo un non meglio precisato “spirito di gioia”. A cominciare dal titolo: La nostra preghiera: nostra, di chi? Dei cattolici? Ma in tal caso, il possessivo nostra è del tutto superfluo. Oppure non di tutti i cattolici, ma di quella particolare setta che ispirandosi al Concilio Vaticano II, ma ignorando o rifiutando, di fatto, tutti gli altri venti concili della storia della Chiesa, e pretendendo, arbitrariamente e illecitamente, di riformare e modificare il Magistero, vorrebbe creare una nuova Chiesa, modernista e semi-protestante?  Da che mondo è mondo, la Liturgia delle Ore si chiama Liturgia delle Ore, o Breviario, o Ufficio Divino; nessuno l’ha mai chiamata La nostra preghiera. Così come nessuno, prima del Vaticano II, si è mai sognato di chiamare un movimento ecclesiale, come accade in certe diocesi tedesche, Noi siamo Chiesa: se voi siete Chiesa, allora gli altri cattolici che cosa sono? Il nome che vi siete dati tradisce la vostra intenzioneNoi siamo Chiesa significa che solo voi vi considerate la vera Chiesa; ma una tale pretesa non può essere auto-proclamata: nessuno può darsi da solo la patente di membro della vera Chiesa, ad esclusione di altri, specialmente se gli “altri” hanno la sola colpa di seguire il Magistero di sempre e di attendersi a ciò che la Chiesa ha detto sempre, e non solo a partire dal Vaticano II e dalla Nuova Messa di Paolo VI. E infatti, tornando al “breviario” di cui stiamo parlando, ecco la dicitura Comunità di S. Egidio. Dunque, la Comunità di S. Egidio ha una “sua” preghiera, una preghiera particolare, un modo di pregare che è diverso da quello di qualsiasi altra persona o di qualsiasi altra comunità cattolica? Siamo sicuri che nessuno voleva dir questo; non è vero? E in tal caso, a quale scopo specificare Comunità di S. Egidio? Che cosa significa tale precisazione? Se non significa che la Comunità di S. Egidio ha un suo modo di pregare, quello teorizzato e sponsorizzato da padre Turoldo, significa forse che la Comunità di S. Egidio è la vera editrice del breviario? Se così fosse, troveremmo l’indicazione Comunità di S. Egidio nel risguardo del volume, in basso, in un angolo, insieme al luogo e alla data di pubblicazione e al nihil obstatdell’arcivescovo Gandini di Milano. Così procede chi ha un poco di modestia; non gonfia il petto, non si mette al centro, non concepisce un libro di preghiere come se fosse un cavallo di battaglia per apportare delle modifiche alla liturgia. Ma sappiamo che tutto questo è perfettamente nello spirito del Vaticano II, il quale si è concentrato, appunto, sulla riforma liturgica: che poi non è stata una riforma, ma una rivoluzione, diretta dalla regia di un arcivescovo massone e piduista, monsignor Annibale Bugnini, poi allontanato dallo stesso Paolo VI, per castigo. Ma come parlare di modestia a proposito di chi ha imposto l’uso di trasformare chiese e basiliche in refettori e ristoranti, spostando i banchi per pregare per far posto a tavole per mangiare e bere, sotto gli altari, con preti e vescovi trasformati, per l’occasione, in solerti camerieri, vivandieri, cuochi e pizzaioli?

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Oggi la neochiesa ha imposto l’uso di trasformare chiese e basiliche in refettori e ristoranti, spostando i banchi per pregare per far posto a tavole per mangiare e bere, sotto gli altari, con preti e vescovi trasformati, per l’occasione, in solerti camerieri, vivandieri, cuochi e pizzaioli !

Fatte queste premesse, ci sia concesso di non soffermarci su ogni parola e ogni frase della citata introduzione, come in realtà bisognerebbe fare, per mostrare che o padre Turoldo fa il poeta, ma va fiori dai binari quanto alla dottrina, oppure pretende di fare teologia alla sua maniera, e allora cade nell’eresia, deliberatamente e scientemente. Che significa, per esempio, la frase: non già dunque preghiera come alienazione, ma preghiera come ascensione di tutto l’essere in Dio? Vuole forse insinuare che i cattolici, prima di Karl Rahner e prima di Turoldo, quando pregavano, erano solo dei poveri alienati? Quanta superbia, quanta arroganza in questo modo di porsi, di criticare gli altri, di disprezzare gli umili e i semplici, che da sempre pregano come sanno e come possono, ma le cui preghiere giungono comunque gradite e profumate a Dio, perché Dio legge nei cuori e non guarda affatto alla cultura e tanto meno al progressismo del fedele, ma solo alla sua sincera intenzione. E cos’è questa pretesa di giungere, mediante la preghiera, con tutto l’essere a Dio? Una specie di auto-deificazione, di auto-redenzione dell’uomo? La preghiera non è un‘ascensione a Dio, ma una umilissima richiesta rivolta a Dio: cosa completamente diversa. E che vuol dire l’espressione Per rispondere al mondo e ai tempi? Gesù non è venuto per rispondere al mondo, ma per convertire il mondo; e quanto ai tempi, non è venuto sulla terra per adattarsi ai tempi, ma perché tutti i tempi si rivolgano a Lui. E che cosa vuol dire che la preghiera serve a salvare l’esistenza dalla disperazione e ariassumerla per riversarla nel mare di Dio? La preghiera non è una terapia contro la disperazione; questo, semmai, è un effetto: ma non è la ragion d’essere della preghiera. Non si prega per scongiurare la disperazione, ma per lodare e ringraziare Dio. E non si prega per riassumere la propria vita e riversarla in Dio, ma per convertire la propria vita. Questo modo di esprimersi trasuda una visione della fede storicista (rispondere ai tempi) e naturalista (rispondere al mondo): dov’è il soprannaturale? Sembra l’evoluzionismo di Teilhard de Chardin, il gesuita eretico. Appunto. Teilhard de Chardin non era un teologo, tuttavia pretendeva di fare teologia usando (malissimo) gli strumenti della scienza di cui era competente, la paleontologia. Allo stesso modo Turoldo non è un teologo, ma qui pretende di fare teologia, e di farla con gli strumenti dell’ambito in cui è versato: la poesia. Ma la dottrina non la fanno gli scienziati, come non la fanno i poeti. Gli scienziati e i poeti possono e devono lodare Dio e le sue opere, ma piegandosi loro alla vera e unica dottrina, non con la pretesa di poterla cambiare, dall’alto (o dal basso) della loro poesia e della loro scienza. Questa è una pretesa tutta e solamente umana: non è un atteggiamento religioso. Teilhard e Turoldo sono fuori dal solco della vera fede.

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L'arcivescovo massone e piduista, monsignor Annibale Bugnini con Paolo VI.

Che cos’è la preghiera, e cosa non lo è

di Francesco Lamendola

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