La tecnica delle false flags
«Dopo sei mesi di indagini, posso senza dubbio confermare che il video nell’ospedale di Douma era una messa in scena. Non ci sono state vittime all’ospedale». Così il produttore della BBC Riam Dalati ha confermato su Twitter che l’attacco chimico nella città siriana di Douma fu un falso per far ricadere la colpa su Assad, scatenare la reazione internazionale e sperare in un intervento globale.
A conclusioni simili era giunto il noto reporter di guerra britannico Robert Fisk, che nel suo reportage da Douma aveva smentito la narrativa maistream dei governi occidentali (https://www.independent.co.uk/…/syria-chemical-attack-gas-d…).
Eppure, tutti ricorderanno le reazioni dei vari portavoce del politicamente corretto nostrani, da Saviano alla Boldrini, che si fecero fotografare con la mano davanti alla bocca, in segno di disgusto e costernazione per il fantomatico attacco chimico.
Dati i precedenti casi di distorsione e manipolazione dell’informazione (pensiamo ai casi di Ghouta e Idlib), la denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani attribuito al regime di Damasco nell’area di Douma avrebbe dovuto essere prima approfondita invece di diventare l’ennesima fake news del mainstream. Ancora una volta si sono usate tre tecniche auree della manipolazione sociale per creare un cortocircuito nell’opinione pubblica: il principio d'autorità (lo hanno detto i White Helmets, lo dice la TV), la dottrina dello shock (generare paura) e il metodo dell’empatia. I Caschi Bianchi avevano infatti pubblicato un video nel quale si mostrava il personale medico dell’ospedale locale intento a soccorrere diverse persone dagli effetti delle sostanze tossiche. Si mostrarono, per creare appunto empatia, immagini riguardanti i bambini. I media e gli spin doctors sanno che strumentalizzare l’infanzia serve per indignare l’opinione pubblica e creare un contatto, turbare la sensibilità e convincere lo spettatore della veridicità di ciò che si vuole mostrare (anche qualora ciò sia falso). Ciò avviene soprattutto con la propaganda tesa a legittimare un intervento bellico. Come ha perfettamente chiarito Gianandrea Giaiani, «Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in Libia del 2011 e poi in Siria: fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili per l’assenza di osservatori neutrali. Non possiamo credere alle fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie jihadiste e ai loro alleati arabi per l’assenza di osservatori neutrali». (http://www.analisidifesa.it/…/siria-le-fake-news-sulle-arm…/)
La maggior parte delle notizie che ci vengono sulla Siria provengono infatti dall’Osservatorio siriano dei diritti umani (OSDH) divenuto rapidamente l’unico portavoce ascoltato in Occidente dei report di guerra siriani e che in questi anni di conflitto ha accusato il governo di Assad di essere responsabile di qualsiasi atrocità, dall’uso delle armi chimiche contro i civili (Ghouta e Idlib) al massacro di Houla. Diversamente da quello che si potrebbe pensare, l’OSDH non è un’organizzazione indipendente composta da reporter liberi che si trovano sul campo… si tratta invece di una singola persona che raccoglie e trasmette opinioni, statistiche, notizie e conteggio dei morti dalla sua casa a Coventry, cittadina inglese a nord-ovest di Londra. Lo scopo sarebbe screditare agli occhi dell’opinione pubblica mondiale il governo di Damasco.
Le ombre relative invece ai Caschi Bianchi sono state più volte avanzate da diversi fronti (si pensi alle accuse di manipolazione e falsificazione portate avanti dai Dottori Svedesi per i Diritti Umani, swedhr.org).
Nel 1938 in Omaggio alla Catalogna, George Orwell scriveva nel suo resoconto personale durante la guerra civile spagnola, una delle considerazioni più vere e feroci sulla guerra: «Una delle più orribili caratteristiche della guerra è che la propaganda bellica, tutte le vociferazioni, le menzogne, l’odio provengono inevitabilmente da coloro che non combattono». Vera perché racchiude in poche righe l’assurdità della guerra che accompagna inesorabilmente la storia dell’uomo. Feroce perché svela come i soldati siano semplicemente carne da macello indirizzati da politici e lobbisti senza scrupoli verso il sacrificio per potersi garantire maggiori profitti, soldi, gas e petrolio, concessioni edilizie, controllo del mercato della droga, potere. La retorica e il buonismo dei discorsi contemporanei servono solo a giustificare un’imminente carneficina agli occhi di un popolo che ha già sofferto e che non avrà nulla da guadagnare da inutili ulteriori massacri.
I mass media entrano in scena a questo punto per veicolare la propaganda bellica e creare il giusto stato di spirito per accogliere come lecite e giuste le rivendicazioni del potere.
In un mondo sempre più globale, anche le emozioni vengono plasmate e imposte dall’alto per manipolare e soggiogare le masse. Seguendo lo schema della dittatura dolce, si manipolano l’emotività e l’immaginazione del popolo per far sì che siano gli stessi cittadini a chiedere quei provvedimenti che i governanti vogliono introdurre o che tali provvedimenti sembrino legittimi e ottengano il consenso.
La tecnica delle false flags può infatti servire per ottenere quel casus belli utile a giustificare l’ennesimo conflitto che in uno stato normale il popolo non accetterebbe mai, oppure per introdurre limitazioni alla privacy e alla libertà individuale. Ne abbiamo avuti innumerevoli esempi, ma sembra che non riusciamo a imparare la lezione dal passato.
Dall’attuale disordine mondiale che si agita sulle ceneri del vecchio ordine in agonia, la storia viene orwellianamente riscritta di continuo, mentre i media tentano di distrarre l’opinione pubblica cancellando tracce e distogliendo lo sguardo da ciò che potrebbe causare problemi al potere. Quello stesso potere caotico che, ben lungi dall’essere una piovra tentacolare a cui nulla sfugge come tentano inutilmente di descrivere alcuni autori, si riunisce in salotti elitari per cercare di dirigere i destini di sette miliardi di persone tra velleità belliche, interessi finanziari e deliri apocalittici. Lungi dall’adottare una mentalità paranoica o dall’abbracciare in modo acritico formule riduttive o vedere complotti ovunque, conviene che ci si fidi di meno di quello che ci viene “raccontato” quando in ballo c’è l’ennesima insensata, folle guerra o il perseguimento di interessi egoistici che riguardano sempre le stesse élite. Basta riappropriarsi del proprio spirito critico e scrollarci di dosso l'apatia che ci ha reso degli spettatori passivi. Talmente passivi da esserci fatti svuotare per essere riempiti dai mantra del Potere.
di Enrica Perucchietti - 17/02/2019
Fonte: Enrica Perucchietti
No, dietro ai gilet gialli non ci sono i troll russi: soltanto il vuoto lasciato dalla sinistra
Non sono violenti facinorosi aizzati da Putin, ma la spia di un problema enorme, legato in via casuale al diesel, che arriverà anche in Italia. E la sinistra, come sempre succede negli ultimi anni, non c’è, perché ha dimenticato i lavoratori in nome dei cittadini
Il notizione del giorno, a quanto pare, è questo: una ricerca “internazionale” ha dimostrato che la protesta dei gilet gialli, in Francia, è stata infiltrata e appoggiata dalla destra, a volte estrema, che nella Rete ha contribuito ad amplificare gli effetti mediatici della contestazione al presidente Macron. È il solito minestrone di troll locali, hacker russi, suprematisti bianchi americani e altri babau senza i quali, a quanto pare, non si riesce più a far nulla.
L’enfasi che – in questo caso come in tutti i casi analoghi, dal Russiagate in giù – viene data ai pasticci, ai post, ai twitti e ritwitti della Rete dimostra quanto l’informazione tradizionale sia incline a cercare la pagliuzza nell’occhio dell’altro (Internet, ovviamente) e trascurare la trave che alloggia nel proprio.
Se così non fosse avrebbe avuto uguale o maggior risalto la ricerca pubblicata dalla Bbc, che denuncia il lavorìo di troll per creare consenso intorno al summit di Varsavia convocato dagli Usa per emarginare l’Iran dalla comunità internazionale e forse per spianare la strada a qualche intervento più deciso delle sole sanzioni econmiche. Ma soprattutto dimostra per l’ennesima volta quanto sia grande, più in generale, la voglia di parlar d’altro, di girare intorno ai problemi affrontandone solo i cascami e non la sostanza. Come un pranzo di gala fatto di carotine e spinaci ma senza arrosto.
Quello che oggi ci vorrebbe, a proposito di gilet gialli, è una bella ricerca sulle ragioni dell’arrabbiatura dei gilet gialli. Che cerchi di capire per esempio perché tanti francesi “normali” scendano da mesi in piazza a sfasciare vetrine, farsi menare dalla polizia e prendersi proiettili di gomma, mentre la République riesce solo ad approvare leggi vagamente repressive per restringere i margini alle proteste
Quello che oggi ci vorrebbe, a proposito di gilet gialli, è una bella ricerca (anche non internazionale, va bene anche comunale, purché ben fatta) sulle ragioni della loro arrabbiatura. Che cerchi di capire per esempio perché tanti francesi “normali” scendano da mesi in piazza a sfasciare vetrine, farsi menare dalla polizia e prendersi proiettili di gomma, mentre la République riesce solo ad approvare leggi vagamente repressive per restringere i margini alle proteste. Si scoprirebbe, forse, che dietro il problema delle accise sui carburanti c’è una questione molto più importante, anzi decisiva. Per decenni la complicità dei sistemi politici con quelli industriali ha riempito le nostre strade di motori diesel che adesso l’Europa non vuole più perché inquinano.
Ottimo, saggio, era ora. Ma adesso chi paga per la ristrutturazione del parco motori? Chi finanzia l’avvento delle energie pulite? I gilet gialli stanno dicendo a Macron che non vogliono essere loro, con quei vecchi diesel puzzolenti da pendolari delle periferie o con i quei camion da padroncini, ad aprire il portafoglio. Ci pensassero gli amici del Presidente, con le loro auto di lusso e le ibride delle mogli. È una questione enorme, che prima o poi arriverà anche in Italia. Già adesso, se uno visita una concessionaria, si accorge che c’è l’ansia di liberarsi dei diesel. Ma tutto ciò che sentiamo dire è che i gilet gialli sono brutti, sporchi e cattivi. E infiltrati dalla destra e dai russi, cioè lo stigma oggi distribuito a tutti coloro che non fanno parte della buona società. Ai parvenu.
E qui ci avviciniamo al punto politicamente interessante. La sinistra non dovrebbe essere presente in forze là dove si discute e si combatte un riassetto economico e sociale che cambierà il volto dei nostri Paesi, dei modi di produrre e di consumare per chissà quanto tempo a venire? Certo che sì. E invece non c’è. Latita. È assente. E se c’è stigmatizza, cerca il pelo nell’uovo, distingue.
E questo perché da decenni ha gettato le bandiere nella polvere e ha abbandonato al “nemico” (a qualunque nemico) la gestione dei temi che una volta erano il suo pezzo forte. Da decenni non si parla più di lavoratori ma di cittadini, di diritti e non di salari, si va in piazza per i migranti (bene) e non per i morti sul lavoro (malissimo), si protesta per la democrazia nella Repubblica di Kakania e non per il crollo del welfare, si difende la Ue ma non le pensioni.
Si scoprirebbe, forse, che dietro il problema delle accise sui carburanti c’è una questione molto più importante, anzi decisiva. Per decenni la complicità dei sistemi politici con quelli industriali ha riempito le nostre strade di motori diesel che adesso l’Europa non vuole più perché inquinano
Prendiamo la Francia: l’atto di governo più eclatante del socialista (socialista!) François Hollande fu l’approvazione dei matrimoni gay. Grande e legittima conquista per la piccola minoranza interessata, decisione del tutto ininfluente per i tanti che stentano ad arrivare a fine mese con lo stipendio o la pensione.
Succede anche in Italia. Non è un caso se, nel travagliato dibattito che scuote il Pd, il più deciso a far casino (seppure a modo suo) sui temi del lavoro sembra Carlo Calenda, un dirigente d’azienda che (beato lui) ha curato le relazioni con i clienti per la Ferrari, ha diretto il marketing per Sky ed è stato l’assistente del presidente di Confindustria, nel caso specifico Luca Cordero di Montezemolo.
La sinistra se ne va ma pretende che nessuno venga al suo posto. Purtroppo il vuoto in natura non esiste. E se dei gilet gialli non vi interessate voi, se ne interesserà qualcun altro. Magari appunto la destra che vi fa paura. O i “populisti” che guardate con tanta di quella puzza sotto il naso da perdere anche gli altri quattro sensi.
I “FALSE FLAG” DELLA SETTIMANA
“Il più pericoloso antisemitismo è tornato nel cuore dell’Europa…E’ la stessa feroce dinamica da cui si originavano i pogrom in Russia ai tempi degli zar, in Germania al tempo dei nazisti, nei paesi arabi – da Baghdad a Tripoli – negli anni Quaranta e Cinquanta”.
Cosi, il direttore della Stampa Maurizio Molinari, ha voluto dedicare un fondo di suo pugno alla aggressione (verbalmente) antisemita che i Gilet Gialli hanno diretto ad Alain Fikelkraut, un nouveau philosophe che tiene una rubrica settimanale France Culture, radio pubblica, dove parla solo per difendere Israele ed attaccare, insultare e schernire i cittadini francesi di discendenza maghrebina.
L’anti-islamismo primario a sfondo razzista è la costante degli interventi di F. Si è detto urtato da “l’accent des beurs”, ossia dall’accento maghrebino (beur è una forma offensiva)..
- ha proclamato che gli animali “sono più sensibili degli abitanti delle banlieues” , tra i quali imperano “il sessismo e l’antisemitismo”.
“Mettere milioni di musulmani su una nave” ed espellerli è un proposito enunciato da Eric Zemmour (un altro intellettuale…) su cui F. si è detto “certamente non scandalizzato”
Insomma si capisca il tipo: un provocatore, un po’ sul modello da noi del vecchio Vittorio Feltri, su posizioni ultra-sioniste e islamofobe, che parla dalla radio pubblica.
Questo è importante per capire la cosiddetta “aggressione antisemita” che ha subito, in favore di telecamere, e che (sia detto tra parentesi) ha tutta l’aria di una scena artefatta: chiunque può indossare un gilet giallo e recitare una parte in commedia.
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Così come sarà possibile dubitare dei “casseurs” che a Bordeaux, approfittando della fine della manifestazione dei Gilet Gialli nell’Atto 14mo, , spaccano arredi urbani e rovesciano una Mercedes : in nero e faccia nascosta, tipici black bloc – pari a quelli che vedemmo a Genova in un luglio 2001. L’estrema sinistra sempre a servizio dei capitalismo, o agenti del potere costituito.
Ma i media, Macron, il suo ministro degli interni, sono balzati su questo micro-episodio: l’identificazione dei Gilet Gialli con l’antisemitismo nazista serve a delegittimarli radicalmente, e giustifica che le loro richieste sociali e fiscali non vengano ascoltate. A vedere le tv francesi, i giornali francesi, gli intellettuali “moderati” – e al seguito la 7, Il Foglio e La Stampa, ossia i mezzi neocon fra noi – sembrava che le SS del Quarto Reich stessero scatenando un pogrom nel centro di Parigi.
Gli stessi intellettuali che sostengono i Gilet Gialli si sono sentiti in dovere di prendere le distanze, “Cose simili sporcano il movimento, tradiscono il suo spirito originale e rendono impossibile il compito a quelli che si sforzano di difenderli”, ha scritto Coralie Delaume.
Per 24, 48 ore, unanime la condanna. Corale. Assordante. Totalitaria.
Anche se lo stesso Finkelkraut, intervistato a caldo, ha sminuiti:”No, non ho sentito l’espressione sporco ebreo di merda [tutti i media l’hanno strillato] …a cominciare non è stato un Gilet Giallo ……Era un tipo con un po’ di barba, mi ha detto “Dio ti punirà”, una frase da retorica islamista…”
I “bianchi” omofobi e trumpiani che hanno “aggredito” il cantante Smollet
Quasi nello stesso momento, un falso in qualche modo simile avveniva dall’altra parte dell’Atlantico. Il cantante Jussie Smollet, negro e sodomita militante, ha denunciato di essere stato aggredito – il 20 gennaio scorso, alle due del mattino, in un quartiere elegante (gay) di Chicago, da due uomini che a viso coperto gli hanno gridato frasi razziste e “anti-gay”, ripetendo per di più: “Questo è il paese MAGA”, ossia Make America Great Again – con i che gli aggressori mascherati si dichiaravano seguaci di Trump e del suo slogan di successo. A conferma delle loro fede odiosa e razzista, avevano in testa i berrettini rossi di Trump. Sicuramente bianchi e trumpiani.
I media si sono buttati: ecco il razzismo, ecco tornato il fascismo, il nazismo! Trump! Finché i due mascherati che hanno aggredito Smollett sono stati arrestati: sono due fratelli nigeriani, maschioni, che hanno confessato di aver ricevuto 3500 dollari a testa dal divo Smollet, per inscenare la “aggressione anti-gay e razzista”, in perfetto accordo con lui. Più 500 dollari quando fossero tornati in Nigeria (ah, questi migranti che fuggono dalle guerre!)
La lezione da trarre da questi due apologhi è facile: sta nell’automatica, corale, immediata e totale adesione dei media sulla versione falsa. Qualunque false flag – dall’11 Settembre in poi – è reso possibile perché può contare sull’adesione meccanica dei media. Basta eccitarli nel senso del Credo Politicamente Corretto vigente – “Antisemitismo”, “anti-Sodoma” in America “Anti-Trump”, in Europa “Anti Gilet Gialli” – ed è come premere un pulsante: rispondono sempre, da bravi cani di Pavlov condizionati a sbavare quando suona il campanello.
Preti “pedofili” e Bergoglio
Questo vale per l’altro grande false flag in corso in questi giorni: Bergoglio contro “I preti pedofili”, lo scandalo dei preti pedofili in Vaticano”, “Bergoglio punisce i cardinali pedofili”.
Ma quali pedofili. Sono pedofili quelli che fanno atti sessuali coi bambini impuberi; questi sono sodomiti che hanno violato e corrotto seminaristi, ossia giovani adulti maschi.
“Parlare di abusi sui minori da parte di sacerdoti ignorando che oltre l’80% sono atti omosessuali significa non voler risolvere la questione”, aveva detto il cardinale Gerhard L. Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Ma i media devono assolutamente vietare che venga pronunciata la parola: omosessuale è oggi un comportamento che i media si prendono il compito di “proteggere” , perché deve passare il diktat che è “una scelta di vita” bella e giusta , un modo diverso di essere “normali” che gli altri devono non sono accettare ma approvare socialmente, perché i poveri “gay” sono vittime della “discriminazione”. Non deve risultare l’abiezione, l’insaziabilità che rivelano questi cardinali decrepiti e corruttori, i loro tiri di cocaina e le loro orge, la protervia e prevaricazione dell’autorità cui li ha portati il loro vizio senza fondo, che li domina e li possiede a tal punto da stuprare vocazioni sante, da corrompere future mani consacrate all’Eucarestia. Si potrebbe concludere che essere “gay” non è affatto “normale”, ma una malattia morale e mentale che giustifica “i pregiudizi” della gente. Non sia mai.
A questo proposito: parlo sempre meno e sempre meno volentieri di El Papa. I motivi li spiega egregiamente l’articolo dell’amico don Levi di Gualdo:
Quando la critica, di per sé legittima,non può produrre niente, perché talune particolari situazioni storiche, sociali ed ecclesiali le impediscono di generare qualsiasi efficacia, è sempre da evitare, perché in quel caso la critica annega in un circolo vizioso nel quale finisce col nutrirsi solo di sé stessa, aumentando le grandi confusioni ed i grandi disorientamenti, anziché dissiparli. E chi esercita questo genere di critica infruttuosa e dannosa, specie se sacerdote e teologo, rischia seriamente di macchiarsi d’una grave colpa.
Più avanti, Don Levi pone la domanda cruciale e dolorosa: quando Cristo dice a Pietro “che non venga meno la tua fede”, contempla una possibilità reale?
A livello di pura speculazione teologica ho dissertato persino su una questione del tutto ipotetica: «Può un Romano Pontefice legittimamente eletto e Successore legittimo del Beato Apostolo Pietro essere privo della grazia di stato?» [vedere articolo, QUI]. E su questa ipotesi, che si sappia mai verificatasi nell’intera storia della Chiesa, ci ho molto riflettuto, perché Cristo Signore, a Pietro — come spiegherò avanti in modo molto più dettagliato —, prima di dire «conferma i tuoi fratelli nella fede», disse: «che non venga meno la tua fede», ed aggiunse «una volta ravveduto», solo dopo queste due premesse lo esortò dicendo «conferma i tuoi fratelli nella fede» [Lc 22, 31-33], ma di questo tratteremo appunto più avanti …
Ed anche Don Levi richiama la responsabilità dei media:
Non ho mancato poi di manifestare tutta la mia umana sofferenza, quando mi sono ritrovato ad assistere all’opportunismo inimmaginabile di alcuni giornalisti cattolici, che semmai conoscevo e frequentavo da quasi vent’anni e che consideravo amici veri e sinceri. Quella è stata forse la mia sofferenza più grande. Non però, come qualcuno potrebbe pensare, per essere divenuti costoro più clericali di quanto di fatto non lo siano gli stessi chierici; queste sono cose e debolezze che si possono tranquillamente perdonare. Nei riguardi degli opportunisti bisogna infatti esercitare una certa indulgenza, perché spesso dietro all’opportunismo si celano solo profonda debolezza e senso di grande insicurezza. Il mio rimprovero — di conseguenza la mia profonda sofferenza —, non è stata mossa da questi peccatucci, ma da un peccato di inaudita gravità che compromette in questo genere di persone la carità cristiana stessa, perché costoro conoscono bene ed a fondo le storie quasi sempre tragiche dei pochi e buoni ecclesiastici che continuano a sopravvivere nella Chiesa, che non sono stati semplicemente maltrattati, ma esposti a delle autentiche torture psicologiche, che come sappiamo sono le peggiori, perché sempre e di rigore esercitate con la più crudele cattiveria.
Mostrandosi totalmente indifferenti al dolore umano per ragioni dettate da cinico opportunismo, questi soggetti hanno negato ogni genere di difesa alla verità agendo nella totale indifferenza verso il sangue dei poveri innocenti. Questo li rende i moderni Giuda che baciano il Cristo per indicarlo ai soldati che devono arrestarlo [cf. Mc 14, 43-46], li rende la moderna turba che dinanzi alla domanda di Ponzio Pilato «Chi volete che rilasci, costui o Barabba?», sovrastando ogni altra voce urlano a squarciagola: «Barabba, Barabba!» [cf. Mt 27, 17-20]. E per queste cose, Dio non perde neppure tempo a condannarci all’Inferno, perché l’autostrada a sei corsie in rettilineo verso di esso se la sono spianata questi soggetti da loro stessi, se non si convertono, se non si pentono e se non fanno adeguata penitenza”.
Ma leggete tutto l’originale, è lungo ma ne vale la pena:
LA GRANDE DECADENZA E «IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI». QUANDO PER PROTEGGERE LA MADRE E LA FAMIGLIA I FIGLI DEVONO SUPERARE LA GRANDE PROVA DI FEDE: VIVERE E SOFFRIRE COME SE IL PADRE NON ESISTESSE, MA SENZA MAI DIMENTICARE CHE EGLI RIMANE SEMPRE IL LEGITTIMO PADRE
Ma è da leggere anche l’articolo di don Paolo Milani:
NELLA DECADENZA, SIA ESSA POLITICA, SOCIALE OD ECCLESIALE, SI FINISCE SEMPRE COL MORIRE D’INDIGESTIONE PER «PANE E CIRCO»
Posto solo l’incipit:
“Salviano di Marsiglia, nella sua opera De Gubernatione Dei [Sul governo di Dio], ci offre una efficace descrizione degli avvenimenti inerenti alla conquista di Cartagine, la capitale dell’Africa Romana, nel 439, ad opera dei Vandali: «Sia all’esterno che all’interno delle mura si udiva un fragore di battaglie e di divertimenti: le urla di chi stava morendo si confondevano col baccano di chi si dava alle orge, e a malapena si potevano distinguere i lamenti della gente che moriva in battaglia a causa del frastuono prodotto nel circo dal popolo»
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